Cassazione SS.UU. 12 luglio 2002 n. 10167

La presenza nel Collegio di un membro laico scaduto comporta un vizio attinente alla giurisdizione ove non sia intervenuta, anteriormente alla scadenza, la designazione del nuovo componente laico da parte della Giunta regionale siciliana.

La Cassazione ha in particolare affermato che "… se i componenti scaduti non possono essere confermati e la proroga della durata del loro incarico ha la funzione che si è vista, perché la norma non sia elusa essa richiede che la designazione del successore non intervenga dopo la scadenza dall’incarico del componente che si tratta di sostituire. Se ciò accadesse, il componente il cui incarico sia scaduto e che però venga indefinitamente mantenuto nella funzione verrebbe a trovarsi in una situazione di mancanza di indipendenza …"

Cassazione civile, Sezioni Unite

Sentenza 12 luglio 2002 n. 10167

sul ricorso proposto da:

SOCIETÀ SELDA S.R.L. & GENERAL SYSTEM S.R.L. COSTITUITE IN RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO D’IMPRESE, in persona del legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONINO ALIQUÒ,

PIETRO DE RENZIS, giusta delega in calce al ricorso; – ricorrente –

Contro

COMUNE DI MESSINA, in persona del Sindaco pro – tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 6, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARCHETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO TIGANO, giusta delega a margine del controricorso; – controricorrente –

Nonché contro BULL HN INFORMATION SYSTEM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 87, presso, lo studio dell’avvocato ANTONIO M. PALMIERI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALERIO DI GRAVIO, giusta delega a margine del controricorso; – controricorrente –

Nonché contro MICRO DATA SYSTEM ITALIANA S.A.S.; – intimata –

Avverso la decisione n. 84-99 del Consiglio di giustizia amministrativa regione Sicilia di PALERMO, depositata il 25-03-99; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23-05-02 dal Consigliere Dott. Paolo VITTORIA; udito l’Avvocato Domenico VICINI, per delega dell’avvocato Federico TEDESCHINI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, del primo e secondo motivo.

FATTO

1. – Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, con decisione 25.3.1999 n. 84, ha rigettato l’appello che la Selda s.r.l., quale capogruppo del raggruppamento temporaneo di imprese con la General System s.r.l., aveva proposto in confronto del Comune di Messina e delle società Micro Data System S.r.l. e Bull Hn Information Systems Italia S.r.l.

È rimasta così confermata la sentenza 8.3.1997 n. 386 della seconda sezione di Catania del T.A.R. della Sicilia, che, con diversa motivazione, aveva rigettato il ricorso proposto dalla stessa Selda.

1.1. – Ad essere impugnato era stato il provvedimento con cui la Selda era stata esclusa dal procedimento di aggiudicazione di un appalto per la informatizzazione di servizi indetto dal Comune di Messina, appalto poi aggiudicato all’associazione temporanea di imprese tra le altre due società.

Il Consiglio di giustizia amministrativa ha considerato che l’esclusione era stata legittimamente disposta in base all’art. 10 capoverso del D. Lgs. 24 luglio 1992, n. 358, secondo il quale, se l’offerta è fatta da imprese appositamente e temporaneamente raggruppate, l’offerta congiunta deve essere sottoscritta da tutte le imprese raggruppate e deve specificare le parti della fornitura che saranno eseguite dalle singole imprese.

Il raggruppamento di imprese nel caso era stato costituito prima dell’offerta e questa era stata presentata dalla Selda in base al mandato ricevuto dall’altra impresa, la General System.

Il Consiglio ha ritenuto che, in casi di questo tipo, il mandato deve contenere la specificazione delle parti della fornitura che sarà eseguita dall’impresa mandante o l’attribuzione alla mandataria del potere di determinare la parte in sede di offerta.

Ma questo non era avvenuto.

2. – Le società Selda e General System hanno chiesto la cassazione della sentenza con ricorso notificato l’8 ed il 23.5.2000.

Vi hanno resistito con controricorso il Comune di Messina e la Bull Hn Information Systems Italia.

DIRITTO

1. – Il ricorso contiene due motivi.

1.1. – Il primo denuncia un vizio di difetto di giurisdizione per illegittima costituzione del giudice (art. 362, primo comma, cod. proc. civ.).

Vi si sostiene che alla deliberazione della decisione ha preso parte come componente del Consiglio di giustizia amministrativa il dott. Antonio Andò designato dalla Giunta regionale.

A dar luogo alla illegittima composizione dell’organo sarebbe il fatto che al dott. Andò l’ufficio di componente del Consiglio sarebbe stato probabilmente attribuito in attesa della nomina di altri componenti.

