Corte Costituzionale n. 71/2001

Corte
Costituzionale

sentenza
16 marzo 2001 numero 71/2001

nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
1, lettera pp), della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega
al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale
e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione
e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs.
30 dicembre 1992, n. 502), e dell’art. 15-nonies, comma
2, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
(Riordino della disciplina
in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23
ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 13 del decreto
legislativo 19 giugno 1999, n. 229, promosso con ordinanza emessa il
10 marzo 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania
sul ricorso proposto da Agresti Alessandro ed altri nei confronti
della Seconda Università degli Studi di Napoli ed altra,
iscritta al n. 700 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie
speciale, dell’anno 2000.

Visti
l’atto di costituzione di Amantea Luigi ed altri nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito
nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2001 il Giudice
relatore Annibale Marini;

uditi
l’avvocato Andrea Abbamonte per Amantea Luigi ed altri e
l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto
in fatto

1.-
Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con ordinanza
emessa il 10 marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
9, 36, 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera pp), della
legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la
razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l’adozione
di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del
Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 502), e 15-nonies, comma 2, del decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421), aggiunto dall’art. 13 del decreto legislativo 19 giugno
1999, n. 229.

La
questione è detta rilevante nel giudizio a quo in
quanto la domanda proposta dai ricorrenti nei confronti della Seconda
Università degli Studi di Napoli e  dell’Azienda
Universitaria Policlinico, di annullamento del decreto presidenziale
con il quale i medesimi ricorrenti, docenti universitari, sono stati
posti in quiescenza dalle funzioni assistenziali svolte presso i
rispettivi dipartimenti, in applicazione dell’art. 15-nonies,
comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, non potrebbe
trovare accoglimento – secondo il motivato convincimento del
tribunale rimettente – se non attraverso una declaratoria di
illegittimità costituzionale della suddetta norma.

La
non manifesta infondatezza della questione stessa è
argomentata con riferimento a parametri costituzionali non del tutto
coincidenti con quelli espressamente enunciati.

Premesso,
in via generale, che «l’inscindibilità delle
prestazioni afferenti all’assistenza da quelle di ricerca e di
didattica o, comunque, la indispensabilità di un livello
minimo di supporto “assistenziale” all’attività
didattica (e di ricerca) risponde ad un principio pacificamente
accolto dalla legislazione di settore» e rinvenibile anche
nella normativa comunitaria, il tribunale rimettente osserva, in
primo luogo, che la previsione di cessazione dall’attività
assistenziale ordinaria «anticipatamente al raggiungimento
dell’età pensionabile dei docenti non appare coerente con
il principio del buon andamento (art. 97 Cost.) sia dell’insegnamento
e della ricerca universitaria che del sistema sanitario».

Da
un lato, infatti, risulterebbe compromessa l’efficacia
dell’insegnamento e della ricerca svolte dal docente
universitario emarginato dalle funzioni assistenziali, dall’altro
il servizio sanitario sarebbe privato dell’apporto di soggetti
sicuramente qualificati.

Tanto
la norma delegata quanto la norma delegante di cui all’art. 2,
comma 1, lettera pp), della legge n. 419 del 1998, sarebbero
poi lesive del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.,
in quanto, «nell’intento di privilegiare l’omogeneità
dei trattamenti del personale del Servizio sanitario nazionale e di
quello universitario» avrebbero creato una ingiustificata
discriminazione tra docenti, introducendo marcate differenze di stato
giuridico in funzione dell’età, in danno dei docenti
“strutturati”, nell’ambito di una categoria
indubbiamente unitaria.

La
norma di delega, sotto altro aspetto, sarebbe altresì in
contrasto con l’art. 76 Cost., per la mancata predeterminazione
dei criteri idonei a definire le modalità ed i termini del
nuovo assetto funzionale dell’attività assistenziale.

Siffatto
difetto di predeterminazione dei principi sarebbe poi reso ancor più
palese – ad avviso sempre del rimettente – dal successivo
rinvio, da parte del legislatore delegato, ad atti di normazione
secondaria. La materia da disciplinare, riguardando l’individuazione
della parte di attività assistenziale da lasciarsi affidata,
ai fini didattici e di ricerca, ai docenti cessati dallo svolgimento
delle attività assistenziali, involgerebbe infatti i principi
fondamentali relativi all’istruzione, con riferimento sia
all’organizzazione scolastica, di cui le università sono
parte, sia al diritto di accedervi e di usufruire delle prestazioni
che essa è chiamata a fornire. La mancata indicazione in sede
legislativa delle linee fondamentali della disciplina si risolverebbe
quindi in una violazione della riserva di legge prevista dagli artt.
33 e 34 Cost.

