Adunanza Plenaria n. 7/2002

Il Consiglio di Stato è intervenuto a dirimere la seguente questione:

se sulla somma dell’indennità integrativa speciale conglobata nello stipendio base (pari a £. 1.081.000) debba o no essere calcolata la maggiorazione del 40%, corrisposta ai docenti universitari a tempo pieno ai sensi dell’art.36, comma 6, del d.P.R. n.382/1980.

Queste le norme richiamate.

L’art. 36 del DPR 11 luglio 1980 n. 382, che regola la progressione economica dei professori universitari e stabilisce, al sesto comma, che “la misura del trattamento economico previsto dai precedenti commi è maggiorata del 40 per cento a favore dei professori universitari che abbiano optato per il regime di impegno a tempo pieno”.

L’art. 15 del DPR n. 494 del 1987, relativo all’accordo per il personale del comparto Ministri, dispone, al comma 1, che “con decorrenza dal 30 giugno 1988 verrà conglobata nello stipendio iniziale del livello in godimento alla stessa data una quota di indennità integrativa speciale pari a L. 1.081.000 annue lorde” e, al comma 2, che “con la medesima decorrenza la misura dell’indennità integrativa speciale spettante al personale in servizio è ridotta di L. 1.081.000 annue lorde”.

L’art. 1 del D.L. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 37, che, al primo comma, estende a decorrere dal 1° gennaio 1989 ai dirigenti civili e militari dello Stato ed alle categorie di personale ad essi equiparate, ai dipendenti che godono di trattamenti commisurati o rapportati a quelli dei dirigenti, nonché al personale di magistratura, l’applicazione dell’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494.

Sulla questione si erano formati due indirizzi giurisprudenziali di segno contrario:

– l’uno escludeva che sulla somma dell’indennità integrativa speciale conglobata nello stipendio base (pari a £. 1.081.000) dovesse essere calcolata la maggiorazione del 40%, corrisposta ai docenti universitari a tempo pieno ai sensi dell’art.36, comma 6, del d.P.R. n.382/1980, seguito dalla sesta sezione (n.2441 del 20 aprile 2000 e n.2946 del 24 maggio 2000) e dalla sezione seconda (pareri nn.2087/1998 e 2199/1998, emessi nell’adunanza del 3 febbraio 1999),

– l’altro riteneva invece che su tale quota conglobata andasse calcolata la maggiorazione del 40%, seguito dal C.G.A.R.S. (n. 195 del 2000) e da alcuni giudici di primo grado.

Il Consiglio di Stato, intervenendo adesso in sede Plenaria, ha ritenuto che, tra le due tesi interpretative, quella che esclude dalla maggiorazione del 40% la quota di £. 1.081.000, appaia la più conforme alle finalità perseguite dall’art. 15 del DPR n. 494 del 1987, il cui contenuto è stato poi esteso dalla legge n.37/1990 anche ai docenti universitari.

Conclusione questa, che ha poi trovato ulteriore conferma con la norma di interpretazione -autentica- di cui all’art. 23, comma 2 della legge 28 dicembre 2001, n. 448.

Consiglio di Stato

Adunanza Plenaria

Sentenza 25 ottobre 2002 n. 7

sui ricorsi in appello nn. 2 e 5 del 2002, proposti:

1. Il primo dall’Università degli Studi di Bologna, in persona del Rettore in carica, e dal Ministero dell’Università della Ricerca Scientifica e Tecnologica, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n.12,

