La nuova legge sull’atto amministrativo e sui suoi vizi
PROGETTO DI LEGGE – N. 6844 AC
approvato alla Camera il 25.10.2000
ed ora all’esame del Senato
“Norme generali sull’attività amministrativa”
Art. 1
(Finalità)
1. La presente legge detta disposizioni che hanno valore di princìpi generali dell’ordinamento in materia di attività amministrativa. Resta ferma la disciplina stabilita dalle disposizioni di settore compatibili con i princìpi stabiliti dalla presente legge.
Art. 2
(Attività amministrativa di diritto privato)
1. Salvi i casi di poteri amministrativi espressamente conferiti da leggi o da regolamenti, le amministrazioni pubbliche agiscono secondo le norme del diritto privato. In ogni caso le amministrazioni pubbliche agiscono per la realizzazione dei pubblici interessi.
Art. 3
(Provvedimento amministrativo)
1. Nell’esercizio di poteri amministrativi, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante procedimenti amministrativi secondo la disciplina stabilita da leggi e regolamenti. 1-bis. L’azione amministrativa si conforma a criteri di ragionevolezza, proporzionalità e sussidiarietà rispetto all’autonomia dei privati. 2. Per la disciplina generale del procedimento amministrativo si applicano le disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ovvero le corrispondenti disposizioni emanate dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome.
Art. 4
(Comunicazione)
1. Salve espresse deroghe previste dalla legge, il provvedimento amministrativo è comunicato integralmente ai destinatari nelle forme stabilite da leggi e regolamentari. 2. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 3. Salvo che la legge disponga diversamente, il provvedimento acquista efficacia nei confronti dei destinatari con la comunicazione. Il provvedimento a carattere non sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia ed esecutività.
Art. 5
(Esecuzione d’ufficio)
1. Il provvedimento amministrativo che produce obblighi o limitazioni nella sfera giuridica di terzi è eseguito coattivamente, senza necessità di una previa pronuncia dell’autorità giudiziaria, nei casi e nei modi indicati dalla legge. 2. Il procedimento di esecuzione d’ufficio di obblighi fungibili è disciplinato dalle amministrazioni interessate con normativa regolamentare sulla base dei princìpi stabiliti dalla legge. 3. Il provvedimento amministrativo che produce obblighi fungibili è eseguito dal soggetto interessato nel termine e secondo le modalità stabiliti dallo stesso provvedimento. Quando l’amministrazione competente, previa diffida, accerta l’inadempimento, il provvedimento è eseguito d’ufficio a spese dell’obbligato. Dell’avvio dell’esecuzione è data comunicazione al soggetto inadempiente.
Art. 6
(Sospensione)
1. L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento può essere sospesa, per gravi ragioni, dallo stesso organo che lo ha emanato o da altro organo al quale la legge attribuisce espressamente tale potere salvo che la sospensione non venga disposta da un organo giurisdizionale; è sempre indicata la durata della sospensione, che non può in ogni caso essere superiore a sei mesi, con facoltà di proroga per una sola volta, salvo che sia diversamente disposto da norme speciali.
Art. 7
(Revoca)
1. Il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo al quale la legge attribuisce tale potere, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero in presenza di modifica dei medesimi presupposti di fatto del provvedimento. Ove ne ricorrano i presupposti l’amministrazione è tenuta a risarcire i danni agli interessati.
Art. 8
(Nullità)
1. È nullo il provvedimento amministrativo: a) che è stato adottato in carenza della forma richiesta sotto pena di nullità da legge o regolamento; b) che è stato adottato da un ente pubblico locale incompetente per territorio; c) che è stato adottato in carenza di oggetto o contenuto determinati o determinabili; d) che è destinato a soggetto inesistente. 2. È altresì nullo il provvedimento amministrativo nei casi indicati dalla legge.
Art. 9
(Annullabilità)
1. È annullabile il provvedimento viziato per incompetenza, adottato in violazione di norme imperative, o viziato per eccesso di potere. 2. È viziato per incompetenza il provvedimento adottato da organi di amministrazioni pubbliche diverse da quelle alle quali il relativo potere è attribuito, nonché, nell’ambito della stessa amministrazione, il provvedimento adottato in violazione delle norme sulla ripartizione della competenza tra gli organi di direzione politica e gli organi amministrativi. 3. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla struttura formale dell’atto il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 4. Resta salva la facoltà di regolarizzazione, anche in pendenza di ricorso giurisdizionale. 5. All’annullamento del provvedimento amministrativo può provvedere d’ufficio per motivi di interesse pubblico l’organo che lo ha emanato ovvero altro organo previsto dalla legge, salva convalida ovvero conversione dello stesso, laddove ne ricorrono i presupposti. 6. La retroattività dell’annullamento si estende agli atti successivi a quello annullato legati ad esso da un diretto rapporto di causalità.
Art. 10
(Abrogazione di norme)
1. L’articolo 6 della legge 18 marzo 1968, n. 249, è abrogato.
Art. 11
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore trenta giorni dopo quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Appendice
1) Le dichiarazioni di voto alla Camera sul testo approvato
2) La relazione all’originaria proposta di legge d’iniziativa del deputato Cerulli Irelli
3) La dichiarazione di voto finale sul testo approvato del deputato Cerulli Irelli
4) Il parere della Commissione Giustizia della Camera
Appendice 1)
Dichiarazioni di voto finale (A.C. 6844)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Garra. Ne ha facoltà (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo).
GIACOMO GARRA. Signor Presidente, i colleghi evidentemente non gradiscono…
PRESIDENTE. No, gradirebbero avere la sua dichiarazione di voto scritta per poter riflettere più attentamente sulle sue parole (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l’Ulivo)!
GIACOMO GARRA. Signor Presidente, credo che il carattere fortemente innovativo di questa proposta di legge comporti che l’esame dell’Assemblea non sia monco. Ritengo che giovi alla futura applicazione della legge che chi vi ha lavorato si occupi in maniera più approfondita della proposta medesima.
Non c’è dubbio che con la proposta Cerulli Irelli si intenda dare attuazione ad uno dei principi cardine dell’azione della pubblica amministrazione: mi riferisco al principio di legalità sancito dall’articolo 97 della Costituzione. Vorrei ricordare ai colleghi che, nel corso del cinquantennio successivo all’entrata in vigore della Costituzione, è stato merito della dottrina giuridica e della giurisprudenza del Consiglio di Stato e dei TAR l’aver elaborato una serie di principi e di corollari che, finalmente, con l’approvazione della presente proposta di legge, entreranno nella legislazione italiana. Non si tratterà solo di principi impliciti dell’ordinamento giuridico rimessi, in sostanza, all’interpretazione della dottrina o dei giudici.
La rilevanza dell’attività di diritto privato della pubblica amministrazione è stata magistralmente illustrata dagli studi del professor Massimo Severo Giannini ed è stata poi oggetto di una vasta pubblicistica.