Lo
strumento convenzionale prescelto, oltretutto, non sarebbe idoneo a
garantire l’uniformità della disciplina sull’intero
territorio nazionale ed anche in ciò il Tribunale rimettente
ravvisa una violazione sia della riserva di legge in materia
universitaria sia dell’art. 97 Cost.

Non
ritiene d’altra parte il rimettente di poter condividere la
tesi, esposta nel giudizio a quo dalla difesa erariale,
secondo la quale l’incisione sullo status del personale
docente sanitario sarebbe giustificata dalla preminente esigenza di
tutela della salute pubblica. Tale affermazione, a suo avviso, si
fonderebbe infatti su una visione riduttiva di tale tutela, che non
tiene conto di come questa presupponga medici in possesso di una
adeguata formazione teorica e pratica.

Un’ulteriore
lesione dell’art. 97 Cost. deriverebbe infine, sempre secondo il
rimettente, dalla previsione di immediata cessazione dall’attività
assistenziale, pur in difetto della previa regolamentazione del
residuo di attività assistenziale da svolgersi a fini di
didattica, affidata a futuri protocolli di intesa tra le regioni e le
università. La ultravigenza dei decreti ministeriali 31 luglio
1997, 24 settembre 1997 e 17 dicembre 1997, prevista dall’art.
1, comma 5, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517
(Disciplina dei rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed
università, a norma dell’articolo 6 della legge 30
novembre 1998, n. 419), non potrebbe infatti considerarsi alla
stregua di un idoneo regime transitorio, in quanto i suddetti decreti
ministeriali evidentemente non disciplinano – essendo
preesistenti alla norma censurata – le attività di cui si
tratta.

 

2.-
Si sono costituiti in giudizio Amantea Luigi, Docimo Rocco e
D’Alessandro Bruno, ricorrenti nel giudizio a quo,
concludendo per l’accoglimento della proposta questione di
legittimità costituzionale.

In
aggiunta alle argomentazioni svolte nell’ordinanza di
rimessione, le suddette parti private assumono, in primo luogo, che
la disposizione contenuta nella norma delegante produrrebbe una
illegittima compressione delle funzioni docenti di cui sono titolari,
in aperta violazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 36 Cost.,
nonché dell’autonomia universitaria, costituzionalmente
garantita ex art. 9 Cost.

La
norma delegata – ad avviso delle medesime parti private –
sarebbe inoltre in contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. per eccesso
o travisamento di delega. L’oggetto principale della delega di
cui all’art. 2, comma 1, lettera pp) della legge n. 419
del 1998 sarebbe, infatti, costituito dalla revisione dell’età
pensionabile del personale ospedaliero, mentre l’art. 15-nonies
del decreto legislativo n. 502 del 1992, aggiunto dall’art.
13 del decreto legislativo n. 229 del 1999, nulla ha innovato
riguardo all’età pensionabile del predetto personale
ospedaliero ed ha invece anticipato il termine di collocamento a
riposo del solo personale docente universitario, con la previsione
oltretutto di un regime transitorio penalizzante e sostanzialmente
avulso dal pregresso trattamento.

I
rapporti tra regione ed università per le prestazioni di
attività assistenziale avrebbero dovuto poi essere rielaborati
in primo luogo mediante esercizio della delega di cui all’art. 6
della legge n. 419 del 1998 ed in secondo luogo a mezzo del decreto
del Ministro della sanità, da adottarsi di concerto con il
Ministro dell’università e della ricerca scientifica e
tecnologica e con la Conferenza per i rapporti Stato-Regione,
previsto dall’art. 6 (recte: art. 6-bis, comma 1,
peraltro abrogato dall’art. 1 del decreto legislativo n. 517 del
1999) del decreto legislativo n. 502 del 1992.

Sottolineano
ancora le parti private che il legislatore, a partire dall’art.
102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n.
382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di
formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica),
ha sempre inteso farsi carico della peculiarità delle funzioni
”miste”, assistenziali e didattiche, che si svolgono presso
i policlinici universitari, fino ad enunciare sostanzialmente,
nell’art. 6 del decreto legislativo n. 502 del 1992, un
principio di funzionalizzazione dell’attività
assistenziale alla didattica e alla ricerca.

La
norma di cui all’art. 15-nonies del decreto legislativo
n. 502 del 1992 ignorerebbe siffatto principio, la cui invalicabilità
risulterebbe confermata dallo stesso tenore letterale della legge
delega, affidando a futuri protocolli d’intesa tra le regioni e
le università le modalità di utilizzo del personale
universitario cessato dallo svolgimento delle ordinarie attività
assistenziali.

