Tribunale Roma del 30 I 2002

Tribunale di Roma – Sezione I Civile

Ordinanza del 30 gennaio 2002

il punto:

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Il Tribunale di Roma ha sospeso la decisione del Garante per la protezione dei dati personali, emessa il 5 dicembre 2001, con cui si vietavano gli accordi tra Rai e rivenditori televisivi per individuare chi non paga il canone, affermando che strumenti per la lotta all’evasione devono essere specificamente previsti per legge.

La Rai ha agito contro il Garante Privacy per ottenere la sospensione di tale provvedimento, non impugnandolo al T.A.R. ma proponendo ricorso ex art. 700 c.p.c., in base al principio secondo cui tutte le controversie riguardanti l’applicazione della legge sulla privacy sono di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Quanto al "fumus", a detta dell’organo giudicante, esso sussiste in primo luogo con riferimento alla violazione del principio di tipicità dei provvedimenti del Garante; in secondo luogo con riferimento al fatto che le attività di raccolta e di trattamento dei dati personali degli acquirenti di apparecchi televisivi siano strumentalmente collegate alla finalità istituzionale di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali.

Inoltre il canone di abbonamento radiotelevisivo è espressamente disciplinato come tributo dalla legge.

Quabto al "periculum in mora", il Giudice rileva l’estrema difficoltà di reperire altrove i dati personali degli acquirenti nel tempo occorrente per la definizione del giudizio di merito, difficoltà cui si correla la materiale impossibilità di perseguire "medio tempore" l’obiettivo istituzionale della lotta all’evasione fiscale.

il testo integrale del provvedimento cautelare:

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(…)

CONSIDERATO

Che con ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c depositato il 24/1/2001, la RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. ha chiesto a questo Tribunale la sospensione, anche "inaudita altera parte", del provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali emesso il 5/12/2001 (comunicatole in data 20/12/2001), con il quale era stato segnalato alla deducente ed all’Agenzia delle Entrate – I Ufficio Entrate Torino – SAT – Sportello Abbonamenti TV – "la necessità di interrompere la raccolta ed il trattamento dei dati personali svolti con le modalità descritte in motivazione e di astenersi dal loro ulteriore trattamento, fornendo entro il 31 gennaio 2002 all’ufficio del Garante copia delle determinazioni adottate";

che ha esposto la RAI come il provvedimento del Garante abbia ad oggetto la pretesa illiceità della raccolta e del trattamento dei dati anagrafici degli acquirenti degli apparecchi televisivi, trasmessale – previo consenso informato da parte degli acquirenti medesimi – da parte dei rivenditori degli stessi sulla base di appositi strumenti convenzionali, una volta abrogate le pregresse disposizioni normative che imponevano a questi ultimo l’obbligo di comunicazione dei dati in questione (art. 6 D.L. 10/6/1994 n. 357, conv. In L. 8/8/1994 n. 489);

che ha premesso altresì come essa sia responsabile della predetta attività di raccolta e di trattamento di dati anagrafici per delega effettuata da parte della titolare del trattamento Agenzia delle Entrate, al fine di contrastare l’evasione del pagamento del canone televisivo e ciò in forza di apposita convenzione stipulata con la predetta Agenzia in data 12/1/2001;

che ha rilevato la RAI come il provvedimento del garante appaia per più versi viziato in quanto:

a) formalmente emesso ai sensi dell’art. 31. I co., lett. B) della L. 675/1996, benché nella sostanza consistente in un vero e proprio divieto di proseguire la raccolta e il trattamento dei dati personali, e dunque ricadente nella diversa previsione dell’art. 31, I co., lett. L) della legge;

b)carente di motivazione con riferimento "al rischio concreto di ricavarne pregiudizio", presupposto quest’ultimo espressamente richiesto dalla legge nella predetta lettera L) dell’art. 31 per giustificare il divieto di trattamento;

