Microsoft vara il progetto “Government Security Program“.
Il programma prevede la “disclosure” del codice di Windows 2000, Windows XP, Windows CE e Windows Server 2003 ad alcuni Governi selezionati – fino ad ora una decina sui 60 che Microsoft ha individuato come possibili referenti – per verificarne la rispondenza alle esigenze di sicurezza informatica, nonchè per effettuare test di verifica e per favorire la creazione di software compatibile con le piattaforme Windows. Sarà anche possibile visionare la documentazione di sicurezza che Microsoft non diffonde all’esterno, e visitare il quartiere generale dell’azienda.
Con il GSP Microsoft estende quanto già previsto dalla “Shared Source Initiative”, programma in base al quale il codice sorgente è già nella disponibilità di numerosi partner commerciali ed istituzioni universitarie.
“GSP – ha spiegato la Microsoft – è un’operazione globale che intende fornire ai governi l’accesso al codice sorgente e alle informazioni di cui hanno bisogno per affidarsi alla sicurezza della piattaforma Microsoft”.
E’ questa la reazione di Microsoft all’avanzata del software open source nelle amministrazioni statali di tutto il mondo, tra cui anche il governo cinese, che più volte ha espresso preoccupazioni circa il codice sorgente dei software Microsoft. Anche il Sudafrica, in questi giorni, ha optato per l’adozione del software open source all’interno della pubblica amministrazione. Secondo il Governo sudafricano, l’utilizzo del software aperto permetterà un abbattimento dei costi di circa 300 milioni di euro all’anno.
Plausi all’iniziativa della major di Redmond, a cui si è unito anche il Ministro Stanca: “Noi abbiamo un grande patrimonio: le banche dati, come l’anagrafe tributaria, quella dell’Inps, il catasto e quelle regionali e locali che va protetto da vari rischi. Questa cautela permette pure di proteggere soprattutto la privacy dei cittadini, consentendo che ai dati accedano solo le persone autorizzate”.
Tuttavia le obiezioni vengono da più parti.
Red Hat, uno dei principali player del mondo Linux, ha commentato: “si può vedere ma non toccare”.
In Italia sono state pungenti quanto concise le critiche di BFSF, ASL e Free Software Foundation Europe.
Il Bologna Free Software Forum, in un suo comunicato stampa, ha affermato come “questi progetti siano ben lungi dal riprendere i principi del software libero”, in quanto la disclosure “non riguarda la generalità degli utenti, ma solo i grossi partner commerciali”, peraltro vincolati da “Non-Disclosure Agreement”, che vietano la divulgazione e comunicazione a terzi. “Ma soprattutto – continua il comunicato – è rinnegato il concetto fondamentale del software libero, la possibilità offerta agli utenti di realizzare nuovo software partendo da un programma libero di partenza”. Inoltre, “nessuno dei soggetti ai quali il codice è concesso in visione ha il diritto di invervenirvi per adattare alle proprie esigenze i programmi”.
L’Associazione Software Libero ha affermato: “La libertà non è poter stare a guardare”. “… il solo accesso al codice – si legge nel comunicato stampa – senza la possibilità di una libera distribuzione e modifica non garantisce nessuno dei diritti fondamentali che servono ad evitare la dipendenza da un fornitore ed ad incentivare la concorrenza sul mercato e il controllo capillare da parte dei cittadini”.
Secondo il presidente della Free Software Foundation Europe, il progetto conferma la bontà delle idee sul software open source, costituendo il passo obbligato di Microsoft per poter continuare oggi “a fare affari con i governi e grossi clienti”.
Il Senatore Cortiana, primo firmatario del ddl sull’open source nella amministrazione italiana, ha dichiarato: “l’Italia ha eccellenti tecnici e persone piene di competenza a cui chiedere consiglio, primo tra tutti il Ministro per l’Innovazione Tecnologica Stanca”.