Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria
Sentenza numero 1 del 2002
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A) In sintesi
All’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato era stata sottoposta la seguente questione:
"se la cognizione del giudice amministrativo adito con il "ricorso avverso il silenzio" sia limitata all’accertamento della illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, come si sostiene nell’appello, ovvero si estenda all’esame della fondatezza della pretesa sostanziale del privato, come ha ritenuto il T.A.R.".
Il Collegio ha condiviso la prima tesi, tenuto anche conto che "l’art. 21 bis identifica l’oggetto del ricorso nel ‘silenzio’ (comma 1), senza fare alcun riferimento alla pretesa sostanziale del ricorrente".
Ha poi aggiunto che "l’intento del legislatore … di indurre l’amministrazione ad esprimersi sollecitamente sull’istanza del privato trova conferma nella relazione al disegno di legge n.2934 (Senato), nella quale si legge, a commento della norma sul ricorso "avverso il silenzio", redatta già in origine in modo sostanzialmente conforme al disposto dell’art.2 della legge n.205/2000, che la trasformazione del ricorso "in un procedimento d’urgenza" è rivolta ad evitare che "la dichiarazione dell’obbligo di provvedere (che di per sé non soddisfa l’interesse sostanziale al ricorso) sopraggiunga dopo i lunghi tempi del processo ordinario".
E peraltro, "ciò ha trovato coerente attuazione nella previsione di un modello processuale caratterizzato dalla brevità dei termini e dalla snellezza delle formalità, la cui configurazione è congrua se il giudizio si incentra sul "silenzio", non anche se il giudice dovesse estendere la propria cognizione ad altri profili".
Senza considerare, da ultimo "l’irrazionalità che si verificherebbe se, nel caso di inerzia dell’amministrazione, il privato potesse ottenere, mediante il ricorso avverso il silenzio, l’accertamento immediato, da parte del giudice, della fondatezza della sua pretesa sostanziale, mentre, nella medesima situazione, se l’amministrazione avesse adottato un provvedimento esplicito di diniego, la tutela giurisdizionale sarebbe stata soggetta alle forme ed ai limiti, oltre che ai tempi, del giudizio ordinario".
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B) Il testo
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria
Sentenza numero 1 del 2002
sul ricorso in appello nr. 6 del 2001, proposto dal Ministero della sanità e dal Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, in persona dei rispettivi ministri in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n.12
CONTRO
I sigg.ri Albertazzi Piero, Aliberti Stefano, Arcangeli Roberto, Giuliano Antonella, Mamuccheri Marco, Azzone Giuseppe, Barresi Giuseppe, Cavellini Paolo, Mercuri Dario, Loto Enzo Giuseppe, Vertuzzi Corrado, Povoleri Paolo, Palermo Giuseppe, Bellomo Nicola, Malaguti Giampaolo, Falconi Stefano, Vitale Ugo, Canino Giovanni, Lossi Luciano, Zicarelli Giovanni Aurelio, Fiori Enrico, Braghieri Simona, Bonvini Stefano, Carboni Alessandra, Carboni Elisabetta, Cardogna Emilio, Pompili Lucilla, Sinno Enrico, Discepoli Gabriella, Bechelli Monica, San Alessandro, Bianchi Bruno, De Amicis Adriano, Del Prete Marco, Degani Andrea, Ferri Claudio, Guiducci Mauro, Iacobellis Silvio, Iorio Bruno, Lisotti Carlo, Manzi Alfonso, Palmerini Antonella, Palmieri Stefano, Paparelli Maria Gloria, Parisi Roberto, Parrota Rosario, Pavarani Roberta, Pelagatti Alberto, Pieruccini Rita, Romeo Francesco, Snabl Martin, Stadio Luigi, Maggi Lisiena, Venturi Sandra, Vinci Salvatore, Inzinga Antonino, Baiano Raffaele, Magistrato Sofia, Bertolino Germano, Palaoro Arno, Senafarre Aldo, Simonelli Enzo, Di Donfrancesco Claudio, Benvenuto Alessio, Sanna Mario, Filesi Valerio, Rizzo Pierpaolo, D’angelo Paolo, Mercugliano Mariano, Tamburrino Giovanni,