La giurisprudenza ha, dal canto suo, posto sempre più chiaramente in luce un corollario del principio costituzionale di legalità. È nella legge che trovano fondamento le potestà autoritative che competono agli organi dello Stato e agli organi degli altri soggetti pubblici. Non vi può essere un potere di supremazia che un organismo pubblico si arroghi senza una attribuzione di potestà che discenda dall’ordinamento.
Persino i poteri extra ordinem, che competono nei casi di cosiddetta emergenza, trovano occasione di esercizio in situazioni particolari ma hanno sempre, a loro fondamento, la legge.
Orbene sin dall’articolo 1, il testo al nostro esame, dopo aver annoverato le disposizioni dello stesso testo nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento, salvaguarda l’applicazione delle disposizioni di settore compatibili con i principi stabiliti dalla medesima legge.
Viene dato ingresso all’attività di diritto privato (mi riferisco all’articolo 2), fatto salvo il principio secondo il quale le amministrazioni pubbliche agiscono per la realizzazione dei pubblici interessi ma anche l’attività di diritto privato deve svolgersi secondo criteri di ragionevolezza e di sussidiarietà rispetto all’autonomia dei privati. Notevoli le innovazioni che vengono dettate in tema di nullità (mi riferisco all’articolo 8). Una particolare sottolineatura desidero dare alla fattispecie prevista dalla lettera b) dell’articolo 8; mai finora era stata prevista una ipotesi di nullità per il caso di atto amministrativo adottato da un ente pubblico locale incompetente per territorio. Tale innovazione rispecchia un orientamento giurisprudenziale che nasce in un certo senso ad una mia sentenza emessa nei lontani anni ottanta.
Tutto ciò per evitare, ad esempio, che un sindaco di un comune viciniore (è accaduto in tema di concessioni edilizie) rilasci furbescamente una concessione per un terreno che magari è al confine ma che sicuramente va anche oltre.
Conclusivamente, in Commissione affari costituzionali l’iter della proposta di legge al nostro esame è stato caratterizzato da uno spirito costruttivo. L’opposizione ha potuto dare il massimo apporto alla formulazione del testo, quale risulta anche dagli emendamenti a suo tempo votati in Commissione.
È doveroso che si esprima al presentatore della proposta di legge, onorevole Cerulli Irelli, un convinto apprezzamento per la sua iniziativa legislativa. Per tali considerazioni il gruppo di Forza Italia voterà a favorevole del provvedimento.
PRESIDENTE. Constato l’assenza dell’onorevole Soda che aveva chiesto di parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Presidente, intervengo soltanto per annunciare il voto favorevole dei Verdi e dare atto della positiva iniziativa legislativa del collega Cerulli Irelli, del buono e proficuo lavoro compiuto prima in Commissione e oggi in aula, con il relatore Frattini. Credo che in questo modo si sia data anche la dimostrazione che, quando c’è un’ampia convergenza, il ruolo di relatore può essere svolto anche da un esponente dell’opposizione.
Per tali ragioni esprimerò con convinzione un voto favorevole sul provvedimento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Cerulli Irelli. Ne ha facoltà.
VINCENZO CERULLI IRELLI. Presidente, nel chiederle di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto, approfitto dell’occasione per ringraziare la Commissione, e in particolare l’onorevole Frattini, per il tempo che hanno voluto dedicare all’esame di questa mia proposta che è stata ampiamente migliorata in Commissione e che credo recherà un contributo forte di modernizzazione al nostro sistema amministrativo (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l’Ulivo).
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente senz’altro, onorevole Cerulli Irelli.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Fontan. Ne ha facoltà.
ROLANDO FONTAN. Dichiaro il voto favorevole della Lega nord Padania su questo provvedimento perché è sicuramente positivo. Ricordo che su di esso, in quest’aula, anche noi abbiamo dato un contributo efficace. Spiace, peraltro, constatare che ancora una volta questa sinistra – che quasi sempre si dice favorevole agli enti locali e all’autonomia – non abbia avuto la volontà né il coraggio, nascondendosi dietro questioni più o meno tecniche, di eliminare una volta per tutte l’odioso controllo centrale degli enti locali.
Sappiano i presidenti delle province e i sindaci sia del nord sia del sud che, qualora fosse ancora esercitato questo odioso controllo di un sistema centrale, la responsabilità è tutta di questa sinistra che, a parole, si dice a favore degli enti locali ed è sempre rispettosa delle loro richieste ma, nei fatti, sistematicamente lo nega.
L’emendamento pur essendo buono, poiché era stato presentato dalla Lega nord, non è stato approvato. Vorrà dire che lo approveremo il prossimo anno quando saremo maggioranza.
GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Bravo!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Soda. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, noi Democratici di sinistra voteremo a favore di questa proposta di legge che è di estrema importanza. In essa vi è un primo principio che fu già intuito ed elaborato nella Commissione bicamerale. Esso conduce al superamento, nel nostro paese, della separatezza e dell’autoritarismo nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini.
La costruzione di due ordinamenti, di due diritti, di due discipline parallele – quella di diritto amministrativo e quella di diritto comune – ha rappresentato per il nostro paese uno dei fattori di profonda crisi del rapporto tra cittadini ed istituzioni.
L’avere oggi affermato in questo testo di legge che le pubbliche amministrazioni, che pure perseguono sempre pubblici interessi e che, quindi, trovano il fondamento della loro condotta nei principi di imparzialità, di trasparenza e di pubblicità sanciti dalla Costituzione, non abbiano però in sé quel carattere di autorità assoluta per cui nei rapporti con i cittadini si pongono in una sfera sempre e comunque di supremazia; l’aver affermato in questo testo che le pubbliche amministrazioni debbono regolare la propria condotta, i propri atti e le proprie relazioni secondo lo ius commune segna un passaggio decisivo per creare rapporti di maggiore democraticità tra pubblica amministrazione e cittadini.
Vi è un secondo principio che salutiamo positivamente: il rapporto tra conoscenza ed efficacia dell’atto. Tutti sanno che la conoscenza spesso è potere, è strumento di esclusione, quando non sia strumento di intimidazione e di soggezione. Affermare il principio che l’atto amministrativo dispiega la sua efficacia quando sia stato comunicato e conosciuto dal cittadino è uno degli altri capisaldi di un nuovo disegno dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione.
L’avere, infine eliminato dalla tematica della nullità e dell’annullamento tutte le questioni relative alle irregolarità e ai vizi meramente formali intorno ai quali si costruisce una continua controversia perché rendono spesso i procedimenti infiniti, moltiplicano i contenziosi e non configurano mai certezza di rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, è un altro degli approdi positivi di questa proposta di legge.
