L’art. 5 della riforma dell’ordinamento della professione forense (legge n. 247/2012) conferiva al Governo la delega all’adozione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, di un decreto legislativo che disciplinasse l’esercizio della professione in forma societaria. Essendo il provvedimento entrato in vigore il 2 febbraio 2013, il Governo avrebbe dunque dovuto emanare il decreto sulle società tra avvocati entro lo scorso 2 agosto.
Il termine, tuttavia, è trascorso senza che la delega sia stata esercitata; è però rilevante il fatto che non si sia trattato di una colpevole inerzia dell’esecutivo ma di una precisa scelta politica di non creare una disciplina speciale per le società tra avvocati, finalizzata ad evitare possibili censure da parte della Commissione Europea.
Infatti, lo stesso art. 5, nell’individuare i principi e i criteri direttivi a cui il Governo avrebbe dovuto attenersi nell’esercizio della delega, consentiva l’esercizio della professione forense in forma societaria “esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano avvocati iscritti all’albo” (con la conseguenza che la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo avrebbe costituito causa di esclusione dalla società).
Si trattava di una previsione eccezionale rispetto alla disciplina generale delle società tra professionisti (legge n. 183 del 2011), la quale consente la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali, anche multidisciplinari, con la presenza di soci di capitale non professionisti nella misura massima di un un terzo dei conferimenti.
In altre parole, alla luce dei criteri di esercizio della delega contenuti nella legge 247/2012, la professione forense non avrebbe potuto essere esercitata all’interno di una società multidisciplinare composta anche da professionisti non avvocati, oltre ad essere a fortiori esclusa la partecipazione di soci di capitale.
Il mancato esercizio della delega da parte del Governo porta oggi a dubitare fortemente del fatto che agli avvocati possa essere esclusa la soggezione alla legge 183/2011, con la conseguente impossibilità di applicare alcuna disciplina speciale.
Proprio per questo motivo tra gli avvocati si sono registrate reazioni molto dure all’inerzia dell’esecutivo. Il presidente del CNF, Guido Alpa, ha infatti diramato una nota in cui sostiene che “è impensabile che il Ministero della Giustizia abbia preferito – silenziosamente e proditoriamente – aspettare la scadenza del termine per applicare agli avvocati regole diverse da quelle che il Parlamento ha approvato. Si tratterebbe di un omissione volontaria di un dovere, oltre che di un atto politicamente astruso. Un chiarimento del Ministero è dunque necessario, per evitare confusione, e per evitare che fidando su (o profittando di ) di interpretazioni inesatte o avventurose siano costituite oggi società professionali che sarebbero nulle, con grave danno per i cittadini che vedrebbero travolti i loro diritti nei procedimenti promossi da avvocati operanti nell’ambito di una società nulla”.
Per ulteriori approfondimenti si rende disponibile il testo integrale dell’art. 5 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (di seguito) e della nota del presidente del CNF del 30 agosto 2013.
Art. 5
Delega al Governo per la disciplina dell’esercizio della professione forense in forma societaria
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per disciplinare, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e in considerazione della rilevanza costituzionale del diritto di difesa, le società tra avvocati. Il decreto legislativo è adottato su proposta del Ministro della giustizia, sentito il CNF, e successivamente trasmesso alle Camere perchè sia espresso il parere da parte delle Commissioni competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario. Il parere è reso entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto è emanato anche in mancanza del parere. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto per l’emanazione del decreto legislativo, o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di trenta giorni. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative, con lo stesso procedimento e in base ai medesimi principi e criteri direttivi previsti per l’emanazione dell’originario decreto.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere che l’esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano avvocati iscritti all’albo;
b) prevedere che ciascun avvocato possa far parte di una sola società di cui alla lettera a);
c) prevedere che la denominazione o ragione sociale contenga l’indicazione: «società tra avvocati»;
d) disciplinare l’organo di gestione della società tra avvocati prevedendo che i suoi componenti non possano essere estranei alla compagine sociale;
e) stabilire che l’incarico professionale, conferito alla società ed eseguito secondo il principio della personalità della prestazione professionale, possa essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente;
f) prevedere che la responsabilità della società e quella dei soci non escludano la responsabilità del professionista che ha eseguito la prestazione;
g) prevedere che la società tra avvocati sia iscritta in una apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società;
h) regolare la responsabilità disciplinare della società tra avvocati, stabilendo che essa è tenuta al rispetto del codice deontologico forense ed è soggetta alla competenza disciplinare
dell’ordine di appartenenza;
i) stabilire che la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo nel quale è iscritto costituisce causa di esclusione dalla società;
l) qualificare i redditi prodotti dalla società tra avvocati quali redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali, ai sensi del capo V del titolo I del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni;
m) stabilire che l’esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività d’impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non è soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento;
n) prevedere che alla società tra avvocati si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni sull’esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.
3. Dall’esercizio della delega di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.