Contro

Agnoli Gianluigi, Andreani Franco, Baccolini Graziano, Badiello Roberto, Benati Maria Luisa, Bernabeo Raffaele Alberto, Bernagozzi Marta, Bettuzzi Giancarlo, Bianucci Fabrizio, Bonini Bianca Flavia, Bonora Angela, Bonsignori Francesco, Borgia Giulio Cesare, Bosco Bartoli Marcella, Bottura Giorgio, Budini Rolando Antonio, Cantelli Claudio, Capiluppi Paolo, Cattani Daniele, Cavallini Anna, Cerè Mauro, Cerè Vanda, Ceschel Giancarlo, Costa Bizzarri Paolo, Crisetig Giorgio, D’Ercole Nicola, De Paz Alfredo, De Santis Vincenzo, Della Casa Carlo, Donini Benito Romeo, Faccioli Gianni, Fagnano Concezio, Ferracini Elena, Ferrero Rognoni Adele, Fini Giancarlo, Forlani Luciano, Fortunato Bruno, Gennari Piero, Ghedini Nadia, Girotti Stefano, Giunchedi Luciano, Gottardi Guido, Grossi Loris, Lammioni Anna M., Legnani Pier Paolo, Lunelli Bruno, Malaguti Franco, Marani Francesca, Martini Giulia, Masetti Massimo, Mazzanti Germana, Miglio Riccardo, Montanari Giancarlo, Morandi Giuseppe, Morelli Maria Antonietta, Morsiani Giovanna, Morsiani Jamilè, Olivo Paola, Orlandelli Carlo M., Pallotti Giovanni, Pellacani Gabriele, Pensa Marina, Pettazzoni Paolo, Placucci Giuseppe, Poggi Gabriella, Pollicino Salvatore, Praitoni Giannino, Rabbi Ernesto, Reggiani Ugo, Riccioni Giuliana, Rimondi Franco, Rocchi Paola, Russo Gianluigi, Saporetti Franco, Sasdelli Renato, Serrazanetti Gian Paolo, Simoni Rosa, Sorbini Maurizio, Soverini Paolo, Strocchi Paolo Maria, Tarabusi Valerio, Terragni Fulvio, Tesini Anna Rosa, Tinti Stefano, Tizzi Barbanti Maria Alessandra, Vaccari Angelo, Vannini Pietro, Venturi Giovanni, Vettori Carla, Vincenzi Giuseppe Carlo, Vino Giuseppe, Zannoni Claudio, Zurla Orio, rappresentati e difesi dal prof. avv. Antonio Flamini, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Salvatore Bellomia in Roma, Via Gradisca n.7,

E nei confronti

di Poloni Marino, Bianchi Michele, Orlando Enrico, Bruzzi Luigi, Benzi Valerio, Venturini Giovanni, Spiga Marco, Brigidi Patrizia, Ferri Floriano, Bertoluzza Alessandro, Cevolani Max, Romano Giancarlo, Pilati Francesco, Bazzocchi Raffaele, Bernardi Pasquale, Chierici Gian Luigi, Casalicchio Giovanni, Carpinteri Andrea, non costituiti;

Per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna (Sezione I), n. 275 del 3 maggio 1999.

2. Il secondo dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del Rettore in carica, e dal Ministero dell’Università della Ricerca Scientifica e Tecnologica, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n.12.

Contro

Finocchiaro Francesco, rappresentato e difeso dall’avv. Adriano Giuffrè, presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma, Via Collina, n. 36.

Per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma (Sezione terza ter) n. 5381 del 9 giugno 2001.

Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati;

Viste le ordinanze di rimessione della Sezione Sesta n. 502 del 30 gennaio 2002 e n. 1105 del 25 febbraio 2002.

Viste le memorie prodotte dalle parti appellate a sostegno delle proprie difese. Visti gli atti tutti della causa. Alla pubblica udienza del 24 giugno 2002, relatore il Consigliere Costantino Salvatore. Uditi l’avvocato dello Stato Tortora per le amministrazioni appellanti, l’avv. Flamini e l’avv. Giuffrè per i rispettivi appellati. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1.- Gli odierni appellati, con distinti ricorsi proposti al TAR Emilia Romagna e al TAR per il Lazio, chiedevano l’accertamento del loro diritto ad ottenere la maggiorazione del 40% sulla quota di indennità integrativa speciale conglobata nello stipendio base ai sensi dell’art.1 del D.L. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito in Legge 28 febbraio 1990, n.37, a decorrere dall’1 gennaio 1989.

