Contratto Regioni e Autonomie Locali


TRATTAMENTO ECONOMICO DEI DIRIGENTI

QUESITO
La fruizione dei permessi previsti dalla legge per l’espletamento del mandato degli amministratori comunali e provinciali (art.79 del D.Lgs.267/2000) determina una proporzionale riduzione della retribuzione di posizione dirigenziale?

RISPOSTA DELL’ARAN
I permessi attualmente previsti per gli amministratori locali dall’art.79, commi 1, 2, 3 e 4 del D.Lgs.267/2000 sono retribuiti, come espressamente previsto dall’art.80 dello stesso decreto legislativo.
Pertanto, essi non possono determinare una riduzione della retribuzione di posizione del dirigente interessato, tanto più che questa Agenzia ha sempre sostenuto che la retribuzione di posizione non è legata alla presenza in servizio ma alla titolarità della funzione e alle connesse responsabilità; conseguentemente, essa deve essere corrisposta anche per le giornate di assenza, salvo che non esista una espressa disposizione in senso contrario.
Una tale espressa disposizione, per quanto riguarda il caso in esame, è rinvenibile solo per gli ulteriori permessi di cui al comma 5 del citato art.79, espressamente qualificati come non retribuiti; solo in questa ipotesi, pertanto, si determina la riduzione della retribuzione di posizione.

QUESITO
L’art.4, comma 1 del CCNL dell’area della dirigenza del 12.2.2002 stabilisce che qualora, in presenza di processi di riorganizzazione, al dirigente sia conferito un nuovo incarico per il quale sia prevista una retribuzione di posizione di importo inferiore rispetto a quella connessa al precedente incarico, la contrattazione decentrata integrativa definisce criteri e modalità per la disciplina degli effetti economici derivanti dal conferimento del nuovo incarico. E’ possibile chiarire le modalità applicative di tale previsione? Sarebbe possibile, ad esempio, stabilire che la nuova retribuzione di posizione non possa essere inferiore al 50% di quella precedente ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Lo scopo di tale disposizione è quello di consentire alle parti del contratto decentrato di costruire un “percorso” che, per gradi e in tempi ragionevoli, realizzi il passaggio dalla precedente retribuzione di posizione, di importo più alto, alla nuova, di importo più basso, connessa al nuovo incarico, fermo restando che detto passaggio deve comunque realizzarsi.
Se, ad esempio, la precedente retribuzione di posizione, definita secondo le regole del CCNL, aveva valore X e la nuova, sempre definita secondo le regole del CCNL, ha un valore pari all’80% di X, le parti del contratto decentrato potrebbero stabilire, in applicazione dell’art.4, comma 1 del CCNL del 12.2.2002, che il passaggio dal valore X al valore corrispondente all’80% di X debba avvenire entro l’anno in corso e che la retribuzione di posizione debba ridursi al 90% di X con effetto dal 1° luglio e all’80% di X con effetto dal 1° dicembre.
La soluzione, nei termini in cui è stata prospettata, non è invece praticabile, perché consente alla contrattazione integrativa di andare oltre il suo compito e di incidere sulla graduazione delle funzioni dirigenziali, mentre l’art.8 del CCNL dell’area della dirigenza del 23.12.1999 stabilisce che i criteri generali relativi all’individuazione dei parametri per la graduazione delle funzioni e delle connesse responsabilità, ai fini della retribuzione di posizione, sono oggetto di concertazione e non di contrattazione.
Per essere ancora più chiari, l’art.4, comma 1 del CCNL del 12.2.2002 non consente in alcun modo alla contrattazione integrativa di stabilire quale debba essere il valore della retribuzione di posizione di importo più basso corrispondente al nuovo incarico; come già detto, la contrattazione integrativa deve solo limitarsi, dati due valori della retribuzione di posizione, da definire secondo la regole del CCNL, ad individuare il “percorso” per passare dall’uno all’altro, come nell’esempio sopra riportato.
Ricordiamo, infine, che, secondo l’art.40, comma 3 del D.Lgs.165/2001 “…la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali ….. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali …. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”.
E’ da escludere, infine, che la contrattazione decentrata possa convenire di conservare “di fatto” la precedente maggiore retribuzione di posizione mediante, ad esempio, il riconoscimento stabile di un assegno ad personam.

QUESITO
Se un dirigente viene incaricato ad interim di ulteriori funzioni, relative ad un posto di qualifica dirigenziale vacante, è possibile corrispondergli, oltre alla retribuzione di posizione prevista per il suo incarico originario, anche la retribuzione di posizione collegata a tali funzioni aggiuntive ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Premesso che l’art.2, comma 3, del D.Lgs.165/2001 stabilisce che l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni da questi previste, mediante contratti individuali, riteniamo utile fornire i seguenti elementi di valutazione.
L’art.27, comma 9 del CCNL dell’area della dirigenza del 23.12.1999 prevede che “le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di posizione devono essere integralmente utilizzate. Eventuali risorse che a consuntivo risultassero ancora disponibili sono temporaneamente utilizzate per la retribuzione di risultato relativa al medesimo anno e quindi riassegnate al finanziamento della retribuzione di posizione a decorrere dall’esercizio finanziario successivo.”
Tale disposizione consente di utilizzare le risorse destinate al pagamento delle retribuzioni di posizione relative a posti di qualifica dirigenziale vacanti per valorizzare adeguatamente la retribuzione di risultato dei dirigenti che, in base alle previsioni del regolamento degli uffici e dei servizi, sono stati incaricati ad interim delle relative funzioni. Deve invece escludersi che ad un dirigente possano essere erogate due (o più) retribuzioni di posizione.


AREA DELLE POSIZIONI ORGANIZZATIVE DEL PERSONALE NON DIRIGENTE

QUESITO
E’ possibile che un ente stabilisca di remunerare le attività svolte dai responsabili di posizione organizzativa nell’ambito di un progetto finalizzato attraverso l’istituzione di un apposito compenso denominato “indennità di pronta disponibilità” ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Il titolare dell’area delle posizioni organizzative ha diritto ad un trattamento economico accessorio composto soltanto dalla retribuzione di posizione e di risultato, che assorbe in sé tutte le competenze e le indennità previste dal vigente contratto collettivo nazionale, ai sensi dell’art.10, comma 1, del CCNL del 31/3/1999, e da eventuali compensi previsti da specifiche disposizioni di legge richiamate nei CCNL (come ad es. compensi per la progettazione, per la professione legale, per il recupero evasione ICI, per lo straordinario elettorale e rilevazione ISTAT); ulteriori compensi ad altro titolo, ivi compresi quelli correlati al vostro “progetto sicurezza”, non possono essere corrisposti, in quanto gli enti non hanno il potere di individuare nuove indennità per le P.O., in aggiunta a quelle espressamente consentite dal CCNL.


CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE

QUESITO
E’ possibile avere ulteriori chiarimenti sulle riassunzioni dei lavoratori assunti a tempo determinato? In particolare, quante volte può essere riassunto lo stesso lavoratore? E’ comunque necessario rispettare sempre le ordinarie procedure di accesso, come sembrerebbe doversi desumere dalla risposta C3.6?

