Compensi avvocati pubblici: il Tar Trento rimette la questione alla Consulta

Con ordinanza n. 138 del 1o marzo 2016 il Tar Trento ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,  l. 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui ha dettato una nuova disciplina per i compensi professionali corrisposti agli avvocati dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato.

Con tale disposizione la disciplina previgente in tema di compensi professionali corrisposti agli avvocati dipendenti delle amministrazioni pubbliche è stata riformata in termini ampiamente riduttivi.
La riforma ha avuto ad oggetto diverse voci fra cui in particolare, a titolo esemplificativo anche in relazione alle norme oggetto di esame del Tar in termini di rilevanza della questione di costituzionalità, le seguenti: la fissazione del c.d. tetto retributivo (cioè il limite massimo degli emolumenti comprensivo dei compensi professionali); l’abrogazione del sistema previgente della quota variabile allorquando l’amministrazione difesa non risultava non soccombente e anche in caso di transazione e di compensazione delle spese; il limite per cui i compensi professionali non possono superare il trattamento economico complessivo; la previsione che, a decorrere dall’1 gennaio 2015, la p.a. possa corrispondere i compensi professionali agli avvocati dello Stato nella nuova misura (il 50 per cento delle somme recuperate in caso di sentenza favorevole) solamente “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali”, quindi secondo criteri di riparto delle somme da stabilire con i regolamenti dell’Avvocatura dello Stato.
In relazione a tali previsioni, rilevanti in quanto immediatamente vigenti, il Tar Trento, se per un verso ha respinto le questioni sollevate nel merito, per un altro e distinto verso ha rimesso la questione di costituzionalità alla Corte, in specie sotto il profilo della mancanza dei presupposti della decretazione d’urgenza.
Al riguardo, l’ordinanza evidenzia come in nessun punto del preambolo del decreto legge – nel quale è inserita la disciplina di riforma in questione – sia stato dato conto delle ragioni di necessità e di urgenza che imponevano l’adozione – a mezzo di decretazione d’urgenza – delle disposizioni di riforma strutturale degli onorari all’Avvocatura dello Stato.
A sostegno della decisione viene compiuto un excursus della giurisprudenza della Consulta, con particolare riferimento alle seguenti indicazioni “l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge»”, di cui all’art. 77, e che “il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno”, per cui “la scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale”.

Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza.

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N. 00138/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente
ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 149 del 2015, proposto da:

Guido Denicolò e Sarre Pirrone, rappresentati e difesi dagli avv. Massimo Luciani e Beatrice Tomasoni, con domicilio eletto presso lo studio della seconda di essi in Trento, via Grazioli, n. 5

contro

– Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore,
– Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore,
– Avvocatura dello Stato, in persona dell’Avvocato generale pro tempore,
rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Trento, Largo Porta Nuova, n. 9

nei confronti di

Carlo Bucalo, non costituito in giudizio
per l’accertamento
– del diritto alla corresponsione dei compensi professionali senza le decurtazioni e limitazioni previste dall’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 11 agosto 2014, n. 114;
– per la conseguente condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Avvocatura dello Stato;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2016 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

