Gli interventi di Filippo Mancuso alla Camera sul disegno di legge Cirami (dai resoconti stenografici della Camera):
1) 13 settembre 2002
2) 25 settembre 2002
3) 10 ottobre 2002
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1) Sintesi dell’intervento del 13 settembre 2002 innanzi alle Commissioni riunite 1° Affari costituzionali e 2° Giustizia in sede referente.
Filippo MANCUSO (Misto), nel felicitarsi con i relatori per la riuscita del loro difficile compito, rileva come al contrario la presidenza abbia mancato di sensibilità nel ridurre il dibattito odierno solo ad una questioni di tempi, a suo avviso eccessivamente rigorosi a fronte della delicatezza della materia che vede impegnato il Parlamento. Si augura, comunque, che la discussione alla Camera produca frutti migliori di quelli generati al Senato.
Pur essendo consapevole della delicatezza della sua posizione e ancora addolorato per l’allontanamento dal gruppo di Forza Italia, dichiara di sentirsi libero nel giudizio ed auspica che il suo intervento possa rappresentare un contributo alla chiarezza.
Suscita in lui scandalo il fatto che uno dei primi argomenti per sostenere l’indispensabilità della norma in esame sia stato individuato nella sua preesistenza nella legislazione anteriore a quella vigente.
Nel confutare tale argomento, rileva che, a differenza di quanto previsto dalla norma in esame, l’istituto del legittimo sospetto di cui al codice di procedura penale del 1930 fosse corredato da una disposizione procedimentale in base alla quale il procuratore generale della Cassazione dovesse apprezzare, ai fini dell’esercizio dell’azione volta al riconoscimento del legittimo sospetto medesimo, l’opportunità del giudizio.
In secondo luogo, richiama il principio del giudice naturale precostituito per legge, già previsto dallo Statuto albertino ai fini di impedire la costituzione di tribunali speciali: attualmente, invece, il nostro ordinamento prende in considerazione tale divieto in modo autonomo.
In definitiva, la proposta di legge Cirami tende ad introdurre, attraverso un vero e proprio trucco verbale, un principio del tutto nuovo, che non trova alcun fondamento né nella legislazione processual-penalistica del 1930 né nello Statuto albertino.
Un altro argomento addotto a sostegno del provvedimento è quello volto ad individuare in esso un interesse generale della collettività all’equanimità e terzietà del giudice: ma questa, a suo giudizio, è un’ovvietà, si tratta di un argomento fittizio utilizzato per impostare un altro trucco verbale.
Una legge, per i principi di generalità ed astrattezza, è rivolta naturalmente a tutti; peraltro le asserzioni – peraltro non felicissime – della Cassazione indicano che il fenomeno della richiesta di rimessione è statisticamente irrilevante.
Pertanto, se la preoccupazione del legislatore, giusta ma in questo caso verbalistica, è solo quella di tutelare l’interesse generale, bisognerebbe allora cominciare a porsi il problema dell’amnistia e del condono, di gran lunga più impellente della inesistente urgenza del provvedimento Cirami.
Rileva altresì che se fosse stato ancora all’interno del gruppo di Forza Italia avrebbe ugualmente sostenuto tali argomenti.
Riconosce quindi che la sinistra ha abusato del potere, che la magistratura, ad essa ispirata, ha conculcato in molti casi la regolarità dei processi e la libertà delle persone, che taluni magistrati, la cui accentuazione politica ed indecenza delle condotte è fuori discussione, sono assurti, attraverso selezioni truccate dalla sinistra, a prestigiosi incarichi istituzionali.
Ma, di fronte a tutto questo era stato detto ai cittadini che si sarebbe seguita la via della legalità: richiamarsi all’esempio negativo dei predecessori determina una spirale infinita di diatribe e di vendette tra le classi dirigenti e le istituzioni. La funzione etica della legge sta nel fatto che essa obbliga non solo in termini imperativi di norma, ma in termini interiori, di concezione della vita.
Ulteriore argomento a sostegno del provvedimento è quello che l’attuale formulazione della norma vigente sarebbe «difettosa» in rapporto alla legge delega.