RISPOSTA DELL’ARAN
1) la disciplina della riassunzione del lavoratore a termine è esclusivamente quella contenuta nell’art.5 del D.Lgs.n.368/2001;
2) trattandosi di una fonte legislativa, in materia non potete che fare riferimento alle disposizioni applicative del D.Lgs.n.368/2001 contenute nella circolare n.48 dell’1.8.2002del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
3) tale circolare non contiene alcuna espressa prescrizione o divieto relativamente al possibile numero massimo di riassunzioni del medesimo lavoratore (anzi al punto 8 si afferma “…. Conferma la possibilità di un indefinito numero di rinnovi sempreché separati dagli intervalli temporali fissati dall’art.5, terzo comma, e ne sussistano i presupposti….”); inoltre la stessa circolare, pur richiamando la necessaria sussistenza dei motivi giustificativi di cui all’art.1 del D.Lgs.n.368/2001, non sembra richiedere anche l’ulteriore requisito per cui il lavoratore sia riassunto per lo svolgimento della medesima attività lavorativa;
4) tale ultimo requisito è richiesto, invece, dall’art.4 dello stesso D.Lgs.n.368/2001 espressamente solo con riferimento al diverso istituto della proroga del contratto a termine; dalla lettura della circolare del Ministero del Lavoro si evince che le ragioni giustificative della proroga possono essere anche diverse (oltre che prevedibili fin dal momento della prima assunzione) da quelle poste alla base del primo contratto, purché la proroga stessa si riferisca alla medesima attività lavorativa;
5) la precisazione del parere C3.6 sta a significare che, nel settore pubblico, la concreta possibilità di riassumere a termine il medesimo lavoratore resta comunque subordinata al necessario rispetto delle procedure concorsuali stabilite nel regolamento adottato in materia dall’ente; in sostanza il rispetto delle regole sull’accesso dall’esterno (procedure selettive o avviamento dalle liste di collocamento) è necessario anche per la riassunzione del lavoratore che già ha lavorato con contratto a termine presso l’ente (e proprio tali regole potrebbero al limite, in virtù dei loro contenuti, costituire un ostacolo alla riassunzione stessa);
6) per gli eventuali, ulteriori, profili applicativi della disciplina legale consigliamo di rivolgersi ai soggetti istituzionalmente competenti in materia di disposizioni legislative (Ministero Lavoro, ecc.)

QUESITO
La risposta D44 chiarisce che in caso di proroga del contratto a termine le ferie spettanti al dipendente devono essere calcolate con riferimento al periodo di servizio complessivamente prestato (comprensivo della proroga). Tale regola è applicabile anche in caso di proroga della missione del lavoratore interinale?

RISPOSTA DELL’ARAN
Riteniamo di sì, sia perché il lavoratore temporaneo ha diritto allo stesso trattamento applicato ai dipendenti di pari livello (v. art.4 L.196/1997) sia perché per poter continuare ad utilizzare il lavoratore temporaneo presso la vostra amministrazione dopo la scadenza del termine originariamente fissato, è assolutamente necessaria, per non incorrere in gravi responsabilità (nullità del contratto e responsabilità patrimoniale del dirigente), la preventiva proroga consensuale per atto scritto di cui all’art.3, comma 4 della L.196/1997, proroga che, nel caso più frequente, quello previsto dall’art.3, comma 1 lettera a) della stessa legge, si traduce nella proroga del contratto a termine stipulato dal lavoratore con l’impresa fornitrice. Se a questo si aggiunge che l’art.28, comma 1 del CCNL dei lavoratori temporanei sottoscritto il 23.9.2002 stabilisce espressamente che in caso di proroga dell’assegnazione iniziale “…agli effetti retributivi il periodo si configura come un’unica missione”, concetto ribadito e rafforzato dal successivo comma 4, secondo il quale “…le proroghe sono da intendersi continuative, senza alcuna soluzione di continuità del rapporto di lavoro”, pensiamo vi siano elementi più che sufficienti per affermare l’esistenza di una sostanziale analogia tra il caso in esame e la situazione illustrata nella risposta D44.
Con l’occasione, ricordiamo che:
§ i contratti di fornitura stipulati ai sensi dell’art.3, comma 1, lettera a) della L.196/1997 possono essere prorogati, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo, nei casi e per la durata previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria; l’art.28 del CCNL dei lavoratori temporanei sottoscritto il 23.9.2002, che, sul punto, ha confermato le previsioni del precedente CCNL del 18.5.1998, consente di procedere solo a quattro proroghe e comunque per un periodo massimo complessivo non superiore a 24 mesi, salvo che non ricorrano le ipotesi indicate nell’art.1, comma 2 lettere b) e c) della L.196/1997, per le quali è prevista la possibilità di proroga per tutto il periodo in cui permangono le esigenze che hanno determinato il ricorso al lavoro temporaneo;
§ ai contratti di fornitura di cui al punto precedente non si applicano le previsioni del D.Lgs.368/2001 (art.10, comma 1, lettera -a- dello stesso decreto).


FERIE

QUESITO
La risposta D44 chiarisce che in caso di proroga del contratto a termine le ferie spettanti al dipendente devono essere calcolate con riferimento al periodo di servizio complessivamente prestato (comprensivo della proroga). Tale regola è applicabile anche in caso di proroga della missione del lavoratore interinale?

RISPOSTA DELL’ARAN
Riteniamo di sì, sia perché il lavoratore temporaneo ha diritto allo stesso trattamento applicato ai dipendenti di pari livello (v. art.4 L.196/1997) sia perché per poter continuare ad utilizzare il lavoratore temporaneo presso la vostra amministrazione dopo la scadenza del termine originariamente fissato, è assolutamente necessaria, per non incorrere in gravi responsabilità (nullità del contratto e responsabilità patrimoniale del dirigente), la preventiva proroga consensuale per atto scritto di cui all’art.3, comma 4 della L.196/1997, proroga che, nel caso più frequente, quello previsto dall’art.3, comma 1 lettera a) della stessa legge, si traduce nella proroga del contratto a termine stipulato dal lavoratore con l’impresa fornitrice. Se a questo si aggiunge che l’art.28, comma 1 del CCNL dei lavoratori temporanei sottoscritto il 23.9.2002 stabilisce espressamente che in caso di proroga dell’assegnazione iniziale “…agli effetti retributivi il periodo si configura come un’unica missione”, concetto ribadito e rafforzato dal successivo comma 4, secondo il quale “…le proroghe sono da intendersi continuative, senza alcuna soluzione di continuità del rapporto di lavoro”, pensiamo vi siano elementi più che sufficienti per affermare l’esistenza di una sostanziale analogia tra il caso in esame e la situazione illustrata nella risposta D44.
Con l’occasione, ricordiamo che:
§ i contratti di fornitura stipulati ai sensi dell’art.3, comma 1, lettera a) della L.196/1997 possono essere prorogati, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo, nei casi e per la durata previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria; l’art.28 del CCNL dei lavoratori temporanei sottoscritto il 23.9.2002, che, sul punto, ha confermato le previsioni del precedente CCNL del 18.5.1998, consente di procedere solo a quattro proroghe e comunque per un periodo massimo complessivo non superiore a 24 mesi, salvo che non ricorrano le ipotesi indicate nell’art.1, comma 2 lettere b) e c) della L.196/1997, per le quali è prevista la possibilità di proroga per tutto il periodo in cui permangono le esigenze che hanno determinato il ricorso al lavoro temporaneo;
§ ai contratti di fornitura di cui al punto precedente non si applicano le previsioni del D.Lgs.368/2001 (art.10, comma 1, lettera -a- dello stesso decreto).


INDENNITA’ DI VACANZA CONTRATTUALE

QUESITO
Quali sono i presupposti per il pagamento della cosiddetta indennità di vacanza contrattuale di cui all’art.2, comma 6 del CCNL dell’1.4.1999?

RISPOSTA DELL’ARAN
L’anticipo sui futuri miglioramenti contrattuali, che rappresenta “un elemento provvisorio della retribuzione da definire e conguagliare in sede di accordo contrattuale” (Ministero del Tesoro, circolare n. 52 del 21/6/1994), è disciplinato dall’art.2, comma 6, del CCNL dell’1/4/1999.
In tale sede si specifica che l’indennità di vacanza contrattuale può essere erogata esclusivamente previa stipula da parte dell’ARAN d’apposito accordo che, peraltro, deve seguire la procedura dell’art.48 del D.Lgs. 165/2001.
La concessione di tali “acconti” non può dunque essere autonomamente corrisposta dal singolo Ente, rientrando nelle scelte strategiche e negli obiettivi generali della contrattazione collettiva nazionale.
Ricordiamo, inoltre, che ai sensi dell’art.2, comma 3, del D.Lgs.165/2001 “l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi”.


MALATTIE

QUESITO
Il contratto integrativo decentrato può introdurre delle ipotesi di permesso retribuito per l’effettuazione di visite mediche ed accertamenti diagnostici ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Escludiamo nel modo più assoluto che il contratto integrativo decentrato possa introdurre ipotesi di permesso retribuito non previste dal CCNL; la materia non figura tra quelle oggetto di contrattazione integrativa (ricordiamo che l’art.40, comma 3 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “… la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono …. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”).

QUESITO
I giorni di ricovero in day – hospital devono essere considerati assenze per malattia?