Sono tre le ragioni che ci inducono ad affermare, indubbiamente in maniera totalmente difforme dal giudizio espresso dalla Lega – che molto probabilmente, inseguendo il sogno palingenetico dell’ascesa al potere per tutto trasformare, non si rende conto che il mondo sta cambiando -, che è anche per effetto dell’insieme di leggi che abbiamo approvato in questa legislatura (dalla legge n. 59 del 1997 al provvedimento approvato ieri sull’ulteriore semplificazione amministrativa) che si è realizzato un mutamento sostanziale della qualità della nostra pubblica amministrazione e della sua capacità di raccordarsi con i cittadini su un piano di democrazia e di parità (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l’Ulivo e dei Popolari e democratici-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Armaroli. Ne ha facoltà.
PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, i deputati del gruppo di Alleanza nazionale voteranno a favore della proposta di legge in esame, che detta disposizioni aventi valore di principi generali dell’ordinamento in materia di attività amministrativa; si tratta di un provvedimento che razionalizza ed ammoderna tale attività.
Devo confessare, però, che questa proposta di legge ci piace soprattutto per il suo nocciolo duro, rappresentato dal primo periodo dell’articolo 2, che così recita: “Salvi i casi di poteri amministrativi espressamente conferiti da leggi o da regolamenti, le amministrazioni pubbliche agiscono secondo le norme del diritto privato”.
La cosa preoccupante, signor Presidente, è che in questo momento la penso esattamente come l’onorevole Soda che, proprio pochi minuti fa, ha affermato di essere perfettamente d’accordo con uno Stato che non sia “molto più alto” del cittadino. Ciò mi stupisce perché, se non l’onorevole Soda, la parte politica alla quale egli appartiene è popolata da molti nipotini di sinistra di Hegel, e non mi pare che in una filosofia di assolutismo illuminato si ritenga “tutto per il popolo, ma nulla mercé il popolo”. Sono preoccupato, pertanto, di tale “coincidentia oppositorum”: evidentemente, o io o l’onorevole Soda non abbiamo correttamente interpretato il primo periodo dell’articolo 2.
Concludo osservando che i tardi epigoni del dottor Pangloss, coloro che ritengono che questo sia il migliore degli universi possibili, si stupiranno dell’aggiunta apportata dalla Commissione al primo periodo dell’articolo 2, che così recita: “In ogni caso, le amministrazioni pubbliche agiscono per la realizzazione dei pubblici interessi”. Costoro, stupiti, si domanderanno: “Per caso, talvolta le amministrazioni pubbliche non agiscono per la realizzazione dei pubblici interessi?”.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è con un po’ di commozione che prendo la parola questa sera per annunciare il voto favorevole mio e del gruppo al quale appartengo sulla proposta di legge in esame. La commozione deriva dal fatto che sono allievo del professor Roberto Lucifredi che, per sei volte in sei distinte legislature, presentò un disegno di legge recante norme generali sull’azione amministrativa. I suoi sforzi non furono fortunati.
Questa volta l’amico e collega – collega due volte, anche perché professore di diritto amministrativo – Cerulli Irelli ha portato a compimento, ovviamente con la collaborazione di tutta la Commissione affari costituzionali e del Comitato dei nove, questa iniziativa che in parte – ma solo in parte – aveva avuto un principio di realizzazione nella nota legge sul procedimento amministrativo.
Quando Lucifredi, nel 1948, presentò per la prima volta una legge contenente norme generali dell’azione amministrativa, non fece altro, per la verità, che riprendere una proposta avanzata dalla III sottocommissione per l’Assemblea costituente, che era presieduta da un maestro quale Ugo Forti. Ciò nondimeno, questa vicenda ha avuto momenti non fortunati. Perché? Perché da un lato si diceva, anche da parte di autorevoli studiosi, che essa rappresentava un modo di cristallizzare il diritto amministrativo: tale obiezione, a mio avviso, costituisce un errore, perché è ovvio che ogni codificazione cristallizza una certa situazione, ma io ritengo che il principio della certezza del diritto sia più forte del rischio di un’eventuale cristallizzazione.
Si è sentito dire, ancora recentemente, anche da qualche nostro autorevole collega, che in realtà alcune norme sono banali perché riproducono principi affermati in giurisprudenza, mentre altre possono essere pericolose. Io non ritengo siano vere né le prime né le seconde critiche. Non le prime, perché è pur vero che molti di questi principi sono già comuni nella giurisprudenza del giudice amministrativo, ma il riaffermarli con la forza dell’atto di legge li impone non soltanto al giudice, che magari potrebbe caso per caso cambiare opinione, ma soprattutto all’osservanza della pubblica amministrazione. Avere norme certe che regolano i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione è un principio fondamentale dello Stato di diritto.
Due norme hanno creato una qualche perplessità. La prima è quella che dice che l’amministrazione normalmente agisce secondo regole di diritto privato, ma se noi guardiamo l’evoluzione che ha conosciuto il diritto amministrativo soprattutto negli ultimi vent’anni, vediamo che sono ormai moltissimi i casi nei quali vi sono regole di diritto comune: all’atto amministrativo autoritario si sta sempre più sostituendo l’atto amministrativo paritario (pensate a tutta la teorica degli accordi: ma poi è temperata perché si dice che questa attività di diritto privato vale laddove la legge non disponga diversamente).
Io non appartengo alla categoria di coloro i quali ritengono che debba essere tutto affidato al diritto privato, perché ho la sensazione che esso sia, molto spesso, il diritto del più forte e che il diritto pubblico sia, invece, un diritto più equilibrato ed armonico. Ma qui questi principi vengono riaffermati.
L’altra norma che tra gli studiosi ha suscitato qualche perplessità è quella del terzo comma dell’articolo 9 che stabilisce che non sia annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma di esso il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Si è detto: badate che, molto spesso, davanti al giudice amministrativo è attraverso il vizio di forma che viene ripristinato il principio di legalità, ma qua noi ci troviamo di fronte a contenuti che sono vincolati ex lege, non dunque di fronte all’esercizio di un potere discrezionale, perché soltanto dove vi è un contenuto vincolato noi possiamo pensare di avere una situazione di questo genere e, se vi è contenuto vincolato, non vi è potere discrezionale.
Quindi, mi pare che le critiche che, pure in sede scientifica e negli ultimi giorni, sono pervenute tanto al collega Cerulli quanto a me da autorevoli professori di diritto amministrativo, possono e devono essere superate. Con questo spirito dunque, e se mi consentite con quel tanto di commozione per contribuire finalmente alla conclusione di un iter legislativo iniziato da un gran gentiluomo e grande scienziato qual è stato il mio maestro, annuncio il voto favorevole al provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l’Ulivo).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
FRANCO FRATTINI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCO FRATTINI, Relatore. Signor Presidente, vorrei rivolgere un saluto e un ringraziamento finale ai colleghi che hanno contribuito con me, relatore di questo provvedimento, e anzitutto al collega Cerulli Irelli, presentatore della proposta, alla presidente Jervolino e al sottosegretario Cananzi.
