Consiglio di Stato n. 5133/2002

La sussistenza “in re ipsa” dell’interesse pubblico all’annullamento, che esonera l’Amministrazione dall’esporre le ragioni di intervento nella via dell’autotutela, costituisce una evenienza che la giurisprudenza considera eccezionale e legata alla specifica illegittimità consistente nel mero esborso sine titulo di somme di denaro, cui il percettore non è in condizione di contrapporre una posizione soggettiva meritevole di tutela.

Consiglio di Stato, sezione V

Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5133

sul ricorso n. 1797 del 1998, proposto da Pascarella Aniello, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe e Orazio Abbamonte, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, Via G. Porro 8

Contro

la ASL Caserta 2, rappresentata e difesa dall’ avv. Francesco Del Vecchio, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma. Viale Parioli 76, presso Del Vecchio Alfredo

E nei confronti

di Di Monaco Pasquale, rappresentato e difeso dall’ avv. Arturo Parente, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Via Serpieri 8 presso l’avv. Vincenzo Bove.

Per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sez. IV, 21 gennaio 1998, n. 135 resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio della ASL Caserta 2 e del dr. Di Monaco;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 il consigliere Marzio Branca.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

Fatto

Con la sentenza in epigrafe è stato rigettato il ricorso proposto dal dr. Aniello Pascarella, tendente all’annullamento della deliberazione n. 43 del 16 gennaio 1997, con la quale il Direttore Generale della ASL Caserta 2 aveva disposto l’annullamento della nomina del ricorrente sul posto di primario di ginecologia.

I primi giudici hanno ritenuto che il provvedimento annullato in via di autotutela era effettivamente viziato, in quanto la posizione di aiuto dirigente acquisita in epoca successiva all’emanazione del d.P.R. n. 761 del 1979 non era equiparabile a quella di primario, e che non occorreva una specifica motivazione sull’interesse pubblico, considerata la natura della fattispecie, afferente alla preposizione ad un incarico pubblico di particolare delicatezza e per la conseguente natura vincolata degli atti da adottare.

Avverso la sentenza il Pascarella ha proposto appello ribadendo le censure già dedotte in prime cure. Si sono costituiti nel giudizio di appello la ASL intimata e il dr. Di Monaco, aspirante al posto occupato dall’appellante. La Sezione ha accolto la domanda si sospensione della sentenza appellata. Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 la causa veniva trattenuta in decisione.

Diritto

Rilievo centrale nel gravame assume la doglianza di violazione dei principi regolanti l’esercizio del potere amministrativo di autotutela, assumendosi da parte dell’appellante che l’Amministrazione ha proceduto all’annullamento di un provvedimento, la nomina a primario di ostetricia e ginecologia, dopo oltre quindici anni dall’adozione dell’atto, sulla base della semplice valutazione della violazione di legge, senza procedere alla adeguata e doverosa comparazione degli interessi coinvolti e senza addurre un qualche interesse pubblico prevalente.

Analogo errore avrebbe commesso la sentenza appellata, fondata sul rilievo che l’interesse pubblico nella specie sussisteva “in re ipsa”.

La censura dedotta è fondata.

E’ pacifico in atti che la deliberazione oggetto di impugnazione riporta come motivazione il mero riferimento all’ “obbligo di ristabilire il pieno adeguamento degli atti deliberativi al rispetto della legittimità nel superiore ed inviolabile principio della tutela del pubblico interesse”.

Tanto premesso, non appare discutibile che una motivazione siffatta contrasti con i principi che reggono l’esercizio dell’autotutela dal parte dell’Amministrazione, se si tiene conto delle circostanze di fatto che colorano la fattispecie.

Tra i suddetti principi, infatti, a quello indiscutibile della assoluta discrezionalità della scelta di modificare un assetto di rapporti nascente da un provvedimento autoritativo, che si presume legittimo, fa riscontro il diverso ma coerente canone della necessità della motivazione, che si risolve nell’obbligo di dimostrare che la scelta effettuata ha tenuto conto di tutti gli interessi implicati dalla progettata eliminazione del provvedimento precedente, per poi concludere che deve essere data prevalenza a quello che depone in favore dell’annullamento (Cons. St. Sez. V. 6 settembre 2001, n. 4669).

Nulla di tutto questo ha fatto la ASL resistente, e per ciò solo l’atto, che andava a stravolgere una situazione instaurata ed operante da oltre quindici anni, doveva ritenersi illegittimo.

E’ infatti da considerare che la sussistenza “in re ipsa” dell’interesse pubblico all’annullamento, che esonera l’Amministrazione dall’esporre le ragioni di intervento nella via dell’autotutela, costituisce una evenienza che la giurisprudenza considera eccezionale e legata alla specifica illegittimità consistente nel mero esborso sine titulo di somme di denaro, cui il percettore non è in condizione di contrapporre una posizione soggettiva meritevole di tutela.

Ben diversa è la situazione allorché il provvedimento illegittimo ha attribuito una qualifica formale all’interno dell’organizzazione pubblica, dalla quale discende uno status professionale, che, in presenza di determinate condizioni, non può essere rimosso senza arrecare un pregiudizio sostanzialmente irreparabile e meritevole di adeguata ponderazione, e rispetto al quale l’esborso di denaro pubblico costituisce circostanza accessoria e conseguenziale.

Tra le condizioni che conferiscono consistenza alla posizione soggettiva esposta all’annullamento, si annovera, per costante orientamento della giurisprudenza, il decorso del tempo, che consolida l’affidamento sulla piena legittimità dell’assetto degli interessi disposto dall’Amministrazione con l’atto poi rivelatosi illegittimo (Sez. V, 29 gennaio 2001, n. 10).

E’ stato anche, affermato che per effetto del decorso del tempo la originaria illegittimità dell’atto può attenuarsi, a causa del concretarsi di posizioni non incompatibili con l’assetto legittimo dell’organizzazione pubblica e quindi con il pubblico interesse (C.G.R.S. 5 dicembre 2001 n. 649).

Nella specie l’appellante è stato mantenuto nella posizione di primario per circa quindici anni, svolgendo il proprio incarico con piena soddisfazione dell’Amministrazione, e avendo comunque superato un concorso pubblico per la specifica disciplina, caratterizzato da modalità idonee a valutarne la preparazione.

L’Amministrazione avrebbe quindi potuto e dovuto considerare l’assenza di condizioni, che andassero al di là del mero ripristino della legalità, e inerenti la qualità del servizio e tali da consigliare di rimuovere il sanitario dalla sua funzione.

A ciò si aggiunga che la stessa illegittimità riscontrata nell’atto annullato, ossia il venir meno della equiparazione tra le posizioni di aiuto dirigente e primario, a seguito dell’applicazione del d.P.R. n. 761 del 1979, non era affatto pacifica all’epoca dell’adozione del provvedimento (1982), posto che la giurisprudenza affermò il relativo principio soltanto molti anni più tardi (Sez. V, 19 settembre 1995, n. 1326).

In conclusione, molteplici e rilevanti erano i profili sui quali la motivazione del provvedimento impugnato avrebbe dovuto esprimersi, che invece sono stati illegittimamente trascurati, sebbene alla stregua degli atti di causa non emergano elementi che avrebbero potuto offrire idoneo sostegno all’annullamento in questione.

L’appello va quindi accolto, ma le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado; dispone la compensazione delle spese;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

(Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2002 con l’intervento dei magistrati: Claudio Varrone, Presidente; Corrado Allegretta, Consigliere; Paolo Buonvino, Consigliere; Goffredo Zaccardi, Consigliere; Marzio Branca, Consigliere estensore)

Redazione

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