RISPOSTA DELL’ARAN
I giorni di ricovero ospedaliero e di day hospital devono essere conteggiati come assenze per malattia, salva l’eventuale applicazione, ove ne ricorrano tutti i presupposti, del beneficio di cui all’art.21, comma 7bis (gravi patologie) del CCNL del 6.7.1995 e successive modifiche.

QUESITO
E’ lecito che un dipendente svolga attività teatrale al di fuori dell’orario di lavoro ma in costanza d’assenza per malattia? Quali sanzioni disciplinari possono eventualmente essere applicate nei suoi confronti?

RISPOSTA DELL’ARAN
1. Se l’attività svolta dal dipendente in costanza di malattia non si configura come attività lavorativa, il problema è abbastanza semplice.
Dall’art.21, comma 12 del CCNL del 6.7.1995, non risulta, infatti, che il lavoratore assente per malattia possa allontanarsi a suo piacimento dal domicilio comunicato all’amministrazione; sembra invece possibile sostenere che egli possa allontanarsene solo in presenza di un’espressa autorizzazione del medico curante, fermo restando che, pur in presenza di tale autorizzazione, egli sarebbe comunque tenuto a farsi trovare presso detto domicilio durante le fasce orarie di reperibilità, fatta salva l’applicazione del comma 13 dello stesso articolo.
Anche la giurisprudenza ha sempre avuto, in materia, un orientamento piuttosto restrittivo, perché ha sempre affermato (si veda, per tutte, Cass.2452 del 1987) che la permanenza in casa durante la malattia, anche al di fuori dell’obbligo di reperibilità connesso ai controlli sanitari, rientra tra le cautele che il lavoratore ammalato ha il dovere di osservare, secondo i principi stabiliti dagli artt.1175 e 1375 del codice civile, al fine di favorire il più sollecito recupero delle energie psicofisiche. Ne consegue che l’abbandono del proprio domicilio può anche essere fonte di responsabilità disciplinare quando abbia determinato un aggravamento dello stato di malattia o abbia ritardato la guarigione.

2. Se, invece, l’attività svolta dal dipendente in costanza di malattia si configura come attività lavorativa, il problema può essere più complesso. Infatti, anche se la giurisprudenza ha costantemente affermato che lo svolgimento di altra attività lavorativa in costanza di malattia non costituisce di per sé giusta causa di recesso, dovendosi accertare se detta attività lavorativa “… abbia in concreto caratteristiche idonee a far escludere lo stato di malattia evidenziato nella certificazione, ovvero presenti un minor impegno fisico che non sia incompatibile con l’infermità denunciata e che non comprometta la guarigione essendo comunque obbligo del lavoratore di evitare ogni comportamento negligente che possa ritardare la guarigione e quindi la ripresa della prestazione lavorativa…” (Cass. n.3704 del 1987), è anche vero che nel caso dei dipendenti pubblici si deve tener conto delle disposizioni in materia di incompatibilità contenute nell’art.53 del D.Lgs.165/2001 e nelle norme da esso richiamate. Pertanto, anche se si dimostrasse che la seconda attività lavorativa svolta dal dipendente non ne ha compromesso la guarigione, questo non basterebbe ad escludere una sua responsabilità disciplinare per violazione dell’art.53 del D.Lgs.165/2001.

In entrambi i casi, non v’è dubbio che sia astrattamente configurabile una responsabilità disciplinare del dipendente; potrebbero, anzi, sussistere responsabilità ben più gravi (sia del dipendente, sia del medico curante).
Tuttavia, l’Aran non può sostituirsi alle amministrazioni rappresentate nella gestione dei rapporti di lavoro del personale: spetta all’ente, pertanto, valutare il caso concreto ed individuare, eventualmente, la sanzione disciplinare applicabile secondo i principi di gradualità e proporzionalità di cui all’art.25, comma 1 del CCNL del 6.7.1995.

QUESITO
E’ possibile avere dettagliati chiarimenti sulle concrete modalità di applicazione della sanzione amministrativa prevista, per il dipendente assente a visita fiscale, dall’art.5, comma 14 della L.638/1983?

RISPOSTA DELL’ARAN
L’art.5, comma 14, della L. 638/1983, stabilisce che “qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l’intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l’ulteriore periodo esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo”.
Per la corretta applicazione di tale disciplina, occorre tener conto sia della sentenza della Corte Costituzionale n. 78 del 26 gennaio 1988, sia di alcune decisioni giurisprudenziali, sia di alcune circolari diramate dall’Inps.
Il quadro che ne risulta può schematicamente riassumersi nei seguenti termini:
1) perdita totale del trattamento economico per i primi 10 giorni, nel caso d’assenza alla prima visita di controllo;
2) decadenza dal diritto al trattamento economico in misura pari al 50%, per i giorni successivi ai primi 10 nell’ambito di un medesimo periodo di prognosi, ma solo nel caso di assenza ingiustificata ad una seconda visita di controllo;
3) interruzione del trattamento economico di malattia, nel caso di assenza ingiustificata ad una terza visita di controllo, sempre all’interno di un medesimo periodo di prognosi; l’interruzione si determina dalla data in cui è stata riscontrata l’ulteriore assenza. Tale effetto interruttivo viene considerato come una conseguenza dell’inesistenza delle condizioni per la conferma dello stato di malattia che, infatti, viene disconosciuto dalla data del terzo mancato accertamento (Circ. Inps n 65 del 31 marzo 1989). La successiva sottoposizione, anche ad iniziativa del dipendente, a controllo positivo determina il ripristino del trattamento economico con decorrenza dalla data in cui è effettuato. L’assenza ad un’ulteriore visita di controllo, nell’ambito del medesimo periodo di prognosi, disposta dopo il ripristino, comporta di nuovo l’interruzione della corresponsione del trattamento economico (Circ. Inps n. 65 dei 31 marzo1989).
In senso contrario, nel senso di escludere che l’inutile attivazione di una terza visita di controllo determini una nuova decadenza dall’intero trattamento economico per altri 10 giorni, si è espresso un orientamento giurisprudenziale (Pret. Roma 8 marzo 1989) che, a tal fine ha sottolineato che:
? il dato normativo non consente tale estensione, dato che, per il caso di assenza ingiustificata del dipendente alla visita di controllo, limita la perdita dell’intero trattamento economico esclusivamente ai primi 10 giorni, senza proroghe o nuove decorrenze (art.5, legge n. 638/1983);
? è erroneo il presupposto di partenza in quanto l’allontanamento dal domicilio non può far presumere di per sé la simulazione dell’infermità (Cass. 27 giugno 1990, n. 6521; Cass. 14 giugno 1987, n. 3587; Cass. 15 marzo 1986, n. 1790);
? l’interpretazione estensiva è contraria ai contenuti della pronuncia n. 78 del 26 gennaio 1988 della Corte costituzionale.
4) Ai fini dell’applicazione della sanzione è sufficiente la sola assenza ingiustificata del dipendente alla visita di controllo. Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale (Cass. 4 dicembre 1991, n. 13052; Pret. Torino 22 gennaio 1987; Pret. Crema 5 dicembre 1985) e secondo una tesi interpretativa fatta propria ed applicata in materia dall’Inps (Circ. n. 166/1988), la sottoposizione, con esito positivo, del lavoratore assente ingiustificato alla visita domiciliare, al controllo ambulatoriale confermativo (art.5 DM Lavoro e politiche sociali 15 luglio 1986), pur non incidendo sul periodo pregresso, e quindi sulla perdita del trattamento economico per i giorni antecedenti, determina il ripristino del diritto del lavoratore a percepire il trattamento economico di malattia, con effetto “ex nunc”, dal giorno del controllo ambulatoriale.
5) La decorrenza della sanzione viene stabilita dal giorno iniziale della malattia (Circ. Inps AGO 8 agosto 1984, n. 134421).
La sanzione prevista trova applicazione solo nel caso di assenze ingiustificate del dipendente a visite di controllo intervenute nel medesimo periodo di prognosi e quindi con riferimento al medesimo evento morboso. Ciò comporta che gli effetti della sanzione per assenza ingiustificata riscontrata durante la prima malattia non possono essere considerati con riferimento ad un secondo episodio morboso costituente ricaduta del primo.
La sanzione della perdita del trattamento economico non può riguardare i giorni di ricovero ospedaliero o già certificati in sede di una precedente visita di controllo (art. 5, legge n. 638/1983). L’esclusione in tali casi dell’efficacia retroattiva della sanzione, dal primo giorno, trova la sua giustificazione nel fatto che il ricovero ospedaliero e il precedente controllo domiciliare forniscono già la prova dell’esistenza della malattia a quella data.
La sanzione non trova applicazione anche nei casi di assenza giustificata alla visita di controllo previsti dalla disciplina contrattuale (art.21, c. 13, CCNL 6 luglio 1995).

