L’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, con determinazione del 27 marzo 2002, è intervenuta in materia di ritardati pagamenti negli appalti di lavori pubblici.
Questi i punti, in sintesi:
1) ove non diversamente pattuito, l’art. 1194 del codice civile si applica in caso di ritardo nei pagamenti da parte delle stazioni appaltanti con la conseguenza che gli stessi non possano essere imputati al capitale senza il consenso del creditore
e che il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi debba essere imputato prima agli interessi;
2) la disciplina in materia di ritardati pagamenti contenuta nell’art. 26 della legge n. 109/1994 e negli articoli 29 e 30 del decreto ministeriale n. 145/2000, copre ogni ipotesi di conseguente danno in concreto derivatone e può essere validamente opposta ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria;
3) l’art. 13, comma 3.2, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito con legge 26 aprile 1983, n. 131, in quanto norma derogatoria al generale principio della responsabilità patrimoniale del soggetto che incorre nel ritardo a corrispondere il pagamento, non è applicabile, mediante interpretazione estensiva, al settore dei lavori pubblici.
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Autorità di vigilanza sui lavori pubblici
Determinazione n. 5 del 27 marzo 2002
“Fenomeno dei ritardati pagamenti negli appalti di lavori pubblici”
(G.U. 23 aprile 2002 n. 95)
Premesso che:
Il Consiglio dell’autorità, nell’ambito dell’indagine conoscitiva e del relativo approfondimento sul fenomeno dei ritardati pagamenti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, avviato nel corso del 2001, ha ritenuto di analizzare alcuni aspetti della problematica, indicendo apposita audizione e sottoponendo le questioni emergenti all’attenzione dei firmatari dei protocolli d’intesa.
In particolare i profili di approfondimento riguardano le seguenti problematiche:
1) l’applicabilità delle norme contenute nell’art. 1194 del codice civile secondo cui “il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore” (comma 1) e “il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi” (comma 2);
2) gli ambiti di applicabilità dell’art. 1224, secondo comma, del codice civile che disciplina l’ipotesi del maggior danno nel caso di ritardi riconducibili a comportamenti delle stazioni appaltanti nell’esecuzione dei pagamenti;
3) l’applicabilità di tassi di interesse differenziati in relazione alla durata dei ritardi e di quanto disposto dalla direttiva 35/2000/CE al settore dei lavori pubblici;
4) eventuale computabilità dei tempi della Cassa depositi e prestiti ai fini del calcolo del tempo contrattuale medio per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento;
5) verifica delle problematiche connesse agli aspetti organizzativi e gestionali delle stazioni appaltanti.
Ritenuto in diritto:
Occorre preliminarmente analizzare il quadro normativo vigente in materia.
L’art. 26, comma 1, della legge quadro, come modificata dalla legge n. 415/1998, stabilisce che “in caso di ritardo nell’emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti, rispetto alle condizioni o ai termini stabiliti nel capitolato speciale che non devono comunque superare quelli fissati dal capitolato generale, spettano all’esecutore dei lavori gli interessi legali e moratori…”.
Resta ferma la facoltà dell’esecutore medesimo, “trascorsi i termini di cui sopra, ovvero nel caso in cui l’ammontare delle rate di acconto per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa raggiunga il quarto dell’importo netto contrattuale di agire ai sensi dell’art. 1460 del codice civile ovvero, previa costituzione in mora dell’amministrazione e, trascorsi sessanta giorni dalla data della costituzione stessa, di promuovere il giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione di contratto”.
Per quanto invece riguarda il pagamento della rata di saldo, l’art. 28, comma 9 della legge quadro prevede che lo stesso “deve essere effettuato non oltre il novantesimo giorno dalla emissione del certificato di collaudo provvisorio ovvero del certificato di regolare esecuzione”, purchè sia stata presentata la prevista polizza fideiussoria.
L’art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999, al comma 1, rinvia all’art. 26 della legge quadro per quanto attiene il ritardato pagamento delle rate di acconto e, al comma 2, per quanto riguarda la rata di saldo dei lavori, estende alla stessa la disciplina sugli interessi per il ritardo nel pagamento degli acconti.