Non si tratta tuttavia di ragionare in termini di definizioni verbalistiche: il potere del legislatore delegato non è letteralmente legato alla indicazione di quello delegante. La violazione della delega, pertanto, è un’altra invenzione che si cumula alle altre atte ad illudere circa le ragioni fondanti del provvedimento. Osserva quindi come lo spostamento del processo a causa di legittima suspicione rappresenti in ogni caso una deroga alla competenza. Il legittimo sospetto in sé è sufficiente a spostare il processo, ma nell’unità generale del processo non è una condizione dell’accoglimento dell’azione. Quindi il concetto di legittimo sospetto è persino errato come strumento di lavoro ed al riguardo ritiene giusta la cautela usata dal legislatore nell’utilizzo di una formula onnicomprensiva sulla quale la Cassazione ha lavorato, fino alla decisione assunta dalle sezioni unite.
Non ritiene quindi di poter ammettere – nel dominio del principio di tipicità, che riguarda il diritto sostanziale ma che in questo caso è anche un istituto di diritto processuale – che si consenta al giudice presso il quale si invoca la rimessione del processo di decidere in merito alla legittima suspicione, conferendogli un potere, più che discrezionale, creativo, determinativo.
Ciò rende a suo avviso impraticabile sul terreno costituzionale l’accettazione della formula proposta dal provvedimento Cirami.
Se la pretesa esigenza della normativa in esame risulta così mal costruita, non si comprende la ragione per la quale su di essa si stia giocando l’onore di una forza politica alla quale non si pente di aver dato un contributo decoroso di creatività e di dignità.
Tanta fermezza di proponimenti ed accanimento di propositi è generata a suo avviso dal fatto che rispetto al vero beneficiario e destinatario della norma, il deputato Previti, il Presidente del Consiglio Berlusconi ha assunto la determinazione di andare fino in fondo perché non è «psicologicamente» e «moralmente» libero.
È questo il dramma del Paese: un singolo individuo può far gravare il proprio tallone sul più grande partito italiano, sulla più grande coalizione che governa il paese, sul Parlamento stesso, che è retrocesso da soggetto ad oggetto.
Esprime infine il desiderio di non vedere disperso un patrimonio per il quale è stato mobilitato il sentimento di ordine e di giustizia del paese in molte occasioni: lo straripante successo politico di Forza Italia non è stato il successo di un’invenzione, ma il risultato di una interpretazione culturale, storica e politica che si sta tradendo.
Invita quindi il Presidente del Consiglio, di cui riconosce le positive doti, a smentirlo nel momento in cui asserisce che egli non è libero, nel Parlamento e nel paese, di svolgere il proprio compito.
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2) Assemblea – Seduta n. 192 del 25 settembre 2002 – Discussione generale
Filippo Mancuso.
Signor Presidente, signori deputati, ho già detto avanti le Commissioni I e II, riunite il 13 ultimo scorso per la discussione della proposta di legge sul legittimo sospetto, di reputare ancor più grave del suo contenuto e delle modalità forzose con le quali ne è stata imposta la trattazione, il fatto che essa, in sostanza, derivi da una direttiva irremovibile, psicologicamente non libera, ma imposta da un ben determinato soggetto, dominus in Forza Italia per tutto quanto riguarda la materia giudiziaria. Una intera serie di fatti e di ragioni – tutti puntualizzati nel testo integrale del presente intervento che, con il suo permesso, signor Presidente, mi riprometto di consegnare agli atti della seduta – sta, a mio avviso, a dimostrarlo in maniera tassativa.
Le parole che sto per pronunciare danno di questa conclusione il senso logico non narrativo.
È stata imposta una prova di forza moralmente e politicamente suicida per i promotori, oltretutto non coerente con l’alto livello complessivo della enorme maggioranza dei parlamentari di centrodestra.
Prova di forza nella quale si è inserito un incauto ma rivelatorio atteggiamento dello stesso onorevole Berlusconi, il quale, dopo iniziali dichiarazioni negative sulla licenza praticata in Senato, ha asserito per la Camera, ma senza dirne il perché, che trattasi invece di materia di assoluta priorità governativa.
Una prova di forza, per di più, agita nel momento in cui ben altre urgenze reali, anche di legislazione, pressano sia la sensibilità dei cittadini sia i doveri interni ed internazionali di una maggioranza affannata, viceversa, a stimolare duramente il Parlamento su una questione non coartata da esigenze statisticamente e funzionalmente di natura pressante.
Del legittimo sospetto si può parlare tecnicamente, ma nei tempi, nelle sedi e per ragioni strutturali dell’istituto, non per avventura.
