Corte Costituzionale
Ordinanza n. 394 del 11 dicembre 2001
(…)
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 5, commi da 1 a 12, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6 della l. 30 novembre 1998, n. 419), promossi con ordinanze emesse il 12 aprile 2000 (numero due ordinanze), il 29 marzo 2000, il 12 aprile 2000, il 29 marzo 2000 (numero due ordinanze), il 12 aprile 2000 (numero due ordinanze), il 21 giugno 2000 (numero quattro ordinanze), il 12 luglio 2000, il 5 luglio 2000, il 28 settembre 2000 (numero tre ordinanze), il 5 luglio 2000 (numero cinquantanove ordinanze), il 25 ottobre 2000 (numero due ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III, iscritte ai numeri da 453 a 458, 461, 462, da 661 a 664, 798, 799, da 803 a 805, da 815 a 818, da 829 a 834, da 841 a 850 del registro ordinanze 2000 ed ai numeri da 10 a 24, da 31 a 42, da 47 a 50, da 74 a 77, da 88 a 91, 149 e 150 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 36, 37, 46, 52, prima serie speciale, dell’anno 2000 e numeri 1, 3, 4, 5, 6, 7 e 10, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di Mauro Vittorio Nicita ed altri, dell’Azienda Policlinico Umberto I di Roma, di Lucio Giuliani ed altri, Luciano Conti ed altri, di Cesare Selli, Oreste Terranova, Ugo Menchini, Eugenio Brunocilla ed altri, Enzo Ballotta ed altri, Antonio Beltrame ed altro, Mario Bertolini ed altri, Emilio Piccione, Dario Sorrentino ed altro, Ettore Ambrosioni, Luigi Allegra ed altri, Valerio Sansone, Francesco Boccardo ed altri, Giovanni Bonomo ed altri, Enrico Di Salvo ed altro, Paolo Pagnini ed altri, Michelangelo Rizzo, Pietro Attilio Tonali ed altri, Amato Amati ed altri, Gianfranco Amicucci ed altri, Umberto Bianchi ed altro, Paolo Marchetti ed altri, Gian Vincenzo Di Muria ed altri, Ornella Barbieri ed altri, Giorgio Gagna ed altri, Antonio Ambrosini ed altri, Maurizio Procaccini ed altro, Nicola Picardi, Sergio Dalla Volta, Francesco Carta ed altri, Augusto Arullani, Paolo Pavone, Davide Fiore ed altri, Benedetto Busnardo ed altri, di Luciano Cerulli, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di Salvatore Dessole, Furio Pirozzi Farina ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, del Coordinamento italiano medici ospedalieri Associazione sindacale medici dirigenti (Cimo-Asmd) e delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2001 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi gli avvocati Antonio Saitta per Mauro Vittorio Nicita ed altri, Fabio Merusi e Piero d’Amelio per Lucio Giuliani ed altri, Luciano Conti ed altri, Mario Racco per Cesare Selli, Enzo Ballotta ed altri, Antonio Beltrame ed altro, Mario Bertolini ed altri, Emilio Piccione, Dario Sorrentino ed altro, Ettore Ambrosioni, Luigi Allegra ed altri, Valerio Sansone, Francesco Boccardo ed altri, Giovanni Bonomo ed altri, Enrico Di Salvo ed altro, Paolo Pagnini ed altri, Michelangelo Rizzo, Pietro Attilio Tonali ed altri, Amato Amati ed altri, Gianfranco Amicucci ed altri, Umberto Bianchi ed altro, Paolo Marchetti ed altri, Gian Vincenzo Di Muria ed altri, Ornella Barbieri ed altri, Giorgio Gagna ed altri, Antonio Ambrosini ed altri, Maurizio Procaccini ed altro, Nicola Picardi, Sergio Dalla Volta, Francesco Carta ed altri, Augusto Arullani, Paolo Pavone, Davide Fiore ed altri, Benedetto Busnardo ed altri, Sergio Panunzio e Mario Racco per Luciano Cerulli, Fabio Lorenzoni per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Mario Racco per Salvatore Dessole, Furio Pirozzi Farina ed altri, Rosaria Russo Valentini per la Regione Emilia-Romagna e per Cimo-Asmd, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l’Avvocato dello Stato Chiarina Aiello e l’Avvocato generale dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III, solleva, con settantotto ordinanze in data 29 marzo, 12 aprile, 21 giugno, 5 luglio, 12 luglio, 28 settembre e 25 ottobre 2000, questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6 della l. 30 novembre 1998, n. 419): art. 5, comma 8, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; art. 5, comma 7, in riferimento agli artt. 33 e 76 della Costituzione; art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, nonché art. 3 quest’ultimo nella parte in cui non prevede una partecipazione diretta degli organi universitari nelle scelte delle aziende ospedaliero-universitarie in materia di collegamento tra le attività di assistenza, didattica e ricerca in riferimento agli artt. 33 e 76 della Costituzione; art. 5, comma 12, in via derivata e in riferimento agli artt. 3, 33, 76 e 97 della Costituzione (quest’ultima norma è stata impugnata esclusivamente dalle ordinanze iscritte ai numeri 661, 662, 663, 664 e 803 del registro ordinanze dell’anno 2000);