La stessa norma al comma 3, dispone che nel caso di concessioni di
lavori pubblici, ove sia previsto il pagamento di un prezzo “in più
rate annuali”, sarà il disciplinare di concessione a dover prevedere
la decorrenza degli interessi per ritardato pagamento.
L’art. 116, comma 4, infine stabilisce che “l’importo degli
interessi per ritardato pagamento viene computato e corrisposto in
occasione del pagamento in conto e a saldo immediatamente successivo
a quello eseguito in ritardo, senza necessità di apposite domande o
riserve”.
Il nuovo capitolato generale d’appalto, approvato con decreto
ministeriale 19 aprile 2000, n. 145, infine, all’art. 29 fissa i
tempi per il pagamento di acconti e saldo ed all’art. 30 dispone in
ordine all’entità degli interessi in caso di ritardati pagamenti.
A partire dalla maturazione di ogni stato di avanzamento dei
lavori, infatti, il termine per l’emissione dei certificati di
pagamento relativi agli acconti non può superare i quarantacinque
giorni. Una volta emesso il certificato, il pagamento va disposto
mediante specifico ordine (mandato) entro i trenta giorni successivi.
Ove il certificato venga emesso oltre i quarantacinque giorni
suddetti, vanno riconosciuti all’appaltatore gli interessi
corrispettivi al tasso legale sulle somme dovute. Se il ritardo
supera i sessanta giorni, dovranno essere corrisposti dal giorno
successivo gli interessi moratori.
Qualora il pagamento sia effettuato oltre i trenta giorni dalla
data di emissione del certificato, gli interessi legali scattano dal
giorno successivo fino al sessantesimo giorno di ritardo, data a
partire dalla quale sono dovuti gli interessi di mora. Presupposto
essenziale è comunque che il ritardo sia imputabile
all’amministrazione.
Per quanto concerne il pagamento della rata di saldo il
capitolato generale ribadisce il temine, previsto dall’art. 28, comma
9 della legge quadro, dei novanta giorni successivi all’emissione del
certificato di collaudo provvisorio ovvero del certificato di
regolare esecuzione, a sua volta da emettersi rispettivamente entro
sei mesi ed entro tre mesi dall’ultimazione dei lavori.
Sempre ai sensi del Capitolato generale, ove l’appaltatore non
abbia preventivamente presentato la garanzia fidejussoria prevista
dall’art. 28, comma 9 della legge a copertura della stessa rata di
saldo, il termine di novanta giorni decorre dalla data della
presentazione della stessa; se si verificano ritardi rispetto a tale
termine, scattano gli interessi legali e quindi, dal sessantesimo
giorno di ritardo, quelli di mora.
Inoltre, il saggio degli interessi di mora è comprensivo del
maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma 2 del codice civile.
Relativamente ai profili di cui alle premesse si formulano le
seguenti osservazioni:
1. In ordine alla problematica concernente l’applicabilità del
disposto di cui all’art. 1194 del codice civile in materia di
“imputazione del pagamento” nei casi di pagamento effettuato con
ritardo dalla pubblica amministrazione, si ritiene che la disciplina
della tardiva emissione dei certificati di pagamento e dei titoli di
spesa è da ricondursi nell’ambito delle previsioni codicistiche,
nella scia del riconoscimento, già effettuato dalla giurisprudenza,
di una sostanziale parità fra pubblica amministrazione e soggetti
privati nei rapporti contrattuali. Ne discende che, ove non
diversamente e pattiziamente statuito, trova applicazione il disposto
di cui all’art. 1194 del codice civile, che prevede che il pagamento
stesso non possa essere imputato al capitale senza il consenso del
creditore e che il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi
debba essere imputato prima agli interessi.
L’applicabilità della norma in questione presuppone chiaramente la
contemporanea esigibilità del credito sia per il capitale che per
gli interessi e le spese, nel senso di infruttuoso decorso dei
termini fissati per l’amministrazione per provvedere ai pagamenti
stessi.
