“Quando una Pubblica amministrazione dispone di immobili non direttamente connessi all’espletamento di fini istituzionali e decida di cederli a terzi in proprietà o in locazione allo scopo di trarne il conseguente frutto, non è tenuta a predisporre e rispettare particolari procedure pubblicistico-concorsuali.
In altri termini, nell’ambito di un’attività meramente privatistica che pur deve riconoscersi legittimamente attribuibile ed esercitabile da parte della P.A., questa può svolgere liberamente la propria attività negoziale senza dover applicare quelle metodologie procedimentali che la legge impone nell’ambito delle attività pubblicistiche-istituzionali, avendo come soli limiti (derivatigli dalla sua natura pubblica) di cedere il bene alle migliori condizioni di mercato, tenendo conto del valore dello stesso secondo le stime dei propri organi tecnici.
Nella fattispecie, il Comune ha ritenuto di cedere in locazione l’immobile in questione all’esito di una articolata e completa istruttoria sulla convenienza del canone, sulle modalità di pagamento e sull’affidabilità della locatrice e, solo successivamente ha proceduto alla stipula del contratto con la controinteressata società, non essendo obbligata, in tale contesto per le considerazioni svolte, a dover procedere ad alcuna gara o procedimento di comparazione.
Né sussistono le ulteriori censure di difetto di motivazione della deliberazione comunale originariamente impugnata e della sentenza, e di violazione dei principi garantiti e partecipativi previsti dalla L. n.241/1990, perché da un lato ambedue i provvedimenti motivano esaurientemente e puntualmente sulla validità dei presupposti tenuti presenti dal Comune per la legittima determinazione di addivenire alla locazione senza dover sottoporre tale scelta a regole e procedure tipiche dell’attività pubblicistico-istituzionale, e dall’altro la tipologia dell’attività svolta non rientra in quelle previste dalla L. n.241/1990″.
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Consiglio di Stato, sezione V
Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5121
sul ricorso in appello numero di registro generale 1108/96 del 22 gennaio 1996 proposto dai Signori Giovanni De Simone, Mario D’Anna e Agostino Ragozzino rappresentati e difesi, per delega a margine dell’atto di appello dall’Avv. C. Centore ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Sistina, 123;
Contro
il Comune di Caserta in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Adolfo Russo ed elettivamente domiciliato presso lo studio Geraci in Roma, Via Poerio, 56;
E nei confronti
della Società M.G.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, per delega dall’Avv. G. Casertano ed elettivamente domiciliata presso G. Bonito in Roma, viale Somalia, 189;
Per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, n.353 del 9 novembre 1995,
Visto il ricorso con i relativi allegati. Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata. Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese. Visti gli atti tutti della causa. Relatore, alla pubblica udienza del 12 marzo 2002, il Consigliere Francesco D’Ottavi. Uditi i difensori delle parti come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto
Con la richiamata sentenza il Tribunale Amministrativo Regionale respingeva il ricorso degli attuali appellanti con cui questi chiedevano l’annullamento della deliberazione della G.M. del Comune di Caserta n.1545 del 16 dicembre 1991, con cui il predetto Comune aveva concesso in locazione alla Società MGS a r.l. di Caserta, l’immobile di proprietà Comunale, sito in Corso Trieste, Caserta.
Gli appellanti, operatori commerciali con regolari esercizi attivi in Caserta, deducono l’illegittimità della sentenza per i seguenti motivi:
a) eccesso di potere per illogicità e mancato esame e comparazione delle offerte proponibili e delle richieste già avanzate, da mettere a raffronto;
b) eccesso di potere per illogicità e manifesta ingiustizia perché l’Amministrazione da una parte aveva rappresentato che, per il momento, non si poteva addivenire ad alcuna locazione e dei locali, e poi, dopo quindici giorni, procedeva, alla contestata locazione;
c) violazione della legge n.241/90, sulla trasparenza amministrativa e sul doveroso contraddittorio da mettere in atto con i ricorrenti/appellanti;
d) violazione degli artt.83 e 84 dello Statuto del Comune di Caserta, laddove è prevista la partecipazione, in ogni procedimento amministrativo, e quindi anche in quello teso al fitto di locali, di sentire vari soggetti “interessati” alla problematica e così via.
Gli appellanti in particolare rilevano che non si può condividere, nella sentenza, l’affermazione secondo cui l’Amministrazione civica non è tenuta a porre in essere …” procedimenti concorsuali di particolare natura risultando l’attività negoziale da esperirsi condizionata al solo obiettivo di cedere il bene alle migliori condizioni di mercato, tenendo conto del valore dello stesso secondo le stime degli organi tecnici all’uopo interpellate …”.
Invero, secondo gli appellanti l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto: – pubblicizzare la dismissione dei locali e la loro possibilità di locazione; – invitare i soggetti terzi, interessati alla locazione, a far pervenire le offerte; – comparare le stesse e, in armonia e in raccordo alle valutazioni e alle stime dei competenti uffici tecnici, scegliere la migliore offerta e addivenire alla relativa locazione.
