L’Audizione al Senato del Presidente dell’Antitrust Tesauro

Il Presidente dell’Antitrust, il 20 marzo 2002, è stato sentito dalla I Commissione Affari Costituzionali del Senato, in merito al progetto di legge governativo recante "norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse".

Dopo avere descritto le attuali funzioni dell’Autorità, Francesco Tesauro ha osservato che:

– i parametri di orientamento per i compiti di accertamento rimessi all’Autorità restano alquanto imprecisati;

– sarebbe auspicabile precisare l’ambito di intervento dell’Autorità di controllo, tanto più ove si consideri la definizione restrittiva data al conflitto di interessi, richiedendo la contestuale sussistenza di tre condizioni: una "incidenza specifica sull’assetto patrimoniale del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado"; un "danno per l’interesse pubblico"; e la circostanza che il provvedimento in questione non "riguardi la generalità o intere categorie di soggetti" ("… nè va sottaciuto che scelte in grado di favorire le imprese collegate ai titolari di cariche governative non debbono necessariamente tradursi in atti formali di Governo, potendo consistere, per esempio, nella stessa inerzia");

– i poteri normalmente esercitati dall’Antitrust a tutela della concorrenza, appaiono anomali nel quadro della disciplina sul conflitto di interesse; si consideri ad esempio che l’Autorità sanziona i "comportamenti" delle imprese, ma qui il principio sembrerebbe capovolto, prevedendosi l’applicabilità dell’art. 3 della legge n. 287/90, e dunque anche delle relative sanzioni in capo all’impresa che "abusa" in conseguenza del beneficio derivante dalla previsione normativa, indipendentemente dal fatto che la stessa abbia o no posto in essere alcuna condotta ("una siffatta previsione … rischia pertanto di essere inutilizzabile");

– impropria e comunque fonte di confusione istituzionale appare la previsione secondo cui il parere richiesto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha natura vincolante.

Di seguito, si riporta il testo integrale dell’audizione del presidente dell’Autorità Antitrust, Francesco Tesauro, dinanzi alla I Commissione Affari Costituzionali del Senato, in merito al progetto di legge governativo recante "norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse" (20 marzo 2002)

"L’Autorità della concorrenza e del mercato ringrazia la Commissione Affari Costituzionali del Senato per averle offerto la possibilità di dare un contributo sulla questione del conflitto di interessi, contributo incentrato essenzialmente sul disegno di legge governativo in materia.

L’Autorità è consapevole dei compiti e delle responsabilità che il disegno di legge, nella sua attuale formulazione, prefigura di attribuirle ed intende pertanto fornire un contributo positivo e costruttivo, sottoponendo alla riflessione comune qualche spunto su taluni passaggi rilevanti del testo che essa considera meritevoli di attenzione e di approfondimento.

Nel convincimento, forte, che una istituzione pubblica deve ispirare l’esercizio delle sue funzioni al servizio degli interessi del Paese ed al rispetto pieno delle scelte del legislatore, l’Autorità intende limitare le sue osservazioni agli aspetti che più strettamente la coinvolgono, anche in relazione alle competenze ad essa attribuite dalla legge n.287 del 1990 sulla disciplina della concorrenza.

In tale ottica, sembra utile muovere da una sintetica ricognizione delle attuali funzioni dell’Autorità, il cui compito è essenzialmente di controllare le condotte di impresa volte a limitare ingiustificatamente l’attività dei concorrenti, nonché a creare, rafforzare e sfruttare situazioni di mercato che consentano loro di praticare, direttamente o indirettamente, prezzi o altre condizioni contrattuali deteriori per i consumatori, rispetto a quelle che si avrebbero in un contesto di mercato concorrenziale.

Più in particolare, la legge n. 287/90 contiene norme che vietano alle imprese le intese restrittive della concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le operazioni di concentrazione che comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante tale da eliminare o ridurre in misura sostanziale e durevole la concorrenza.