Timiani Alberto, Rampin Alessandro, Buffoni Massimo, Montanari Roberto, Bressan Roberto, Bongiovanni Luca, Marzo Antonella, Mastinu Maria, Pizzamiglio Giovanni, Zarantonello Nadir, Catalano Enrico, Dell’albani Daniele, Bosso Elena, Ciccarello Giorgio, Dagna Mariolina, Cervellin Lorena, Bonelli Laura, Pastore Paolo, Siamak Khamnei, Ogioni Paola, Dal Molin Elio, Duglio Luigi, Filippini Daniela, Barberis Maurilio, Bruno Nicolo’ Antonio, Bonaudo Diego, Gallo Daniele, Vasconi Daniele, Zanini Sergio, Cristofanini Roberto, Balestra Flavio, Pecorari Enrico, Valentini Alessandro, Benedetto Vittoria, Nassini Roberto, Smorgon Paolo, Des Ambrois Alessandro Bermond, Damiano Francesco, Della Donna Alessandro, Gatti Roberto, Ceretto Nicoletta, Borasi Giulia, Rivabella Paolo, Pozzi Massimo, Maffi Paolo, Taheri Sasan, Khamneh Siavoosh, Zollet Emilio, Madaro Adolfo, Bussolo Riccardo, Bonato Roberto, Rapali Paolo, Carola Ennio, Cagioli Aldo, Pepperosa Franco, Ricciuti Mauro, Gianmatteo Alberto, Marotta Claudio e Ricciotti Gabriella, non costituiti;
E NEI CONFRONTI
della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, non costituita,
PER LA RIFORMA
della sentenza del T.A.R. del Lazio, sez. I/bis, 30 novembre 2000, n. 10704.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Vista l’ordinanza di rimessione della VI Sezione n. 3803/01 del 10 luglio 2001; Viste le memorie prodotte; Visti gli atti tutti della causa; Alla Camera di Consiglio del 29 ottobre 2001, relatore il consigliere Marcello Borioni, udito l’avv. dello Stato Giacomo Aiello per le Amministrazioni appellanti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il T.A.R. del Lazio, sez. I/bis, con sentenza 30 novembre 2000, n. 10704, accogliendo il ricorso proposto dagli attuali appellati, ai sensi dell’art.21 bis della legge 6 dicembre 1971, n.1034, introdotto dall’art.2 della legge 21 luglio 2000, n.205, ha affermato "l’obbligo delle amministrazioni intimate, ciascuna per quanto di competenza" di determinare, entro trenta giorni il giorno e la sede di svolgimento della prova attitudinale per l’esercizio della professione di odontoiatra prevista dal D. Lgs. 13 ottobre 1998, n.386.
La sentenza è stata impugnata dal Ministero della salute, già Ministero della sanità, e dal Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, per i seguenti motivi:
– Errata applicazione della domanda proposta in primo grado e conseguente errata applicazione del rito speciale introdotto dall’art.2 della legge n.205/2000.
– Violazione del principio del contraddittorio. All’istanza degli originari ricorrenti era stata data risposta dal Ministero della sanità con nota del 4 agosto 2000, inoltre sia i ricorrenti sia il T.A.R. hanno esteso il giudizio all’accertamento della fondatezza della pretesa, così esorbitando dai limiti di cui al citato art.21 bis;
– Non è possibile fissare la data e il luogo della prova attitudinale nei termini, peraltro ordinatori, stabiliti dall’art.1 del D. Lgs. n. 368/1998, in quanto, con risoluzione n.7/00962 approvata il 29 settembre 2000 dalla Camera dei deputati, il Governo si è impegnato a sospendere la prova e a riformulare la normativa, previe trattative con la Commissione europea.
Con ordinanza 10 luglio 2001, n. 3803, la Sezione sesta ha rilevato che l’appello è stato proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza, di cui al predetto art.21 bis; ha escluso che con la citata nota in data 4 agosto 2000 il Ministero della sanità si sia pronunziato sulla istanza degli originari ricorrenti; ha rimesso l’esame dell’appello all’Adunanza plenaria considerando che la questione attinente alla natura ed ai limiti del rito speciale di cui al citato art.21 sia rilevante e possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali.