I giudici di primo grado, con le sentenze impugnate, hanno accolto i ricorsi, riconoscendo il carattere di norma basilare del sistema di regolamentazione del trattamento retributivo della docenza universitaria, alla previsione di cui all’art.36, comma 6, del d.P.R. 11 luglio 1980, n.382.

La maggiorazione del 40% dello stipendio del docente universitario a tempo pieno, stabilita dalla suddetta previsione normativa, deve ritenersi operativa per tutte le voci che compongono lo stipendio.

Anche sulla quota di indennità integrativa speciale conglobata nello stipendio base, ai sensi della legge n.37/1990 (pari a £. 1.081.000), deve essere calcolata la maggiorazione del 40%, in quanto tale quota è “assunta a componente costitutiva del trattamento stipendiale”.

Le sentenze erano appellate dalle Amministrazioni interessate, le quali ne chiedevano l’integrale riforma.

La Sezione sesta di questo Consiglio di Stato, con le ordinanze citate in epigrafe, rilevato che sulla questione sono emersi due indirizzi interpretativi, ne ha rimesso la soluzione a questa Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 45 del R.D. 26 giugno 1924, n.1054, anche per il carattere di massima che essa riveste.

Tutte le parti, con apposite memorie, hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi, anche in relazione al contenuto dell’art. 23, comma 2 della legge 23 dicembre 2001, n. 448.

Gli appelli sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 24 giugno 2002.

DIRITTO

1. In via preliminare gli appelli devono essere riuniti per ragioni di connessione, perché entrambi postulano la soluzione di identica questione di diritto.

2. Nel merito conviene ricordare che la normativa, alla cui stregua la questione di diritto deve essere risolta, è contenuta nell’art. 36 del DPR 11 luglio 1980, n. 382, nell’art. 15 del DPR 17 settembre 1987, n. 494 e nell’art. 1 del D.L. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 37.

La prima delle norme avanti richiamate regola la progressione economica dei professori universitari, e stabilisce, al suo sesto comma, che “la misura del trattamento economico previsto dai precedenti commi è maggiorata del 40 per cento a favore dei professori universitari che abbiano optato per il regime di impegno a tempo pieno”.

L’art. 15 del DPR n. 494 del 1987, relativo all’accordo per il personale del comparto Ministri, dispone, al comma 1, che “con decorrenza dal 30 giugno 1988 verrà conglobata nello stipendio iniziale del livello in godimento alla stessa data una quota di indennità integrativa speciale pari a L. 1.081.000 annue lorde” e, al comma 2, che “con la medesima decorrenza la misura dell’indennità integrativa speciale spettante al personale in servizio è ridotta di L. 1.081.000 annue lorde”.

Infine, l’art. 1 del D.L. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 37, al primo comma, estende a decorrere dal 1° gennaio 1989 ai dirigenti civili e militari dello Stato ed alle categorie di personale ad essi equiparate, ai dipendenti che godono di trattamenti commisurati o rapportati a quelli dei dirigenti, nonché al personale di magistratura, l’applicazione dell’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494.

La questione, che forma oggetto della presente controversia, è se sulla somma dell’indennità integrativa speciale conglobata nello stipendio base (pari a £. 1.081.000) debba o no essere calcolata la maggiorazione del 40%, corrisposta ai docenti universitari a tempo pieno ai sensi dell’art.36, comma 6, del d.P.R. n.382/1980.

2.1. Le ordinanze ricordano che sulla questione si sono formati due indirizzi giurisprudenziali di segno contrario: l’uno esclude che sulla somma dell’indennità integrativa speciale conglobata nello stipendio base (pari a £. 1.081.000) debba essere calcolata la maggiorazione del 40%, corrisposta ai docenti universitari a tempo pieno ai sensi dell’art.36, comma 6, del d.P.R. n.382/1980; l’altro ritiene invece che su tale quota conglobata vada calcolata la maggiorazione del 40%.