che, con argomentazioni in larga misura coincidenti, le ordinanze impugnano anzitutto l’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999, che stabilisce un termine perentorio entro il quale i professori ed i ricercatori universitari (infra: medici universitari) esercitano o rinnovano l’opzione prevista dal comma 7 per l’esercizio di attività assistenziale intramuraria (c.d. attività assistenziale esclusiva), ovvero di attività libero professionale extramuraria, disponendo che, in mancanza di comunicazione, si intende effettuata l’opzione per l’attività assistenziale esclusiva;
che, secondo i giudici a quibus, la norma, fissando detto termine indipendentemente dalla individuazione delle strutture all’interno delle quali può essere svolta la attività assistenziale intramuraria, violerebbe gli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto la loro preventiva identificazione configurerebbe un presupposto dell’opzione, cosicché la disposizione inciderebbe negativamente sulla compenetrazione tra attività assistenziale ed attività didattico-scientifica, recando vulnus ai principi di coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento, nonché di buon andamento dell’amministrazione, sotto il profilo sia del difetto di proporzionalità dei mezzi scelti rispetto alle esigenze ed agli scopi da realizzare, sia della razionale organizzazione dei servizi;
che, inoltre, a loro avviso, l’art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517 del 1999 e le disposizioni ad esso sottese e connesse – ossia i commi da 1 a 6 e da 8 ad 11 – nonché l’art. 3, nella parte riguardante l’organizzazione interna delle aziende ospedaliero-universitarie, si porrebbero in contrasto con gli artt. 33 e 76 della Costituzione;
che, secondo i rimettenti, la configurazione dell’opzione per l’attività assistenziale esclusiva quale requisito per l’attribuzione degli incarichi di direzione dei programmi di cui al comma 4 della norma impugnata violerebbe il principio di compenetrazione tra attività sanitaria assistenziale ed attività didattica e di ricerca scientifica e, in contrasto con il principio dell’autonomia universitaria, assoggetterebbe l’attività assistenziale svolta dal medico universitario alle determinazioni organizzative del direttore generale dell’azienda ospedaliero-universitaria;
che, secondo tutte le ordinanze di rimessione, agli organi dell’università sarebbero stati attribuiti compiti marginali nel coordinamento degli interessi concernenti l’insegnamento e la ricerca scientifica, in quanto la relativa programmazione risulterebbe condizionata dalle scelte del direttore del dipartimento, il quale risponde della programmazione e della gestione delle risorse al direttore generale e dovrebbe privilegiare le esigenze dell’attività assistenziale rispetto a quelle dell’attività didattica e scientifica, cosicché non sarebbe assicurato lo svolgimento delle attività assistenziali funzionali alle esigenze della didattica e della ricerca, in contrasto con l’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 30 novembre 1998, n. 419;
che, ad avviso dei rimettenti, la normativa delegata in materia di opzione (ossia l’art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, nonché l’art. 3 del d.lgs. n. 517 del 1999 in parte qua), violerebbe gli artt. 33 e 76 della Costituzione sia in quanto il divieto di attribuire al medico universitario che non abbia scelto l’attività assistenziale esclusiva la direzione delle strutture e dei programmi finalizzati alla integrazione di queste attività non assicurerebbe la coerenza fra l’attività assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca (art. 6, comma 1, lettere b e c, della legge n. 419 del 1998), sia in quanto avrebbe modificato lo stato giuridico del personale universitario, in contrasto con i principi ed i criteri direttivi della legge-delega, non essendo riferibile ai medici universitari quello dell’art. 2, comma 1, lettera q), della legge n. 419 del 1998;