Le amministrazioni appellanti hanno ulteriormente illustrato con memoria le tesi esposte nell’atto di appello. Alla camera di consiglio del 29 ottobre 2001, il ricorso in appello veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Con la sentenza impugnata il T.A.R., accogliendo il ricorso proposto ai sensi dell’art.21 bis della legge 6 dicembre 1971, n.1034, introdotto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n.205, ha ritenuto fondata la pretesa degli attuali appellati volta ad ottenere la fissazione del giorno e della sede di svolgimento della prova attitudinale per l’esercizio della professione di odontoiatra prevista dal D. Lgs. 13 ottobre 1998, n.386.
Va, anzitutto, disattesa l’eccezione con la quale si contesta la ricevibilità dell’appello, perché notificato dopo la scadenza del termine ridotto previsto dal citato art.21 bis, comma 1.
Come risulterà da quanto esposto di seguito, la controversia esula dall’ambito di previsione della norma predetta, sicché con ragione le amministrazioni appellanti obiettano che l’impugnazione resta soggetta al termine ordinario. In ogni caso, la questione presenta profili di novità e di incertezza tali da legittimare il riconoscimento dell’errore scusabile, tant’è che la stessa Sezione remittente ne ha sottoposto l’esame all’Adunanza Plenaria.
L’Adunanza Plenaria è chiamata a pronunciarsi sulla seguente questione:
se la cognizione del giudice amministrativo adito con il "ricorso avverso il silenzio" sia limitata all’accertamento della illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, come si sostiene nell’appello, ovvero si estenda all’esame della fondatezza della pretesa sostanziale del privato, come ha ritenuto il T.A.R..
Il Collegio condivide la prima tesi.
Un primo elemento significativo in tal senso si trae dalla considerazione che l’art. 21 bis identifica l’oggetto del ricorso nel "silenzio" (comma 1), senza fare alcun riferimento alla pretesa sostanziale del ricorrente.
Poiché, in linea di principio, i poteri cognitori del giudice sono delimitati dal ricorso (art.112 c.p.c.: "il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa"), se ne deve dedurre che il legislatore ha inteso circoscrivere il giudizio alla inattività dell’amministrazione.
La stessa norma prevede che, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice "ordina all’amministrazione di provvedere" e se " l’amministrazione resti inadempiente … su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa" (comma 2).
L’espressione "resti inadempiente" lascia intendere che l’inadempimento dell’amministrazione non ha contenuto diverso prima della sentenza, quando è condizione per l’accoglimento del "ricorso avverso il silenzio", e dopo la sentenza, quando è condizione perché provveda il commissario.
Inoltre, la terminologia usata dal legislatore ("ordina … di provvedere"; "un commissario che provveda") definisce nell’accezione comune in dottrina e in giurisprudenza, l’esercizio di una potestà amministrativa, sicché sarebbe inappropriata se il giudice dovesse spingersi a stabilire il concreto contenuto del provvedimento, poiché in tal caso all’amministrazione e al commissario non residuerebbero altri spazi se non per un’attività avente contenuto e funzione di mera esecuzione.
La stessa terminologia è ripetuta in seguito, quando l’attività del commissario è configurata come diretta "all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostituiva" (comma 3) e quando è imposto al commissario di accertare se l’amministrazione abbia provveduto".
Anche l’indeterminatezza circa il contenuto (positivo o negativo) dell’eventuale provvedimento tardivo dell’amministrazione, avvalora la tesi che l’organo competente in via ordinaria conservi, pur dopo la sentenza e fino all’insediamento del commissario, il potere di provvedere in senso pieno.
Le argomentazioni che precedono non sono infirmate, diversamente da quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione, dai riferimenti fatti nello stesso art.23 bis ad una possibile istruttoria disposta dal collegio e ad un possibile accoglimento parziale del ricorso, trattandosi di eventi ipotizzabili anche se il giudizio ha per oggetto il solo accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
Che l’intento del legislatore fosse solo quello di indurre l’amministrazione ad esprimersi sollecitamente sull’istanza del privato trova conferma nella relazione al disegno di legge n.2934 (Senato), nella quale si legge, a commento della norma sul ricorso "avverso il silenzio", redatta già in origine in modo sostanzialmente conforme al disposto dell’art.2 della legge n.205/2000, che la trasformazione del ricorso "in un procedimento d’urgenza" è rivolta ad evitare che "la dichiarazione dell’obbligo di provvedere (che di per sé non soddisfa l’interesse sostanziale al ricorso) sopraggiunga dopo i lunghi tempi del processo ordinario".