Secondo il primo orientamento, seguito dalla Sesta Sezione (n.2441 del 20 aprile 2000 e n.2946 del 24 maggio 2000) e dalla sezione seconda (pareri nn.2087/1998 e 2199/1998, emessi nell’adunanza del 3 febbraio 1999), le ragioni che portano ad escludere l’applicazione della maggiorazione del 40% anche sulla quota dell’indennità integrativa speciale conglobata sono le seguenti:

– la quota di £. 1.081.000 (identica per tutti) incide sui sistemi retributivi in atto secondo il criterio delle leggi nel tempo e l’art.15 del d.P.R. n.494/1987 (esteso poi dalla legge n.37/1990 anche ai docenti universitari) ha disposto che venisse conglobata nello stipendio iniziale del livello retributivo in godimento alla data della sua applicazione una quota dell’indennità integrativa speciale, e non che fosse concesso un aumento di stipendio in misura fissa per tutti i dipendenti pubblici, corrispondente alla decurtazione dell’indennità integrativa speciale; ciò comporta che lo stipendio del docente universitario, inteso quale paga tabellare, sul quale calcolare, ai sensi dell’art.36 del d.P.R. n.382/1980, la maggiorazione per il tempo pieno, non ha avuto alcuna variazione specifica, ma ha solo avuto quell’incremento in misura fissa che è stato disposto per tutti i dipendenti pubblici per effetto del conglobamento dell’indennità integrativa speciale;

– la questione di costituzionalità, sollevata dai docenti appellati, è manifestamente infondata, perché “non ogni mutazione delle scelte del legislatore, ove rimasta a livello di discrezionalità di merito, può essere sindacata dalla Corte (cfr. Corte Cost. n.89 del 1996)”; essa, comunque, muove dall’inaccettabile presupposto che il legislatore del 1990 abbia aumentato nella stessa misura lo stipendio base del docente a tempo pieno e quello del docente a tempo definito.

Il documentato riflesso negativo dell’attribuzione della stessa quota di indennità integrativa speciale al docente a tempo pieno e a quello a tempo definito, è solo un effetto indiretto dell’applicazione della legge n.37/1990, che non altera in modo significativo la prevista differenziazione di almeno il quaranta per cento, che la legge di delega ha fissato per il legislatore delegato, e non in forma costante;

– la maggiorazione del 40%, attesa la sua natura non pensionabile ed il suo carattere eventuale e temporaneo, non rientra nel trattamento retributivo fisso, corrispondente alla qualifica posseduta, per cui questa maggiorazione non può considerarsi applicabile a ogni aumento del trattamento economico dei docenti universitari, comunque determinato.

Secondo il secondo orientamento, seguito dal C.G.A.R.S. (n. 195 del 2000) e da alcuni giudici di primo grado, la norma di cui all’art.1 del d.l. n.413/1989, convertito con Legge n.37/1990, va interpretata secondo “un criterio di compatibilità”, e in tale prospettiva non vi sarebbe alcun “conflitto” tra questa norma e quella antecedente (art.36, comma 6, del d.P.R. n.382/1980), la quale prevede che “la misura del trattamento economico previsto dai precedenti commi è maggiorata del 40 per cento a favore dei professori universitari che abbiano optato per il regime di impegno a tempo pieno”.

Il nuovo sistema retributivo non può essere inteso “come volontà di modificare” “la norma più antica”, la quale attribuisce un determinato incentivo al professore che abbia optato per il tempo pieno. La diversificazione tra le due categorie di docenti deve essere mantenuta, perché “rientra nella finalità” perseguita dal legislatore del 1980, per cui ogni variazione dell’unico dato di riferimento (individuazione dello stipendio base) comporta automaticamente la variazione dell’incremento stesso, fissato una volta per tutte come valore percentuale.

3. L’Adunanza plenaria osserva che sulla questione che forma oggetto della presente controversia, è intervenuto l’art. 23, comma 2, della legge 23 dicembre 2001, n. 448 che, con norma di interpretazione autentica, ha stabilito che “l’articolo 1, comma 1, della legge 28 febbraio 1990, n. 37, si intepreta nel senso che per effetto del conglobamento della quota di indennità integrativa speciale di lire 1.081.000 lorde nello stipendio iniziale delle categorie di personale ivi indicate e della contestuale riduzione della misura dell’indennità integrativa speciale sono conseguentemente modificati tutti i rapporti percentuali fissati tra gli stipendi delle qualifiche dei docenti e ricercatori universitari anche in relazione al regime di impegno già previsti dall’art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 e dall’art. 2 della legge 22 aprile 1987, n. 158. (…)”.

