risarcimento danni per esclusione da gara d’appalto per fornitura di software

Consiglio di Stato, VI sezione

Sentenza 7 agosto 2003 n. 4567

(Pres. Schinaia, Est. De Nictolis)

1) Sulla giurisdizione (amministrativa o ordinaria)
2) Sul lucro cessante (pari al mancato utile)
3) Sul danno emergente (pari ai costi di progettazione e partecipazione alla gara)
4) Sul danno all’immagine (per essere stati esclusi da un appalto prestigioso)

1) Sulle domande di risarcimento del danno proposte in via autonoma dopo il 30 giugno 1998, ancorché consequenziali a giudizi impugnatori pendenti a detta data, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perché non si tratta di < > a detta data.

2) Il criterio legale che quantifica l’utile di impresa nella misura del 10%, da un lato si riferisce al settore degli appalti di lavori e non a quelli di fornitura, e dall’altro lato è un criterio meramente presuntivo che è suscettibile di essere disatteso caso per caso ove l’utile risulti provato in una misura differente, superiore o inferiore.

3) Il danno emergente consistente nei costi di partecipazione a gara di appalto, è risarcibile autonomamente rispetto al lucro cessante (mancato utile) in caso di illegittima esclusione da gara di appalto, tuttavia in concreto tale voce di danno è risarcibile solo se specificamente provata.

4) In sede di illegittima esclusione da appalto, il danno all’immagine professionale dell’impresa è risarcibile solo se vi sia la prova specifica che l’esclusione ha recato un nocumento all’immagine, alla professionalità, all’esperienza dell’impresa, ad esempio precludendo all’impresa ulteriori appalti in cui occorre dimostrare una specifica esperienza nell’ambito della quale non si può sfoggiare l’appalto non aggiudicato, e senza tralasciare che l’annullamento giurisdizionale dell’esclusione è già di per sé una forma di ristoro in forma specifica di tale danno all’immagine.

Consiglio di Stato, VI sezione

Sentenza 7 agosto 2993 n. 4567

(Pres. Schinaia, Est. De Nictolis)

sul ricorso in appello n.113/2003, proposto dall’Università degli studi di Pisa, in persona del Rettore in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliata presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, Via dei Portoghesi n.12;

Contro
la T.A.I. (technology for artificial intelligence) s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Calogero Narese, ed elettivamente domiciliata presso lo studio Grez, in Roma, Lungotevere Flaminio n.46, appellante incidentale;

Per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Toscana, sez.I, 14 ottobre 2002, n.2516, resa tra le parti;

Visto il ricorso con i relativi allegati; visto l’atto di costituzione in giudizio della società appellata e l’appello incidentale; visti tutti gli atti della causa; relatore alla pubblica udienza del 6 maggio 2003 il consigliere Rosanna De Nictolis e uditi l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe per l’appellante e l’avvocato Mazzocco su delega dell’Avv. Narese per l’appellata e appellante incidentale;

ritenuto e considerato quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Con giudicato del Consiglio di Stato, sez.VI, 25 maggio 2001, n.2867, è stata annullata l’esclusione della società appellata da gara di appalto per la fornitura di software indetta dall’Università di Pisa nel 1996 e in cui la società appellata aveva presentato la migliore offerta non anomala.

A seguito di tale giudicato, con ricorso al T.A.R. per la Toscana la società T.A.I. chiedeva il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’illegittima esclusione, deducendo come voci di danno il danno emergente (pari ai costi di progettazione e partecipazione alla gara), il lucro cessante (pari al mancato utile) e il danno all’immagine per essere stata esclusa da un appalto prestigioso.

2. Il T.A.R. adito con la sentenza in epigrafe ha accolto parzialmente il ricorso, riconoscendo la risarcibilità del mancato utile nella misura indicata da parte ricorrente mediante perizia di parte, superiore all’utile presuntivo legale del 10%.

Il T.A.R. ha invece escluso il risarcimento dei costi di
partecipazione alla gara, ritenendoli assorbiti nell’utile, e ha ritenuto non provato il danno all’immagine.

2.1. La sentenza è stata gravata in via principale dall’amministrazione e in via incidentale autonoma dalla società T.A.I..