1. I ricorrenti sono Avvocati dello Stato attualmente in servizio presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trento. Essi informano che è loro affidata la rappresentanza e la difesa in giudizio dello Stato e di altri numerosi enti pubblici territoriali, nonché una generale attività di consulenza volta all’analisi e alla soluzione di questioni tecnico-giuridiche concernenti l’attività di Pubbliche amministrazioni.
2. Essi allegano che sino all’entrata in vigore dell’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 11 agosto 2014, n. 114, il loro trattamento economico era regolato dal r.d. 30.10.1933, n. 1611, nonché dalle leggi 2.4.1979, n. 97, e 3.4.1979, n. 103. La relativa disciplina prevedeva:
– una quota fissa, commisurata a ruolo, titolo e grado del personale dell’Avvocatura ed equiparata, per il quantum, al trattamento dei magistrati dell’ordine giudiziario;
– una quota variabile, in funzione dell’esito delle controversie patrocinate quando la Pubblica amministrazione non risultava soccombente;
– l’esazione, a cura della stessa Avvocatura dello Stato, delle competenze di avvocato nei confronti delle controparti, liquidate con sentenza od ordinanza oppure pattuite per rinuncia o transazione;
– la ripartizione delle somme così raccolte (detratto il 12,50 per cento per il personale amministrativo) per sette decimi tra gli avvocati di ciascun ufficio, in base a norme regolamentari, e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati dello Stato;
– nei casi di transazione dopo sentenza favorevole allo Stato, o di pronuncia con compensazione delle spese e Amministrazione comunque non soccombente, l’Erario corrispondeva all’Avvocatura la metà delle competenze che sarebbero state liquidate.
3. Questo regime fu parzialmente modificato dall’art. 1, comma 457, della l. 27.12.2013, n. 147, che dispose una riduzione (nella misura del 75 per cento) temporanea (per il triennio 2014-2016) dei compensi liquidati a seguito di sentenza che riconosceva la Pubblica amministrazione non soccombente.
4. La struttura della quota variabile è stata però considerevolmente modificata con l’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, il quale così ha disposto:
– tutti i compensi professionali sono computati ai fini del tetto massimo degli emolumenti di cui all’art. 23 ter del d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22.12.2011, n. 214;
– nell’ipotesi di sentenza favorevole con condanna della controparte alle spese, solo il 50 per cento delle somme recuperate è ripartito tra gli avvocati dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell’Avvocatura dello Stato; il 25 per cento delle suddette somme è destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato; il rimanente 25 per cento è versato al fondo per la riduzione della pressione fiscale di cui all’ art. 1, comma 431, della l. n. 147 del 2013;
– nei casi di integrale compensazione delle spese, ai dipendenti della Pubblica amministrazione, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento già previsto;
– i regolamenti dell’Avvocatura dello Stato fissano i criteri per il riparto delle somme recuperate, in base al rendimento individuale e secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto della puntualità negli adempimenti processuali.
Il comma 2 dell’art. 9 ha poi espressamente abrogato l’art. 1, comma 457, della l. n. 147 del 2013 e l’art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933, norme, queste, che prevedevano la misura degli onorari da corrispondere agli avvocati dello Stato sia nel caso di liquidazione delle spese legali a carico delle controparti, sia nel caso di compensazione delle spese, ferma però restando la non soccombenza dell’Amministrazione.
5. In sintesi, dalla data del loro ingresso nel ruolo dell’Avvocatura dello Stato i ricorrenti, a loro detta, avrebbero conseguito il “diritto” alla corresponsione dei compensi per l’attività professionale esercitata ai sensi dell’art. 21 del r.d. n. 1611 del 1933. Nondimeno, a seguito della riforma disposta dall’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, essi oggi percepiscono i compensi professionali in misura differente, e ben minore, rispetto a quanto sarebbe loro spettato in applicazione delle disposizioni previgenti, in vigore al momento della loro assunzione e anche al momento in cui hanno concretamente svolto prestazioni professionali.
Di conseguenza – premesso di appartenere al personale della Pubblica Amministrazione che, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, è tuttora inquadrato in regime di diritto pubblico – con il presente ricorso essi chiedono al Tribunale di “accertare” il loro diritto di ottenere la corresponsione degli onorari professionali senza le decurtazioni e limitazioni previste dall’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, e, conseguentemente, di “condannare”, anche in forma generica, le Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute, anche se nelle more illegittimamente trattenute.
6. Tuttavia, l’accoglimento di dette domande presuppone la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, convertito dalla l. n. 114 del 2014.
Pertanto, i ricorrenti hanno prospettato svariate questioni di legittimità costituzionale della novella disciplina, che violerebbe numerosi parametri costituzionali nonché norme del diritto europeo e internazionale (segnatamente gli artt. 3, 4, 23, 35, 36, 42, 53, 77, 97 e 117 della Costituzione, anche in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale CEDU e agli art. 3 e 13 CEDU, circostanza, questa, che ridonda in altrettante violazioni dell’art. 117, comma 1, della Costituzione).
7. Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio argomentando diffusamente per l’infondatezza delle censure di incostituzionalità della disciplina introdotta con l’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso nel merito.
8. All’odierna pubblica udienza la causa è stata chiamata e poi trattenuta per la decisione.
9. Dunque, la questione posta con il presente ricorso riguarda, in sintesi, la legittimità costituzionale dell’art. 9 (rubricato “Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici”) del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 11 agosto 2014, n. 114, che così recita:
