Procedure di gara in deroga alla legge 109/1994

A parere dell’Autorità, non è consentito realizzare opere pubbliche o di pubblico interesse o destinate ad un uso pubblico mediante schemi procedimentali differenti rispetto a quelli specificamente disciplinati dalla legge 11 febbraio 1994 n. 109 e, più in generale, dalla normativa di settore.

Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici

Determinazione del 30 luglio 2002 n. 22

Possibilità di ricorrere a procedure concorsuali anomale difformi da quelle tipologicamente individuate nella legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m.

Premesso

Sono pervenuti all’Autorità numerosi quesiti riguardanti la legittimità di procedure di realizzazione di opere pubbliche in deroga alle disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m. I quesiti in particolare fanno riferimento ad alcune gare di appalto, caratterizzate dal fatto che la Stazione Appaltante affida all’iniziativa privata il compito di realizzare con capitale privato opere pubbliche o di interesse pubblico, previa la vendita del terreno pubblico all’impresa aggiudicataria, con spese a carico dell’impresa medesima, la quale resta proprietaria dell’immobile, con il solo vincolo della destinazione dell’opera al servizio pubblico, e percepisce un canone di affitto da parte dell’Amministrazione conduttrice dell’edificio.

Trattasi di modelli giuridici non riconducibili né allo schema della concessione di costruzione e gestione né a quello del project financing, atteso che difettano i requisiti caratterizzanti questi istituti (durata della concessione, assenza di progettazione preliminare, inserimento dell’opera nella programmazione triennale, predisposizione di un piano economico finanziario).

In ordine a simili fattispecie, l’Autorità ha espresso i propri avvisi in più occasioni, ma data l’importanza che hanno le questioni sollevate ritiene opportuno adottare una determinazione che, alla luce di quanto già affermato e di nuove considerazioni, possa costituire un inquadramento generale della problematica in esame.

Considerato

La questione giuridica principale sottesa alle fattispecie in esame consiste nel verificare la legittimazione delle Amministrazioni Pubbliche a realizzare opere pubbliche o di pubblico interesse mediante schemi procedimentali differenti rispetto a quelli specificamente disciplinati dalla legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m.

E’ basilare principio che l’attività della PA si correla a norme primarie e secondarie che la finalizzano e la funzionalizzano secondo fasi procedimentali tese ad assicurare il perseguimento degli interessi generali, attraverso una ben strutturata sequenza procedimentale che, nel caso di attività contrattuale, è quella dell’evidenza pubblica.

Ne segue che, una volta accertato che l’operazione finalizzata alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblico interesse è qualificabile come lavoro pubblico, ai sensi dell’art.2 della legge 109/94 e s.m., è la stessa legge quadro e, più in generale, la normativa pubblicistica in materia, comprensiva altresì delle leggi settoriali concernenti specifici tipi di lavori o di opere pubbliche, cui occorre fare riferimento per individuare gli ambiti tipologici entro i quali effettuare la scelta del contratto da utilizzare.

L’art. 19, comma 1, della L.109/94 restringe espressamente le tipologie contrattuali a due sole ipotesi. Secondo tale norma, infatti, «i lavori pubblici di cui alla presente legge possono essere realizzati esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, salvo i lavori in economia di cui all’art. 24 comma 6». La disposizione contiene, quindi, un’elencazione tassativa dei tipi di contratto ammessi ed esclude, con riferimento alla realizzazione di un lavoro pubblico, l’utilizzazione di differenti moduli negoziali. È, inoltre, significativa l’aggiunta nel testo della norma, ad opera dell’art.3, co.3, della legge 18 novembre 1998, n.415 dell’avverbio “esclusivamente”, con la conseguenza che i due moduli enucleati nella norma costituiscono gli unici strumenti cui è possibile ricorrere, risultando inammissibile che la scelta del tipo contrattuale resti affidata al prudente apprezzamento della pubblica amministrazione, la quale sarebbe in definitiva arbitra di decidere se applicare o meno la legislazione sui lavori pubblici e, quindi, per le opere c.d. sopra soglia, se sottostare o meno alla concorrenza comunitaria.

La legge Merloni, peraltro, vincola la Pubblica Amministrazione non solo sotto il profilo della scelta del modello contrattuale, ma anche in relazione agli ulteriori aspetti afferenti, ad esempio, alla progettazione, ai requisiti dell’impresa realizzatrice, alla direzione dei lavori, al collaudo. Si tratta, infatti, di norme, ulteriormente specificate dai regolamenti contenuti nel D.P.R. 21 dicembre 1999, n.554, e nel D.P.R. 25 gennaio 2000, n.34, che hanno natura imperativa e non possono essere derogate dall’autonomia negoziale, proprio perché realizzano l’esigenza di assicurare il perseguimento di interessi pubblici preminenti, quali l’efficienza e l’efficacia, la tempestività, la trasparenza, la correttezza dell’agere amministrativo in materia di opere e lavori pubblici e della libera concorrenza tra gli operatori, ai sensi dell’art.1 dellaL.109/94 e s.m.

Ed è, pertanto, evidente la conseguente inammissibilità di procedure atipiche per la realizzazione di opere pubbliche o destinate ad un pubblico servizio, atteso che il sistema e le modalità prescelti potrebbero avere finalità o quantomeno produrre risultati elusivi della normativa interna e comunitaria in tema di opere pubbliche.

Nel caso di specie, appare evidente che la costruzione di un’opera con caratteristiche predefinite dall’Amministrazione per soddisfare specifici interessi pubblici qualifica ex se la natura pubblica dell’opera stessa, con la conseguenza che a tale fattispecie si deve applicare la legge quadro sui lavori pubblici.

La fattispecie costruita dall’Amministrazione presenta, invece, marcate analogie con l’acquisto di cosa futura, in relazione al quale specificamente è stato affermato dal Consiglio di Stato, con il parere n. 2/2000 reso nell’adunanza del 17 febbraio 2000, che sussistono ben precisi limiti derivanti dalla disciplina pubblicistica che ha procedimentalizzato l’agire della Pubblica Amministrazione.

Inoltre, il legislatore ha espressamente previsto la possibilità del concorso finanziario privato ma solo mediante l’uso degli istituti della concessione e del project financing, restando escluso il ricorso a qualunque altro strumento giuridico non tipizzato.

Per le considerazioni sopra esposte, si esprime l’avviso:

– non è consentito realizzare opere pubbliche o di pubblico interesse o destinate ad un uso pubblico mediante schemi procedimentali differenti rispetto a quelli specificamente disciplinati dalla legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m., e, più in generale dalla normativa di settore.

Roma, 30 luglio 2002

Redazione

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