Nell’ordine logico delle questioni va esaminato per primo l’appello principale.

3. Con il primo motivo di appello si eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia risarcitoria, in quanto la causa sarebbe iniziata, con la domanda di annullamento di provvedimento amministrativo, nel 1996, e dunque in epoca anteriore all’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo ai sensi degli artt. 33 e 45, d.lgs. n. 80/1998.

3.1. La censura è infondata.

Le norme invocate (artt. 33 e 45, d.lgs. n.80/1998) si riferiscono alle controversie in tema di pubblici servizi, ivi compresi gli appalti, per le quali, se i giudizi fossero pendenti alla data del 30 giugno 1998, restava fermo il previgente riparto di giurisdizione.

Nel caso di specie:

– da un lato, la controversia riguarda un appalto di forniture, attratto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ivi comprese le domande risarcitorie, dalla l. n.205/2000;

– dall’altro lato, la domanda risarcitoria è stata proposta in via autonoma rispetto al giudizio di annullamento dell’atto amministrativo, solo nel 2001, e dunque nel vigore di un quadro normativo che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie sulle procedure di affidamento degli appalti, ivi comprese le cause risarcitorie.

Si deve poi per completezza ritenere che la norma transitoria recata dall’art.45, co. 18, d.lgs. n.80/1998, – che lascia al giudice ordinario le controversie che il medesimo d.lgs. attribuisce al giudice amministrativo solo se i relativi giudizi fossero pendenti alla data del 30 giugno 1998 -, da un lato si riferisce alle sole materie di cui agli artt.33 e 34 d.lgs. n.80/1998, e non anche alle nuove materie di giurisdizione esclusiva di cui all’art.6, l. n.205/2000, e dall’altro lato si riferisce non alle < > anteriori al 1° luglio 1998, bensì ai < > a detta epoca, sicché non si estende alle domande di risarcimento del danno conseguente ad annullamento di atto amministrativo, proposte dopo il 30 giugno 1998 in via autonoma rispetto all’originaria controversia. Ne consegue che sulle domande di risarcimento del danno proposte in via autonoma dopo il 30 giugno 1998, ancorché consequenziali a giudizi impugnatori pendenti a detta data, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perché non si tratta di < > a detta data.

4. Con la restante parte dell’appello non si contestano i capi di sentenza relativi all’an del risarcimento, ma solo il capo di sentenza che ha quantificato il danno per mancato utile nella misura chiesta dal ricorrente originario con perizia di parte.

Si assume che il giudice:

– non avrebbe dovuto attenersi alla perizia di parte, ma nominare C.T.U.;

– avrebbe dovuto fare applicazione del criterio presuntivo legale, dettato per gli appalti di lavori, che quantifica l’utile di impresa nella misura del 10% del costo dell’appalto;

– il mancato utile sarebbe quantificato nella perizia di parte con criteri astratti privi di riscontro concreto.

4.1. L’appello è infondato.

Il criterio legale che quantifica l’utile di impresa nella misura del 10%, da un lato si riferisce al settore degli appalti di lavori e non a quelli di fornitura, e dall’altro lato è un criterio meramente presuntivo che è suscettibile di essere disatteso caso per caso ove l’utile risulti provato in una misura differente, superiore o inferiore.

Sicché, il giudice non era tenuto a quantificare l’utile di impresa nella misura del 10%.

In secondo luogo, correttamente il giudice si è attenuto alle risultanze della perizia di parte, senza disporre C.T.U., a fronte della mancata contestazione della perizia di parte ad opera del contraddittore, e dell’attendibilità della perizia medesima, che non rendeva necessaria un’ulteriore verifica tecnica di ufficio.

Neppure è corretto l’assunto dell’appellante in ordine all’astrattezza dei criteri seguiti nella perizia di parte per quantificare l’utile di impresa, atteso che la perizia ha correttamente utilizzato due parametri, entrambi concreti:

– l’effettivo utile che emergeva dall’offerta a suo tempo presentata da T.A.I. s.r.l. nell’appalto da cui fu illegittimamente esclusa;

– i costi di mercato all’epoca dei fatti del materiale informatico offerto da T.A.I. e l’utile di mercato ordinariamente ritraibile.