Naturalmente, l’applicazione di detta sanzione, che ha la sua fonte nella legge, non esclude la possibilità di aprire anche un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente per violazione degli obblighi contrattuali (v. art.25, comma 4, lettera -a-, del CCNL del 6.7.1995).

QUESITO
Qual è il regime delle cure elioterapiche richieste dal dipendente invalido per causa di servizio? In particolare, devono essere effettuate in congedo straordinario? Si applica il limite massimo dei 15 giorni di assenza di cui all’art.13 della L. 638/1983?

RISPOSTA DELL’ARAN
· l’istituto del congedo straordinario è stato definitivamente superato fin dal CCNL del 6.7.1995 (art.47, comma 1, lettera -s-); analoga sorte è toccata anche all’istituto dell’aspettativa per infermità;
· ciò ha determinato che la fruizione delle cure termali (elioterapiche, climatiche e psammoterapiche) da parte di tutti i pubblici dipendenti, compresi i mutilati e gli invalidi di guerra e per servizio, soggiace ora alle medesime regole legislative previste per i lavoratori privati, sia per ciò che attiene alle patologie che danno titolo alle stesse sia per ciò che attiene alle specifiche procedure da seguire e le certificazioni da esibire;
· tale disciplina di riferimento, alla quale rinviamo per tutti gli aspetti di dettaglio, è rappresentata esclusivamente dalle seguenti fonti legislative e regolamentari: art.13 DL 463/1983, convertito nella legge 638/1983, come modificato ed integrato dall’art.16, commi 4, 5 e 6, della L. 30/12/1991, n. 412; art. 4 L. 323/2000; DD.MM del 22.3.2001, del 15.12.1994 e del 12.8.1992;
· il principale elemento di novità, rispetto al precedente regime pubblicistico, è rappresentato dal fatto che i giorni di fruizione delle predette cure, nei limiti in cui è consentito effettuarle al di fuori delle ferie, devono essere necessariamente imputati alle assenze per malattia di cui agli artt.21 o, eventualmente, 22 del CCNL del 6.7.1995, in quanto riconducibili comunque allo stato di salute del dipendente. Naturalmente, sarà possibile fare riferimento all’art.22 del CCNL del 6.7.1995 solo per le cure espressamente prescritte in relazione all’infortunio o alla specifica malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio;
· di norma, le cure termali devono essere effettuate nell’ambito del periodo feriale spettante a ciascun lavoratore. Anche l’art.16, comma 5, della legge n. 412/1991 ha confermato, indirettamente, tale regola generale, prevedendo le condizioni tassative che, eccezionalmente, consentono al lavoratore di assentarsi per fruire delle cure termali anche al di fuori del periodo di ferie;
· per il lavoratore che, solo in presenza di dette condizioni, effettua le cure termali al di fuori delle ferie, l’assenza dal servizio, da imputare a malattia, non può mai superare i 15 giorni all’anno (art.13 L.638/1983). Inoltre, al fine di evitare forme di abuso, l’art.13, comma 5 della legge n. 638/1983 stabilisce che tra i periodi di effettuazione delle cure e delle ferie deve intercorrere un periodo di almeno 15 giorni. Secondo la giurisprudenza, il limite dei 15 giorni vale anche per gli invalidi per causa di servizio (C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 197 del 16.2.1995; TAR Liguria – Genova – sentenza n. 677 del 13.11.1990); inoltre, la previsione di un necessario intervallo di 15 giorni tra cure termali e ferie può non trovare applicazione quando la richiesta di fruizione delle prime intervenga successivamente al godimento delle ferie e la deroga può giustificarsi sulla base dei caratteri d’indilazionabilità e imprevedibilità della terapia (Cass. 22 gennaio 1992, n. 700). La giurisprudenza di merito (Pret. Taranto 16 ottobre 1990, n. 459) ha ritenuto, infine, che se la necessità di sottoporsi a cure termali sorge quando mancano meno di 15 giorni rispetto alla fruizione delle ferie, queste devono essere posticipate; viene ipotizzato anche un differimento delle cure termali in relazione alla data di conclusione delle ferie, purché nel rispetto del limite massimo stabilito dalla legge in proposito e cioè 30 giorni dalla prescrizione medica.
· non possono essere fruite in periodo extra feriale, secondo le modalità descritte:
Ø le cure meramente preventive, finalizzate ad impedire l’insorgenza di malattie nuove, dato che esse non sono in alcun modo previste dalla disciplina legale; in tale esclusione la Corte costituzionale con ordinanza n. 459 del 16 ottobre 1990 ha escluso che possa ravvisarsi una lesione di principi costituzionali;
Ø le cure elioterapiche, climatiche e psammoterapiche, in virtù dell’espressa previsione dell’art.13, comma 6 della legge n. 638/1983, salvo che le cure stesse non siano richieste dai seguenti lavoratori: invalidi civili con percentuale superiore ai due terzi, ciechi, invalidi per causa dì guerra, di servizio e del lavoro. Restano fermi, naturalmente, anche per questi lavoratori, l’imputazione dell’assenza a malattia e le altre previsioni delle norme richiamate, compreso il limite dei 15 giorni; il punto è stato espressamente chiarito, già nel precedente regime pubblicistico, dalla citata sentenza del C.d.S Sez. VI n.197 del 16.2.1995 secondo la quale le assenze “… per cure idrotermali, elioterapiche, climatiche e psammoterapiche, non possono superare il periodo quindici giorni l’anno anche nel caso che il richiedente sia invalido”.
· la fruizione delle cure termali deve, come detto, iniziare entro il termine massimo indicato dal medico specialista e comunque non oltre 30 giorni dalla data della prescrizione medica.

QUESITO
In caso di part-time verticale come deve essere calcolato il periodo di comporto per malattia? In particolare, si devono computare tutti i giorni coperti da certificazione medica o soltanto quelli nei quali il dipendente sarebbe tenuto a rendere la prestazione lavorativa?

RISPOSTA DELL’ARAN
L’art.6, comma 8, del CCNL del 14.9.2000 stabilisce espressamente che in caso di part-time verticale tutte le diverse forme di assenza si riducono in proporzione al numero di giornate di lavoro prestate nell’anno, comprese quelle per malattia.
Pertanto, sarà necessario riproporzionare sia il periodo massimo di conservazione del posto previsto dall’art.21 del CCNL del 6.7.1995 sia l’arco temporale di riferimento entro il quale computare il periodo stesso di conservazione del posto sia i periodi di retribuzione intera e ridotta di cui al comma 7 del citato art.21.
In conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all’articolazione dell’orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa.
Nel caso prospettato (prestazione per tre giorni settimanali) si dovranno considerare solo i giorni di malattia corrispondenti ai giorni di ogni settimana in cui il lavoratore deve rendere la sua prestazione; nel caso in cui, nel giorno stabilito per la ripresa dell’attività lavorativa (ad esempio il lunedì), il lavoratore si assenti di nuovo per malattia, nel computo del periodo di comporto si dovrebbe tenere conto anche dei giorni del sabato e della domenica, in virtù della presunzione di continuità della malattia costantemente affermata dalla giurisprudenza, anche al fine di evitare sia situazioni di disparità di trattamento con i lavoratori a tempo indeterminato sia comportamenti non corretti dei lavoratori a tempo parziale che, attraverso opportuni calcoli, potrebbero assentarsi per lunghi periodi di tempo. Tuttavia si deve evidenziare che la stessa giurisprudenza (Cass.Civ., sez.lav., 18.10.2000, n.13816; Cass.Civ., sez.Lav., 14.12.1999, n.14065; App.Torino, 19.6.2000), anche con riferimento al periodo di comporto del dipendente con rapporto di lavoro a tempo pieno, ammette con uguale costanza che tale presunzione di continuità opera solo in mancanza di prova contraria che è onere del lavoratore stesso fornire.


