La Corte di Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito che avevano condannato per il reato di abusiva duplicazione di programmi per elaboratore un ex dipendente di una società che aveva copiato il code-line – il codice di controllo del programma – di un software di proprietà della società stessa, al fine di utilizzarlo per favorire l’inserimento nel mercato della nuova impresa che lo aveva assunto. Tale porzione di software, pur consistendo in poche righe del codice sorgente, è stato dunque, secondo la Corte di Cassazione, riutilizzato in violazione della normativa sulla proprietà intellettuale.
E’ questa l’interessante conclusione alla quale è pervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza 24 aprile 2002, n. 15509 che, a tale proposito, ha chiarito che la nozione di programma per elaboratore comprende non solo il codice macchina – ossia il file eseguibile, formulato in un linguaggio comprensibile unicamente dalla macchina -, ma anche il codice sorgente – ossia il codice espresso in linguaggi di programmazione – sia nella sua interezza che in una sua porzione, come appunto il code-line, purché tale porzione sia dotata di una propria autonomia funzionale e, comunque, costituisca il nucleo centrale del software, tale da essere riconosciuta come “originale”.
La previsione del contrassegno SIAE, ha tra l’altro confermato la sentenza, non esclude l’illiceità della duplicazione, in quanto la legge tutela il programma per elaboratore in sé, indipendentemente dalla presenza del contrassegno.
La punibilità della illegittima duplicazione anche soltanto parziale del software si desume dal combinato disposto degli artt. 64 bis, ter e quater della legge 633/41, che disciplinano rispettivamente i diritti dell’autore del software, dell’utente e del titolare del diritto di utilizzazione del programma, e dell’art. 171 bis, che sanziona “chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore”.