1.2. – Il secondo motivo denunzia ancora un vizio di difetto di giurisdizione per sconfinamento nella sfera del merito (art. 362, primo comma, cod. proc. civ.).

Vi si sostiene che la decisione è inficiata da tale vizio in conseguenza della violazione dell’art. 2263 cod. civ., il quale, per le società semplici, pone la duplice presunzione che i valori dei conferimenti dei soci siano eguali e che le parti a loro spettanti nei guadagni e nelle perdite sono proporzionali ai conferimenti.

Essendo mancata una diversa indicazione, la misura di partecipazione alla commessa delle due imprese unitesi in raggruppamento temporaneo doveva intendersi pari alla metà.

2. – Il secondo motivo è inammissibile.

Il vizio da cui secondo le ricorrenti sarebbe affetta la decisione impugnata si configura giuridicamente come un vizio di violazione di legge.

E siccome avrebbe determinato un errore che non incide sulla individuazione del criterio di collegamento tra controversia e giurisdizione del Consiglio di giustizia e quindi sul potere del Consiglio di giustizia di pronunciarsi sul ricorso, ma avrebbe condizionato il contenuto della decisione e quindi il modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, il vizio prospettato non presenta le caratteristiche richieste dall’art. 362, primo comma, cod. proc. civ.

3. – Neppure il primo motivo può essere preso in esame.

Queste le ragioni.

3.1. – La Corte costituzionale, con la sentenza 22 gennaio 1976 n. 25, dichiarò la illegittimità costituzionale dell’art. 3, secondo comma, del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654 nella parte in cui disponeva che i membri del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana in sede giurisdizionale, designati dalla Giunta regionale, potevano essere riconfermati, dopo la scadenza del periodo di durata in carica di quattro anni.

La prospettiva del reincarico ne escludeva l’indipendenza.

A seguito di tale sentenza, con D.P.R. 5 aprile 1978, n. 204, la disciplina della composizione del Consiglio di giustizia e della durata in carica dei membri designati dalla giunta regionale è stata in parte modificata (l’art. 1 del D.P.R. 204 ha sostituito l’art. 2 del decreto legislativo 654; l’art. 2 ne ha sostituito i commi secondo e terzo dell’art. 3).

In connessione con tale modifica, con l’art. 3 del D.P.R. 204 del 1978 è stato anche disposto che i membri designati dalla Giunta regionale, in carica alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, conservavano il loro ufficio fino alla data della nomina dei successori.

3.2. – Le sezioni unite, chiamate a decidere di ricorsi proposti contro decisioni del Consiglio di giustizia pronunciate da collegi di cui avevano fatto parte membri designati dalla Giunta Regionale sulla base della norma dichiarata illegittima, con giurisprudenza costante hanno enunciato due principi.

Si era in presenza di un vizio attinente alla costituzione del giudice, che integrava un vizio attinente alla giurisdizione, il quale poteva essere denunciato in base all’art. 362, primo comma, cod. civ., e dava luogo a cassazione della sentenza con rimessione allo stesso Consiglio perché pronunciasse in collegio composto con giudici non nominati in base alla legge dichiarata illegittima (Sez. Un. 7 novembre 1981 n. 5885).

Da tale vizio dovevano considerarsi affette anche le decisioni pronunciate dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 204 del 1978 da collegi di cui avessero continuato a far parte giudici nominati in base alla norma dichiarata illegittima, perché non veniva tanto in questione un vizio del provvedimento di nomina, che potesse ritenersi sanato dalla caduta possibilità di conferma nella carica, quanto l’originario vizio di difetto di indipendenza della persona in rapporto all’esercizio della funzione (Sez. Un. 7 novembre 1981 n. 5885; 24 settembre 1982, n. 4935 e 4937; 29 marzo 1983 n. 2248; 19 ottobre 1983 n. 6125 e 6126; 23 maggio 1984 n. 3168).

3.3. – La disciplina che risulta dal D.P.R. 204 del 1978 è la seguente.

Del Consiglio di giustizia in sede giurisdizionale fanno parte quattro membri designati dalla giunta regionale (art. 2, quarto ed ottavo comma, D. Lgs. 6 maggio 1948, n. 654, nel testo sostituito dall’art. 2 del D.P.R. 5 aprile 1978, n. 204) e due di essi entrano a comporre il collegio giudicante (art. 2, sesto comma).

I membri designati dalla giunta regionale durano in carica sei anni, decorrenti per ciascuno di essi dalla data del giuramento, e non possono essere confermati. Tuttavia, continuano a svolgere le loro funzioni fino all’insediamento dei rispettivi successori (art. 3, secondo comma, del decreto 654, sostituito dall’art. 2 del D.P.R. 204).

