Adunanza Plenaria 4/2002

Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria

Sentenza 2 maggio 2002 n. 4

Restitutio in integrum. Va riconosciuto il trattamento economico per il periodo di sospensione cautelare dal servizio detratto il periodo della sanzione disciplinare inflitta.

I periodi di detenzione, anche se non scontati, vanno esclusi dal riconoscimento dei benefici economici al dipendente condannato in sede penale (Cons. Stato, Adunanza Plenaria n.15 del 1999).

Per tali periodi l’accertamento definitivo che pone termine alla efficacia temporanea della sospensione cautelare si conclude con la conferma delle ragioni di cautela che avevano indotto l’Amministrazione a sospendere il dipendente dal servizio e, quindi, per tali periodi la interruzione del rapporto non è imputabile all’Amministrazione.

Non rileva a tal fine l’art. 166 del cod. pen. che stabilisce che non può costituire ostacolo all’accesso al pubblico impiego la condanna con pena sospesa condizionalmente, in quanto ci si riferisce ad un momento diverso, anteriore alla costituzione del rapporto di lavoro. Diversa rilevanza assumono i fatti successivi, che assumono rilievo e consistenza di illeciti disciplinari e per i quali, impregiudicata la permanenza del rapporto di servizio ed in pendenza dello stesso, non può essere ricondotta al comportamento dell’Amministrazione la responsabilità della interruzione del sinallagma tra prestazione dell’attività lavorativa e controprestazione.

Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria

Sentenza 2 maggio 2002 n. 4

sul ricorso in appello n.r. 5 del 2001 dell’Adunanza Plenaria proposto dal prof. M. D. rappresentato e difeso dagli avv.ti Vincenzo Spagnuolo Vigorita e Italo Spagnuolo Vigorita ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio Giammarco Grez in lungotevere Michelangelo n. 9;

CONTRO

Il Provveditorato agli studi di Napoli, in persona del legale rappresentante ed il Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati per legge in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione seconda, n. 1355 del 29 maggio 1997;

nonché per la declaratoria

del diritto dell’appellante e per la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione dei ratei stipendiali dovuti a tenore dell’art 96 del DPRn.3/1957 per il periodo di sospensione cautelare eccedente la durata della sospensione disciplinare, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme rivalutate a far data dalla maturazione dei singoli ratei;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza di rimessione della VI Sezione n.3084/01 del 7 giugno 2001;

Visti gli atti tutti della causa ;

data per letta alla pubblica udienza del 29 ottobre 2001 la relazione del consigliere dottor Goffredo Zaccardi e udito, altresì, l’avv. dello Stato Paola Maria Zerman per le Amministrazioni appellate;

Ritenuto in fatto e diritto quanto segue :

FATTO

Il Provveditore agli studi di Napoli con atto 23 maggio 1986 n.514 ha disposto la sospensione cautelare (obbligatoria) dal servizio dell’appellante, sottoposto a procedimento penale, ai sensi dell’art.91 del T.U. degli impiegati civili dello Stato approvato con D.P:R. 10 gennaio 1957 n. 3.

Con D.M. 27 luglio 1987 la sospensione obbligatoria veniva trasformata, senza alcuna interruzione, in sospensione cautelare facoltativa in considerazione della gravità dell’imputazione e della incompatibilità della permanenza in servizio del prof. D. con l’interesse pubblico riservato alla cura dell’Amministrazione scolastica.

L’imputazione riguardava il reato di cui all’art.72 della legge n.685 del 22 dicembre 1975 “per aver detenuto, trasportato, offerto ecc.” sostanze stupefacenti sia pure in modica quantità.

Il Tar per la Campania, sezione seconda, con sentenza n. 328 del 15 novembre 1993, limitava gli effetti della sospensione cautelare nei confronti dell’appellante al quinquennio decorrente dalla data di adozione del provvedimento stesso e, quindi, al 23 maggio 1991.In parziale esecuzione di detta sentenza l’appellante veniva riammesso in servizio con decorrenza dal dicembre 1993 ed il 7 febbraio 1994 riprendeva la sua attività di docente.

Il prof. D., in seguito al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna (a due anni e tre mesi di reclusione e £100 mila di multa) della Corte di Appello presso il Tribunale di Napoli n.375 del 20 gennaio 1993 intervenuto per il rigetto del ricorso proposto in Cassazione con sentenza della Suprema Corte n.536 del 21 ottobre 1993, veniva sottoposto a procedimento disciplinare a tenore degli art. 103 e seguenti del DPR 3/1957.