Oggi la Camera sta per votare un provvedimento che si forma sulla ricerca di un valore condiviso nelle istituzioni e in cui noi crediamo: quello che la pubblica amministrazione debba operare in uno spirito di trasparenza verso il cittadino e che quindi anche le regole del diritto privato e del diritto civile, che sono e si imperniano sulla pariteticità dei rapporti, possano finalmente prevalere come indirizzo generale sulle regole che da oltre cento anni vedono la pubblica amministrazione operare di regola nell’esercizio dei poteri autoritativi. Se mi permette, signor Presidente – lo dico con una particolare emozione essendo io un consigliere di Stato e quindi appartenendo a quell’istituto che da oltre cento anni sta contribuendo a scrivere il diritto amministrativo – avere oggi, da relatore e da parlamentare dell’opposizione, contribuito a scrivere le disposizioni di questa legge generale mi riempie di soddisfazione (Applausi).
RAFFAELE CANANZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RAFFAELE CANANZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, sui contenuti di questa legge credo che sia stato ampiamente detto. In pochi minuti, il Governo intende fare soltanto tre riflessioni: una sullo spirito di questa legge; una seconda riflessione sul quadro in cui si inserisce e una terza riflessione – se consentite – su questa questione della cosiddetta posizione paritaria attraverso il diritto comune tra amministrazione e cittadini.
“Il diritto amministrativo appartiene alle scienze della pace e alle opere della pace, e però gli bisogna assolutamente che il governo sia un governo che miri all’interesse comune, stabilito a scopo e profitto di tutta quanta l’associazione”. L’associazione di cui si parla è la società civile, perché questa associazione è detta da Manna nelle Partizioni teoretiche scritte e edite a Napoli nel 1860. Questo breve capoverso, con il quale l’onorevole Cerulli Irelli introduce gli studenti universitari allo studio del diritto amministrativo, esprime a pieno titolo lo spirito che sta a base del lavoro conclusosi con questo disegno di legge che, come è ben noto, è di iniziativa dello stesso onorevole Cerulli Irelli. Questo è lo spirito.
Per quanto riguarda il quadro, signor Presidente e onorevoli colleghi, il Governo esprime un particolare compiacimento perché in questa legislatura la pubblica amministrazione, nella sua organizzazione, nella sua azione, nelle sue forme giustiziali, ha conseguito riforme di notevole rilievo verso una complessiva modernizzazione intesa come efficienza, efficacia, economicità ed equità dell’attività amministrativa. Questa provvedimento conclude un iter: non dimentichiamo che qualche mese fa il Parlamento ha approvato la riforma della giustizia amministrativa, per cui avevamo la necessità di completare il quadro attraverso questa riforma del diritto sostanziale nell’azione amministrativa.
Passo alla terza ed ultima considerazione: la posizione paritaria, il diritto comune, il diritto privato vanno bene, perché rispondono ad una esigenza di dinamicità e di sviluppo della società, però, vedete, lo dico in particolare per l’onorevole Armaroli, che in qualche modo ha ironizzato sul secondo periodo dell’articolo 2, l’aver richiamato nello stesso il fatto che, in ogni caso, le amministrazioni pubbliche agiscono per la realizzazione dei pubblici interessi ha una ragione fondamentale: quella di mettere in evidenza che l’utilizzazione del diritto privato muta lo strumento, ma non muta la finalità dell’azione amministrativa. Questa, per sua stessa natura, non può essere un’azione, per così dire, a finalità privatistica, ma deve necessariamente essere un’azione a finalità pubblica: per tale ragione, andavano sottolineati in questo comma, nel momento in cui dichiariamo l’utilizzazione dello strumento del diritto comune, la natura pur sempre pubblica ed il quadro di interesse generale dentro il quale bisogna che la pubblica amministrazione si muova.
Detto questo, concludo esprimendo vivo e sincero apprezzamento per l’iniziativa del proponente, l’ottimo lavoro del relatore e della Commissione, quindi il compiacimento perché il nostro ordinamento cresce in certezza giuridica ed in complessiva equità. Abbiamo nuove istanze ed ispiriamo linee certe d’impegno per la collettività, soprattutto con riguardo alle nuove generazioni (Applausi).
Appendice 2)
Camera dei Deputati
PROPOSTA DI LEGGE N. 6844
d’iniziativa del deputato CERULLI IRELLI
Norme generali sull’attività amministrativa
Presentata l’8 marzo 2000
RELAZIONE
Onorevoli Colleghi! – L’esigenza di una legge generale sull’attività amministrativa o almeno sui principali istituti di applicazione generale, è presente da tempo nel dibattito politico e culturale.
La Commissione speciale per la riforma della pubblica amministrazione, costituita l’11 ottobre 1944, sotto la presidenza Forti, aveva elaborato un progetto legislativo denominato “Schema di legge generale sulla pubblica amministrazione”, finalizzato a disciplinare in modo organico e unitario l’attività amministrativa. Lo schema, largamente apprezzato nel mondo amministrativo, fu successivamente rielaborato, escludendo alcuni settori che non sembravano ancora pronti per una regolamentazione organica (il progetto di legge è stato pubblicato nei volumi Stato dei lavori per la riforma della pubblica amministrazione, 1948-1953, volume III, pagine 1-61). Mentre lo schema di legge veniva esaminato ai fini della presentazione in Parlamento, l’onorevole De Francesco ne fece oggetto di una sua proposta di legge (“Norme generali sull’azione amministrativa”, AC n. 1459, II legislatura, 21 febbraio 1955). Per l’esame di tale proposta di legge fu costituita alla Camera dei deputati una Commissione speciale, presieduta dal proponente, che approvò in sede deliberante il progetto di legge con numerose modifiche. L’esame della proposta di legge fu interrotto dallo scioglimento delle Camere. Analoga vicenda è toccata alla proposta di legge presentata nella III legislatura ad iniziativa dei deputati Lucifredi, Resta, Codacci Pisanelli (“Norme generali sull’azione amministrativa”, AC n. 195, III legislatura, 1° agosto 1958) nonché alla proposta di legge ad iniziativa del deputato Lucifredi presentata nella IV legislatura (“Norme generali sull’azione amministrativa”, AC n. 81, IV legislatura, 31 maggio 1963).
Gli insuccessi delle proposte di legge suddette hanno protratto nel tempo la lacuna in materia di disciplina generale dell’attività delle pubbliche amministrazioni, che pertanto ha continuato ad essere retta in gran parte dai princìpi generali elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
Il vuoto normativo è stato in parte colmato con l’emanazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, la quale si limita ad introdurre la disciplina degli aspetti più salienti del procedimento amministrativo (i princìpi generali, la comunicazione di avvio e i termini di conclusione del procedimento); mentre restano privi di normazione alcuni importanti tratti della disciplina del provvedimento amministrativo, quelli in particolare attinenti alla comunicazione, alla esecuzione, ai procedimenti di secondo grado aventi ad oggetto il provvedimento medesimo. E’ rimasta inoltre aperta la questione fondamentale della disciplina generale dell’invalidità amministrativa, ancora regolamentata, per quanto concerne l’annullabilità, dalla normativa storica risalente al 1889 e, quanto alla nullità, da disposizioni sparse di perplessa interpretazione.