c) fondato sulla erronea interpretazione dell’art. 27, I e II co., della L. 675/96;

d)emesso in violazione delle regole sul "giusto procedimento" emergenti dalla L. 241/90:

che ha altresì sottolineato come sussista il pericolo concreto di danno irreparabile alla attività istituzionale svolta dalla Agenzia delle Entrate e per essa dalla RAI, consistente nella perdita definitiva dell’intero patrimonio informativo raccolto e dunque nella frustrazione della lotta all’evasione, tenuto conto altresì della materiale impossibilità di bloccare il flusso delle informazioni "in itinere" mediante capillare comunicazione a tutti i rivenditori nel ristretto termine indicato dal Garante;

che la RAI ha infine sottolineato come il provvedimento cautelare sia destinato ad anticipare gli effetti della pronuncia definitoria della causa di merito, volta a "dichiarare nullo e/o annullare, disapplicare e comunque dichiarare inefficace il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 5/12/2001, e per l’effetto condannare il medesimo al risarcimento dei danni subiti dalla concludente nella misura che sarà ritenuta di giustizia…";

che, disposta la comparizione personale delle parti, si è costituita la Agenzia delle Entrate, aderendo alla domanda cautelare sotto tutti i profili evidenziati";

che si è costituito altresì il Garante per la protezione dei dati personali, evidenziando l’insussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento, tanto sotto il profilo del "fumus boni juris", quanto sotto quello del "periculum in mora";

che ha, in particolare, sottolineato il Garante come a causa di un mero "lapsus calami" la norma di riferimento del provvedimento in questione sia stata individuata nella lettera B) del I comma dell’art. 31, anziché – correttamente – nella lettera C);

che pertanto non era in alcun caso ravvisabile la dedotta carenza di motivazione con riguardo al rischio di pregiudizio, essendo tale requisito richiesto per la diversa fattispecie provvedimentale prevista dalla lettera L) del medesimo articolo, nella specie non richiamata né applicabile che lungi dal provocare le gravi conseguenze palesate dalla ricorrente, il provvedimento doveva ritenersi volto unicamente ad interdire l’acquisizione di dati ulteriori, non impedendo viceversa il "trattamento statico", ossia il trattamento (ivi compresa la conservazione) di quelli già acquisiti;

che erano stati puntualmente rispettati i principi ispiratori della L. 241/90, come recepiti nel regolamento n. 1/2000 adottato dal Garante; che la Rai doveva ritenersi inoltre carente di legittimazione attiva nel presente procedimento, in quanto mera "responsabile" del trattamento dei dati personali e non anche "titolare" dello stesso;

che tanto premesso ed all’esito della comparizione personale delle parti, ritiene il giudicante come la domanda cautelare debba trovare accoglimento;

che va in primo luogo osservato come la ricorrente sia legittimata ad esperire l’azione in parola ai sensi dell’art. 29, comma 8, della L. 675/9, prevedendo la legge la sola legittimazione del "titolare" o dell’"interessato" per l’esperimento della diversa azione di opposizione avverso il provvedimento del Garante (prevista dai commi 6 e 7 del medesimo articolo e da svolgersi con le diverse forme del rito camerale

che sussiste il "fumus" della azionata pretesa innanzi tutto con riferimento alla violazione del principio di tipicità dei provvedimenti del Garante, essendo stata la deliberazione emessa (secondo quanto chiarito dalla difesa del Garante) ai sensi della lettera C) dell’art. 31 della legge, benché di fatto si risolva in un effettivo divieto di "continuare la raccolta ed il trattamento dei dati personali svolto con le modalità descritte in motivazione e di astenersi dal loro ulteriore trattamento";

che, pertanto, nonostante l’utilizzazione delle forma verbale "segnala" il contenuto concreto dell’ordine va ben al di là della mera "segnalazione delle modificazioni necessarie ed opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti" consentita dalla lettera C) della norma, tanto più ove si consideri che nessuna reale modificazione risulta in effetti suggerita alla RAI;