MOBILITÀ E TRASFERIMENTI

QUESITO
In caso di mobilità, l’ente di destinazione è tenuto a conservare ai dipendenti il buono pasto e il trattamento economico accessorio in godimento presso l’ente di provenienza?

RISPOSTA DELL’ARAN
Per il personale trasferito, gli artt.26 e ss. del CCNL del 5.10.2001, prevedono esclusivamente la garanzia dell’anzianità di servizio e del trattamento economico fisso e continuativo in godimento, così come risultante dalla somma delle voci indicate nell’art.28, comma 3. Nessuna garanzia è prevista, invece, per il trattamento economico accessorio, per il quale si dovrà applicare la disciplina vigente presso il nuovo datore di lavoro (art.27, comma 2 CCNL citato)
Quanto al buono pasto, premesso che anche in questo caso non è prevista alcuna clausola di garanzia e che pertanto il servizio mensa, ove istituito, è interamente regolato dalla disposizioni vigenti presso il nuovo datore di lavoro, ricordiamo che, oltretutto, è sempre stata esclusa, dalle disposizioni che nel tempo hanno regolato la materia nei diversi comparti, la possibilità di qualsiasi forma di monetizzazione del servizio mensa e dei buoni pasto (v. art.5, comma 4 CCNL Comparto Ministeri del 30.4.1996 e art.45, comma 6, del CCNL del Comparto Regioni Autonomie Locali del 14.9.2000).

QUESITO
L’indennità prevista per il personale dell’area della vigilanza dall’art.37, comma 1, lett. b, ultimo periodo del CCNL del 6.7.1995 deve essere corrisposta anche in caso di comando del beneficiario presso altre amministrazioni?

RISPOSTA DELL’ARAN
a) l’indennità disciplinata dall’art.37, comma 1, lett. b, ultimo periodo, del CCNL del 6.7.1995, viene riconosciuta al personale dell’area di vigilanza per il solo fatto di essere inquadrato in profili della suddetta area, a prescindere da ogni considerazione delle modalità e del luogo di erogazione della prestazione;
b) per tali caratteristiche, quindi, essa è sostanzialmente assimilabile al trattamento fondamentale, essendo legata ai contenuti del profilo professionale posseduto;
c) l’art.49 del CCNL del 14/9/2000 considera tale emolumento fisso e continuativo in relazione alla disciplina del trattamento di fine rapporto;
d) nel precedente assetto pubblicistico, tale compenso era già considerato utile ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza (Ministero del Tesoro, circolare del 3/9/1991, n. 8/I.P.);
e) tale indennità, pertanto, deve continuare ad essere corrisposta anche nel caso di comando del personale beneficiario presso altre amministrazioni od altri enti, anche di diverso comparto;
f) in considerazione di quanto detto a proposito della natura e delle caratteristiche della indennità, che ne consentono la sostanziale assimilazione al trattamento fondamentale, riteniamo che anche per essa deve comunque trovare applicazione l’art. 70, comma 12, del D. Lgs. n. 165/2001, secondo il quale la P.A. che utilizza il personale in posizione di comando è tenuta al rimborso, nei confronti dell’amministrazione che ha consentito il comando, dell’onere concernente il trattamento economico fondamentale.

In tal senso è anche l’opinione dell’A.N.C.I..


MODELLI RELAZIONALI CON LE OO.SS.

QUESITO
Le OO.SS. hanno diritto ad informazioni di carattere specifico e particolare concernenti la gestione o comunque lo status del singolo dipendente? In particolare, hanno diritto di conoscere le ore di lavoro straordinario (o aggiuntivo) effettuate dai singoli dipendenti con contratto a termine (o con rapporto part-time) e i compensi da essi percepiti e di conoscere aspetti personali e di dettaglio dei contratti di fornitura di lavoro temporaneo e delle collaborazioni coordinate e continuative in essere presso l’amministrazione?

RISPOSTA DELL’ARAN
Gli spazi di “informazione” sono chiaramente delineati dall’art.7 del CCNL dell’1.4.1999, che, peraltro fa riferimento solo agli atti di valenza generale concernenti il rapporto di lavoro, l’organizzazione degli uffici e la gestione complessiva delle risorse umane.
Conseguentemente, deve escludersi ogni obbligo di informazione di carattere specifico e particolare concernente la gestione o comunque lo status del singolo dipendente.
In materia di contratto a termine, poi, è prevista la preventiva attivazione del modulo della concertazione con riferimento alla individuazione dei fabbisogni di personale da assumere con tale tipologia contrattuale.
Con riferimento al contratto a tempo parziale è prevista (art.4, comma 16, del CCNL del 14.9.2000) un’informazione semestrale alle organizzazioni sindacali con un oggetto ben specifico: andamento delle assunzioni a tempo parziale, sulle diverse tipologie e sull’eventuale ricorso al lavoro aggiuntivo e straordinario. Si tratta di elementi oggettivi e generali che si estendono certo alle singole situazioni soggettive. L’eventuale ricorso al lavoro aggiuntivo, come indicazione, sta a significare la quantità complessiva di lavoro aggiuntivo a cui si è fatto ricorso all’interno dell’ente o, al suo interno, tra le diverse strutture organizzative ma non può equivalere, certo, ad informazione specifica e dettagliata sulle quantità e sui compensi percepiti dai singoli lavoratori.
Ugualmente carattere generale ed oggettivo hanno le informazioni dovute alle OO.SS. in materia di lavoro interinale, ai sensi dell’art.2, comma 10, dello steso CCNL del 14.9.2000.
Per ciò che attiene alle collaborazioni continuate e coordinate, i modelli d’informazione previsti contrattualmente non le prendono in alcun modo in considerazione in quanto trattasi di fattispecie di lavoro autonomo che il CCNL, proprio perché tali non ha disciplinato (né poteva disciplinare).
Pertanto, a parte i dubbi da voi avanzati circa la riconducibilità alla legge 241/1990 anche di tali contratti di lavoro autonomo e sulla stessa portata di tale legge (se debba riguardare anche gli specifici contenuti di ciascun contratto o solo le quantità globali: numero complessivo e spesa totale da essi derivante), riteniamo che in materia non possa comunque prescindersi dalle precise disposizioni in materia di privacy contenute nella legge n.675/1996.

QUESITO
Il contratto integrativo decentrato può introdurre delle ipotesi di permesso retribuito per l’effettuazione di visite mediche ed accertamenti diagnostici ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Escludiamo nel modo più assoluto che il contratto integrativo decentrato possa introdurre ipotesi di permesso retribuito non previste dal CCNL; la materia non figura tra quelle oggetto di contrattazione integrativa (ricordiamo che l’art.40, comma 3 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “… la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono …. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.” ).

QUESITO
Il contratto integrativo decentrato può introdurre specifici compensi, non previsti dal CCNL, per lo svolgimento di servizi serali, notturni e festivi da parte della polizia municipale? E’ possibile realizzare progetti finalizzati che riguardino solo la polizia municipale?

RISPOSTA DELL’ARAN
Ai sensi dell’art.2, comma 3 del D.Lgs.165/2001, l’attribuzione di trattamenti economici al personale può avvenire “…esclusivamente mediante contratti collettivi …”, mentre l’art.40, comma 3 dello stesso decreto legislativo stabilisce che “ la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali …. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.”
Riteniamo che non possa esservi alcun dubbio, alla luce delle richiamate disposizioni imperative di legge, che il contratto integrativo decentrato non possa istituire compensi non espressamente previsti dal CCNL.
Il CCNL non prevede alcun compenso forfetario per le attività serali, notturne e festive della polizia municipale; gli unici compensi erogabili sono solo quelli previsti dal CCNL che rappresenta, per gli enti, l’inderogabile quadro di riferimento.
Quanto alla possibilità di realizzare specifici progetti finalizzati per la polizia municipale (e le relative casistiche), non c’è, ovviamente, nessun problema, a condizione che siano rispettate le previsioni dell’art.17 del CCNL dell’1.4.1999.
Pertanto:
· detti progetti devono essere finalizzati a promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza, di efficacia e di qualità dei servizi;
· i relativi compensi debbono essere correlati al merito e all’impegno di gruppo per centri di costo e/o individuale, in modo selettivo e secondo i risultati accertati dal sistema permanente di valutazione.
Sull’inderogabilità dei vincoli derivanti dal CCNL e sulle responsabilità che ne possono conseguire, consigliamo anche di consultare la sentenza della Corte dei Conti, Sez. Campania n. 79/2001 del 25.1.2001, pubblicata sul nostro sito istituzionale (www.aranagenzia.it).