Si tratta, in definitiva, di un corpus normativo che predispone strumenti volti ad individuare e sanzionare le condotte delle imprese suscettibili di alterare le corrette dinamiche concorrenziali nel mercato, così salvaguardando, in ultima istanza, gli interessi generali della collettività e dei consumatori ("tutela della concorrenza").

Presupposto necessario della violazione delle norme a tutela della concorrenza suscettibile di subire la censura e la sanzione dell’Autorità è l’autonomia di comportamento delle imprese, presupposto che non sussiste quando il contesto normativo impone o consente tale comportamento.

Ed è del pari ovviamente precluso all’Antitrust, stante la sua natura di Autorità amministrativa, per quanto indipendente, sindacare direttamente la legittimità delle norme che, nella misura in cui inducono, avallano o addirittura impongono comportamenti anticoncorrenziali, privano di effetto utile le norme che vietano alle imprese di tenere siffatti comportamenti.

Pertanto, qualora le distorsioni al corretto funzionamento del mercato non discendano da condotte autonome di impresa, ma derivino da vincoli imposti da regolazioni pubblicistiche, l’intervento dell’Autorità garante si deve limitare ad un’attività di segnalazione al Parlamento, al Governo ed alle pubbliche amministrazioni ("promozione della concorrenza"). La sola eccezione ricorre quando la normativa nazionale sia in contrasto con quella comunitaria, nel senso tuttavia non dell’imputabilità alle imprese della violazione, bensì della possibilità per l’Autorità, come per qualunque altra amministrazione pubblica nazionale, di disapplicare la normativa nazionale stessa.

A fianco della tutela e della promozione della concorrenza, sono affidati all’Autorità compiti di garanzia dell’obiettività, trasparenza e veridicità della pubblicità, ai sensi del decreto legislativo n. 74/92, come modificato dal decreto legislativo n. 67/00.

La disciplina della concorrenza e quella della pubblicità ingannevole si pongono peraltro in un’ottica di continuità e coerenza sotto il profilo degli interessi tutelati, che convergono, in ultima istanza, in un unico interesse generale alla realizzazione di un mercato il più possibile aperto e concorrenziale, nell’interesse finale del consumatore.

Le norme per prevenire e rimuovere le situazioni di conflitto di interessi prevedono funzioni e compiti che, pur collegati agli effetti economici derivanti dai vantaggi eventualmente accordati a talune imprese, sono diversi rispetto a quelli previsti dalla legge n. 287/90, sicché si pone il problema di come leggerle sulla base dell’esperienza antitrust.

Passando ai punti principali del disegno di legge in esame, è anzitutto previsto un regime di incompatibilità per i titolari delle cariche di governo consistente nel divieto di ricoprire cariche e uffici pubblici, di esercitare compiti di amministrazione in società aventi fini di lucro, nonché di esercitare qualsiasi impiego pubblico o privato (art. 2, comma 1), preclusione non applicabile alle "cariche od uffici ricoperti e [alle] attività svolte al momento dell’entrata in vigore della presente legge" (art. 2, comma 6).

Dal regime di incompatibilità è espressamente esclusa "la mera proprietà di un’impresa individuale ovvero di quote o azioni societarie" (art. 2, comma 2).

Rispetto a tale ipotesi, il disegno di legge, nel ritenere ammissibile il conflitto, sposta pertanto l’attenzione sull’accertamento dell’eventuale prevalenza dell’interesse privato, che si verificherebbe "quando l’atto ha un’incidenza specifica sull’assetto patrimoniale del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, con danno per l’interesse pubblico e salvo che l’atto stesso riguardi la generalità o intere categorie di soggetti" (art. 3).

Tale accertamento è affidato all’Autorità garante (art. 6), che procederebbe d’ufficio, attraverso un continuo monitoraggio, rispetto a tutti gli atti governativi, precisamente al fine di verificarne la "eventuale specifica incidenza sull’assetto patrimoniale" (art. 6, comma 2), e altresì, su richiesta del governo, esprimendo pareri "sui disegni e sulle proposte di legge, nonché sugli schemi di altri atti normativi" (art. 6, comma 8).