A riguardo di questa disciplina, nel ricorso, non sono stati sollevati dubbi di legittimità costituzionale.

Che sono peraltro da escludere, quando le disposizioni ora richiamate siano interpretate in modo conforme a Costituzione.

Sancito che i componenti del Consiglio designati dalla giunta regionale durano in carica per un periodo di tempo determinato e non possono essere confermati, l’indipendenza di quei componenti come giudici cessa di poter risultare compromessa dalla prospettiva di un nuovo incarico rimesso ad una scelta discrezionale.

Nè rileva in contrario il fatto che sia stata prevista per i componenti designati dalla giunta regionale una proroga della efficacia della loro nomina sino alla data di insediamento del componente destinato a succedere a quello il cui incarico sia scaduto.

La norma ha ragione d’essere e giustificazione nella esigenza di assicurare che il Consiglio di giustizia possa funzionare in modo continuo.

La nomina dei componenti di cui si parla non è atto della giunta regionale.

A questa compete dar inizio al procedimento designando il nuovo componente ed a questa deve seguire il decreto di nomina da parte del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il Presidente regionale.

Intervenuta la nomina, il componente nominato deve prestare giuramento.

Considerato il ristretto numero di componenti del Consiglio a designazione regionale, quattro, e la necessità che la metà componga il collegio decidente, la proroga dell’incarico del componente scaduto sino all’insediamento del successore ha lo scopo di non esporre il funzionamento del Consiglio al rischio di risultare impedito in attesa che il procedimento di nomina del successore si compia.

D’altro canto, se i componenti scaduti non possono essere confermati e la proroga della durata del loro incarico ha la funzione che si è vista, perché la norma non sia elusa essa richiede che la designazione del successore non intervenga dopo la scadenza dall’incarico del componente che si tratta di sostituire.

Se ciò accadesse, il componente il cui incarico sia scaduto e che però venga indefinitamente mantenuto nella funzione verrebbe a trovarsi in una situazione di mancanza di indipendenza non diversa da quella consentita dalla norma di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale.

E ciò dimostra che una diversa interpretazione della norma riproporrebbe a suo riguardo dubbi di legittimità costituzionale non manifestamente infondati.

3.4. – Fatte queste premesse, ci si deve soffermare sul motivo di ricorso, per come esso si presenta formulato.

Vi si prospetta, non però in forma assertiva, ma come probabilità, che al dott. Andò l’ufficio sia stato attribuito in attesa della nomina di altri componenti.

Ciò potrebbe significare che il dott. Andò sia stato nominato, non si sa se in base al decreto 654 del 1948 od al decreto 204 del 1978 e, esaurito il periodo di originaria durata della nomina, esso abbia continuato a svolgere l’incarico nell’attesa di essere sostituito.

Ad impedire che il motivo possa essere esaminato sono non solo il modo in cui il motivo è formulato, ma anche la circostanza che non siano stati depositati con il ricorso i documenti che avrebbero dovuto dimostrare in quale concreta situazione versava il giudice.

Perché, come risulta dalle considerazioni sin qui svolte, è in sè affatto conforme alla legge ed anzi necessario che il Consiglio di giustizia decida in una composizione di cui faccia parte un componente designato dalla giunta regionale.

Ed inoltre se il componente del Consiglio è stato nominato in base al D.P.R. 204 del 1978, per la durata di sei anni, e il procedimento per la sua sostituzione è stato iniziato prima della scadenza del suo mandato, nessuna questione può farsi a proposito della sua legittimazione a continuare ad esercitare il mandato, se, quando ha partecipato alla deliberazione della sentenza, il successore designato non si era ancora insediato.

3.5.1. – Si è detto che ad impedire che il motivo possa essere esaminato sta anzitutto il modo in cui esso è formulato.

Invero, la parte che propone ricorso ha l’onere di indicare in modo specifico i fatti della causa (art. 366, n. 3, cod. proc. civ.) e le ragioni di diritto (art. 366, n. 4, cod. proc. civ.), che, in relazione ad essi, configurano il vizio di legittimità che è presentato dalla decisione e ne giustifica la cassazione.

Questo esclude che il vizio sia prospettato in modo dubitativo e non assertivo.

Spetta alla parte indicare in relazione a quali elementi di fatto della controversia od a quali atti del processo emerga una situazione di contrasto tra la decisione del giudice e l’esatta applicazione della legge, perché il processo civile è governato dal principio dispositivo ed è alla parte che spetta chiedere al giudice il provvedimento voluto.

Non soddisfa questa esigenza avere le ricorrenti indicato come possibile ma non certa una situazione di impedimento all’esercizio della funzione neppure determinata nei tratti considerati rilevanti.