Né pare obiezione durevole quella secondo cui i governi della passata legislatura si resero più volte autori, il che è vero, di casi di mala gestio nell’attuazione dei loro doveri, giacché, soprattutto in materia penalistica, le colpe di una parte non danno alle altre titolo a rifarle in proprio ed impunemente quando capita a tiro, come per una sorta di permanente compensazione extra ordinem. Un’obiezione di quel genere troppo insistita da parte di taluni senatori di questo provvedimento comporta, a loro danno, sia l’implicita ammissione che esso è un frutto spurio sia l’esplicito venir meno del diritto stesso di addurla tanto subito che dopo.
Neppure è lecito far balenare, anche se inane, la minaccia di procurare lo scioglimento del Parlamento nel caso venisse mancata la finalità ivi perseguita.
Va, parimenti, contestato che si possa sostenere fondatamente che la vicenda della Cirami sarebbe attraversata solo incidentalmente dai tornaconti penalistici dell’onorevole Previti, "dominus" psicologico e determinatore, che l’onorevole Berlusconi, "dominus" politico ed imprescindibile autorità dispositiva, sarebbe immune dalle responsabilità di aver subito tale tornaconto, nella sua funzione di autore del criterio di portarla al successo il più sveltamente possibile, e che l’infinita congerie di accadimenti posti in luce, tutti leggibili in una sola chiave, non integrerebbe quella manovra a largo raggio (tribunale di Milano, Corte di cassazione, Corte costituzionale, Senato e Camera), attivata essenzialmente a profitto dominicale della posizione difensiva dell’onorevole Previti. Tutte queste tesi – ripeto – non le si possono plausibilmente sostenere in alcun caso.
È vero, viceversa, che l’attuale crisi dei rapporti politici e parlamentari, spinta fin dentro al Consiglio superiore della magistratura, non ha altra ragione d’essere che in una riprovevole messinscena in cui cause ed effetti dell’interessato dinamismo che le genera si trovano soggettivamente ed oggettivamente confusi in un’unica personalistica devianza dalle istituzioni.
Si ritrovano insieme cioè il punto di partenza ed il punto di arrivo di un cimento partigiano, privo di causa lecita, sfacciatamente gabellato contro la verità quale strumento di interesse generale, nonché doveroso per vincoli legislativi, sempre per induzione di un grumo di potere ristrettissimo e risoluto, incapace di rispetto, di democrazia e di tecnicità vera in fondamentali settori, capacissimo però, rinchiuso in sé, a guisa di un sinodo buddhista, di storture del genere di quelle in atto, di barattare, per tornaconto, tutto e tutti, ed anche di giocarsi, via via sempre di più, il credito elettorale accordato al movimento politico da cui esso è sorto: una crescente stortura.
In verità, tutto questo ha a che vedere con lo Stato di diritto esattamente quanto le innegabili cadute di legalità di talune vicende giudiziarie in questi anni d’Italia, cioè nulla. Nessuna eventuale resa alle spinte ad emendare almeno qualcuna delle tante protuberanze deformi della Cirami può rendere di questa migliori il senso ed il genoma, né potrà cancellare i turbamenti di una così avvilente battaglia; infine, neppur far dimenticare l’origine scandalosa, per l’avvenire, e preoccupante di tutto il nero di seppia così fatto colare sulle nostre istituzioni.
Tuttavia, nel momento in cui questa Camera conduce la presente discussione e mentre incombe il momento intimo del voto segreto, sembra che nel clima di autentico allarme civico che molti viviamo, venga incontro alle coscienze dei parlamentari una emozionante sollecitazione: quella che potrebbe apprestare, per simmetrica reazione alla provocazione di errori etici e politici, tanto gravi quanto evitabili, un’occasione di reali benefici per l’ordine giuridico e per il riequilibrio della politica, a cominciare dal beneficio immediato di stimolare e rendere comune un recupero di credibilità nella condizione dello Stato, dei partiti e dei rapporti parlamentari.