Né, a detta degli appellanti, si comprende come possa risultare un’attività negoziale, in termini ottimali e … alle migliori condizioni di mercato … così come si afferma in sentenza, una volta che si è utilizzata una sola richiesta e una sola offerta e una volta che si era esclusa la possibilità addirittura di addivenire alla locazione.
Sempre secondo gli appellanti il TAR ha errato anche quando assume che l’Amministrazione non era tenuta ad utilizzare altre offerte, presentate da terzi, visto che le stesse non erano specifiche e puntuali come l’offerta della Società controinteressata.
Il Tribunale dimentica che, nel caso di specie ai terzi, ossia ai ricorrenti, non era stato assolutamente detto che si voleva addivenire alla locazione e che detti terzi, ossia i ricorrenti, si sarebbero certamente attivati, anche per la presentazione delle offerte, laddove avessero avuto, come risposta alle loro insistenze, quella secondo cui l’immobile lo si andava a locare ed era ben possibile presentare offerte.
Gli appellanti concludono per l’accoglimento del gravame con ogni consequenziale statuizione di legge. Alla pubblica udienza del 12 marzo 2002 il ricorso veniva trattenuto in decisione su conforme istanza degli avvocati delle parti.
Diritto
Come riportato nella narrativa che precede con l’appello in esame viene impugnata la sentenza n.353/1995 del 9 novembre 1995 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Napoli – Prima Sezione, ha respinto il ricorso proposto dagli attuali appellanti avverso la delibera sopra richiamata con cui l’appellato Comune di Caserta ha ceduto in locazione alla società controinteressata alcuni locali di proprietà comunale.
Gli appellanti, operatori commerciali con attività nel territorio comunale e interessati in quanto tali ad ottenere in locazione l’immobile, reiterano in questa sede – rimodulandole avverso il contenuto e la motivazione dell’impugnata decisione – le censure di violazione di legge e di eccesso di potere già dedotte in primo grado, censure con cui sostanzialmente lamentano l’illegittimità del comportamento del Comune che non ha tenuto in alcun conto le loro istanze per ottenere in locazione l’immobile e, più in generale, che il medesimo Comune non ha svolto al riguardo alcuna procedura pubblicistico-competitiva, che non ha motivato la propria determinazione con il necessario riferimento alla validità dei presupposti che hanno imposto la scelta perseguita.
L’appello è infondato.
Ritiene invero il Collegio di dover pienamente condividere l’argomentazione di fondo sostenuta dal Tribunale secondo cui, quando una Pubblica amministrazione dispone di immobili non direttamente connessi all’espletamento di fini istituzionali e decida di cederli a terzi in proprietà o in locazione allo scopo di trarne il conseguente frutto, non è tenuta a predisporre e rispettare particolari procedure pubblicistico-concorsuali.
In altri termini, nell’ambito di un’attività meramente privatistica che pur deve riconoscersi legittimamente attribuibile ed esercitabile da parte della P.A., questa può svolgere liberamente la propria attività negoziale senza dover applicare quelle metodologie procedimentali che la legge impone nell’ambito delle attività pubblicistiche-istituzionali, avendo come soli limiti (derivatigli dalla sua natura pubblica) di cedere il bene alle migliori condizioni di mercato, tenendo conto del valore dello stesso secondo le stime dei propri organi tecnici.
Nella fattispecie, come pure rilevato dal Tribunale, il Comune ha ritenuto di cedere in locazione l’immobile in questione all’esito di una articolata e completa istruttoria sulla convenienza del canone, sulle modalità di pagamento e sull’affidabilità della locatrice e, solo successivamente ha proceduto alla stipula del contratto con la controinteressata società, non essendo obbligata, in tale contesto per le considerazioni svolte, a dover procedere ad alcuna gara o procedimento di comparazione.
Né sussistono le ulteriori censure di difetto di motivazione della deliberazione comunale originariamente impugnata e della sentenza, e di violazione dei principi garantiti e partecipativi previsti dalla L. n.241/1990, perché da un lato ambedue i provvedimenti motivano esaurientemente e puntualmente sulla validità dei presupposti tenuti presenti dal Comune per la legittima determinazione di addivenire alla locazione senza dover sottoporre tale scelta a regole e procedure tipiche dell’attività pubblicistico-istituzionale, e dall’altro la tipologia dell’attività svolta non rientra in quelle previste dalla L. n.241/1990.
Conclusivamente quindi l’appello deve essere respinto. Tuttavia sussistono validi motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza pure in epigrafe indicata.
Compensa tra le parti le spese di ambo i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
(Così deciso in Roma, il 12 marzo 2002, dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato, riunita in Camera di consiglio con l’intervento dei Signori Magistrati: Alfonso Quaranta, Presidente; Giuseppe Farina, Consigliere; Paolo Buonvino, Consigliere; Francesco D’Ottavi, Consigliere estensore)