Corte Costituzionale
Ordinanza 6 novembre 2001 n. 349
Nel caso eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori, corrispondenti a un posto vacante, non si può argomentare a contrario una preclusione all’adeguamento del trattamento economico secondo i principi ripetutamente enunciati da questa Corte in conformità agli artt. 36 della Costituzione e 2126 cod. civ. (ordinanza n. 347 del 1996; ordinanza n. 289 del 1996)
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La questione:
E’ stata dichiarata manifestamente infondata la questione sollevata dal rimettente, il quale aveva osservato che la giurisprudenza amministrativa, nel rimeditare l’indirizzo più favorevole al dipendente pubblico, avrebbe in definitiva optato per la tesi che esclude la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, con ciò dando luogo ad una lettura dell’art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 in contrasto con l’art. 36 della Costituzione.
La Corte ha affermato al contrario che il ricordato art. 33 si riferisce "alla situazione fisiologica degli uffici", cioè alla normale situazione nella quale sussiste coincidenza tra mansioni svolte dall’impiegato e la sua qualifica funzionale, "sicché nel caso eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori, corrispondenti a un posto vacante, non si può argomentare a contrario una preclusione all’adeguamento del trattamento economico secondo i principi ripetutamente enunciati da questa Corte in conformità agli artt. 36 della Costituzione e 2126 cod. civ." (così ordinanza n. 347 del 1996; ma anche, sia pure in occasione dell’esame di diversa fattispecie concernente il personale sanitario, ordinanza n. 289 del 1996);
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Il testo:
Corte Costituzionale
Ordinanza 6 novembre 2001 n. 349
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promossi con 3 ordinanze emesse il 28 giugno 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, rispettivamente iscritte ai nn. 133, 134 e 135 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2001 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto che, con tre distinte ordinanze (r.o. nn. 133, 134 e 135 del 2001), tutte emesse il 28 giugno 2000 e analogamente motivate in diritto, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento all’art. 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato);
che i giudizi a quibus sono stati promossi da dipendenti di ruolo del Comune di Galatina per ottenere, previo annullamento della negativa deliberazione della Giunta comunale, l’accertamento delle mansioni superiori svolte ininterrottamente in un periodo intercorrente tra il 1981 ed il 1998, nonché il riconoscimento dei conseguenti benefici economici;
che il rimettente, premesso che i ricorrenti nei giudizi principali hanno effettivamente espletato mansioni superiori a quelle proprie della qualifica di inquadramento, "sulla base di precise disposizioni del responsabile del servizio" e "per coprire una carenza di posti previsti in pianta organica", osserva che, di recente, la giurisprudenza amministrativa, nel rimeditare l’indirizzo più favorevole al dipendente pubblico, ha optato per la tesi che esclude la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego;
che, le ordinanze, sul presupposto che debba trovare applicazione nelle fattispecie oggetto di cognizione l’art. 33 del d.P.R. n. 3 del 1957, ritengono che i proposti ricorsi dovrebbero essere rigettati proprio alla luce del menzionato orientamento della giurisprudenza amministrativa;
che, tuttavia, il giudice a quo ritiene che "sussistano fortissimi dubbi in ordine alla compatibilità della disposizione con la previsione dell’art. 36 della Costituzione" e ciò in virtù dei principi affermati, più volte, dalla giurisprudenza costituzionale, "nel senso opposto" rispetto al predetto indirizzo giurisprudenziale;
che, dunque, secondo il rimettente, "il divieto di retribuire le mansioni superiori desumibile" dall’art. 33 del d.P.R. n. 3 del 1957 appare "in contrasto con l’esigenza, desumibile dall’art. 36 della Costituzione, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato", giacché la disposizione denunciata, "a differenza di altre previsioni normative (ad es. l’art. 29, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), viene ad integrare una deroga assoluta e temporalmente indeterminata" al suddetto principio costituzionale e costituisce, quindi, espressione "non di un ragionevole bilanciamento di interessi, quanto della volontà assoluta (… contraria alla previsione dell’art. 36 della Costituzione) di escludere la retribuibilità delle mansioni superiori";
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, anche con successive memorie, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato, preliminarmente, che le ordinanze denunciano tutte la stessa disposizione, prospettandone il contrasto con l’art. 36 della Costituzione in base ad identiche censure, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che, quanto al merito, va osservato che questa Corte è già stata investita dello scrutinio di costituzionalità dell’art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, sotto il profilo dell’asserita violazione dell’art. 36 della Costituzione e sulla scorta di doglianze aventi tenore analogo alle censure attualmente dedotte;
che, in quella occasione, nel dichiarare la manifesta infondatezza della sollevata questione, si è avuto modo di affermare che il ricordato art. 33 si riferisce "alla situazione fisiologica degli uffici", cioè alla normale situazione nella quale sussiste coincidenza tra mansioni svolte dall’impiegato e la sua qualifica funzionale, "sicché nel caso eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori, corrispondenti a un posto vacante, non si può argomentare a contrario una preclusione all’adeguamento del trattamento economico secondo i principi ripetutamente enunciati da questa Corte in conformità agli artt. 36 della Costituzione e 2126 cod. civ." (così ordinanza n. 347 del 1996; ma anche, sia pure in occasione dell’esame di diversa fattispecie concernente il personale sanitario, ordinanza n. 289 del 1996);
che, dovendosi ribadire il già espresso orientamento, le questioni vanno, pertanto, dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
La Corte
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), sollevate, in riferimento all’art. 36 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con le ordinanze in epigrafe.
(Fernando Santosuosso, Presidente; Massimo Vari, Redattore)
Depositata il 6 novembre 2001.