La
circostanza che tali protocolli di intesa – ai sensi dell’art.
1 del sopravvenuto decreto legislativo n. 517 del 1999 – debbano
essere stipulati in conformità ad apposite linee guida
contenute in atti di indirizzo e coordinamento emanati dal Consiglio
dei ministri non varrebbe infine a garantire – secondo le parti
private – l’uniformità della disciplina sull’intero
territorio nazionale, in quanto i principi e criteri direttivi
indicati al comma 2 del medesimo art. 1 difetterebbero della
specificità ed incisività richieste dalla riserva di
legge da cui è coperta la materia dell’istruzione
universitaria.

 

3.-
E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.

L’Avvocatura
innanzitutto osserva che la norma delegante di cui all’art. 2,
comma 1, lettera pp), della legge n. 419 del 1998
espressamente prevede, tra i principi e criteri direttivi, quello
relativo alla definizione delle modalità e dei termini di
riduzione dell’età pensionabile per il personale della
dirigenza dell’area medica dipendente dal Servizio sanitario
nazionale nonché, per quanto riguarda il personale
universitario, della cessazione dell’attività
assistenziale, nel rispetto del proprio stato giuridico.

L’Avvocatura
esclude che siffatto principio, trasfuso nell’art. 15-nonies
aggiunto al decreto legislativo n. 502 del 1992, crei una
ingiustificata discriminazione nell’ambito della categoria dei
docenti universitari, stante la strumentalità dell’attività
assistenziale rispetto all’attività di didattica e
ricerca.

Fin
dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza
ospedaliera), il legislatore avrebbe infatti esteso al personale
sanitario universitario, chiamato a compiti di assistenza
ospedaliera, la disciplina relativa ai diritti e doveri del personale
sanitario degli enti ospedalieri, ivi compresa dunque quella relativa
all’età pensionabile ovvero alla cessazione delle
attività assistenziali.

La
diversità di trattamento rispetto agli altri docenti
universitari sarebbe pertanto giustificata dalla obiettiva diversità
delle situazioni a confronto, in relazione all’attribuzione o
meno di funzioni assistenziali.

Quanto
al parametro di cui all’art. 76 Cost., la parte pubblica rileva
la completezza dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge
delega ed osserva come, in tema di rapporti tra potestà
legislativa e potestà normativa del Governo, la Costituzione
non escluda l’eventualità che un’attività
normativa secondaria possa legittimamente integrare e svolgere in
concreto i contenuti sostanziali previsti dalla normazione primaria.

Sotto
un diverso aspetto l’Avvocatura osserva poi che la riduzione
dell’età pensionabile disposta dall’art. 15-nonies
del decreto legislativo n. 502 del 1992 si riferisce al solo
personale medico universitario di cui all’art. 102 del d.P.R. n.
382 del 1980, ovvero a quel personale medico universitario equiparato
al personale delle unità sanitarie locali. Se dunque la norma
impugnata introduce una differenziazione di disciplina nell’ambito
della categoria dei docenti universitari, ciò avviene al fine
di evitare una disparità di trattamento tra soggetti, quali i
docenti “strutturati” e i primari ospedalieri, che svolgono
le medesime funzioni assistenziali.

Considerato
in diritto

1.-
Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania dubita, con
riferimento agli artt. 3, 9, 36, 76 e 77 della Costituzione,
espressamente evocati, ed agli artt. 33, 34 e 97 della Costituzione,
chiaramente desumibili dalla motivazione dell’ordinanza, della
legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera
pp), della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo
per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per
l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e
funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs.
30 dicembre 1992, n. 502), e 15-nonies, comma 2, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 13 del
decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, nella parte in cui
prevedono, per il personale medico universitario di cui all’art.
102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n.
382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di
formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica),
la cessazione dallo svolgimento delle ordinarie attività
assistenziali nonché dalla direzione delle strutture
assistenziali, anticipatamente rispetto al raggiungimento dell’età
pensionabile. Le norme impugnate, ad avviso del rimettente, sarebbero
lesive della parità di trattamento tra i docenti universitari
e del principio di buon andamento dell’amministrazione sanitaria
e di quella scolastica, oltre a violare la riserva di legge in
materia universitaria. La norma di delega si porrebbe altresì
in contrasto con l’art. 76 Cost. per la mancata
predeterminazione dei criteri idonei a definire le modalità ed
i termini del nuovo assetto funzionale dell’attività
assistenziale.

Mentre
una ulteriore lesione dell’art. 97 Cost. deriverebbe, secondo il
rimettente, dalla previsione di immediata cessazione dell’attività
assistenziale pur in difetto della previa regolamentazione del
residuo di attività assistenziale a fini didattici, affidata a
futuri protocolli di intesa tra le regioni e le università.

2.-
La questione è fondata, nei limiti di seguito precisati.

