Per i medici transitati nelle usl da settori diversi dagli ospedali, il servizio rilevante ai fini del computo dell’indennità di tempo pieno prevista dall’art. 54 10º comma, d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, è soltanto quello durante il quale i sanitari non abbiano potuto esercitare, per divieto di legge o di regolamento, la libera professione (C.d.S:, V, 21 dicembre 1989, n. 855).
Quella indennità, infatti, è diretta a compensare la più intensa partecipazione alle attività istituzionali collegata al rapporto di lavoro a tempo pieno e a incentivare l’opzione per tale tipo di rapporto. Quando la nozione di tempo pieno venga articolata solo su un più esteso orario di lavoro, vengono meno i presupposti per remunerare quella speciale forma di partecipazione alle attività istituzionali dell’ente.
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Consiglio di Stato, sezione V
Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5130
sul ricorso in appello 5954/1996 proposto dalla Gestione liquidatoria dell’ex USL n. 27 di Bologna in persona del Commissario liquidatore in carica rappresentato e difeso dall’avvocato Fabio Dani e elettivamente domiciliato in Roma, al Lungotevere Flaminio, 46 presso lo studio del dottor GianMarco Grez
Contro
i dottor i Franco Pagani, Giuseppe Piana e Francesco Pierro tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Mariateresa Ubaldini e Paolo Boer presso il quale ultimo elettivamente domiciliano in Roma alla via Alberico II, n. 33
Per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l?emilia Romagna Sede di Bologna – Sezione Prima n. 225/1996 pubblicata mediante deposito il 5 aprile 1996
Visto l’appello con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Nominato relatore per l’udienza del 30 aprile 2002 il Consigliere Filoreto D’Agostino e uditi altresì i difensori delle parti come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Ritenuto in fatto
Viene in decisione l’appello avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna ha accolto il ricorso proposto dagli odierni appellati, sanitari in servizio presso nosocomi della USL bolognese, e ha, per l’effetto, dichiarato spettare loro l’indennità di tempo pieno, con rivalutazione ed interessi.
I sanitari interessati si sono costituiti e hanno concluso per la reiezione del gravame. All’udienza del 30 aprile 2002 parti e causa sono state assegnate in decisione.
Considerato in diritto
L’appello è fondato.
La questione sottoposta al collegio è la seguente: se i sanitari dipendenti da una unità sanitaria locale che non abbiano rinunciato all’espletamento della libera professione e che siano stati impiegati a tempo pieno solo dopo una pronuncia del locale tribunale amministrativo che respingeva la loro domanda di sottrarsi alle prestazioni a tempo pieno abbiano titolo, per il periodo successivo al formarsi di quella sentenza, a vedersi riconosciuta la relativa indennità.
Va precisato che gli odierni appellati non hanno affermato in modo netto e deciso di non aver effettuato attività libero – professionale ancorché obbligati allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo pieno, ma si sono limitati a dichiarare non provata la relativa circostanza.
Si tratta di affermazione sicuramente leale sotto il profilo del contraddittorio, ma non certo utile a inibire la libera valutazione del loro comportamento da parte del Giudice.
Per poter dimostrare in concreto la cessazione di quella attività, i sanitari avrebbero dovuto fornire una non certo ardua prova positiva, attestando di aver optato per l’attività infra moenia (pienamente consentita), di aver richiesto all’Amministrazione bollettari per le ricevute fiscali, di aver quanto meno chiesto di utilizzare gabinetti e laboratori per quelle prestazioni professionali.
Era cioè onere degli appellati fare riferimento a quanto positivamente prescritto dall’articolo 26, commi 2, 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348, attestando di aver rinunciato con esplicite affermazioni (vedi anche articolo 54 c. 10 e 11 del medesimo d.P.R. n. 348 del 1983) all’attività libero professionale extra moenia.
Nulla di tutto questo è stato offerto in comunicazione dagli odierni appellati.
Non è, infatti, il mero dato del loro forzato passaggio al tempo pieno l’elemento dal quale possa desumersi, in modo incontrovertibile, la cessazione delle attività sanitarie precedentemente esercitate nei confronti di una clientela, che indubbiamente nutre un rapporto di fiducia per il professionista.
D’altro canto, lo stesso Giudice di prime cure non ha escluso la continuazione delle attività libero professionali da parte dei ricorrenti, ma si è limitato a ritenerla irrilevante ai fini della decisione come cioè mera questione di fatto, intrinsecamente priva di connotazioni giuridiche.
Il che palesemente non è, posto che, giusta le fonti regolamentari appena richiamate (sia cioè l’articolo 26 sia il successivo articolo 54 del d.P.R. n. 348 del 1983), si richiede un comportamento positivo da parte dei sanitari al fine di fissare la scelta del tempo pieno.
Alla stregua di quanto osservato, è evidente come non spettasse agli odierni appellati l’indennità di tempo pieno (che è voce aggiuntiva rispetto a quella stipendiale): per i medici transitati nelle usl da settori diversi dagli ospedali, il servizio rilevante ai fini del computo dell’indennità di tempo pieno prevista dall’art. 54 10º comma, d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, è soltanto quello durante il quale i sanitari non abbiano potuto esercitare, per divieto di legge o di regolamento, la libera professione (C.d.S:, V, 21 dicembre 1989, n. 855).
Quella indennità, infatti, è diretta a compensare la più intensa partecipazione alle attività istituzionali collegata al rapporto di lavoro a tempo pieno e a incentivare l’opzione per tale tipo di rapporto.
Quando la nozione di tempo pieno venga articolata solo su un più esteso orario di lavoro, vengono meno i presupposti per remunerare quella speciale forma di partecipazione alle attività istituzionali dell’ente.
Sembra equo compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe indicata respinge il ricorso di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
(Così deciso in Roma addì 30 aprile 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta riunito in camera di consiglio con l’intervento dei Signori: Presidente, Claudio Varrone; Consigliere, Corrado Allegretta; Consigliere, Paolo Buonvino; Consigliere, Goffredo Zaccardi; Consigliere, Filoreto D’Agostino estensore)