L’accertamento dovrebbe essere assistito, da un lato, dalla possibilità di applicare le norme della legge n. 287/90 concernenti "l’abuso di posizione dominante da parte delle imprese, anche quando esso sia riconducibile ad atti posti in essere dal titolare di cariche di governo" (art. 4); dall’altro, da una attività di segnalazione al Parlamento di situazioni di conflitto di interessi, corredata da un "parere sulle misure idonee a porre rimedio tempestivo alle conseguenze pregiudizievoli e ad evitare che casi analoghi si ripetano" (art. 6, comma 3) e, più in generale, da una relazione semestrale, sullo stato del controllo, allo stesso Parlamento (art. 7, comma 1).

Possiamo ora soffermarci su alcuni aspetti specifici della soluzione proposta – nella formulazione approvata dalla Camera – al fine di evidenziare alcuni problemi attuativi che fin d’ora si possono ragionevolmente cogliere e che è dunque doveroso segnalare da parte di un’istituzione chiamata a tale applicazione

In primo luogo, i parametri di orientamento per i compiti di accertamento rimessi all’Autorità restano alquanto imprecisati, con il rischio di costringere l’Autorità a ricercarli, pur di esercitare utilmente la funzione.

Sarebbe pertanto auspicabile precisare l’ambito di intervento dell’Autorità di controllo, tanto più ove si consideri che lo stesso art. 3 contiene una definizione restrittiva di conflitto di interessi, richiedendo la contestuale sussistenza di tre condizioni: una "incidenza specifica sull’assetto patrimoniale del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado"; un "danno per l’interesse pubblico"; e la circostanza che il provvedimento in questione non "riguardi la generalità o intere categorie di soggetti".

Oltre all’accertamento del danno per l’interesse pubblico, si richiede dunque anche la specialità e specificità dell’impatto di una misura governativa sull’impresa collegata al titolare di cariche di governo rispetto all’impatto su altre imprese; il che porta ad escludere la configurabilità di situazioni di conflitto di interessi rispetto ad atti aventi forza di legge, che per definizione hanno portata generale.

Peraltro, mentre sarebbe (relativamente) facile identificare le ipotesi, probabilmente solo teoriche, di "provvedimenti fotografia", in cui una determinata impresa (collegata ad un membro del Governo) venga specificamente e direttamente avvantaggiata dall’atto governativo, riesce difficile immaginare gli effettivi ambiti di intervento dell’Autorità in tutte le ulteriori ipotesi di eventuale influenza delle scelte governative.

Né va sottaciuto che scelte in grado di favorire le imprese collegate ai titolari di cariche governative non debbono necessariamente tradursi in atti formali di Governo, potendo consistere, per esempio, nella stessa inerzia.

Quanto, poi, all’accertamento della "eventuale specifica incidenza" di un atto governativo sullo stato patrimoniale del titolare della carica di governo, del coniuge o di parenti entro il secondo grado, la valutazione che l’Autorità è chiamata ad effettuare non può non fondarsi su un bilanciamento degli interessi a confronto, volto a verificare, in definitiva, quale dei due interessi (pubblico o privato) prevalga.

Tale accertamento – al di là dei casi di rilevanza penale, che sono di competenza della magistratura, e di un generale controllo politico da parte dell’elettorato – resta di difficile attuazione.

All’Autorità di controllo verrebbe infatti richiesto di valutare, senza tuttavia specificare in base a quali criteri, preventivamente lo specifico impatto di una misura governativa sul patrimonio di un esponente del governo ovvero di misurarne a posteriori il supposto vantaggio.

In secondo luogo, una volta precisati meglio i criteri di applicazione della legge, andrebbero più chiaramente definiti anche i rimedi attivabili dall’Autorità in caso di accertamento delle situazioni di conflitto.