PERMESSI E ASPETTATIVE

QUESITO
Il dipendente di un ente locale, delegato per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero dinanzi al Giudice di Pace, ha diritto, per l’assolvimento di tali funzioni, a permessi retribuiti?

RISPOSTA DELL’ARAN
Nel nostro ordinamento non sono previste disposizioni legali o contrattuali che riconoscano al pubblico dipendente che svolga funzioni “giudiziarie onorarie” (giudice onorario, vice-procuratore, delegati del procuratore per l’assolvimento della funzione di P.M.) il diritto a forme di assenza retribuita.
La questione nella sua complessità è stata anche sottoposta alla valutazione del Tavolo di coordinamento giuridico della nostra Agenzia che, in proposito, data l’assenza di disposizioni espresse, ha ritenuto che si debba far riferimento alla normativa generale relativa al conferimento di incarichi retribuiti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art.53 del D.Lgs.n.165/2001.
Il lavoratore interessato, pertanto, se autorizzato dalla sua amministrazione, potrà svolgere l’incarico nel rispetto del debito orario secondo la vigente disciplina in materia di assenze e di articolazioni particolari dell’orario di lavoro.

QUESITO
Il dipendente che abbia promosso il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art.65 del D.Lgs.165/2001 ha diritto ad eventuali riposi compensativi per le ore impiegate per partecipare alle relative sedute?

RISPOSTA DELL’ARAN
Il lavoratore che partecipi ad un tentativo di conciliazione in quanto parte interessata al tentativo stesso, agisce come soggetto autonomo e non in rappresentanza dell’ente, in conseguenza l’assenza potrà essere imputata, secondo le valutazioni personali dell’interessato, a ferie, permesso a recupero o permesso per particolari motivi personali e non ha diritto ad un riposo compensativo corrispondente al tempo dedicato ai relativi adempimenti; invece, il lavoratore che per lo stesso tentativo di conciliazione rappresenta gli interessi dell’ente presta effettiva attività lavorativa, utile a tutti gli effetti.
Analogo discorso vale anche per il lavoratore che sia rappresentante di organizzazioni sindacali.
In tal senso la nostra Agenzia si è già espressa con il parere E.28.

QUESITO
Il contratto integrativo decentrato può introdurre delle ipotesi di permesso retribuito per l’effettuazione di visite mediche ed accertamenti diagnostici ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Escludiamo nel modo più assoluto che il contratto integrativo decentrato possa introdurre ipotesi di permesso retribuito non previste dal CCNL; la materia non figura tra quelle oggetto di contrattazione integrativa (ricordiamo che l’art.40, comma 3 del D.Lgs.165/2001 stabilisce che “… la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono …. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”).

PERSONALE DELL’AREA DELLA VIGILANZA

QUESITO
L’indennità prevista per il personale dell’area della vigilanza dall’art.37, comma 1, lett. b, ultimo periodo del CCNL del 6.7.1995 deve essere corrisposta anche in caso di comando del beneficiario presso altre amministrazioni?

RISPOSTA DELL’ARAN
g) l’indennità disciplinata dall’art.37, comma 1, lett. b, ultimo periodo, del CCNL del 6.7.1995, viene riconosciuta al personale dell’area di vigilanza per il solo fatto di essere inquadrato in profili della suddetta area, a prescindere da ogni considerazione delle modalità e del luogo di erogazione della prestazione;
h) per tali caratteristiche, quindi, essa è sostanzialmente assimilabile al trattamento fondamentale, essendo legata ai contenuti del profilo professionale posseduto;
i) l’art.49 del CCNL del 14/9/2000 considera tale emolumento fisso e continuativo in relazione alla disciplina del trattamento di fine rapporto;
j) nel precedente assetto pubblicistico, tale compenso era già considerato utile ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza (Ministero del Tesoro, circolare del 3/9/1991, n. 8/I.P.);
k) tale indennità, pertanto, deve continuare ad essere corrisposta anche nel caso di comando del personale beneficiario presso altre amministrazioni od altri enti, anche di diverso comparto;
l) in considerazione di quanto detto a proposito della natura e delle caratteristiche della indennità, che ne consentono la sostanziale assimilazione al trattamento fondamentale, riteniamo che anche per essa deve comunque trovare applicazione l’art. 70, comma 12, del D. Lgs. n. 165/2001, secondo il quale la P.A. che utilizza il personale in posizione di comando è tenuta al rimborso, nei confronti dell’amministrazione che ha consentito il comando, dell’onere concernente il trattamento economico fondamentale.

In tal senso è anche l’opinione dell’A.N.C.I..

QUESITO
Il contratto integrativo decentrato può introdurre specifici compensi, non previsti dal CCNL, per lo svolgimento di servizi serali, notturni e festivi da parte della polizia municipale? E’ possibile realizzare progetti finalizzati che riguardino solo la polizia municipale?

RISPOSTA DELL’ARAN
Ai sensi dell’art.2, comma 3 del D.Lgs.165/2001, l’attribuzione di trattamenti economici al personale può avvenire “…esclusivamente mediante contratti collettivi …”, mentre l’art.40, comma 3 dello stesso decreto legislativo stabilisce che “ la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali …. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.”
Riteniamo che non possa esservi alcun dubbio, alla luce delle richiamate disposizioni imperative di legge, che il contratto integrativo decentrato non possa istituire compensi non espressamente previsti dal CCNL.
Il CCNL non prevede alcun compenso forfetario per le attività serali, notturne e festive della polizia municipale; gli unici compensi erogabili sono solo quelli previsti dal CCNL che rappresenta, per gli enti, l’inderogabile quadro di riferimento.
Quanto alla possibilità di realizzare specifici progetti finalizzati per la polizia municipale (e le relative casistiche), non c’è, ovviamente, nessun problema, a condizione che siano rispettate le previsioni dell’art.17 del CCNL dell’1.4.1999.
Pertanto:
· detti progetti devono essere finalizzati a promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza, di efficacia e di qualità dei servizi;
· i relativi compensi debbono essere correlati al merito e all’impegno di gruppo per centri di costo e/o individuale, in modo selettivo e secondo i risultati accertati dal sistema permanente di valutazione.
Sull’inderogabilità dei vincoli derivanti dal CCNL e sulle responsabilità che ne possono conseguire, consigliamo anche di consultare la sentenza della Corte dei Conti, Sez. Campania n. 79/2001 del 25.1.2001, pubblicata sul nostro sito istituzionale (www.aranagenzia.it).

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE



QUESITO
E’ lecito che un dipendente svolga attività teatrale al di fuori dell’orario di lavoro ma in costanza di assenza per malattia? Quali sanzioni disciplinari possono eventualmente essere applicate nei suoi confronti?

RISPOSTA DELL’ARAN
1. Se l’attività svolta dal dipendente in costanza di malattia non si configura come attività lavorativa, il problema è abbastanza semplice.
Dall’art.21, comma 12 del CCNL del 6.7.1995, non risulta, infatti, che il lavoratore assente per malattia possa allontanarsi a suo piacimento dal domicilio comunicato all’amministrazione; sembra invece possibile sostenere che egli possa allontanarsene solo in presenza di una espressa autorizzazione del medico curante, fermo restando che, pur in presenza di tale autorizzazione, egli sarebbe comunque tenuto a farsi trovare presso detto domicilio durante le fasce orarie di reperibilità, fatta salva l’applicazione del comma 13 dello stesso articolo.
Anche la giurisprudenza ha sempre avuto, in materia, un orientamento piuttosto restrittivo, perché ha sempre affermato (si veda, per tutte, Cass. 2452 del 1987) che la permanenza in casa durante la malattia, anche al di fuori dell’obbligo di reperibilità connesso ai controlli sanitari, rientra tra le cautele che il lavoratore ammalato ha il dovere di osservare, secondo i principi stabiliti dagli artt.1175 e 1375 del codice civile, al fine di favorire il più sollecito recupero delle energie psicofisiche. Ne consegue che l’abbandono del proprio domicilio può anche essere fonte di responsabilità disciplinare quando abbia determinato un aggravamento dello stato di malattia o abbia ritardato la guarigione.