che palesemente erronea appare, inoltre, l’interpretazione dell’art. 27 della legge sui cui poggia l’impianto motivazionale del provvedimento;

che tale norma si limita, infatti, a prevedere – nel I comma – l’esistenza di leggi e regolamenti alla stregua di limiti al legittimo trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, il cui fondamento è rappresentato, non già dalle leggi e dai regolamenti predetti, ma unicamente dallo svolgimento di funzioni istituzionali;

che nel secondo comma viene, inoltre, precisato come la comunicazione e la diffusione a soggetti pubblici dei dati trattati siano ammesse quando ciò sia previsto da leggi e regolamenti, "ovvero risulti comunque necessario allo svolgimento di funzioni istituzionali";

che in entrambe le ipotesi, pertanto, non viene affatto ritenuta indispensabile la previa emanazione di leggi o regolamenti che autorizzino la raccolta e il trattamento dei dati, essendo unicamente necessario (e sufficiente) che non siano stati emanati atti di normazione primaria e secondaria che lo vietino e che in ogni caso le attività in parola possano dirsi correlate allo svolgimento delle predette finalità istituzionali;

che dal quadro normativo compiutamente delineato sia dalla ricorrente che dalla Agenzia delle Entrate emerge con chiarezza come le attività di raccolta e di trattamento dei dati personali degli acquirenti di apparecchi televisivi da quest’ultima delegate alla RAI (art. 1 convenzione 2/1/2001, doc. 6 fasc. RAI) siano strumentalmente collegate alla finalità istituzionale propria della Agenzia delle entrate "di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali, sia attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale" (art. 62, comma 1, d.lgs. 30/7/1999 n. 300);

che inoltre il canone di abbonamento radiotelevisivo è espressamente disciplinato come tributo dalla legge (R. D. L. 21/2/1938) n. 246 conv. In L. 4/6/1938 n. 880), cosicché fuori di luogo appaiono le implicazioni costituzionali dal Garante;

che tanto premesso con riguardo alla sussistenza della finalità istituzionale, il mero venir meno delle norme che specificamente prevedevano l’obbligo per i rivenditori di raccogliere ed inviare i dati riguardanti gli acquirenti (art. 6 D.L. 357/1994) non rende di per sé illegittima l’acquisizione dei dati medesimi in forza di atti negoziali intercorsi tra la Rai ed i rivenditori;

che sussiste, pertanto, il "fumus" della azionata pretesa sotto i profili considerati, ritenendosi allo stato ultronea la trattazione dei rilievi ulteriori;

che emerge con chiarezza il dedotto "periculum in mora" come evidenziato tanto dalla ricorrente che dalla Agenzia delle Entrate, rilevandosi – in punto di irreparabilità dello stesso – come tale requisito qualificativo del pregiudizio vada inteso alla stregua di estrema difficoltà di reperire "aliunde" i dati personali degli acquirenti nel tempo occorrente per la definizione del giudizio di merito, difficoltà cui si correla la materiale impossibilità di perseguire "medio tempore" uno degli obiettivi istituzionali dell’Agenzia, consistente nella lotta all’evasione fiscale;

che infine il provvedimento richiesto appare, come detto, anticipatorio dei contenuti della pronuncia di merito con riferimento al "petitum" indicato nel ricorso, nonché provvisto dell’ulteriore requisito della residualità, non sussistendo nella specie ulteriori rimedi cautelari tipici la cui adozione sia consentito invocare;

P.Q.M.

Visti gli artt.669 ter, 669 sexies, 700 c.p.c. e 29, comma VIII, L. 675/1996:

1) dispone la sospensione del provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali emesso il 4/12/2001 e meglio indicato in motivazione;

2) fissa il termine di giorni trenta per l’inizio del giudizio di merito.

(Giudice Delegato: L. Fanti)

Redazione

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