La pubblicità e le società

Il pensiero dell’Antitrust (1997)

Estratto dalla relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva nel settore degli ordini e collegi professionali svolta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Adunanza del 3 ottobre 1997
Pres. Giuliano Amato
Rel. Giacinto Militello

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Il divieto di pubblicità
32. Anche le attuali forme di divieto della pubblicità appaiono difficilmente riconducibili alla tutela di un interesse di natura generale. Non può essere infatti sufficiente al riguardo asserire che la pubblicità contribuirebbe a svilire e mercificare le professioni e che potrebbe avvantaggiare i professionisti dotati di maggiori risorse finanziarie piuttosto che i migliori. Né può essere realisticamente invocata la considerazione che rimuovendo gli attuali divieti si produrrebbe una artificiosa stimolazione della domanda particolarmente dannosa in settori delicati quali quello sanitario.
Alcune di queste affermazioni trovano le proprie origini in una visione passatista sia delle professioni intellettuali, sia dello strumento pubblicitario.
La convinzione che la pubblicità rappresenti uno strumento utilizzato unicamente nella vendita di prodotti commerciali è oggi largamente superata dall’impiego di tale mezzo per conseguire obiettivi diversi, e in particolare per comunicare a un pubblico che sia il più vasto possibile informazioni che altrimenti rimarrebbero patrimonio di pochi.
La pubblicità informativa, che già esiste ma in misura troppo limitata nelle modalità e nei contenuti (quella negli elenchi telefonici e nelle pagine gialle), costituirebbe un elemento di notevole importanza proprio per colmare parte di quelle asimmetrie informative che non consentono al consumatore di scegliere con maggiore cognizione di causa il servizio di cui necessita o di giudicarne la qualità resa.
Se si immagina tale strumento coniugato alla possibilità di praticare prezzi liberi e di condizionare il prezzo al risultato, si comprendono le prospettive concorrenziali che si possono aprire per i professionisti e i vantaggi che deriverebbero per i consumatori soprattutto in termini di risparmio di costi nel reperire le informazioni necessarie. Più in particolare, il consumatore avrebbe accesso facilmente, e non come avviene ora per vie informali o conoscenze, alle informazioni riguardanti le caratteristiche dei professionisti che operano sul mercato e le attività dove hanno maggiormente concentrato i propri sforzi professionali, nonché i prezzi dagli stessi praticati per prestazioni simili ed eventualmente le garanzie di successo che sono in grado di fornire.
Sostenere che l’introduzione della pubblicità andrebbe a scapito della qualità, in quanto avvantaggerebbe i professionisti più dotati di risorse finanziarie indipendentemente dalla loro effettiva abilità professionale, appare opinabile. Deve infatti essere considerato che la pubblicità informativa è basata su elementi di fatto, prezzi, caratteristiche, risultati, e che eventuali elementi non rispondenti alla realtà potrebbero sempre essere sanzionati come forme di pubblicità ingannevole. Inoltre, appare irrealistico immaginare che la pubblicità possa da sola garantire la permanenza e l’espansione sul mercato a professionisti che offrono servizi di qualità scadente. Infine, immaginare che l’utilizzo della pubblicità da parte di operatori maggiormente dotati di risorse finanziarie possa determinare l’espulsione dal mercato degli altri professionisti implica una visione semplificata dell’assetto di mercato, secondo la quale lo stesso potrebbe ospitare sostanzialmente una sola tipologia di operatori. Al contrario, nel settore dei servizi professionali, più ancora che negli altri, risulta verosimile immaginare una configurazione articolata dell’offerta, in cui i diversi ambiti di specializzazione consentono la compresenza nel mercato di soggetti con diverse caratteristiche dimensionali e organizzative.
Sostenere poi che la pubblicità produrrebbe una artificiosa stimolazione della domanda dannosa in settori quali quello sanitario è del tutto infondato, dal momento che si tratterebbe di una pubblicità a scopo informativo, ed è contraddetto dalle esperienze di altri Paesi europei.
Per converso, appare evidente la logica restrittiva sottostante il divieto di pubblicità quando si consideri che la pubblicità di carattere generale, quella che torna a beneficio dell’intera categoria è generalmente ammessa poiché fa aumentare la domanda aggregata per l’intera professione. Al contrario, la pubblicità del singolo o di un ristretto gruppo di professionisti è suscettibile di produrre effetti di redistribuzione della domanda di servizi all’interno della professione, mettendo in discussione l’equilibrio all’interno della categoria professionale.
Al riguardo si consideri che la possibilità di comunicare al pubblico i vantaggi delle proprie offerte e i propri successi, verosimilmente consentirà soprattutto ai giovani, più capaci e meritevoli, soprattutto se associati, che ancora non godono di una vasta fama di affermarsi in tempi più rapidi. Ciò è dimostrato dal fatto che sono proprio tali soggetti a opporsi alle limitazioni che restringono la possibilità di erodere quote di mercato a coloro che invece già godono di posizioni consolidate. I nuovi professionisti sono quelli che hanno meno da perdere dall’infrangere le regole consolidate. Essi, fintantoché non raggiungeranno un reddito adeguato, e all’inizio dell’attività ciò è ben difficile che accada, saranno inevitabilmente tentati di acquisire clientela a spesa degli altri.
Non stupisce pertanto che gli Ordini per mantenere i propri equilibri scoraggino qualunque strumento che determini una redistribuzione della domanda e, quindi, dei redditi fra i professionisti.