Tutto questo l’avrei invocato, come ora lo invoco senza alcun personalismo, anche dalla mia precedente collocazione parlamentare e, in ogni caso, curando di non cadere in violazione di alcun dovere di riservatezza, né imposto né sottinteso. Gioverebbe, io credo, al buon esito di tale sollecitazione, prima di tutto e subito un sempre più perfettamente libero dispiegamento delle responsabilità dei singoli parlamentari, secondo il carattere autonomo ad esse dato dall’articolo 67 della Costituzione e dall’articolo 49 del regolamento, che dispone in materia di voto segreto. Responsabilità che mai come ora sono da non temere e da non sfuggire, né per sottovalutazione né per distillazione di cogenze minatorie più o meno larvate.
Anche se rimane una qualche sospensione d’animo nel rilevare come altre componenti della Casa delle libertà, per quanto indenni da contaminazioni, a quel tipo di situazione sottesa nella proposta di legge Cirami abbiano voluto tuttavia associarsi, si direbbe a causa di un pur comprensibile sacrificio verso il collante governativo, al puntiglio di trascinarla in porto. Malgrado questo, io mi permetto di fare qui la seguente esortazione: lasciatelo affondare in qualche maniera o, meglio, per comune consenso, se possibile, e comunque cassate questo dannoso reperto febbrile della caducità dell’errore e facciamone tutti un’occasione per nettare a fondo le odierne stalle, non migliori di quelle mitologiche dell’antico re Augia.
Se alla fine tutto sarà rimasto indifferente come prima, rimarrà però anche che molti, in questo Parlamento, stanno tentando di impedirlo, almeno in parte.
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3) Camera dei Deputati – Seduta conclusiva n. 202 del 10 ottobre 2002
Dichiarazione di voto finale
Filippo Mancuso.
Signor Presidente, signori deputati, restando tutte ferme le precedenti obiezioni a questa vagheggiata disciplina del legittimo sospetto, ne avanzo un’altra, ritenendo che essa non sia apparsa finora nell’intervento di alcuno ed è la seguente.
Ove venisse introdotta la disciplina proposta le istituzioni fondamentali di essa, previste esclusivamente per il procedimento penale, verrebbero a far parte automaticamente, come contenuto implicito e per effetto del principio di coerenza, dell’intero sistema processualistico italiano, con la conseguenza altrettanto immediata che, non soltanto il processo penale darebbe luogo a realtà praticamente indeterminabili, ma ogni altro tipo di processo di diritto soggettivo od oggettivo rappresenterebbe una perpetuità nelle nostre aule di giustizia tale da determinare il dissesto dell’intero sistema.
Questa è una considerazione che rassegno non come fatto esclusivamente tecnico: tecnico è il presupposto, la conseguenza è civile ed ordinamentale.
Ciò detto, passo ad altre brevi considerazioni.
Quel che rimane la cosa peggiore di questo costrutto sono le modalità ed i tempi costretti messi in opera per mandare avanti fino alla digestione quello che in realtà è un grave abuso "propter personam", ormai neppure celata, la quale, non soltanto in questa veste sta operando nell’aula e nel Parlamento, ma anche come protagonista in proprio di questo procedimento formativo delle leggi.
Questa è un’altra notazione così penosa che ho molto pensato prima se esporla oppure no, perché la privatizzazione del procedimento legislativo è arrivata al punto che lo stesso beneficiario della normativa tratta, informa e si presenta come protagonista – o antagonista, a secondo – proprio in quest’aula.
In definitiva, mi sento a questo punto, nella consapevolezza più piena della mia modestia, di dirigere due invocazioni. La prima alla massima istanza cui spetta il controllo di legalità intorno alla promulgabilità delle leggi affinché essa ponga il meglio di sé nella verifica di questo autentico monstrum legislativo.
L’altra invocazione, parimenti rispettosa, la rivolgo a quanti, ovunque collocati nel Parlamento, sentano di essere accomunati nel disagio, nella preoccupazione ed anche in certi timori affinché essi reperiscano in se stessi, ricavandola dal calice della propria coscienza, una libera decisione, cioè né intimidita né compromissoria, tenendo soprattutto presente la gravità del passaggio che stasera è posto anche nelle loro mani, e riflettendo a questa idea nella quale depongo la conclusione del più accorato dei miei interventi.
Sia vittorioso in quest’aula il «no» o il «sì», l’aver detto «no» nella consapevolezza di compiere un atto patriottico anche se perdente davanti a questo iceberg dell’indifferenza e dell’insensibilità, avrà giovato in ogni caso alle istituzioni civili, al senso dello Stato ed alle istituzioni parlamentari, quelle presenti e quelle future, del nostro paese.