Gli appellati assumono che tale norma non muta i termini della questione e comunque, della stessa sollevano questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 24, 36, 97, 104, primo comma, 108,, secondo comma della costituzione, ove quest’Adunanza plenaria dovesse accedere all’interpretazione propugnata dall’amministrazione.

Il solo fatto che il legislatore ha emanato una norma, che disciplina ex post fattispecie come la presente, sarebbe la prova più evidente che l’interpretazione delle disposizioni fornita dal giudice di primo grado era, ed è, esente da censure.

Difatti, il conglobamento dell’importo di £. 1.080.000 annue lorde nello stipendio base degli originari ricorrenti, non costituisce, come erroneamente sostiene la difesa dell’amministrazione, “una sorta di assegno ad personam di natura perequativa tendente ad eliminare gli effetti dannosi dell’eliminazione dell’I.I.S.”, ma integra una vera e propria voce stipendiale, come testualmente si desume dall’art. 54 del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266.

Con la conseguenza che, nel peculiare ordinamento che disciplina il trattamento economico dei professori universitari, detto importo modifica l’entità del trattamento stipendiale e determina l’ulteriore obbligo (specifico per l’ordinamento universitario) di parametrare il trattamento economico dei professori universitari a tempo pieno in modo da mantenere ferma la differenza, minima ed inderogabile, del 40% rispetto ai docenti con rapporto a tempo definito.

Questa conclusione troverebbe conferma anche nel sistema di determinazione del trattamento economico dei professori universitari, quale emerge dall’art. 36 del DPR n. 382 del 1980, il quale . una volta stabilito il trattamento base riferito al professore di prima fascia con qualifica di ordinario senza anzianità – determina quello per le restanti qualifiche o posizioni mediante riduzioni o aumenti percentuali e, quindi, in modo automaticomma

Allo stesso modo in maniera automatica opera il criterio aggiuntivo previsto dal comma sesto del citato art. 36, che stabilisce la maggiorazione del 40% del trattamento economico ( e non del solo stipendio) a favore dei docenti a tempo pieno.

In tale contesto normativo, la norma di cui all’art. 23 della legge n. 448 del 2001, sarebbe chiaramente innovativa e non interpretativa, posto che di quest’ultima non ricorrerebbe nessuna delle condizioni che, alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale, devono sussistere perché la legge possa qualificarsi interpretativa: non la necessità di chiarire il senso di norme preesistenti, non l’opportunità di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili con il tenore letterale; non, infine, la necessità di eliminare eventuali incertezze interpretative.

4. La tesi degli appellati non può essere condivisa.

Tra le due tesi interpretative, quella che esclude dalla maggiorazione del 40% la quota di £. 1.081.000 appare la più conforme alle finalità perseguite dall’art. 15 del DPR n. 494 del 1987, il cui contenuto è stato poi esteso dalla legge n.37/1990 anche ai docenti universitari.

Come giustamente ricorda la difesa dell’amministrazione, tali finalità sono legate al meccanismo di funzionamento dell’indennità integrativa speciale, la quale, a differenza della cd. “scala mobile” vigente nell’impiego privato, non è commisurata allo stipendio, ma è costituita da una somma fissa (variabile in ragione dell’incremento del costo della vita) che si aggiunge alla retribuzione.