2.1.-
Questa Corte ha ripetutamente osservato che l’attività di
assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica affidate dalla
legislazione vigente al personale medico universitario si pongono tra
loro in un rapporto che non è solo di stretta connessione, ma
di vera e propria compenetrazione (sentenze n. 136 del 1997, n. 126
del 1981, n. 103 del 1977). Ciò in considerazione della natura
necessariamente teorico-pratica dell’insegnamento medico, a
livello sia universitario sia post-universitario, ribadita anche
dalla più recente normativa comunitaria in tema di reciproco
riconoscimento dei diplomi medici, resa operante nel nostro
ordinamento con decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368
(Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera
circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro
diplomi, certificati ed altri titoli).

L’affermata
esistenza di un preciso nesso funzionale tra attività
assistenziale, da un lato, ed attività didattica e di ricerca,
dall’altro, non preclude certo al legislatore di modulare in
concreto, nell’esercizio della sua discrezionalità,
ampiezza e modalità di svolgimento della attività
assistenziale dei medici universitari, eventualmente anche in
funzione dell’età dei docenti. Ciò che non può
invece ritenersi consentito – pena la violazione del generale
criterio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che
del principio di buon andamento tutelato dall’art. 97 Cost. –
è la scissione tra l’uno e l’altro settore di
attività, con la conseguente creazione di figure di docenti
medici destinati ad un insegnamento privo del supporto della
necessaria attività assistenziale.

Lo
stesso legislatore delegato si è del resto mostrato
consapevole di siffatto limite, laddove ha previsto, nella seconda
parte dell’art. 15-nonies, comma 2, del d.P.R. n. 502 del
1992, che in sede di protocolli di intesa tra le regioni e le
università e di accordi attuativi dei medesimi, stipulati tra
le università e le aziende sanitarie, siano individuate le
«specifiche attività assistenziali strettamente
correlate all’attività didattica e di ricerca» che
devono rimanere affidate al predetto personale docente cessato
dall’attività assistenziale ordinaria per il
raggiungimento del limite di età indicato dalla norma stessa.

Previsione,
questa, che nel delegare alle intese tra università e regioni
la concreta individuazione dell’attività assistenziale
essenziale al proficuo svolgimento dell’attività
didattica e di ricerca non si pone affatto in contrasto –
diversamente da quanto il rimettente assume – con il principio
della riserva di legge in materia universitaria, non potendo tale
riserva essere intesa in senso tale da comprimere del tutto
l’autonomia universitaria, garantita dall’ultimo comma
dell’art. 33 Cost. (si veda, sul punto, la sentenza n. 383 del
1998), né tanto meno costituisce violazione dell’art. 76
Cost., essendo le valutazioni rimesse alle intese in questione di
carattere essenzialmente tecnico.

La
disposizione relativa alla cessazione della attività
assistenziale ordinaria al raggiungimento del previsto limite di età
e quella riguardante le modalità di individuazione delle
specifiche attività assistenziali da ritenersi strettamente
connesse all’attività didattica e di ricerca – e da
lasciarsi perciò affidate al personale docente pur dopo il
superamento di detto limite di età – sono tuttavia tra loro
prive di consequenzialità cronologica, nel senso che
l’operatività della prima delle due disposizioni non è
subordinata alla previa stipula dei protocolli d’intesa tra
università e regioni. Con la conseguenza che – come è
avvenuto nei casi sottoposti all’esame del giudice a quo
– il destinatario del provvedimento di cessazione dallo
svolgimento delle ordinarie attività assistenziali viene ad
essere irragionevolmente privato della possibilità di
svolgimento di qualsivoglia, pur minima, attività
assistenziale, con evidente ed ingiustificato pregiudizio per
l’efficacia delle funzioni didattiche e di ricerca che al
medesimo docente restano affidate.

E’,
dunque, necessario, onde evitare siffatte conseguenze, che si
pervenga alla stipula dei protocolli d’intesa prima che possa
essere disposta la cessazione dei docenti interessati dalle ordinarie
attività assistenziali.

3.-
Sotto tale profilo la norma di cui all’art. 15-nonies,
comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, per le ragioni più
sopra indicate, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.,
restando così assorbita ogni altra censura mossa dal
rimettente.

PER
QUESTI MOTIVI

LA
CORTE COSTITUZIONALE

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art.
15-nonies, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto
dall’art. 13 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229,
nella parte in cui dispone la cessazione del personale medico
universitario di cui all’art. 102 del decreto del Presidente
della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dallo svolgimento delle
ordinarie attività assistenziali, nonché dalla
direzione delle strutture assistenziali, al raggiungimento dei limiti
massimi di età ivi indicati, in assenza della stipula dei
protocolli d’intesa tra università e regioni previsti
dalla stessa norma ai fini della disciplina delle modalità e
dei limiti per l’utilizzazione del suddetto personale
universitario per specifiche attività assistenziali
strettamente connesse all’attività didattica e di
ricerca.

[Cesare
RUPERTO, Presidente]

[Annibale
MARINI, Redattore]

Redazione

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