L’esercizio in forma societaria
33. Tra gli altri vincoli all’esercizio dell’attività, per lungo tempo vi è stato anche quello all’esercizio in comune della stessa, che era rappresentato dal divieto posto dalla legge 23 novembre del 1939 n. 1815. Esso, tra l’altro rendeva più difficile per i professionisti del nostro Paese fronteggiare la concorrenza internazionale indotta dalla progressiva eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi dei cittadini di uno stato membro nel territorio di un altro Stato membro, in attuazione degli articolo 52 e 59 del trattato di Roma.
Tale vincolo, tuttavia, è stato recentemente rimosso dall’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto 1997 che ha abrogato l’articolo 2 della legge 23 novembre del 1939 n. 1815, e ha delegato al Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, e per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, la fissazione, con proprio decreto, entro cento venti giorni, dei requisiti per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 1 della legge 23 novembre del 1939 n. 1815.
34. L’intervenuta abrogazione, e, in prospettiva, l’emanazione del regolamento attuativo, costituiscono la leva di cambiamento della forma di esercizio delle attività professionali, in quanto, se opportunamente interpretate, potranno consentire ai professionisti di scegliere tra le forme societarie attualmente disponibili quella che ritengono più congeniale all’erogazione dei propri servizi.
Al riguardo, è utile considerare che non appaiono esservi ragioni per precludere ad alcune categorie l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali, più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni, sulla base della considerazione che tali formule societarie mal si adatterebbero ai caratteri delle professioni intellettuali. Se è indubbio che le professioni intellettuali protette hanno delle specificità che devono essere salvaguardate, esse impongono semmai, di prevedere, attraverso l’emanazione di una disciplina organica della materia, alcune regole ad hoc che concilino la peculiarità delle professioni con le nuove esigenze che si affacciano sul mercato, in modo da consentire ai nostri professionisti di poter rispondere adeguatamente alle sfide che saranno chiamati ad affrontare nel contesto europeo.
In altri termini, sarebbe auspicabile che lo stimolo al cambiamento, rappresentato dalla abrogazione del divieto di esercizio in forma societaria delle attività professionali operato dall’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto 1997, e dalla emanazione del regolamento attuativo, venisse consolidato da una riforma sistematica della materia volta a raccordare le recenti innovazioni con la disciplina codicistica delle società.
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