La presente proposta di legge si propone come strumento di disciplina generale dell’attività amministrativa con riferimento agli aspetti di tale disciplina non regolamentati dalla legge n. 241 del 1990. Essa si collega alle esperienze dei maggiori ordinamenti dell’area continentale (per la Spagna, confronta la legge n. 30 del 1992; per la Germania, la legge sul procedimento amministrativo del 25 maggio 1976, modificata e integrata dalla legge 2 maggio 1996 e dalla legge 19 settembre 1996), i quali hanno recentemente provveduto a disciplinare gli istituti dell’azione amministrativa rapportabili a quelli oggetto della presente proposta di legge, modulando i loro interventi anche in relazione ai mutamenti della realtà sociale, segnatamente in tema di attività di diritto privato delle pubbliche amministrazioni (la Spagna ha adottato una specifica legge sui contratti pubblici, n. 13 del 1995; per l’ordinamento tedesco, confronta gli articoli 54 e seguenti della citata legge sul procedimento) e in materia di invalidità amministrativa.
Segnatamente sotto il profilo dell’invalidità amministrativa, da queste esperienze si ricava la convinzione che la violazione del principio di legalità modernamente inteso non può consistere nella sanzione dell’invalidità e, perciò, dell’annullabilità o altra simile misura caducatoria degli atti amministrativi, con costi sociali in alcuni casi molto consistenti, a fronte di violazioni di carattere meramente formale attinenti al procedimento, alla competenza o alla forma (confronta in particolare l’articolo 63, comma 2, della legge spagnola n. 30 del 1992 e l’articolo 46 della legge tedesca; nonché la copiosa giurisprudenza del Conseil d’Etat francese sulle cosiddette “formalités non substantielles” vale a dire, quelle regole di procedura la cui violazione dà luogo a semplice irregolarità, nei casi in cui non sia modificato il contenuto del provvedimento finale, ovvero quando non siano derivate limitazioni alle situazioni giuridiche degli amministrati ; nonché quando il rispetto delle medesime norme procedurali fosse nella fattispecie “impossibile” , o ininfluente ).
Queste esperienze indicano invero un recupero nel diritto amministrativo di una concezione sostanziale della legalità; le violazioni normative diventano rilevanti e perciò sanzionabili laddove consistano in violazioni di norme imperative ovvero in violazioni di carattere procedimentale in grado di produrre in concreto conseguenze di carattere sostanziale sul contenuto del provvedimento. Resta ovviamente ferma la competenza del giudice a stabilire quando, nelle singole fattispecie, la violazione normativa sia sostanzialmente rilevante e, quindi, sanzionabile; all’amministrazione resta inoltre un potere, nei casi di violazioni normative meramente formali, di procedere alla regolarizzazione del provvedimento anche in corso di giudizio, con indubbi effetti di deflazione sul contenzioso amministrativo (già adesso, ad esempio, la giurisprudenza ritiene che nei pubblici concorsi è regolarizzabile un documento che contenga tutti gli elementi necessari a comprovare il possesso del titolo, perché in questo caso la regolarizzazione – non comportando integrazione o modifica del contenuto del documento stesso – non vulnera la par condicio dei concorrenti, Consiglio di Stato, VI sezione, 26 febbraio 1997, n. 327; VI sezione, 5 settembre l996, n. 1182; VI sezione, 22 dicembre 1993, n. 1020).
L’articolo 1 individua le finalità della proposta di legge, che disciplina istituti di carattere generale non regolati dalla legge n. 241 del 1990. La proposta di legge contiene una disciplina di principio che si integra con le norme di dettaglio sull’azione amministrativa contenute nelle diverse leggi di settore; i princìpi in essa contenuti costituiscono princìpi generali dell’ordinamento e si impongono pertanto anche alla legislazione regionale.
L’articolo 2, registrando gli intervenuti mutamenti nei rapporti tra autorità e cittadini (da autoritari a paritari), già recepiti nel testo della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali (articolo 106), stabilisce il principio che le pubbliche amministrazioni agiscono secondo le regole del diritto privato, salvi i casi di esercizio del potere amministrativo espressamente previsti. In altri termini, il diritto amministrativo diventa una delle discipline utilizzabili, uno strumento necessario soltanto nei casi individuati dalla legge ovvero dalla fonte regolamentare. Nelle restanti ipotesi, le amministrazioni possono agire secondo moduli privatistici, più elastici nella loro formulazione e più solidi di fronte ai successivi tentativi di modificazione.
L’articolo 3 rappresenta una norma di richiamo a nozioni giuridiche ormai acquisite nella legislazione e nelle pronunce giurisprudenziali. L’attività amministrativa si svolge attraverso procedimenti regolati da specifiche discipline legislative e a livello generale dalla legge n. 241 del 1990.
L’articolo 4, riprendendo quanto previsto nella legge n. 241 del 1990 in materia di comunicazione dell’avvio del procedimento, stabilisce che il provvedimento amministrativo è comunicato integralmente e personalmente ai soggetti destinatari nelle forme indicate dalla legge e dai regolamenti vigenti nell’ambito di ciascuna amministrazione ( “un provvedimento amministrativo deve considerarsi comunicato nel momento stesso in cui copia del provvedimento stesso è pervenuta a conoscenza del destinatario e comunque quest’ultimo era in grado di conoscerla”; Consiglio di giustizia amministrativa siciliana, sezione giurisdizionale, 12 giugno 1997, n. 221). Si tratta di una disposizione normativa in linea con le esigenze di trasparenza e democraticità dell’azione amministrativa; in particolare, il comma 3 introduce la regola che la comunicazione del provvedimento sia determinante ai fini della produzione degli effetti, salva espressa eccezione (attualmente il Consiglio di Stato, in assenza di una specifica normativa, ritiene che “i vizi attinenti alla fase di pubblicazione, di comunicazione o di notificazione del provvedimento amministrativo (…) determinano effetti solo con riguardo alla decorrenza del termine per la sua impugnazione”, sezione V, 15 gennaio 1997, n. 38).
L’articolo 5, recependo gli orientamenti della più avanzata dottrina, stabilisce che la cosiddetta “esecutorietà” dei provvedimenti amministrativi operi soltanto nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla legge: riconduce quindi la materia nell’alveo del principio di legalità.
In particolare, il comma 2, relativo alla esecuzione dei provvedimenti che producono obblighi fungibili, contiene un rinvio alla disciplina regolamentare delle diverse amministrazioni da determinare nei contenuti sulla base dei princìpi stabiliti dalla legge. Come è noto, sono in vigore diverse norme legislative sulla materia in questione, a partire dall’articolo 341 della legge n. 2248 del 1865 sui lavori pubblici.