La richiesta di destituzione, avanzata nell’atto di contestazione degli addebiti del 24 febbraio 1994, veniva respinta all’unanimità dal Consiglio di disciplina nella seduta del 1° giugno 1994 ed era sostituita dalla proposta di irrogazione della sanzione più lieve della sospensione dall’insegnamento per sei mesi prevista dall’art.94 lett. c) del DPR 31 maggio 1974 n.417.

Il procedimento si concludeva con l’irrogazione della sospensione di sei mesi dall’insegnamento con atto n. 151 del 12 agosto 1994 del Provveditore agli studi di Napoli. In detto provvedimento si puntualizzava che la sanzione inflitta doveva essere computata nella sospensione cautelare già subita dal docente e che, in ottemperanza alla linea interpretativa seguita in sede di controllo dalla Corte dei Conti (Adunanza del 16 aprile 1992 n.69/1992), non competeva al prof. D. alcun trattamento economico per il periodo trascorso in stato di sospensione cautelare.

In primo grado l’attuale appellante ha impugnato tale provvedimento in questa sua ultima parte chiedendo l’accertamento del diritto e la condanna dell’Amministrazione a corrispondere gli emolumenti dovuti ai sensi dell’art.96 del DPR 3/1957 per tutto il periodo di sospensione cautelare dal 23 maggio 1986 al dicembre 1993 con eccezione dei sei mesi per i quali era stata inflitta la sospensione dall’insegnamento.

La sentenza appellata ha rigettato la domanda attenendosi, in definitiva, al suindicato orientamento della Corte dei Conti, Sezione controllo Stato, orientamento ribadito con decisioni n.17/1998 e 60/1999.

La tesi del giudice di primo grado è essenzialmente incentrata sulla considerazione che la interruzione del rapporto sinallagmatico nel rapporto di servizio dei dipendenti pubblici dovuta alla sospensione cautelare in relazione alla instaurazione di un procedimento penale nei confronti di un dipendente pubblico è conseguenza diretta dell’illecito del dipendente e non è in alcun modo imputabile all’Amministrazione che ne subisce gli effetti in forza di un fatto esterno al rapporto di servizio.

Pertanto, al di fuori dell’ipotesi specificamente disciplinata dall’art.97 del DPR 3/1957 di assoluzione con formula piena con conseguente pieno riconoscimento del trattamento economico non goduto nel periodo di sospensione, nei casi di condanna nulla spetta al dipendente sospeso cautelarmente dal servizio per il periodo di durata della sospensione cautelare.

Nell’atto di appello si sostiene che:

a) l’art.96 del DPR 3/1957 è inequivoco nel riconoscere il diritto del dipendente sospeso cautelarmente a percepire tutti gli assegni spettanti per il tempo eccedente la durata della sanzione disciplinare inflitta quando questa sia di durata inferiore alla sospensione cautelare. Ciò indipendentemente dalla natura della sospensione cautelare;

b) la giurisprudenza amministrativa è orientata nel senso di ritenere pienamente compatibile tale disposizione con l’art.97 del DPR 3/1957 che disciplina gli effetti della sospensione cautelare nei casi di collegamento con procedimenti penali;

c) l’evoluzione legislativa è nel senso, una volta venuta meno la destituzione di diritto, di valutare la condanna penale alla stregua di ogni altro fatto che comporti responsabilità disciplinare e non vi è più spazio per distinguere, quanto agli effetti della sospensione cautelare, a seconda che sia stata disposta in pendenza di procedimento penale oppure indipendentemente da tale circostanza;

d) la natura cautelare e temporanea della sospensione in parola comporta che la giurisprudenza si è orientata a negare la sussistenza di effetti negativi permanenti riconducibili ad essa;

e) la giurisprudenza amministrativa è ferma nel negare il fondamento dell’assunto dell’organo di controllo sullo specifico punto qui in esame.

L’Avvocatura Generale ha, con ampia memoria, ribadito la correttezza della decisione appellata e la fondatezza del citato orientamento della Corte dei Conti.

La Sesta Sezione ha rimesso la questione di merito effettuando una analisi approfondita delle pronunce del Consiglio di Stato in materia riassumendo con completezza le ragioni che hanno indotto nel tempo questo giudice a disattendere le tesi della Corte dei Conti.