che, inoltre, l’art. 5, comma 12, del d.lgs. n. 517 del 1999, secondo i giudici a quibus i quali impugnano anche questa norma, disciplinerebbe l’opzione tra rapporto di lavoro a tempo pieno ed a tempo definito in modo difforme dalla regolamentazione offertane dall’ordinamento universitario e, poiché dalla scelta per uno di essi deriverebbe un diverso status del medico universitario, la norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 33, 76 e 97 della Costituzione, recando vulnus al principio dell’autonomia universitaria nel perseguimento dei fini istituzionali, didattici e scientifici, realizzando una intrinseca contraddittorietà della disciplina concernente i medici universitari, modificando altresì il loro stato giuridico, in mancanza di ogni previsione in tal senso nella legge-delega;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi con separati atti di contenuto sostanzialmente coincidente, depositando inoltre memorie in prossimità dell’udienza pubblica e chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;
che, ad avviso della difesa erariale, il d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254, ha inciso sulle censure riferite all’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999, in quanto ha attribuito ai medici universitari la facoltà di esercitare l’attività libero-professionale intramuraria in regime ambulatoriale presso i propri studi, nei casi di carenza di strutture e di spazi idonei all’interno delle aziende ospedaliero-universitarie;
che, secondo l’interveniente, detta norma, fissando un termine perentorio per l’esercizio dell’opzione in esame, non sarebbe legata da alcun nesso con il comma 7, in virtù del quale i medici universitari, al momento in cui effettuano la scelta, sono peraltro consapevoli degli effetti che ne derivano, apparendo altresì ragionevole che l’individuazione delle strutture destinate all’attività assistenziale esclusiva segua all’esercizio delle opzioni, in quanto esse vanno approntate tenendo conto sia del numero delle opzioni esercitate per l’attività intramoenia, sia della tipologia della specializzazione dei medici universitari;
che, ad avviso dell’Avvocatura, le censure riferite all’art. 5, comma 7, cit., ed alle disposizioni ad esso sottese, sarebbero infondate, in quanto gli incarichi di direzione dei programmi del comma 4 sono stati ragionevolmente riservati ai medici universitari i quali, scegliendo il rapporto esclusivo, assicurano piena disponibilità per la loro realizzazione;
che, secondo la difesa erariale, le norme censurate non violerebbero il principio di compenetrazione tra attività assistenziale ed attività didattica e di ricerca in riferimento ai medici universitari che scelgono il rapporto non esclusivo, sia perché essi continuano a svolgere l’attività di ricerca e didattica strumentale rispetto a quella assistenziale, sia perché, applicando correttamente i principi della legge-delega, sarebbe stata realizzata una convergenza delle strutture sanitarie ed universitarie, attribuendo priorità all’assistenza sanitaria, ossia alla salute del singolo e della collettività, e ragionevolmente sarebbe stato stabilito che essi rispondano delle attività assistenziali al direttore generale dell’azienda ospedaliero-universitaria, restando ferma la previsione del rettore quale referente per l’attività didattica e di ricerca, cosicché, sotto tale profilo, le censure sarebbero inammissibili, in quanto i rimettenti contrappongono al modello di rapporto tra università e Servizio sanitario nazionale (di seguito: Ssn) un modello differente, che involge una scelta riservata alla discrezionalità del legislatore;
che, a suo avviso, sarebbero infondate le censure riferite all’art. 76 della Costituzione, poiché la legge-delega ha inteso rafforzare la collaborazione tra università e Ssn mediante modelli di gestione aziendalistici, realizzando la coerenza fra l’attività assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca anche grazie all’organizzazione dipartimentale e alle opportune disposizioni in materia di personale, stabilendo principi correttamente attuati dal d.lgs. n. 517 del 1999, allo scopo di garantire la tutela della salute pubblica;
che nei giudizi instaurati con le ordinanze di rimessione iscritte al n. 453, dal n. 455 al n. 458, ai numeri 798 e 799, dal n. 803 al n. 805, dal n. 841 al n. 846, dal n. 848 al n. 850 del registro ordinanze dell’anno 2000, nonché dal n. 10 al n. 12, ai numeri 15, 17, 19, 21, 23 e 24, dal n. 31 al n. 36, dal n. 38 al n. 40, ai numeri 75, 149 e 150 del registro ordinanze dell’anno 2001 si sono costituiti tutti o alcuni dei ricorrenti i quali, con argomentazioni in larga misura coincidenti, ribadite nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, hanno fatto proprie le ragioni svolte dal Tar, chiedendo l’accoglimento delle questioni;