La consapevolezza che tale meccanismo non consentiva la conservazione del potere d’acquisto dello stipendio, induceva le parti preposte alla stipula degli accordi sindacali nel pubblico impiego a formulare l’art. 15 DPR n. 494 del 1987, recante “Norme risultanti dagli accordi contrattuali definiti con le organizzazioni sindacali per il triennio 1985-87 relativi al personale dei Ministeri, degli enti pubblici non economici, degli enti locali, delle aziende e delle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, del Servizio sanitario nazionale e della scuola, ad inserire nel D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, di recezione dell’accordo per il personale del comparto Ministeri, la norma di cui all’art. 54, con la quale si è disposto il conglobamento nello stipendio iniziale del livello retributivo in godimento alla data della sua applicazione di una quota dell’indennità integrativa speciale, pari a £. 1080.000 annue lorde, e la corrispondente riduzione di una somma, di pari importo, dell’I.I.S..

Come appare evidente, la norma si riferisce a tutti i dipendenti pubblici e, sotto il profilo economico-finanziario, non comporta alcuna spesa per le amministrazioni pubbliche interessate.

Come si è avuto modo di ricordare, l’art. 1 del D.L. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 37, al primo comma, ha esteso, a decorrere dal 1° gennaio 1989, ai dirigenti civili e militari dello Stato ed alle categorie di personale ad essi equiparate, ai dipendenti che godono di trattamenti commisurati o rapportati a quelli dei dirigenti, nonché al personale di magistratura, l’applicazione dell’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494.

Ora, non sembra possano sussistere dubbi sulla circostanza che tale estensione al personale pubblico non soggetto alla contrattazione collettiva debba essere interpretata alla luce delle finalità originarie della norma e con i limiti propri del conglobamento operato per il restante personale pubblicomma

In tale contesto normativo, la tesi degli appellati, secondo cui, per effetto dell’art. 36, comma 6 del DPR 11 luglio 1980, n. 382, la maggiorazione del 40% prevista per i docenti universitari che hanno optato per il regime a tempo pieno, deve essere operata anche alla somma conglobata di £. 1.080.000 che costituisce parte a tutti gli effetti del trattamento economico del professore universitario, non considera che una tale opzione interpretativa finirebbe per individuare una particolare categoria di dipendente pubblico che, a differenza della generalità degli altri dipendenti pubblici, godrebbe di un miglioramento retributivo superiore a quello fisso stabilito dalla norma.

Pertanto, ad avviso di questa Adunanza plenaria, l’orientamento seguito della Sezione sesta merita di essere confermato.

5. Come precisato al precedente punto 3), questa conclusione ha trovato conferma con la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 23, comma 2 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, la cui natura interpretativa viene contestata dagli appellati.

L’Adunanza ritiene che anche su questo specifico aspetto la tesi degli originari ricorrenti non può essere condivisa.

Come emerge dalle considerazioni svolte, la norma contestata si prestava a due opzioni interpretative ed il contrasto e sussistevano anche divergenze interpretative, come testimonia la circostanza che la questione è stata rimessa a questa Adunanza plenaria.

Quanto alla modifica di tutti i rapporti percentuali fissati tra gli stipendi delle qualifiche dei docenti e ricercatori universitari anche in relazione al regime di impegno già previsti dall’art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 e dall’art. 2 della legge 22 aprile 1987, n. 158, è agevole osservare che tale modifica, ove si considerino le finalità e la portata del richiamato conglobamento, era da ritenersi già implicita nella norma che tale meccanismo ha esteso anche ai docenti universitari, per cui anche da questo angolo non sembra possa disconoscersi la natura interpretativa della citata disposizione. La verità è che, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellati, il legislatore del 2001 si è limitato a rendere chiaro quello che in realtà doveva considerarsi una conseguenza necessaria della norma del 1990.

La relativa questione di costituzionalità va, pertanto, dichiarata manifestamente infondata.

Alla luce delle considerazioni che precedono, gli appelli devono essere accolti e le sentenze appellate annullate. Per l’effetto, devono essere respinti i ricorsi di primo grado.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), riuniti gli appelli, così provvede:

– dichiara manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 23, comma 2 della legge 28 dicembre 2001, n. 448;

– accoglie gli appelli e, per l’effetto, in riforma delle sentenze appellate, respinge i ricorsi di primo grado.

(…)

(Alberto De Roberto, Presidente; Costantino Salvatore, Estensore)

Redazione

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