Ciò ha trovato coerente attuazione nella previsione di un modello processuale caratterizzato dalla brevità dei termini e dalla snellezza delle formalità, la cui configurazione è congrua se il giudizio si incentra sul "silenzio", non anche se il giudice dovesse estendere la propria cognizione ad altri profili.
Sussistono, dunque, concordi elementi ermeneutici dai quali emerge che il rito speciale è stato introdotto per pervenire, con la speditezza consentita dal rispetto delle garanzie processuali, ad imporre all’amministrazione "inadempiente" l’esercizio della potestà amministrativa di cui è titolare.
A questo risultato si giunge in due fasi, semplificate e contenute nell’arco del medesimo processo, in linea con la logica ispiratrice comune agli interventi di riforma operati dalla legge n.205 del 2000:
nella prima il giudice accerta l’esistenza e la violazione dell’obbligo di provvedere;
nella seconda, il commissario, nominato dallo stesso giudice su semplice richiesta della parte", adotta il provvedimento in sostituzione dell’organo amministrativo rimasto eventualmente inadempiente.
Sul piano sostanziale, il giudizio sul "silenzio" così definito si collega al "dovere" delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento "mediante l’adozione di un provvedimento espresso" nei casi in cui esso "consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio", come prescrive l’art.2, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n.241.
Sul piano sistematico la scelta operata dal legislatore si allinea al principio generale che assegna la cura dell’interesse pubblico all’amministrazione e al giudice amministrativo, nelle aree in cui l’amministrazione è titolare di potestà pubbliche, il solo controllo sulla legittimità dell’esercizio della potestà.
Questo schema viene superato mediante l’attribuzione al giudice del potere di "riformare l’atto o sostituirlo" in via diretta e immediata, in sede di accoglimento del ricorso (art.26, comma II, della legge 6 dicembre 1971, n.1034). Tuttavia, proprio perché derogativi del principio predetto, i casi di ingerenza del giudice nella sfera dell’attività pubblicistica dell’amministrazione sono previsti da esplicite norme autorizzative (art.6, comma II, e art. 7, commi I e IV, della legge n.1034/1071).
In linea astratta nulla impedisce di individuare altri casi in via interpretativa, sebbene con il rigore imposto dalla eccezionalità dell’istituto, ma l’analisi dell’art.21 bis della legge n.1034/1971 anziché fornire elementi persuasivi in tal senso, accredita, come risulta da quanto esposto in precdenza, la conclusione opposta.
Le stesse considerazioni e la stessa conclusione valgono anche quando il provvedimento richiesto dal privato abbia, come nella specie, natura vincolata.
In primo luogo, il citato art. 21 bis non contiene alcun elemento che autorizzi di attribuire al sindacato del giudice amministrativo una estensione diversa in relazione alle peculiarità sostanziali della potestà non esercitata.
L’articolazione precettiva, al contrario, definisce una disciplina unica e indifferenziata, valida in tutti i casi in cui l’amministrazione si sottragga al dovere di adottare un atto autoritativo esplicito.
Sotto questo profilo sono irrilevanti i presupposti di fatto del provvedimento; è determinante che il "silenzio" riguardi l’esercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del privato si configuri come un interesse legittimo.
Ed è logico e coerente che all’identità formale di situazione soggettiva dell’amministrazione e del privato corrisponda una identità di tutela giurisdizionale.
Senza considerare l’irrazionalità che si verificherebbe se, nel caso di inerzia dell’amministrazione, il privato potesse ottenere, mediante il ricorso avverso il silenzio, l’accertamento immediato, da parte del giudice, della fondatezza della sua pretesa sostanziale, mentre, nella medesima situazione, se l’amministrazione avesse adottato un provvedimento esplicito di diniego, la tutela giurisdizionale sarebbe stata soggetta alle forme ed ai limiti, oltre che ai tempi, del giudizio ordinario.
L’ordinanza di rimessione manifesta la preoccupazione che il nuovo rito possa ridimensionare l’incisività della tutela riconosciuta al privato dal precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale il giudice può esprimersi sulla
fondatezza della istanza presentata dal ricorrente all’amministrazione quando il provvedimento sia espressione di potestà amministrativa priva di contenuto discrezionale (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n.3526) o a basso contenuto di discrezionalità (da ultimo, Cons. Stato, sez.V, 12 ottobre 1999, n.1446).