La causa discussa all’udienza del 29 ottobre 2001 è passata in decisione.

DIRITTO

1) La questione di diritto rimessa all’Adunanza Plenaria verte sulla applicabilità dell’art. 96, secondo comma, del DPR 3/1957 all’appellante , insegnante di scuola media sospeso cautelarmente dal servizio per l’instaurazione nei suoi confronti di un procedimento penale, poi conclusosi con una condanna a due anni e tre mesi di reclusione con pena sospesa, e successivamente sottoposto a procedimento disciplinare definito con l’irrogazione di una sanzione diversa dalla destituzione dall’impiego e, segnatamente, la sospensione dalla qualifica per sei mesi.

E’ opportuno precisare che sul medesimo problema interpretativo il Consiglio di Stato si è pronunciato ripetutamente in termini positivi e che questa Adunanza ha ribadito tale orientamento con decisioni n.8 del 6 marzo 1997 e n.15 del 16 giugno 1999 (per una rassegna completa della giurisprudenza sul punto cfr, ordinanza di rimessione della Sesta Sezione n. 3084/2001).

Non sussistono elementi per rivedere tale indirizzo sulla base delle argomentazioni che seguono argomentazioni che, in definitiva, si riallacciano al precedente percorso della predetta giurisprudenza. L’assunto avversato dall’appellante della inapplicabilità della disposizione richiamata si fonda, essenzialmente , sulla considerazione della riconducibilità della sospensione cautelare dal servizio , nei casi in cui questa sia collegata alla instaurazione di un procedimento penale nei confronti del dipendente, all’illecito penale del dipendente stesso: con la conseguenza che la interruzione del rapporto sinallagmatico nel rapporto di lavoro deve essere riferita solo alla responsabilità di quest’ultimo.

A) In primo luogo si deve considerare la formulazione letterale dell’art. 96 , secondo comma del DPR 3/1957 che esplicitamente dispone per la corresponsione di “tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, per il tempo eccedente la durata della punizione o per effetto della sospensione “nei casi – come quello in esame – in cui sia stata inflitta la sanzione della sospensione dalla qualifica per una durata inferiore al periodo di sospensione cautelare ovvero una sanzione meno grave o per l’ipotesi in cui il procedimento disciplinare si chiuda con il proscioglimento del dipendente .Non esiste in tale disposizione alcun elemento testuale che consenta all’interprete di non applicarla quando la sospensione cautelare segua un procedimento penale anziché l’adozione di una sanzione disciplinare a conclusione di apposito procedimento.

Appare sul punto non decisivo l’argomento, ripreso nella sentenza appellata, secondo cui l’art. 96 citato – prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 971 /1988 che ha fatto venir meno la maggior parte delle ipotesi di destituzione di diritto conseguente a condanna penale determinando così la necessità di attivazione, per tutte queste ipotesi, del procedimento disciplinare – era destinato a regolare solo il raccordo tra il giudizio disciplinare e la precedente sospensione cautelare dal servizio emessa ai sensi dell’art. 92 del DPR3/1957 per gravi motivi ma non in occasione dell’instaurazione di un procedimento penale.

E’ sufficiente, a confutazione di tale tesi , osservare che anche prima dell’intervento della citata sentenza della Corte Costituzionale era ben possibile l’applicazione dell’art.96 del DPR3/1957 in tutti i casi di condanna del dipendente per reati non contemplati dall’art.85, primo comma lett.a) (delitti contro la persona, contro la libertà individuale e la libertà personale e contro l’onore nonché alcuni reati minori contro la fede pubblica).

Non è perciò esatto l’assunto che la norma in questione sarebbe oggi applicabile a situazioni originariamente non rientranti nel suo ambito di applicazione. E’ soltanto divenuto più ampio il novero di reati per i quali in caso di sentenza definitiva di condanna è necessario apprezzare specificamente nel giudizio disciplinare le ripercussioni sul rapporto di servizio del dipendente condannato.

Del resto , anche volendo seguire l’impostazione qui sottoposta a critica, è del tutto normale che una norma presente nell’ordinamento debba essere applicata in un sistema che si modifica continuamente sia per l’ordinario processo di abrogazione di leggi che in forza delle pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale che ridisegnano in un processo continuo il diritto vivente.