Il comma 3 riassume infine i princìpi ai quali deve richiamarsi la disciplina regolamentare delle diverse amministrazioni in materia di esecuzione d’ufficio.
L’articolo 6 disciplina il potere dell’amministrazione, in presenza di gravi ragioni, di sospendere l’efficacia del provvedimento ovvero la sua esecuzione, ove già in corso (la giurisprudenza ritiene che, in presenza di gravi circostanze, in capo all’amministrazione possa “ritenersi affermata la sussistenza di un potere generale dell’amministrazione di sospensione dei propri atti” Consiglio di Stato, IV sezione, 24 maggio 1995, n. 350).
L’articolo 7 disciplina, per i provvedimenti ad efficacia durevole, l’istituto della revoca come rimedio di carattere generale, che trova “fondamento nel principio costituzionale di buon andamento, che impegna la pubblica amministrazione, ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza, quindi, anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute (ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente) beninteso con l’obbligo di dare esplicita e puntuale contezza del potere esercitato”, Consiglio di Stato, V sezione, 24 ottobre 1996, n. 1263; VI sezione, 29 gennaio 1982, n. 40). In sostanza, ciascuna amministrazione può ricorrere a tale strumento di autotutela, in presenza di una diversa valutazione dell’interesse pubblico rispetto all’assetto di interessi che in origine aveva giustificato l’adozione del provvedimento; ovvero nel caso in cui l’inopportunità del provvedimento derivi dal mutamento delle condizioni di fatto esistenti al momento della sua emanazione. La disposizione prevede – in linea con quanto già disposto all’articolo 11 della legge n. 241 del 1990 – la possibilità della liquidazione di un indennizzo a favore del privato che abbia subìto un pregiudizio a seguito del provvedimento di revoca. L’istituto dell’indennizzo è ricollegabile al fatto che il provvedimento di revoca non opera come una decadenza del privato dal rapporto oggetto della concessione (e cioè un provvedimento vincolato a carattere per lo più sanzionatorio, Consiglio di Stato, VI sezione, 27 febbraio 1992, n. 139) e non si attiva per fatti imputabili alla responsabilità dello stesso, ma per obiettivi mutamenti della realtà ovvero per le mutate valutazioni dell’interesse pubblico da parte dell’amministrazione.
L’articolo 8 introduce una disciplina giuridica di carattere generale in materia di nullità del provvedimento amministrativo; tale disciplina riprende in gran parte i princìpi di teoria generale sulla nullità dell’atto giuridico, e segnatamente le disposizioni del codice civile sulla nullità del contratto (carenza di forma, ove richiesta a pena di nullità, oggetto non determinato o non determinabile; confronta Consiglio di Stato, IV sezione, 29 gennaio 1993, n. 118; V sezione, 16 luglio 1984, n. 552). Resta inoltre ferma la nullità del provvedimento nei casi espressamente previsti da leggi di settore (vedi decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 444 del 1994, in materia di proroga degli organi amministrativi). La disposizione è innovativa rispetto alla attuale impostazione giurisprudenziale, nella parte in cui esclude la figura della carenza di potere come motivo di nullità del provvedimento amministrativo. La carenza di potere diventa nella presente proposta di legge causa di annullabilità.
L’articolo 9 rappresenta una svolta rispetto alla tradizionale impostazione in materia di invalidità del provvedimento amministrativo, secondo la quale le norme di diritto pubblico, salvo rarissime eccezioni, sono inderogabili e, quindi, la violazione delle stesse produce l’annullabilità del provvedimento, anche nei casi in cui essa si risolve in una violazione meramente formale attinente alla competenza, alla forma e al procedimento. In sostanza, l’articolo si propone l’obiettivo di recuperare anche nel diritto amministrativo italiano la nozione di legittimità sostanziale che nei ricordati ordinamenti dell’Europa continentale trova adeguato risalto sia nella legislazione positiva sia nelle pronunce di giurisprudenza.
Il vizio di incompetenza come causa di annullabilità si riduce all’ipotesi di provvedimento adottato in carenza di potere e cioè da parte di organo di un’amministrazione pubblica diversa da quella cui spetta il relativo potere. Restano viceversa esclusi da tale nozione, e non sono pertanto causa di annullabilità, i casi di incompetenza meramente interna e cioè le ipotesi di provvedimenti adottati da organi diversi da quelli cui spetta il relativo potere, ma appartenenti ad una stessa amministrazione: con l’importante eccezione relativa alla violazione da parte di organi burocratici degli ambiti di competenza funzionale attribuiti esclusivamente per legge agli organi di direzione politica. Questa appare anche un’esigenza derivante dal diverso assetto delle fonti in materia di organizzazione – particolarmente a seguito dell’articolo 13 della legge n. 59 del 1997, e dei decreti legislativi nn. 300 e 303 del 1999 – nel quale la gran parte della disciplina organizzativa è affidata a fonti regolamentari interne o addirittura ad atti amministrativi non regolamentari.
Per quanto attiene al tradizionale vizio di violazione di legge, l’articolo 9 esclude l’annullabilità del provvedimento nel caso di violazioni di norme sul procedimento o sulla forma che non incidano in maniera sostanziale sul contenuto del provvedimento stesso, e cioè nei casi in cui il contenuto del provvedimento non sarebbe stato diverso laddove la normativa fosse stata rispettata.
In tali ipotesi, nonché nei casi di incompetenza interna ad una stessa amministrazione il provvedimento è suscettibile di regolarizzazione, anche in pendenza di ricorso giurisdizionale (comma 4); con conseguenti importanti effetti deflattivi sul contenzioso amministrativo.
Il comma 5, disciplinando il regime giuridico dell’annullabilità, prevede che all’annullamento del provvedimento amministrativo può ricorrere d’ufficio l’organo che lo ha emanato ovvero altro organo previsto dalla legge. Presupposto di tale intervento di autotutela, anche secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, è l’attenta valutazione delle ragioni di interesse pubblico che giustificano il ricorso a tale rimedio: valutazione che deve essere tanto più approfondita quanto più dall’atto oggetto di annullamento sono derivate situazioni di legittimo affidamento a favore dei privati. Resta comunque salva la possibilità di procedere alla convalida dell’atto amministrativo annullabile in presenza dei necessari presupposti, e cioè qualora l’atto sia nella fattispecie affetto da vizi sanabili. Il comma 6 chiarisce che la natura retroattiva dell’annullamento coinvolge gli atti successivi a quello annullato quando i primi trovino nel secondo l’unico presupposto logico e giuridico.
L’articolo 10 introduce in via generale l’istituto della conversione del provvedimento nullo, richiamando nella sostanza la disciplina codicistica sulla conversione del contratto nullo.