“1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.
2. Sono abrogati il comma 457 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell’articolo 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L’abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione.
4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate è ripartito tra gli avvocati e procuratori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell’Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme è destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato, da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento è destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all’articolo 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni.
5. I regolamenti dell’Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresì i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo princìpi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.
6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013. Nei giudizi di cui all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.
7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo.
8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonché il comma 7 si applicano a decorrere dall’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1ºgennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato.
9. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a quelli già previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica.”.
10. Ad avviso del Collegio, sulla base delle argomentazioni esposte dalle parti e dei principi applicabili alla materia di causa, la maggior parte dei dubbi di costituzionalità sollevati dai ricorrenti sono manifestamente infondati.
Di tanto si è dato conto con separata sentenza parziale, delibata nell’odierna camera di consiglio, con cui il ricorso, per tale parte, è stato respinto.
11. Di diverso avviso è invece il Collegio per quanto riguarda la quinta censura, con la quale è stata dedotta la violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, atteso che il Legislatore avrebbe introdotto una vera e propria riforma strutturale del trattamento economico spettante agli Avvocati dello Stato con lo strumento del decreto legge (peraltro a contenuto plurimo), ma in assenza dei necessari presupposti della necessità e dell’urgenza.
Ritiene, infatti, il Collegio che le argomentazioni esposte sul punto dai ricorrenti siano non solo rilevanti ma anche non manifestamente infondate, per cui dubita della conformità alla Costituzione dell’art. 9 all’esame.
12. In punto di rilevanza, occorre osservare che l’interesse che muove i ricorrenti è palese, in quanto:
– alcune delle norme di cui all’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 sono di immediata applicazione: il limite massimo degli emolumenti comprensivo dei compensi professionali (c.d. “tetto retributivo” di cui all’art. 23 ter del d.l. n. 201 del 2011), stabilito al comma 1; l’abrogazione del sistema previgente della quota variabile quando la Pubblica amministrazione non risultava non soccombente e anche in caso di transazione e di compensazione delle spese (di cui all’art. 1, comma 457, della l. n. 147 del 2013 e all’art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933), stabilita al comma 3;
– anche la disposizione di cui al comma 7 (i compensi professionali non possono superare il trattamento economico complessivo) è di immediata cogenza;
– inoltre, a decorrere dall’1 gennaio 2015 l’Amministrazione pubblica può corrispondere i compensi professionali agli avvocati dello Stato nella nuova misura (il 50 per cento delle somme recuperate in caso di sentenza favorevole) solamente “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali”, quindi secondo criteri di riparto delle somme da stabilire con i regolamenti dell’Avvocatura dello Stato (comma 8).
13. In punto di non manifesta infondatezza, occorre anzitutto rammentare che l’art. 77, commi secondo e terzo, della Costituzione prevede la possibilità per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilità, atti con forza di legge (nella forma del decreto legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come “provvisori”, devono risultare fondati sulla presenza di presupposti “straordinari” di necessità ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall’inizio, salva la possibilità per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.
Al riguardo la Corte costituzionale (che, inizialmente, aveva reputato la legge di conversione quale atto di novazione della fonte, il che rendeva impossibile lo scrutinio sui presupposti del decreto legge una volta intervenuta la conversione, cfr. sentenza n. 108 del 1986), a partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso ha affermato che “la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimità costituzionale del decreto-legge che risulti adottato al di fuori dell’ambito applicativo costituzionalmente previsto”. La Corte ha altresì precisato che lo scrutinio di costituzionalità “deve svolgersi su un piano diverso” rispetto all’esercizio del potere legislativo, in cui “le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti”. Ha specificato al riguardo che “il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d’urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità”, deve “risultare evidente”, e che tale difetto di presupposti, “una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge”. Ha perciò escluso, con ciò, l’eventuale efficacia sanante di quest’ultima, dal momento che “affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie” (sentenze n. 128 del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995).
La Corte ha poi precisato che il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali di cui all’art. 77, secondo comma, si ricollega “ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico”, e che l’urgente necessità del provvedere “può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare”. In tale ottica, la Corte ha conferito rilievo anche all’art. 15, comma 3, della l. 23.8.1988, n. 400, che “pur non avendo, in sé e per sé rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità … costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento” (sentenza n. 22 del 2012 sul cosiddetto “decreto milleproroghe”).