2. Se, invece, l’attività svolta dal dipendente in costanza di malattia si configura come attività lavorativa, il problema può essere più complesso. Infatti, anche se la giurisprudenza ha costantemente affermato che lo svolgimento di altra attività lavorativa in costanza di malattia non costituisce di per sé giusta causa di recesso, dovendosi accertare se detta attività lavorativa “… abbia in concreto caratteristiche idonee a far escludere lo stato di malattia evidenziato nella certificazione, ovvero presenti un minor impegno fisico che non sia incompatibile con l’infermità denunciata e che non comprometta la guarigione essendo comunque obbligo del lavoratore di evitare ogni comportamento negligente che possa ritardare la guarigione e quindi la ripresa della prestazione lavorativa…” (Cass. n.3704 del 1987), è anche vero che nel caso dei dipendenti pubblici si deve tener conto delle disposizioni in materia di incompatibilità contenute nell’art.53 del D.Lgs.165/2001 e nelle norme da esso richiamate. Pertanto, anche se si dimostrasse che la seconda attività lavorativa svolta dal dipendente non ne ha compromesso la guarigione, questo non basterebbe ad escludere una sua responsabilità disciplinare per violazione dell’art.53 del D.Lgs.165/2001.

In entrambi i casi, non v’è dubbio che sia astrattamente configurabile una responsabilità disciplinare del dipendente; potrebbero, anzi, sussistere responsabilità ben più gravi (sia del dipendente, sia del medico curante).
Tuttavia, l’Aran non può sostituirsi alle amministrazioni rappresentate nella gestione dei rapporti di lavoro del personale: spetta all’ente, pertanto, valutare il caso concreto ed individuare, eventualmente, la sanzione disciplinare applicabile secondo i principi di gradualità e proporzionalità di cui all’art.25, comma 1 del CCNL del 6.7.1995.

RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE

QUESITO
In caso di part-time verticale come deve essere calcolato il periodo di comporto per malattia? In particolare, si devono computare tutti i giorni coperti da certificazione medica o soltanto quelli nei quali il dipendente sarebbe tenuto a rendere la prestazione lavorativa?

RISPOSTA DELL’ARAN
L’art.6, comma 8, del CCNL del 14.9.2000 stabilisce espressamente che in caso di part-time verticale tutte le diverse forme di assenza si riducono in proporzione al numero di giornate di lavoro prestate nell’anno, comprese quelle per malattia.
Pertanto, sarà necessario riproporzionare sia il periodo massimo di conservazione del posto previsto dall’art.21 del CCNL del 6.7.1995 sia l’arco temporale di riferimento entro il quale computare il periodo stesso di conservazione del posto sia i periodi di retribuzione intera e ridotta di cui al comma 7 del citato art.21.
In conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all’articolazione dell’orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa.
Nel caso prospettato (prestazione per tre giorni settimanali) si dovranno considerare solo i giorni di malattia corrispondenti ai giorni di ogni settimana in cui il lavoratore deve rendere la sua prestazione; nel caso in cui, nel giorno stabilito per la ripresa dell’attività lavorativa (ad esempio il lunedì), il lavoratore si assenti di nuovo per malattia, nel computo del periodo di comporto si dovrebbe tenere conto anche dei giorni del sabato e della domenica, in virtù della presunzione di continuità della malattia costantemente affermata dalla giurisprudenza, anche al fine di evitare sia situazioni di disparità di trattamento con i lavoratori a tempo indeterminato sia comportamenti non corretti dei lavoratori a tempo parziale che, attraverso opportuni calcoli, potrebbero assentarsi per lunghi periodi di tempo. Tuttavia si deve evidenziare che la stessa giurisprudenza (Cass.Civ., sez.lav., 18.10.2000, n.13816; Cass.Civ., sez.Lav., 14.12.1999, n.14065; App.Torino, 19.6.2000), anche con riferimento al periodo di comporto del dipendente con rapporto di lavoro a tempo pieno, ammette con uguale costanza che tale presunzione di continuità opera solo in mancanza di prova contraria che è onere del lavoratore stesso fornire.

QUESITO
Secondo il CCNL, la tariffa del lavoro aggiuntivo prestato dal personale in part-time deve essere calcolata sulla retribuzione globale di fatto percepita dal dipendente nel mese in cui è stata effettuata la prestazione stessa; questo può creare qualche problema se, nel mese di riferimento, al dipendente sono state corrisposte somme arretrate che fanno lievitare sensibilmente l’importo della retribuzione globale di fatto: in simili casi, è possibile escludere dalla base di calcolo tali somme arretrate ?

RISPOSTA DELL’ARAN
a) la disciplina del trattamento economico del lavoro aggiuntivo prestato dal personale con rapporto di lavoro a tempo parziale trova il suo fondamento nell’art.3 del D.Lgs.n..61/2000, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché nell’art.6, comma 4, del CCNL del 14.9.2000, che a tal fine prescrivono che esso debba essere calcolato sulla base della retribuzione globale di fatto percepita dal dipendente nel mese in cui è stata effettuata la prestazione stessa;
b) la nozione di retribuzione globale di fatto è chiaramente indicata nell’art.52, comma 2, lettera d) del CCNL del 14.9.2000 che esclude dalla stessa solo le somme corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo di indennizzo nonché quelle pagate per trattamento di missione fuori sede e per trasferimento;
c) conseguentemente, se nel mese di riferimento al dipendente sono stati corrisposti compensi per lavoro aggiuntivo relativi a prestazioni rese in precedenti periodi temporali, questi non possono essere esclusi dal computo, stante la precisa prescrizione legale e contrattuale.

SERVIZIO MENSA E BUONO PASTO

QUESITO
In caso di mobilità, l’ente di destinazione è tenuto a conservare ai dipendenti il buono pasto e il trattamento economico accessorio in godimento presso l’ente di provenienza?

RISPOSTA DELL’ARAN
Per il personale trasferito, gli artt.26 e ss. del CCNL del 5.10.2001, prevedono esclusivamente la garanzia dell’anzianità di servizio e del trattamento economico fisso e continuativo in godimento, così come risultante dalla somma delle voci indicate nell’art.28, comma 3. Nessuna garanzia è prevista, invece, per il trattamento economico accessorio, per il quale si dovrà applicare la disciplina vigente presso il nuovo datore di lavoro (art.27, comma 2 CCNL citato)
Quanto al buono pasto, premesso che anche in questo caso non è prevista alcuna clausola di garanzia e che pertanto il servizio mensa, ove istituito, è interamente regolato dalla disposizioni vigenti presso il nuovo datore di lavoro, ricordiamo che, oltretutto, è sempre stata esclusa, dalle disposizioni che nel tempo hanno regolato la materia nei diversi comparti, la possibilità di qualsiasi forma di monetizzazione del servizio mensa e dei buoni pasto (v. art.5, comma 4 CCNL Comparto Ministeri del 30.4.1996 e art.45, comma 6, del CCNL del Comparto Regioni Autonomie Locali del 14.9.2000).

QUESITO
E’ possibile che l’ente corrisponda il buono pasto ai dipendenti che, sulla base dell’articolazione oraria adottata, inizino a lavorare nel pomeriggio e proseguano la loro prestazione anche nelle ore serali, effettuando una pausa di mezz’ora?

RISPOSTA DELL’ARAN
L’art.46, comma 2 del CCNL del 14.9.2000 stabilisce che “i lavoratori hanno titolo, nel rispetto della specifica disciplina sull’orario adottata dall’ente, ad un buono pasto per ogni giornata effettivamente lavorata nella quale, siano soddisfatte le condizioni di cui all’art.45, comma 2” del medesimo CCNL. Tale ultima disposizione prevede che “possono usufruire della mensa i dipendenti che prestino attività lavorativa al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane, con una pausa non superiore a due ore e non inferiore a trenta minuti. La medesima disciplina si applica anche nei casi di attività per prestazioni di lavoro straordinario o per recupero. Il pasto va consumato al di fuori dell’orario di servizio.”
Poiché, come da voi stessi precisato, la prestazione serale è effettuata dai dipendenti in servizio nel solo pomeriggio (mentre invece il CCNL richiede che l’attività sia svolta al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane), manca il presupposto essenziale per la fruizione del buono pasto.