2. Per quanto concerne l’ambito applicativo dell’art. 1224,
secondo comma del codice civile si osserva quanto segue.
L’art. 26 della legge n. 109/1994 e successive modifiche ed
integrazioni prevede che gli interessi sono dovuti “in caso di
ritardo” da parte dell’amministrazione ed il loro importo, ai sensi
del comma 4 dell’art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 554/1999, viene “corrisposto in occasione del pagamento, in conto
e a saldo, immediatamente successivo a quello eseguito in ritardo,
senza necessità di apposite domande o riserve”: la previsione
dell’automatica decorrenza degli interessi moratori, sia pure nel
presupposto di cui al primo comma dell’art. 30 del capitolato
generale “della causa imputabile alla stazione appaltante, una volta
scaduto il termine previsto dal capitolato speciale o, in mancanza di
specifica previsione, da quello generale, costituisce una deroga
all’art. 1219 del codice civile in ordine all’onere della previa
costituzione in mora.
La disciplina codicistica sull’inadempimento delle obbligazioni
trova previsioni derogatorie nelle norme del capitolato generale,
innanzitutto nella previsione dei termini per l’emissione dei titoli
di liquidazione e di spesa, ai sensi dell’art. 29 dello stesso
capitolato, che tengono conto dei fisiologici tempi necessari
all’organizzazione e all’attività procedimentale della pubblica
amministrazione. Inoltre, la normativa citata prevede che
l’inosservanza dei termini fissati per causa imputabile alla stazione
appaltante comporta il pagamento all’appaltatore degli interessi
corrispettivi al tasso legale sulle somme dovute, nonchè qualora il
ritardo superi i sessanta giorni, il riconoscimento degli interessi
moratori determinati annualmente con apposito decreto ministeriale;
detti ultimi interessi moratori sono dovuti dal giorno successivo e
sono comprensivi del maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma 2
del codice civile.
Al riguardo si osserva che, in primo luogo, il solo presupposto
oggettivo del ritardo non è sufficiente a determinare l’obbligo
della corresponsione degli interessi, dovendosi inoltre verificare la
condizione dell’imputabilità alla stazione appaltante del ritardo
stesso. Da ciò consegue che sono improduttivi di interessi a carico
della stazione appaltante i ritardi imputabili ad eventi non
dipendenti dal committente, quali l’ipotesi di causa di forza
maggiore ovvero fattispecie riconducibili a fatto dello stesso
appaltatore.
In secondo luogo, occorre rilevare che il legislatore, disponendo che gli interessi di mora comprendono anche il risarcimento
dell’eventuale maggior danno ex art. 1224, comma 2 del codice civile,
ha inteso preventivamente determinare in via forfetaria e con criteri
certi l’ammontare del danno da ritardo nei pagamenti.
Occorre ora chiedersi se detta quantificazione preventiva estingua
in toto la pretesa risarcitoria dell’appaltatore per danno abnorme
ovvero se gli interessi di mora comprensivi del maggior danno ex art.
1224, comma 2 del codice civile non siano di per sè idonei a coprire
tutte le possibili variabili sottese alle singole fattispecie, quali
le dimensioni e la situazione economica dell’impresa appaltatrice,
l’entità dei lavori oggetto dell’appalto, l’entità del tasso di
inflazione.
Al riguardo si ritiene che, anche in tali ipotesi, sussista la
piena operatività dell’art. 1224, comma 2 del codice civile, assunto
che trova conferma nella recente decisione della Corte di cassazione
(sentenza 9653 del 17 luglio 2001) che ha posto fine al contrasto
della giurisprudenza sulla questione se la somma liquidata a titolo
di interessi per il ritardo del pagamento di somma capitale ai sensi
degli articoli 35 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica n.
1063/1962 (oggi articoli 29 e 30 del decreto ministeriale n.
145/2000) per il ritardo del pagamento degli acconti e del saldo
degli appalti di opere pubbliche sia suscettibile o meno di
rivalutazione monetaria.