14. Ora, applicando gli insegnamenti della Corte costituzionale, occorre verificare se la “evidente” carenza del requisito della straordinarietà, del caso di necessità e di urgenza di provvedere, renda la prospettata questione non manifestamente infondata.
Al riguardo si osserva che l’epigrafe del decreto reca l’intestazione “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”.
Il preambolo del decreto così recita: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento dei lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento dell’evento Expo 2015; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per l’efficiente informatizzazione del processo civile, amministrativo, contabile e tributario, nonché misure per l’organizzazione degli uffici giudiziari, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi e il più efficace impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
A sua volta, l’art. 9 all’esame è parte del Titolo I rubricato “Misure urgenti per l’efficienza della p.a. e per il sostegno dell’occupazione” e del Capo I denominato “Misure urgenti in materia di lavoro pubblico”. Gli articoli del Capo dispongono, principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, di semplificazione e flessibilità nel turn-over, di mobilità obbligatoria e volontaria, di assegnazione di nuove mansioni, di divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi negli uffici di diretta collaborazione.
15. Occorre ora ricordare che, ai sensi dell’art. 15, comma 1, della l. n. 400 del 1988, i decreti legge sono presentati per l’emanazione “con l’indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione”, mentre il comma 3 sancisce che “i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.
Ebbene, il dubbio di costituzionalità dell’art. 9 del decreto legge n. 90 del 2014 insorge in relazione alla circostanza che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse e le previsioni normative di cui si prospetta l’illegittimità costituzionale.
Difatti, il primo paragrafo del preambolo fa riferimento a interventi organizzativi e semplificatori nella e della Pubblica amministrazione, il secondo alle procedure dei lavori pubblici, il terzo all’informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che con la disposizioni di cui si discute – volta a riformare la struttura degli onorari degli avvocati dello Stato e degli altri enti pubblici nell’ottica del contenimento della spesa pubblica – non sembrano aver nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto tra la norma censurata e l’elemento funzionale – finalistico proclamato nel preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale.
Per converso, in nessun punto del preambolo è stato dato conto delle ragioni di necessità e di urgenza che imponevano l’adozione – a mezzo di decreto legge – delle disposizioni di riforma strutturale degli onorari all’Avvocatura dello Stato di cui all’art. 9. L’infrazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione appare, quindi, questione non manifestamente infondata.
A tale stregua occorre ancora rammentare che la Corte costituzionale ha specificato come “l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge»”, di cui all’art. 77, e che “il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno”, per cui “la scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” (sentenza n. 22 del 2012).
Ne discende che l’immissione delle disposizioni all’esame (come si è detto, di riforma strutturale degli onorari) nel corpo di un decreto legge volto, dichiaratamente, alla “più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e a introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione”, non vale a trasmettere alle stesse – che appaiono quindi dissonanti – il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate invece tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità.
Per altro, ma correlato, profilo, occorre osservare che l’art. 9 contiene anche alcune misure che non sono “auto-applicative”, ossia “di immediata applicazione” come sancito dall’art. 15, comma 3, della l. n. 400 del 1988.
Sul punto si rileva che, nonostante sia previsto che la nuova disciplina si applichi alle sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2014, il comma 8 stabilisce però che il nuovo regime dei compensi (nella parte che riconosce il 50 per cento delle somme recuperate – commi 3, 4 e 5, secondo e terzo periodo del comma 6) può trovare applicazione solo a decorrere dall’introduzione, nei regolamenti dell’Avvocatura dello Stato, di regole che prevedano criteri di riparto delle somme “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali”.
Sicché, trova ulteriore conferma il dubbio circa la concreta sussistenza del caso straordinario di necessità e di urgenza, il solo che può legittimare il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento.
16. Le considerazioni esposte ai punti precedenti fondano, in definitiva, il giudizio di rilevanza, ai fini della compiuta decisione nel merito della controversia, e di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, di “Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici”, per contrasto con l’art. 77, secondo comma, della Costituzione, nei termini e per le ragioni sopra esposte.
17. In conclusione, il ricorso in esame non può essere definitivamente deciso senza la previa definizione della predetta questione di legittimità costituzionale. Deve pertanto essere disposta la sospensione del giudizio in corso e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino – Alto Adige / Südtirol, sede di Trento,
visti l’art. 134 della Costituzione e l’art. 23 della legge 11.3.1953, n. 87,
– dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 11 agosto 2014, n. 114;
– sospende il presente giudizio, con rinvio di ogni definitiva statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite all’esito del promosso giudizio incidentale davanti alla Corte Costituzionale, cui la presente ordinanza va immediatamente trasmessa a cura della Segreteria del Tribunale;
– dispone, sempre a cura della Segreteria del Tribunale, che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Roberta Vigotti, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Alma Chiettini, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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