B) Da altra angolazione è stato riconosciuto il carattere tipico dell’ordinamento del pubblico impiego che corrisponde nel regime delineato dal DPR 3/1957 sia all’esigenza di garanzia dei dipendenti che, in special modo, a quella del miglior funzionamento possibile della complessa organizzazione che assicura l’adempimento delle più significative funzioni dello Stato. In tale contesto l’interferenza di fatti estranei al rapporto di servizio , e che corrispondono ad esigenze di giustizia o di altro genere , è valutata dal legislatore ed ammessa nei limiti ed alle condizioni che l’ordinamento di settore definisce puntualmente .

La mancata previsione di un rilievo specifico delle sentenze penali di condanna determina la necessità della valutazione dei fatti secondo le regole proprie dell’ordinamento di settore e, quindi , la loro considerazione a fini disciplinari .E’ in tale sede infatti che l’Amministrazione è chiamata a valutare i comportamenti del dipendente non per il rilievo penale che hanno assunto ma per le possibili conseguenze sul corretto ed efficiente espletamento delle funzioni del dipendente stesso che appare preordinato, nell’ordinamento di settore, al conseguimento ottimale degli obiettivi della funzione amministrativa.

Pertanto , poiché esistono ancora ipotesi in cui i provvedimenti giudiziari producono effetti direttamente sul rapporto di servizio senza alcun tramite :così per l’art.91 , primo comma seconda ipotesi (emissione del mandato o ordine di cattura); per l’art.97 (effetti delle sentenze di proscioglimento con formula piena) ed 85, primo comma lett.b) (casi di destituzione di diritto in seguito a condanna penale che comporti l’interdizione perpetua dai pubblici uffici) è doveroso interpretare queste disposizioni per il loro contenuto specifico senza trarne conseguenze con riguardo a fattispecie non contemplate dalle norme di deroga e che rientrano naturalmente nell’ ambito della disciplina disegnata dal DPR 3/1957.

C) La tesi, condivisa dalla Corte dei Conti, secondo cui l’art.97 recherebbe una eccezione alla regola dettata dall’art.96 escludendo del tutto il diritto alla corresponsione degli arretrati non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare quando sia intervenuta una condanna in sede penale del dipendente non persuade anche per una ulteriore ragione indicata con chiarezza nella Adunanza Plenaria n.15 del 16 giugno 1999: le due norme riguardano aspetti diversi del procedimento disciplinare , anche temporalmente .

La prima presuppone la conclusione dello stesso e determina gli effetti del provvedimento finale sulla sospensione cautelare ( assorbimento della sanzione inflitta nel periodo di sospensione cautelare e restituzione “in integrum” per il resto), la seconda regola invece il comportamento dell’Amministrazione in una fase anteriore al procedimento disciplinare quando intervenga una sentenza di proscioglimento pieno del dipendente .

In tal caso è prevista la reintegrazione della posizione giuridica ed economica del dipendente per intero ovvero, quando la formula sia diversa ed, a giudizio del Collegio, anche per il caso di condanna che non comporti destituzione di diritto, l’obbligo della attivazione del procedimento disciplinare . Alla conclusione di tale procedimento riprende “tout- court” vigore la disciplina dell’art.96 per tutte le ipotesi considerate .

D) L’argomento logico su cui si regge l’orientamento giurisprudenziale qui condiviso – ben evidenziato dall’ordinanza di rimessione richiamando significative pronunce del Consiglio di Stato – è nella natura cautelare della sospensione di cui si discute il che comporta la temporaneità della misura e la sua strumentalità rispetto ai provvedimenti chiamati a dare un assetto definitivo al rapporto di servizio . Provvedimenti che non possono essere altri rispetto a quelli cui l’ordinamento del pubblico impiego affida questa funzione e, quindi , gli atti conseguenti all’accertamento di responsabilità disciplinari del dipendente.

L’attribuzione di un effetto definitivo al provvedimento cautelare nel senso di cristallizzare in capo al dipendente una responsabilità per fatti , in ipotesi sanzionabili penalmente ma irrilevanti sul piano disciplinare, urta contro la funzione propria degli atti cautelari diretti alla conservazione di situazioni giuridiche in attesa della definizione delle stesse in modo permanente ed , inoltre, con insopprimibili esigenze di giustizia.