Le sezioni unite della Corte hanno stabilito infatti che “a tutte
le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una
somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura,
compresi quelli di cui agli articoli 35 e 36 del capitolato generale
di appalto per le opere pubbliche approvato con decreto del
Presidente della Repubblica n. 1063/1962 è applicabile, in mancanza
di usi contrari, la regola dell’anatocismo dettata dall’art. 1283 del
codice civile, dovendo escludersi che il debito per interessi, anche
quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale, si configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonchè al risarcimento
del maggior danno ex art. 1224, secondo comma del codice civile”.
In conclusione, quindi, si ritiene che la disciplina in materia di
ritardati pagamenti contenuta nell’art. 26 della legge n. 109/1994 e
successive modifiche ed integrazioni e negli articoli 29 e 30 del
decreto ministeriale n. 145/2000 copre ogni ipotesi di conseguente
danno, in concreto derivatone, e può essere validamente opposta ad
ogni ulteriore pretesa risarcitoria.
In alternativa al sistema sopra delineato di preventiva
determinazione dell’ammontare del danno per ritardati pagamenti,
l’art. 26, comma 1 della legge quadro, fa salva la facoltà
dell’appaltatore di agire ai sensi dell’art. 1460 del codice civile
che consente allo stesso, indipendentemente dalle ragioni del
ritardo, purchè ascrivibile all’amministrazione, di adottare
l’eccezione di inadempimento, interrompendo l’esecuzione dei lavori
con le conseguenze da ciò derivanti in termini di diseconomicità
dell’intervento.
3. In ordine alla possibilità di prevedere in contratto tassi di
interesse differenziati in relazione alla durata dei ritardi ed alla
relativa incidenza sull’importo contrattuale, si ritiene che ciò
rientri nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti che possono
sempre derogare al saggio legale fissando il tasso d’interesse in
misura superiore od inferiore (cd. interessi convenzionali).
A tal fine occorrerebbe prevedere nel capitolato speciale uno
scadenzario sulla base del quale differenziare i tassi di interesse
per i pagamenti in ragione del ritardo accumulatosi.
Sulla questione, tuttavia, occorre anche tener conto della
direttiva 35/2000/CEE del 29 giugno 2000, relativa alla “Lotta contro
i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, che prevede
che i termini di pagamento debbano essere fissati, di norma, in
trenta giorni, superati i quali la misura degli interessi di mora è
pari al tasso d’interesse praticato dalla Banca centrale europea
nelle operazioni di rifinanziamento, maggiorato di almeno sette punti
percentuali.
Per quanto attiene la direttiva comunitaria in questione, la stessa
si caratterizza per due principi fondamentali: il riconoscimento
della libertà contrattuale delle parti, da un lato, e l’introduzione
di regole comuni per le transazioni commerciali fra privati e nei
rapporti con la pubblica amministrazione dall’altro. Sono previsti,
tra l’altro, termini di pagamento più brevi, l’ammontare degli
interessi di mora rimesso alla libera contrattazione delle parti, la
previsione per il creditore di chiedere, oltre agli interessi di
mora, ulteriori risarcimenti proporzionali al danno subito per il
recupero crediti.
La direttiva non è però direttamente applicabile alla materia dei
lavori pubblici, dato che il suo ambito è limitato ai pagamenti
effettuati a titolo di corrispettivo per le transazioni commerciali
fra imprese e fra imprese e pubblica amministrazione, laddove per
transazioni commerciali si intendono i contratti che “comportano la
consegna di merci o la prestazione di servizi contro pagamento di un
prezzo”.
Si ritiene che l’ipotesi di una applicazione estensiva della
direttiva agli articoli 29 e 30 del decreto ministeriale n. 145/2000
non sia percorribile, in quanto se da un lato per interpretazione
estensiva si intende l’accoglimento di un significato che si estende
fino ai limiti massimi della portata semantica, secondo l’uso
linguistico generale, dell’espressione da interpretare, dall’altro si
ricorre al procedimento analogico nel caso di lacuna
dell’ordinamento.