L’articolo 11 prevede l’abrogazione dell’articolo 6 della legge n. 249 del 1968, il quale dispone il divieto di convalida di un provvedimento amministrativo illegittimo in pendenza di ricorso giurisdizionale, salvo che si tratti di sanare il vizio di incompetenza. L’abrograzione si rende necessaria in virtù di quanto disposto dell’articolo 9, comma 5, della legge che ammette l’istituto della convalida come rimedio di carattere generale, ove ricorrano i presupposti.
L’articolo 12 prevede che la legge entri in vigore decorsi trenta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Appendice 3)
Dal resoconto stenografico dell’Assemblea
Seduta n. 798 del 25/10/2000
DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO VINCENZO CERULLI IRELLI SULLA PROPOSTA DI LEGGE N. 6844.
VINCENZO CERULLI IRELLI. Il testo che viene al voto dell’Assemblea intende completare, attraverso una serie di norme concernenti fondamentalmente il regime del provvedimento amministrativo, la disciplina generale dell’azione amministrativa di diritto pubblico, contenuta nella legge n. 241 del 1990 (procedimento e diritto d’accesso).
Pur dopo l’emanazione di quella fondamentale legge, restano privi di disciplina alcuni delicati aspetti dell’azione amministrativa, mentre altri, segnatamente quello fondamentale concernente il regime dell’illegittimità, sono ancora regolati da leggi remote (l’articolo 26 del testo unico sul Consiglio di Stato del 1924 risale nella sua formulazione alla legge Crispi del 1889), e perciò necessitano di una revisione.
Il testo che si presenta è strettamente connesso alla recentissima legge approvata dal Parlamento sulla nuova disciplina del processo amministrativo (n. 205 del 2000), e ne costituisce, per così dire, il risvolto di carattere sostanziale.
Il testo consta, come esplicitamente affermato dall’articolo 1, di principi generali dell’ordinamento, che comportano l’abrogazione di quelle norme, anche di carattere settoriale che con essi siano incompatibili; mentre vincolano la legislazione regionale, allo stesso modo delle norme della menzionata legge n. 241 del 1990.
Le due leggi insieme sono chiamate a costituire il corpus delle norme generali dell’azione amministrativa di diritto pubblico nell’ordinamento italiano, in tutte le sue articolazioni istituzionali.
Il testo riprende l’affermazione di principio già approvata dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (legge costituzionale n. 1 del 1997), che le pubbliche amministrazioni, salvi i casi di poteri amministrativi espressamente conferiti da leggi o da regolamenti, agiscono secondo le norme del diritto privato (articolo 2).
Questa affermazione, oltre ad esplicare la tendenza dell’ordinamento verso la privatizzazione dei settori di amministrazione nei quali lo strumento pubblicistico non sia strettamente necessario (come di recente è avvenuto nel settore del pubblico impiego), costituisce un criterio fondamentale per l’interprete: in caso di incertezza circa il diritto applicabile a proposito di attività giuridiche che singole amministrazioni debbano porre in essere, in base alla norma si applica il diritto privato, capovolgendo in ciò l’antica affermazione di Cammeo, seguita dalla dottrina successiva, secondo la quale, in caso di incertezza, le pubbliche amministrazioni debbono applicare nel loro agire la normativa del diritto pubblico. Ovviamente il principio che qui viene introdotto, non sposta l’ordine della giurisdizione (ordinaria e amministrativa) in ordine alle controversie con le pubbliche amministrazioni, che resta quello disciplinato dalle leggi vigenti. E laddove la pubblica amministrazione agisce secondo moduli di diritto privato, sarà competente il giudice ordinario, salvo i casi di giurisdizione amministrativa esclusiva.
La norma afferma altresì il principio, per altro di chiara evidenza, che in ogni caso, le pubbliche amministrazioni agiscono per la realizzazione di pubblici interessi. Ciò significa che il complesso dell’azione amministrativa, a prescindere dalla normativa utilizzata, deve essere ispirata ai principi di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, in funzione di cura dei pubblici interessi, già affermati in maniera solenne dalla legge n. 241 del 1990.
Tuttavia, quando le modalità giuridiche dell’azione sono quelle del diritto privato, la valutazione del rispetto di questi principi e di queste finalità, non dà luogo ad una valutazione di legittimità degli atti giuridici adottati, secondo lo schema dell’eccesso di potere (che è proprio degli atti amministrativi in senso stretto). Ma dà luogo a valutazioni circa il complesso dell’azione amministrativa posta in essere, in sede di controllo di gestione, in sede di esercizio dell’azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti, in sede di esercizio dell’azione di responsabilità civile, e così via.
Sulla disciplina generale del provvedimento amministrativo il testo contiene alcune norme che completano il quadro già delineato dalla legge n. 241 del 1990, secondo il medesimo obiettivo perseguito da quella legge, di una piena ed intera riconduzione della disciplina del provvedimento al principio della legalità. Non esistono poteri amministrativi impliciti o occulti ma i poteri sono quelli previsti dalla legge. Le parti di un rapporto amministrativo sono poste tendenzialmente in una posizione di parità, tutelata dai principi di legge.
Il provvedimento amministrativo deve essere comunicato integralmente ai destinatari e acquista efficacia nei confronti di essi con la comunicazione, salve espresse deroghe legislative. Può tuttavia contenere una clausola, motivata (e perciò successivamente controllabile), di immediata efficacia ed esecutività. Questa norma (articolo 4) completa il regime disegnato dall’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, espressamente richiamato.
La cosiddetta esecutorietà del provvedimento amministrativo, vecchio idolum della nostra dottrina, è ricondotta, secondo l’impostazione più moderna, totalmente al principio di legalità. Laddove un provvedimento amministrativo produca obblighi o limitazioni nella sfera giuridica di terzi, segnatamente nei casi in cui esso imponga un facere ai destinatari, può essere eseguito coattivamente, soltanto laddove questo è previsto dalla legge.
L’articolo 5 detta sul punto la disciplina generale dell’esecuzione d’ufficio (sulla falsariga di quella ben conosciuta che risale alla legge del 1865). Il provvedimento deve stabilire il termine e le modalità per la sua esecuzione da parte del destinatario. Una volta accertato da parte dell’amministrazione competente l’inadempimento di questi, il provvedimento viene eseguito a spese dell’obbligato, previa motivata comunicazione.
Il testo contiene inoltre alcune norme che regolano i procedimenti cosiddetti di secondo grado, quelli cioè che hanno ad oggetto provvedimenti amministrativi già emanati ed efficaci, secondo lo schema della autotutela decisoria.
La sospensione e la revoca, poteri che incidono, com’è noto, sull’efficacia del provvedimento, sono attribuiti al medesimo organo che ha emanato l’atto che ne è oggetto, salva espressa attribuzione legislativa ad altro organo. Con una serie di limitazioni però. La sospensione, secondo lo schema valido per la sospensione giurisdizionale, può essere adottata solo in presenza di gravi ragioni, e ha durata limitata, con facoltà di proroga per una sola volta (articolo 6).