Il progetto in esame desta infatti qualche perplessità, in particolare, con riguardo alla previsione che richiede, alla stessa Autorità, di proporre le "misure idonee a porre rimedio tempestivo alle conseguenze pregiudizievoli e ad evitare che casi analoghi si ripetano".

Trattandosi degli effetti derivanti da un atto in vigore, che tipo di rimedi possono essere ritenuti adeguati?

Qualche precisazione al riguardo sarebbe opportuna.

Gli stessi poteri normalmente esercitati dall’Antitrust a tutela della concorrenza, appaiono anomali nel quadro della disciplina sul conflitto di interesse.

Appare, in particolare, alquanto improprio il rinvio operato dall’art. 4 alla nozione di abuso di posizione dominante di cui all’art. 3 della legge n. 287/90.

Ed infatti: da un lato, un’impresa beneficiaria dei vantaggi non è necessariamente in posizione dominante sul suo mercato; dall’altro, come sopra accennato, in base ai principi antitrust una condotta illecita può essere imputata alle imprese solo qualora esse abbiano un certo margine di autonomia rispetto alla previsione normativa che impone, consente o facilita tale condotta.

Nell’art. 4, invece, tale principio sembrerebbe capovolto, prevedendosi l’applicabilità dell’art. 3 della legge n. 287/90, e dunque anche delle relative sanzioni in capo all’impresa che "abusa" in conseguenza del beneficio derivante dalla previsione normativa, indipendentemente dal fatto che la stessa abbia o no posto in essere alcuna condotta.

Una siffatta previsione, che introduce una nozione eccentrica di abuso di posizione dominante, perché sganciata sia dalla posizione dominante che da un comportamento volontario o comunque non consentito, rischia pertanto di essere inutilizzabile.

Resterebbe dunque, è bene sottolinearlo, la sola possibilità di intervento attraverso la segnalazione al Parlamento.

Impropria e comunque fonte di confusione istituzionale appare, infine, la previsione secondo cui il parere richiesto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha natura vincolante (art. 6, comma 5).

Mentre è auspicabile il contributo di un parere obbligatorio sui profili di specifica competenza, non può non rilevarsi che un parere vincolante non è distinguibile dalla diretta attribuzione del potere decisionale.

Le considerazioni che precedono non pretendono di esaurire, nemmeno in parte, la materia delicata e complessa del conflitto di interessi, ma solo rappresentare taluni aspetti problematici che meritano ulteriore approfondimento.

L’Autorità ha inoltre il dovere di sottolineare che essa è impegnata a lavorare, in un mercato sempre più dinamico ed aperto, con un carico di attività rilevante per quantità e qualità.

Nella consapevolezza delle difficoltà di varia specie e natura, l’Autorità non mancherebbe, comunque, di esercitare le impegnative e delicate funzioni aggiuntive con l’indipendenza e l’autonomia con cui ha operato ed opera, al servizio del Paese.

Ove si confermi l’orientamento volto ad attribuire a questa Autorità competenze nella materia in esame, si riterrebbe peraltro utile, tenuto anche conto dell’importante aggravio di attività che ne conseguirebbe, poter fornire ulteriori indicazioni concernenti gli aspetti procedurali e organizzativi.

A tale ultimo riguardo, è opportuno sottolineare sin d’ora che il necessario aumento delle risorse umane e materiali dell’Autorità non dovrebbe realizzarsi attraverso procedure di mera mobilità di personale proveniente da altre autorità o organismi, come previsto dall’art. 8, ma dovrebbe svolgersi, a garanzia delle professionalità richieste, attraverso procedimenti selettivi, se del caso assistiti del necessario grado di flessibilità, la cui gestione andrebbe affidata alla stessa Autorità.

Signor Presidente, Onorevoli Senatori, Vi ringrazio per l’attenzione".

(Francesco Tesauro, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato)

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