Tuttavia, la strada percorsa dalla direttiva appare in linea con
l’attuale orientamento dottrinale e giurisprudenziale che sempre
maggiormente si risolve nel riconoscimento di una par condicio fra
amministrazione e privati con applicazione quindi di regole paritarie
e di abbandono di quella posizione di supremazia riconosciuta in
passato all’Autorità pubblica in nome della prevalenza
dell’interesse pubblico rispetto a quello privato.
Al riguardo l’Autorità si riserva di effettuare apposita
segnalazione al Governo ed al Parlamento.
4. In relazione alla eventuale computabilità dei tempi della Cassa
depositi e prestiti ai fini del calcolo del tempo contrattuale medio
per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento, il comma
3.2 dell’art. 13 del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55,
convertito, con legge 26 aprile 1983, n. 131, prevede che qualora la
fornitura di beni e servizi venga effettuata con ricorso a mutuo
della Cassa depositi e prestiti, il calcolo del tempo contrattuale
per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento non tiene
conto dei giorni intercorrenti tra la spedizione della domanda di
somministrazione e la ricezione del relativo mandato di pagamento
presso la competente sezione di tesoreria provinciale, purchè tale
circostanza sia stata richiamata nel bando di gara.
Al riguardo si osserva che, trattandosi di norma derogatoria al
generale principio della responsabilità patrimoniale del soggetto
che incorre nel ritardo a corrispondere il pagamento, non sembra ad
essa applicabile un’interpretazione estensiva tale da renderla
cogente anche per il settore dei lavori pubblici.
5. L’ipotesi di pagamento effettuato dalla stazione appaltante
direttamente al subappaltatore o al cottimista per l’importo dei
lavori dagli stessi effettuati, quale sistema per evitare a questi
ultimi gli effetti negativi derivanti dai pagamenti corrisposti in
ritardo all’appaltatore principale, è fattispecie espressamente
prevista dal comma 3-bis dell’art. 18 della legge n. 55/1990, nel
testo vigente. Si ritiene tuttavia, che tale previsione, volta a tutela delle imprese subappaltatrici, nel comportare ulteriori
incombenze alle amministrazioni, non aiuti a risolvere la
problematica dei ritardati pagamenti che trova una delle ragioni del
fenomeno in motivi legati ad aspetti organizzativi interni alle
stazioni appaltanti.
In relazione a questi ultimi ed, in particolare, per quanto attiene
ai ritardi nei pagamenti legati ai trasferimenti dei finanziamenti
dal centro alle sedi periferiche di gestione ed alla necessità di
regole chiare per la gestione dei fondi, esigenza ormai non più
procrastinabile, stante che la pubblica amministrazione nei rapporti
contrattuali non ha alcuna posizione differenziata rispetto al
privato contraente e non potendo quindi esimersi dall’assunzione di
responsabilità legate a fattori organizzativi, appare necessaria
l’adozione nelle amministrazioni pubbliche di interventi gestionali
ed organizzativi che realizzino un’effettiva e reale
razionalizzazione delle procedure al fine dell’informatizzazione
delle varie fasi della gestione amministrativa.
In proposito l’Autorità si riserva di effettuare apposita
segnalazione al Governo ed al Parlamento.
Dalle considerazioni svolte segue che:
1) ove non diversamente pattuito, l’art. 1194 del codice civile si applica in caso di ritardo nei pagamenti da parte delle stazioni appaltanti con la conseguenza che gli stessi non possano essere imputati al capitale senza il consenso del creditore e che il pagamento fatto in conto di capitale ed interessi debba essere imputato prima agli interessi;
2) la disciplina in materia di ritardati pagamenti contenuta nell’art. 26 della legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni e negli articoli 29 e 30 del decreto ministeriale n. 145/2000, copre ogni ipotesi di conseguente danno in concreto derivatone e può essere validamente opposta ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria;
3) l’art. 13, comma 3.2, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito con legge 26 aprile 1983, n. 131, in quanto norma derogatoria al generale principio della responsabilità patrimoniale del soggetto che incorre nel ritardo a corrispondere il pagamento, non è applicabile, mediante interpretazione estensiva, al settore dei lavori pubblici.