Sarebbe sufficiente osservare che l’indicato indirizzo della giurisprudenza, della quale possono comprendersi le ragioni e condividersi le finalità, non può che cedere di fronte alla normativa sopravvenuta che definisce in modo compiuto la tutela giurisdizionale accordata al privato nei confronti del comportamento omissivo dell’amministrazione.
Va, però, osservato che la valutazione del rito speciale sotto il profilo della capacità di offrire una più efficace tutela al privato in attesa di provvedimento va effettuata con riferimento all’obiettivo sollecitatorio postosi dal legislatore e considerando il risultato conseguibile al compimento delle due fasi, e cioè tenendo conto sia dell’abbreviazione dei termini sia della possibilità di ottenere la nomina del commissario ad acta, nel corso dello stesso giudizio, senza necessità di promuovere un giudizio di ottemperanza.
Visto in questa prospettiva, il nuovo modello processuale assicura pur sempre al privato un significativo vantaggio anche rispetto all’indirizzo giurisprudenziale anzidetto.
Quanto alla distinzione fra casi di agevole o meno agevole conoscibilità della fondatezza della pretesa sostanziale, ovvero di maggiore o minore ampiezza della discrezionalità dell’amministrazione, deve osservarsi che non è ammissibile far discendere l’estensione dei poteri cognitivi e dispositivi del giudice dal grado di complessità dalla controversia.
Si tratta di un criterio empirico che poteva semmai trovare spazio nella soluzione elaborata dalla giurisprudenza, ma non più
dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina, nel cui contesto, come già osservato, nulla autorizza ad effettuare simili distinzioni.
Dalle considerazioni svolte emerge, in via riepilogativa, che:
il giudizio disciplinato dall’art. 21 bis è diretto ad accertare se il "silenzio" violi l’obbligo dell’amministrazione di adottare un provvedimento esplicito sull’istanza del privato;
il giudice non si sostituisce all’amministrazione in nessuna fase del giudizio, ma accerta se il "silenzio" sia o non sia illegittimo e, nel caso di accoglimento del ricorso, impone all’amministrazione di provvedere sull’istanza entro il termine assegnato;
il commissario ad acta esercita, in via sostitutiva, la potestà amministrativa appartenente all’organo rimasto inadempiente.
Tutto ciò premesso, con ragione le amministrazioni appellanti contestano la sentenza impugnata nella parte in cui impone ad esse di provvedere in senso positivo sulla istanza dei ricorrenti originari fissando data e luogo della prova attitudinale.
E per questa parte l’appello va accolto.
La sentenza merita, invece, conferma nella parte in cui afferma che il comportamento omissivo "è senz’altro in contrasto con il dovere dell’amministrazione di concludere il procedimento con sollecitudine".
Dall’art.1 del D. Lgs. n.368/1998 risulta che la fissazione della prova attitudinale consegue ad un procedimento che deve essere iniziato d’ufficio a cura del Ministro della salute; risulta, altresì, che i ricorrenti originari, quali laureati in medicina e chirurgia in possesso dei requisiti di cui all’art.1, comma 1, del D. Lgs. n.386/1998, avrebbero titolo a partecipare alla prova.
Sussistono, pertanto, le condizioni (interesse qualificato degli istanti all’adozione del provvedimento; competenza delle amministrazioni adite) per la pronunzia dell’obbligo di provvedere, ai sensi dell’art.21 bis della legge n.205/2000.
L’accoglimento parziale dell’appello determina la riforma della sentenza di primo grado nei limiti sopra indicati.
Resta fermo l’obbligo per le amministrazioni appellanti di provvedere sull’istanza dei ricorrenti originari entro un termine che, in considerazione della articolazione del procedimento (concerto fra il Ministro della salute e il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica; parere della federazione nazionale dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri), si reputa di fissare in novanta giorni dalla notificazione o comunicazione della presente decisione.
Sussistono ragioni per compensare fra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria), pronunziandosi sull’appello nei sensi di cui in motivazione, lo accoglie in parte.
Ordina alle amministrazioni appellanti di provvedere sull’istanza degli appellati nel termine indicato in motivazione.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 29 ottobre 2001.
(Alberto de Roberto presidente, Marcello Borioni estensore)
Depositata il 9 gennaio 2002