3.5.2. – Ci si deve ancora soffermare sul mancato deposito dei documenti.

Si è detto che il difetto di legittima composizione del giudice, quanto alle decisioni del Consiglio di Stato, e perciò anche del Consiglio di giustizia amministrativa, si presta ad essere denunciato con ricorso per cassazione come motivo attinente alla giurisdizione.

Ciò non toglie che si tratti di vizio che riguarda il giudice e quindi la sentenza come atto e non la decisione della controversia.

I documenti che dimostrano l’esistenza di tale vizio – siccome riguardano la nullità della sentenza impugnata – possono essere quindi depositati davanti alla Corte anche se non sono stati prodotti nel precedente grado di giudizio (art. 372, primo comma, cod. proc. civ.).

Debbono esserlo, tuttavia, con il ricorso, quali documenti su cui esso si fonda (art. 369 n. 4 cod. proc. civ.) e non possono esserlo successivamente, come invece è disposto per i documenti che riguardano l’ammissibilità del ricorso e del controricorso (art. 372,. secondo comma, cod. proc. civ.) (Cass. 2 marzo 1995 n. 2431).

Nè il mancato deposito dei documenti può essere superato facendo ricorso a poteri della Corte, perché, come si è visto, l’eventuale condizione giuridica di difetto di legittimazione all’esercizio della funzione dipende da un complesso di fattori che risalgono al procedimento di nomina dei componenti del Consiglio di giustizia, che hanno natura di atti amministrativi, che il giudice non ha l’onere di conoscere e di cui può acquisire conoscenza solo attraverso gli atti del processo (Sez. Un. 15 novembre 1994 n. 9595).

3.6. – Le ricorrenti hanno anche sostenuto che il difetto di legittima composizione del collegio e quindi le concrete circostanze che valgono a configurarlo potrebbero essere in ogni caso rilevate anche di ufficio dalla Corte; perché si tratterebbe di rilevare un difetto di giurisdizione.

Neppure questa tesi può essere seguita.

Siccome nel fascicolo di ufficio non si trova inserito quello del giudizio svoltosi davanti al Consiglio di giustizia, le ricorrenti non hanno depositato l’istanza di trasmissione di tale fascicolo nè hanno depositato con il ricorso i documenti relativi alla nomina dei componenti del Consiglio che hanno preso parte alla decisione ed alla designazione di quelli che avrebbero dovuto sostituirli, il rilievo di ufficio non è praticamente eseguibile.

Ma non avrebbe potuto avvenire neppure se questi documenti vi fossero stati.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, istituito con l’art. 1 del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, in base all’art. 23 dello statuto della Regione (R. – D. – Leg. 15 maggio 1946, n. 455, costituisce una

sezione del Consiglio di Stato (Sez. Un. 19 ottobre 1983 n. 6127), le cui decisioni possono quindi essere impugnate per cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione (art. 111, ult. comma, Cost. e 362, primo comma, cod. proc. civ.) (Sez. Un. 22 dicembre 1999 n. 928).

Orbene, nei giudizi davanti a giudici le cui decisioni sono impugnabili con ricorso per cassazione solo per motivi attinenti

alla giurisdizione, tale difetto di giurisdizione deve essere appunto denunciato con apposito motivo, che va a sua volta formulato secondo le regole prima viste e dunque con riguardo ad una determinata concreta situazione, e non può essere

rilevato di ufficio in presenza di un ricorso proposto per altri diversi motivi, attinenti o no alla giurisdizione (Sez. Un. 20 luglio 1983 n. 4990; 20 gennaio 1987 n. 462).

4. – Il ricorso è rigettato.

5. – Le ricorrenti sono condannate, in solido tra loro (artt. 385 e 97 cod. proc. civ.) a rimborsare a ciascuna delle parti resistenti le spese di questo giudizio, liquidate nel dispositivo.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, a rimborsare al Comune di Messina ed alla

società Bull Hn Information Sistem Italia, le spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuno di essi in

complessivi 4.124,00 Euro, dei quali quattromila Euro per onorari di avvocato.

Così deciso il giorno 23 maggio 2002 in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione, composta dal Dott. Vincenzo BALDASSARRE – Primo Presidente f.f. – Dott. Massimo GENGHINI – Presidente di sezione – Dott. Giovanni OLLA – Presidente di sezione – Dott. Giovanni PRESTIPINO – Consigliere – Dott. Paolo VITTORIA – Rel. Consigliere – Dott. Ernesto LUPO – Consigliere – Dott. Giandonato NAPOLETANO – Consigliere – Dott. Enrico ALTIERI – Consigliere – Dott. Michele VARRONE – Consigliere.

Redazione

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