La revoca (articolo 7) è consentita soltanto a proposito dei provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole (come ad esempio le concessioni) e soltanto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o in presenza di una modifica dei presupposti di fatto del provvedimento, e non anche perciò per una modificazione della valutazione circa l’assetto degli interessi pubblici quale delineato dall’originario provvedimento.
Di grande rilievo ordinamentale sono le norme che prevedono la nuova disciplina della invalidità amministrativa (articoli 8 e 9).
Anzitutto il testo fa proprio l’orientamento giurisprudenziale inaugurato da alcune decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a partire dal 1992, che ha riconosciuto, anche per gli atti amministrativi, la sanzione della nullità, in presenza di particolari violazioni; nella prospettiva della riconduzione del regime degli atti amministrativi al regime generale degli atti giuridici.
La nullità è prevista, nel testo, anzitutto, per i casi tradizionalmente ricevuti in teoria generale, di atti adottati in carenza della forma richiesta ad substantiam, di atti adottati in carenza di oggetto o di contenuto ovvero destinati a soggetto inesistente. A questi casi si aggiungono quelli delle nullità previste espressamente dalla legge, nonché il caso tipico del diritto amministrativo, degli atti adottati da un ente pubblico locale incompetente per territorio. Mentre i casi di atti adottati in violazione del principio, che ormai acquista carattere fondamentale nell’ordinamento, del riparto delle competenze tra organi di direzione politica e organi amministrativi (a titolarità burocratica o professionale), vengono ricondotti, diversamente da quanto in precedenza proposto dalla Commissione, a quelli di annullabilità.
La norma concernente l’annullabilità è, invece, fortemente innovativa rispetto alla nostra tradizionale impostazione risalente alla legge del 1889. Essa, mentre riafferma l’annullabilità degli atti amministrativi per incompetenza, violazione di legge, ed eccesso di potere, ridimensiona la portata dei primi due vizi.
Il vizio di incompetenza viene limitato ai casi di violazione di norme che attribuiscono il potere alle singole amministrazioni; e non si estende, perciò, come viceversa sino ad oggi, alla violazione di norme che distribuiscono la competenza tra i diversi organi nell’ambito di ciascuna amministrazione (salvi i casi appena menzionati, di violazione delle norme che stabiliscono il riparto tra organi di direzione politica e organi amministrativi). In sostanza, l’incompetenza, quale delineata dal testo, viene a coincidere con l’ambito di invalidità attualmente coperto dalla carenza di potere. Ciò è anche la conseguenza della diversa impostazione dell’ordinamento, particolarmente a seguito della legge n. 59 del 1997 e decreti attuativi, circa l’assetto delle fonti concernenti l’organizzazione, ormai in larga misura demandata alla potestà regolamentare delle singole amministrazioni o addirittura ad atti di natura non regolamentare.
Sulla violazione di legge, la norma prevede due importanti novità. Anzitutto limita questo vizio alla violazione di norme operative, il che significa introdurre in diritto pubblico la distinzione propria del diritto privato tra norme imperative e norme dispositive, solo le prime essendo vincolanti. In secondo luogo, introduce il concetto, proprio di altre esperienze europee nei tempi più recenti, che le violazioni di carattere formale o procedimentale non sono rilevanti, e perciò non danno luogo ad annullabilità dell’atto, laddove il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Una volta riconosciuto che l’atto, anche se adottato in violazione di qualche norma formale o procedimentale, ha un contenuto conforme a quanto prescritto dalla legge (il vincitore della gara è effettivamente il soggetto dotato dei migliori titoli, il progetto di costruzione sottoposto a licenza edilizia è effettivamente conforme al piano regolatore, eccetera) la violazione non rileva dal punto di vista della invalidità dell’atto. Essa dà luogo a una mera irregolarità, che può essere regolarizzata anche in pendenza di ricorso giurisdizionale.
La stessa norma disciplina l’istituto dell’annullamento d’ufficio: il potere di annullamento è attribuito all’organo che ha emanato l’atto illegittimo ovvero ad altro organo se espressamente previsto dalla legge: ovviamente in presenza di specifiche ragioni di interesse pubblico. Resta salva la facoltà di convalida ovvero di conversione dell’atto legittimo, laddove ne ricorrono i presupposti. La convalida in particolare diventa strumento di applicazione generale, senza la limitazione di cui all’articolo 6 della legge n. 249 del 1968, che viene espressamente abrogato (articolo 10).
La norma infine chiarisce (articolo 9, ultimo comma) che l’efficacia retroattiva dell’annullamento travolge gli atti successivi a quello annullato, quando questi siano legati ad esso da un diretto rapporto di causalità, facendo propria la distinzione giurisprudenziale tra i casi di annullamento ad effetto caducante (che sono quelli cui fa riferimento la norma) e ad effetto meramente viziante che non producono l’automatica caducazione degli atti stessi, ma solo un vizio di legittimità nella loro struttura, che potrà essere successivamente fatto valere in sede giurisdizionale o amministrativa.
Il presentatore di questa proposta di legge, ampiamente elaborata e migliorata nel lavoro di Commissione, insieme al ringraziamento, alto e sentito, alla presidente onorevole Jervolino Russo, al relatore onorevole Frattini, agli altri colleghi, e all’onorevole Cananzi in rappresentanza del Governo, esprime grande soddisfazione per aver contribuito alla formazione di un testo che completa il processo di modernizzazione del nostro diritto amministrativo: verso esiti che si ragguagliano a quello dei principali paesi europei.
Senza un’incisione forte anche sul versante dei principi dell’azione amministrativa, segnatamente sul punto fondamentale della riduzione dell’area del formalismo (il red tape degli americani) e quindi delle invalidità meramente formali, ogni tentativo di riforma della struttura organizzativa, pur avanzato come quello in corso, è incapace di produrre pienamente i suoi effetti positivi, in termini di funzionamento complessivo dell’amministrazione, al servizio dei cittadini (infine, il buon andamento, del vecchio ma non sempre attuale articolo 97 della Costituzione!).
Appendice 4)
Camera dei Deputati
PARERE DELLA II COMMISSIONE PERMANENTE
(Giustizia)
La Commissione Giustizia,
esaminato il nuovo testo in oggetto;
rilevato che il provvedimento in esame appare conforme alla evoluzione in atto nel modo di intendere i rapporti tra autorità e cittadini a seguito del ripensamento del ruolo della pubblica amministrazione in termini di maggiore richiesta di efficacia e trasparenza del servizio pubblico;
condivisa l’opportunità del recupero nel diritto amministrativo di una concezione della legalità per la quale, a fronte di violazioni di carattere meramente formale, non scaturisca necessariamente l’invalidità degli atti;
esprime
PARERE FAVOREVOLE
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