STRAORDINARIO E BANCA DELLE ORE

QUESITO
Un dipendente comunale ha partecipato ad un corso di formazione; è possibile accordargli un riposo compensativo corrispondente alle ore effettive di corso eccedenti l’orario d’obbligo giornaliero ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Se il lavoratore interessato ha partecipato al corso di formazione su disposizione dell’ente, le ore effettive di corso devono essere considerate lavorative, con la conseguenza che per la parte eccedente l’orario d’obbligo giornaliero devono essere considerate lavoro straordinario; in tale ultima ipotesi nulla vieta di applicare l’art.38, comma 7 del CCNL del 14.9.2000. Precisiamo, inoltre, che ove risulti applicabile il trattamento di trasferta di cui all’art.41 del CCNL del 14.9.2000, le ore di straordinario dovranno essere calcolate secondo i criteri illustrati nella risposta V3.13 pubblicata sul nostro sito istituzionale (www.aranagenzia.it).
Se, invece, il lavoratore ha partecipato al corso di formazione nel suo esclusivo interesse, le ore del corso non possono essere considerate lavorative; conseguentemente, non solo non è applicabile al caso la disciplina del lavoro straordinario (e del riposo compensativo ex art.38, comma 7 del CCNL 14.9.2000) ma si pone anche il problema di giustificare l’assenza dal servizio.

QUESITO
Secondo il CCNL, la tariffa del lavoro aggiuntivo prestato dal personale in part-time deve essere calcolata sulla retribuzione globale di fatto percepita dal dipendente nel mese in cui è stata effettuata la prestazione stessa; questo può creare qualche problema se, nel mese di riferimento, al dipendente sono state corrisposte somme arretrate che fanno lievitare sensibilmente l’importo della retribuzione globale di fatto: in simili casi, è possibile escludere dalla base di calcolo tali somme arretrate ?

RISPOSTA DELL’ARAN
d) la disciplina del trattamento economico del lavoro aggiuntivo prestato dal personale con rapporto di lavoro a tempo parziale trova il suo fondamento nell’art.3 del D.Lgs.n..61/2000, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché nell’art.6, comma 4, del CCNL del 14.9.2000, che a tal fine prescrivono che esso debba essere calcolato sulla base della retribuzione globale di fatto percepita dal dipendente nel mese in cui è stata effettuata la prestazione stessa;
e) la nozione di retribuzione globale di fatto è chiaramente indicata nell’art.52, comma 2, lettera d) del CCNL del 14.9.2000 che esclude dalla stessa solo le somme corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo di indennizzo nonché quelle pagate per trattamento di missione fuori sede e per trasferimento;
f) conseguentemente, se nel mese di riferimento al dipendente sono stati corrisposti compensi per lavoro aggiuntivo relativi a prestazioni rese in precedenti periodi temporali, questi non possono essere esclusi dal computo, stante la precisa prescrizione legale e contrattuale.

TURNO DI REPERIBILITA’ E RIPOSO COMPENSATIVO

QUESITO
E’ lecito istituire turni di lavoro che prevedano, saltuariamente, per complessivi 20 giorni all’anno, una prestazione lavorativa giornaliera di 11 ore?

RISPOSTA DELL’ARAN
L’art.38, comma 6 del CCNL del 14.9.2000 stabilisce che “la prestazione individuale di lavoro a qualunque titolo resa non può, in ogni caso, superare, di norma, un arco massimo giornaliero di 10 ore”.
Anche se la formulazione della clausola contrattuale non è del tutto chiara, riteniamo che la presenza dell’inciso “…di norma…” consenta anche prestazioni superiori alle 10 ore giornaliere, qualora ciò risponda a precise esigenze organizzative dell’ente e non assuma, ovviamente, carattere di continuità nel tempo. Nel caso di prestazioni di 11 ore giornaliere per 20 giorni all’anno e quindi per circa 2 volte al mese, riteniamo che si possa parlare di prestazioni saltuarie ma non di prestazioni eccezionali; pertanto, è consigliabile rimodulare l’articolazione oraria prescelta.

SEGRETARI COMUNALI

QUESITO
L’art.42 del CCNL dei Segretari comunali e provinciali stabilisce che la retribuzione di risultato non deve essere superiore al 10% del monte salari riferito a ciascun segretario nell’anno di riferimento. Come si calcola tale monte salari? Comprende anche i diritti di segreteria?

RISPOSTA DELL’ARAN
a) la nozione di “monte salari” ha carattere generale nel settore pubblico in quanto rappresenta un elemento utilizzato in tutti i contratti per la quantificazione delle risorse da destinare al fondo per l’erogazione dei trattamenti accessori al personale;
b) tale nozione, sotto il profilo applicativo, ha una portata molto ampia in quanto ricomprende tutte le somme corrisposte nell’anno di riferimento al personale, rilevate dai bilanci consuntivi delle singole amministrazioni e con riguardo ai compensi corrisposti al personale destinatario del CCNL in servizio nello stesso anno (tali somme ricomprendono quelle corrisposte sia a titolo di trattamento economico principale che accessorio, ivi comprese le incentivazioni, al netto degli oneri accessori a carico delle amministrazioni e con esclusione dei soli emolumenti aventi carattere indennitario, risarcitorio o rimborso spese);
c) pertanto tale nozione non può avere una diversa e minore valenza nel caso del CCNL dei segretari comunali e provinciali;
d) conseguentemente, ai fini della determinazione della retribuzione di risultato del segretario, il monte salari non può non ricomprendere tutte le voci retributive che compongono la retribuzione dello stesso, tenendo conto delle indicazioni contenute negli artt.42 e 43 del CCNL del 16.5.2001; in particolare, esso ricomprende anche la voce “diritti di segreteria”.

QUESITO
Alla luce del principio di onnicomprensività della retribuzione sancito dell’art.24, comma 3 del D.Lgs.165/2001, è possibile attribuire uno specifico compenso al Segretario Generale nominato componente del nucleo di valutazione interno dell’ente ?

RISPOSTA DELL’ARAN
Premesso che l’art.24, comma 3 del D.Lgs.165/2001 non è direttamente applicabile al Segretario Generale, figura sui generis equiparata ai dirigenti solo a talune finalità e solo in alcune ipotesi (v. art.32 CCNL 16.5.2001), questa Agenzia ha già avuto modo di chiarire che problemi come quello in esame devono essere risolti valutando se le prestazioni correlate all’incarico attribuito rientrano o meno nelle ordinarie competenze del dipendente interessato.
Nella prima ipotesi, esse rientrano nei normali obblighi di lavoro (sono svolte “ratione officii”), vengono svolte durante l’orario di lavoro e sono retribuite unicamente con il trattamento economico fondamentale e accessorio previsto dal CCNL (v. art.41, comma 6 del CCNL del 16.5.2001, secondo il quale “la retribuzione di posizione … assorbe ogni altra forma di compenso connessa alle prestazioni di lavoro…”).
Se, invece, dette prestazioni si collocano al di fuori delle competenze ordinarie, e quindi non sono svolte “ratione officii”, esse possono essere svolte solo su incarico (o preventiva autorizzazione) dell’ente, ai sensi dell’art.53 del D.Lgs.165/2001, devono essere svolte al di fuori e non a carico dell’orario di lavoro e solo in tal caso possono essere percepiti eventuali compensi o gettoni ulteriori rispetto al trattamento economico fondamentale e accessorio previsto dai contratti collettivi.
La soluzione del problema va ricercata quindi nel contenuto delle regole adottate dal vostro ente per la istituzione e il funzionamento del nucleo di valutazione.

QUESITO
Il Vice Segretario comunale ha diritto a percepire compensi aggiuntivi quali l’indennità di reggenza prevista per i segretari a scavalco?

RISPOSTA DELL’ARAN
Ai sensi dell’art.2, comma 3 del D.Lgs.165/2001, l’attribuzione di trattamenti economici al personale può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni da questi previste, mediante contratti individuali.
Pertanto, non è possibile attribuire al personale indennità, come l’indennità di reggenza prevista per i segretari a scavalco, che non siano espressamente previste dal vigente CCNL.

(settembre 2003)

Redazione

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