5. Nel passare all’esame dell’appello incidentale, va esaminato il primo motivo, con cui si lamenta che erroneamente il T.A.R. ha negato la risarcibilità del danno emergente, costituito dai costi di partecipazione alla gara e di progettazione della fornitura.

Si osserva che in caso di illegittima esclusione da appalto, il danno risarcibile si articola nelle due voci del danno emergente (costi di partecipazione) e del lucro cessante (mancato utile), di cui la prima non è assorbita dalla seconda.

5.1. Il mezzo è infondato.

Sebbene sia in astratto corretto l’assunto dell’appellante incidentale, secondo cui il danno emergente consistente nei costi di partecipazione a gara di appalto, è risarcibile autonomamente rispetto al lucro cessante (mancato utile) in caso di illegittima esclusione da gara di appalto, tuttavia in concreto tale voce di danno è risarcibile solo se specificamente provata.

Nel caso di specie, tale prova manca del tutto.

Invero, la perizia di parte prodotta in prime cure, mentre per la quantificazione del lucro cessante utilizza criteri concreti accettabili e ragionevoli, per la quantificazione del danno emergente pari ai costi di progettazione, utilizza un criterio del tutto presuntivo, con il quale si ipotizza che per il tipo di progetto presentato a suo tempo, siano stati impiegati un certo numero di giorni, e un certo numero di addetti ad un costo del pari indicato in maniera presuntiva.

Invece, non va dimenticato che il costo di partecipazione alla gara e dunque anche quello di progettazione della fornitura, furono a suo tempo effettivamente sostenuti, perché vi fu effettiva partecipazione dell’impresa alla gara.

Sicché, era onere della T.A.I. fornire la prova:

– del progetto a suo tempo presentato;

– del relativo costo in considerazione del tempo e del personale effettivamente impiegati, e della remunerazione effettiva del personale.

In difetto di tale prova specifica, il risarcimento dell’asserito danno emergente non può essere riconosciuto.

6. Con il secondo mezzo dell’appello incidentale si lamenta che il T.A.R. erroneamente ha negato il risarcimento del danno all’immagine.

Si osserva che tale danno consiste nella circostanza che l’aggiudicazione di un appalto importante rileva anche al fine della esperienza e professionalità, per l’aggiudicazione di appalti ulteriori.

Tale danno sarebbe certo nell’an, mentre per quanto riguarda il quantum, data la difficoltà di dimostrarlo nel suo esatto ammontare, il giudice avrebbe dovuto liquidarlo con un criterio equitativo.

6.1. Il mezzo è infondato.

Difetta, a monte, la prova dell’an di tale danno.

Da un lato, l’appalto da cui l’impresa è stata illegittimamente esclusa era di importo piuttosto modesto (meno di duecento milioni di lire), e dall’altro lato il danno all’immagine ha ricevuto un ristoro in forma specifica già con il riconoscimento della illegittimità dell’esclusione dall’appalto.

Sicché, già tali due elementi fanno escludere che vi sia stato un danno per la professionalità dell’impresa.

Ancora, parte ricorrente non ha né dimostrato né dedotto che la mancata aggiudicazione di tale appalto la ha pregiudicata nella partecipazione a successive gare, per non aver potuto utilizzare l’appalto de quo come titolo comprovante la propria esperienza e professionalità.

Sicché, si deve concludere che in sede di illegittima esclusione da appalto, il danno all’immagine professionale dell’impresa è risarcibile solo se vi sia la prova specifica che l’esclusione ha recato un nocumento all’immagine, alla professionalità, all’esperienza dell’impresa, ad esempio precludendo all’impresa ulteriori appalti in cui occorre dimostrare una specifica esperienza nell’ambito della quale non si può sfoggiare l’appalto non aggiudicato, e senza tralasciare che l’annullamento giurisdizionale dell’esclusione è già di per sé una forma di ristoro in forma specifica di tale danno all’immagine.

7. In conclusione, vanno respinti sia l’appello principale che quello incidentale autonomo.

La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sul ricorso incidentale in epigrafe, li respinge.

Redazione

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