Né valgono, in contrario, gli argomenti, non giuridici ma di mera opportunità, diretti a porre in risalto la difficoltà in cui verserebbe l’Amministrazione chiamata a sopportare oneri finanziari gravi o a disporre la destituzione proprio per scongiurare gli anzidetti pesanti oneri economici.

Basti a questo riguardo solo ricordare che in molti casi la destituzione, in puntuale applicazione della legge,dovrebbe essere comminata senza alcuna preoccupazione di carattere umanitario che l’ordinamento esclude in questa materia ,in relazione ad una casistica completa e ben articolata (di cui all’art.84 del DPR 3/1957 ) che comprende ipotesi di mancanze meno gravi e significative di quelle che possono emergere in sede di giudizi penali definiti con condanna del dipendente.

Incidentalmente si osserva che nel caso in esame (condanna a due anni e tre mesi di reclusione per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti in modica quantità inflitta ad un insegnante di scuola media) una conclusione diversa del procedimento disciplinare sarebbe stata del tutto normale e conforme all’interesse pubblico al conseguimento di condizioni ottimali di insegnamento.

E) Può essere utile precisare ancora un altro argomento che sostiene in modo decisivo la tesi qui accolta :che essendo la sospensione cautelare dal servizio adottata in base ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione (con eccezione della ipotesi della emissione del mandato o ordine di cattura nei confronti del dipendente )non è corretto ritenere la non imputabilità della interruzione del rapporto sinallagmatico all’Amministrazione medesima posto che è la stessa Amministrazione che valuta i presupposti per l’adozione della misura e ne determina i contenuti.

Quando poi nella sede propria degli accertamenti definitivi emerga che la sospensione non era giustificata ,in tutto o in parte, non può essere addebitabile al dipendente la interruzione del rapporto di servizio ed il mancato adempimento della prestazione dovuta a tenore dell’art 1218 del codice civile.

2) Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso in appello va accolto in parte con il riconoscimento del trattamento economico all’appellante per il periodo di sospensione cautelare dal servizio detratti i sei mesi di sanzione disciplinare inflitta di sospensione dalla qualifica ed i due anni e tre mesi di reclusione irrogati dal giudice penale e , pertanto , a decorrere dal 23 febbraio 1989 al dicembre 1993.

Quanto a questa ultima statuizione va condiviso l’indirizzo , ribadito nella decisione dell’Adunanza Plenaria n.15 del 1999, secondo cui i periodi di detenzione , anche se non scontati , vanno esclusi dal riconoscimento dei benefici economici al dipendente condannato in sede penale.

E’, infatti, evidente che per tali periodi l’accertamento definitivo che pone termine alla efficacia temporanea della sospensione cautelare si conclude con la conferma delle ragioni di cautela che avevano indotto l’Amministrazione a sospendere il dipendente dal servizio e , quindi , per tali periodi la interruzione del rapporto non è imputabile all’Amministrazione.

Sul punto non varrebbe, per giungere ad una conclusione opposta, riferirsi al disposto dell’art. 166 del cod. pen.- come sostituito dall’art.4 della legge 7 febbraio 1990,n.19, -che ha stabilito che non può costituire ostacolo all’accesso al pubblico impiego la condanna con pena sospesa condizionalmente .

Si tratta di una norma che attiene ad un momento diverso, anteriore alla costituzione del rapporto di lavoro e per il quale è condivisibile ritenere l’ininfluenza di fatti pregressi di rilievo penale se la pena è sospesa , nel caso di specie si tratta , invece , di fatti che assumono rilievo e consistenza di illeciti disciplinari e per i quali , impregiudicata la permanenza del rapporto di servizio ed in pendenza dello stesso, non può essere ricondotta al comportamento dell’Amministrazione la responsabilità della interruzione del sinallagma tra prestazione dell’attività lavorativa e controprestazione.

Sono riconosciuti interessi nella misura legale e rivalutazione sino al soddisfo.

Sussistono motivi per procedere alla compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, accoglie in parte l’appello indicato in epigrafe nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara il diritto dell’appellante al riconoscimento del trattamento economico spettante ai sensi dell’art. 96 del DPR 3/1957 come precisato in motivazione con rivalutazione monetaria ed interessi nella misura legale con condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento di quanto dovuto all’appellante.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma , nella camera di consiglio del 29 ottobre 2001.

(Alberto de Roberto, Presidente; Goffredo Zaccardi, Estensore)

Redazione

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