che, in particolare, alcuni di essi hanno eccepito l’illegittimità delle norme impugnate in riferimento anche all’art. 9 della Costituzione, censurando altresì l’art. 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; altri hanno sostenuto che le norme in esame violerebbero il principio di autonomia universitaria, poiché avrebbero realizzato un assetto nel quale il rapporto tra università e Ssn sarebbe stato disciplinato con eccessivo squilibrio in favore dell’attività assistenziale; altri hanno contestato che la distinzione del rapporto di lavoro in esclusivo e non esclusivo possa riguardare i medici universitari, sostenendo che per essi non potrebbe essere prevista una attività assistenziale esclusiva, sia in quanto quest’ultima sarebbe integrata con quella didattica e di ricerca, sia in quanto non sarebbero configurabili due distinti rapporti di lavoro, con l’università e con l’azienda ospedaliero-universitaria;
che nel giudizio instaurato con l’ordinanza iscritta nel registro ordinanze al n. 454 dell’anno 2000 si è costituita l’Azienda policlinico universitario Umberto I di Roma, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate;
che in cinque giudizi, promossi con i provvedimenti di rimessione iscritti ai nn. dal 661 al 664 del registro ordinanze dell’anno 2000 ed al n. 15 del registro ordinanze dell’anno 2001, si è costituita l’Università cattolica del Sacro cuore, svolgendo profili di illegittimità diversi da quelli sollevati dal giudice remittente, riferiti anche ad ulteriori norme del d.lgs. n. 517 del 1999 – in particolare a quelle che prevedono la costituzione delle aziende ospedaliero-universitarie secondo un modello appiattito sulle esigenze sanitarie, onerando le università di fornire alle nuove aziende personale docente e non docente, nonché beni mobili ed immobili, senza che sia previsto alcun indennizzo chiedendo che la Corte dichiari l’illegittimità delle norme impugnate e sollevi innanzi a sé questione di legittimità costituzionale di quelle ulteriori da essa indicate;
che la Regione Emilia-Romagna e la Regione Toscana hanno rispettivamente depositato atti di intervento in due ed in uno dei giudizi instaurati innanzi a questa Corte (iscritti ai numeri 803, 844 e 832 del registro ordinanze dell’anno 2000), sostenendo anzitutto di essere legittimate all’intervento e, nel merito, chiedendo – anche nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica – che la Corte dichiari infondate le questioni;
che, in particolare, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, il d.lgs. n. 254 del 2000 e le linee guida in materia di protocolli di intesa tra regioni ed università stabilite con d.P.C.m. 24 maggio 2001 influirebbero sulle argomentazioni svolte dal Tar e, secondo entrambe le intervenienti, le censure sarebbero comunque infondate, in quanto le norme impugnate garantirebbero la cooperazione delle facoltà di medicina e chirurgia alla realizzazione dei fini del Ssn, in virtù di un modello organizzativo positivamente valutato da questa Corte con la sentenza n. 71 del 2001;
che, nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 842 del registro ordinanze dell’anno 2000, ha depositato atto di intervento il Coordinamento italiano medici ospedalieri Associazione sindacale medici dirigenti (Cimo-Asmd), il quale ha altresì depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica, deducendo di essere legittimato ad intervenire e chiedendo che la Corte dichiari infondate le questioni;
che all’udienza pubblica le parti private e gli intervenienti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato che l’identità della massima parte delle norme impugnate, delle censure proposte e dei parametri costituzionali invocati, nonché la sostanziale coincidenza delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione rendono opportuna la riunione dei giudizi;
che, in linea preliminare, vanno dichiarate inammissibili per tardività le costituzioni dei ricorrenti nei giudizi promossi con i provvedimenti di rimessione iscritti ai numeri 798, 799, 803, 804 ed 805 del registro ordinanze dell’anno 2000, in quanto effettuate oltre il termine perentorio stabilito dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, computato secondo quanto previsto dall’art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (ex plurimis, ordinanza n. 210 del 2001);
che, ancora in linea preliminare, sciogliendo la riserva formulata all’udienza pubblica del 9 ottobre 2001, in conformità al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, della generale corrispondenza tra le parti del giudizio incidentale di costituzionalità con quelle del giudizio principale, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento del Cimo-Asmd, poiché non è parte in causa nel processo a quo ed è portatore di un interesse riflesso ed eventuale rispetto al thema decidendum (per tutte, sentenza n. 333 del 2001; ordinanza n. 517 del 2000);
che va, invece, dichiarata l’ammissibilità degli interventi delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana, poiché sussiste un interesse specifico, giuridicamente rilevante, di entrambe all’esito del giudizio di costituzionalità, dato che esso ha ad oggetto anche norme che riguardano profili dell’organizzazione del servizio sanitario attribuiti alla loro competenza, cosicché un’eventuale pronunzia di accoglimento appare suscettibile di incidere direttamente su un profilo della situazione giuridica soggettiva di entrambe (cfr. sentenze n. 314 del 1992, n. 20 del 1982);
che, nel merito, successivamente alla pronunzia delle ordinanze di rimessione eccettuate quelle n. 803, n. 804 e n. 805 del registro ordinanze 2000 e quelle n. 149 e n. 150 del registro ordinanze 2001 – l’art. 3 del d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254, ha modificato l’art. 15-quinquies, comma 10, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 al quale rinvia l’art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517 del 1999 consentendo, nel testo così vigente, in caso di carenza di strutture e spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento delle attività libero-professionali in regime ambulatoriale, limitatamente alle medesime attività e fino al 31 luglio 2003, l’utilizzazione del proprio studio professionale con le modalità previste dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 marzo 2000 e disponendo altresì che resta fermo per l’attività libero professionale in regime di ricovero, quanto disposto dall’articolo 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448;
che in data posteriore a tutte le ordinanze di rimessione è sopravvenuto l’atto di indirizzo e coordinamento approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 maggio 2001 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 9 agosto 2001), recante le linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra regioni e università per lo svolgimento delle attività assistenziali delle università nel quadro della programmazione sanitaria nazionale e regionale, il quale, tra l’altro, stabilisce le direttive riguardanti le modalità della collaborazione tra detti enti, allo scopo di assicurare l’integrazione delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca, fissando inoltre i criteri per l’organizzazione interna delle aziende ospedaliero-universitarie;
che, inoltre, l’art. 71, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ha disposto che cessano di produrre effetti, tra gli altri, l’art. 35 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, il quale reca una norma che stabilisce che il rapporto di lavoro del personale medico può essere a tempo pieno o a tempo definito; norma applicabile anche ai professori universitari che svolgono attività assistenziale, in forza dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 102, ottavo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382;
che, infine, questa Corte, con la sentenza n. 71 del 2001, ha dichiarato, per l’assenza dei previsti protocolli d’intesa tra università e regioni relativi alle attività assistenziali da affidare ai medici universitari cessati dal servizio, l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 15-nonies, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, disposizione alla quale espressamente rinviano il comma 3, nonché il comma 11 dell’art. 5 del d.lgs. n. 517 del 1999, entrambi oggetto di impugnazione da parte dei giudici a quibus;
che, in definitiva, gli atti legislativi e regolamentari sopra indicati, nonché la citata sentenza n. 71 del 2001 di questa Corte influiscono sul complessivo quadro normativo di riferimento nel quale si inscrivono i diversi profili delle questioni di legittimità costituzionale sollevate e, conseguentemente, impongono un nuovo esame da parte dei giudici a quibus dei termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza.
P.Q.M.
La Corte Costituzionale
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.
(…)
(Ruperto, Presidente; Capotosti, Redattore)