Consiglio di Stato 2 novembre 2004 n.7079





L’aggravamento dell’infermità riconosciuta come causa<br /> di servizio può dare luogo a revisione dell’indennizzo se si<br /> verifica nel quinquennio e se il beneficio è richiesto entro sei mesi<br /> dal verificarsi della menomazione


L’aggravamento
dell’infermità riconosciuta come causa di servizio può dare
luogo a revisione dell’indennizzo se si verifica
nel quinquennio e se il beneficio è richiesto entro sei mesi dal
verificarsi della menomazione.

 

La sentenza

(…)

 

Diritto

 

L’appello non è fondato e non può pertanto essere
accolto.

 

Con il primo motivo si deduce che la richiesta di corresponsione
dell’equo indennizzo per aggravamento può essere presentata
nell’arco di cinque anni dal riconoscimento dell’infermità
originaria, e non soggiace dunque al termine semestrale di decadenza comminato
dall’art. 3 del RD n. 1024 del 1928.


Il mezzo è infondato.

 

Come è noto,
l’art. 3 della legge 23.12.1970 n. 1094, nell’estendere al
personale militare il beneficio dell’equo indennizzo, ha fatto rinvio
alla disciplina allora vigente per gli impiegati civili dello Stato, al fini di disciplinare il procedimento concessivo.

 

Ai fini della controversia all’esame assumono quindi decisivo
rilievo le disposizioni contenute nel D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686,
rispettivamente agli artt. 51 e 56.

 

In particolare, l’art. 56 prevede che entro cinque anni dalla
data della comunicazione del decreto di attribuzione
l’Amministrazione, nel caso di aggravamento della menomazione della
integrità fisica per la quale sia stato concesso un equo indennizzo,
può provvedere, su richiesta dell’impiegato, e per una sola volta alla revisione
dell’indennizzo già concesso.

 

L’art. 51 primo comma così invece recita: “Per
conseguire l’equo indennizzo l’impiegato deve presentare domanda
all’Amministrazione da cui dipende entro sei mesi dal giorno in cui gli
è comunicato il decreto che riconosce la dipendenza della menomazione
dell’integrità fisica da cause di servizio;
ovvero entro sei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione
dell’integrità fisica in conseguenza dell’infermità già
riconosciuta dipendente da causa di servizio.”.

 

Come è
evidente, il comma ora trascritto contiene due differenti disposizioni,
riferite l’una (che qui non interessa) alla prima domanda di equo
indennizzo e l’altra alla domanda di indennizzo per menomazione
conseguente ad infermità già riconosciuta.

 

Ne deriva che per la presentazione della domanda per aggravamento il
termine – ai sensi della seconda parte del comma primo – decorre
dalla data in cui è stata percepito l’instaurarsi dell’ulteriore menomazione, e dunque per gli eredi
dell’impiegato dalla data del decesso di questi, in quanto nessun
evento,  come osservato dal
Tribunale, può esprimere l’aggravamento di una patologia in forma
più significativa che il decesso per infermità derivante dalla
stessa.

 

Il termine di cinque anni, previsto dall’art. 56 ha invece una funzione
diversa, indicando il periodo di riferimento nell’arco del quale –
secondo il discrezionale apprezzamento del Legislatore –
l’aggravamento di una infermità
già riconosciuta costituisce titolo per una revisione
dell’indennizzo in precedenza percepito.

 

In sintesi, dal combinato disposto delle norme sopra richiamate, deriva
un sistema in cui l’aggravamento può dare luogo a revisione dell’indennizzo se si verifica nel
quinquennio e se il beneficio è richiesto entro sei mesi dal verificarsi
della menomazione.

 

Poichè nel
caso in esame il secondo presupposto non sussiste, essendo
tardiva anche la prima domanda (in realtà di pensione privilegiata)
presentata dalla vedova, il mezzo in esame va
respinto.

 

Infondato è anche il secondo motivo col quale si deduce che il
termine semestrale di che trattasi – previsto dall’art. 3 R.D. n.
1024 del 1928 nonchè dall’art. 51 DPR n.
686 del 1957 – avrebbe natura ordinatoria, in quanto l’indirizzo
giurisprudenziale del tutto prevalente ed al quale il Collegio aderisce
è fermo nel collegare effetti decadenziali
allo spirare del termine in questione, che dunque è perentorio.(ad es. Csi. 23.8.2000 n. 397).

 

Con il terzo motivo l’appellante deduce
che, nel caso in esame, il termine stesso doveva comunque farsi decorrere dalla
data del  nuovo giudizio emesso
dalla C.M.O., rispetto alla quale la domanda
presentata dalla vedova dell’appuntato Gobbo sarebbe tempestiva.

 

Il mezzo è infondato, perchè come sopra ampiamente
esposto la sottoscrizione da parte del militare del giudizio di
dipendenza formulato dalla Commissione rileva ai fini della domanda originaria
e non ai fini dell’aggravamento di menomazione già riconosciuta
dipendente.

 

Infondato è infine il quarto motivo col quale si deduce il
difetto di motivazione ed in particolare la mancata individuazione
dell’interesse pubblico concreto che supporta il provvedimento negativo
impugnato, in quanto da un lato detto provvedimento non costituisce atto di
vera e propria autotutela, limitandosi a sostituire
un precedente atto non efficace; e, dall’altro, nelle premesse dello
stesso sono comunque compiutamente esternate,
attraverso il richiamo alle singole fasi della complessa scansione infraprocedimentale, le ragioni giuridiche che hanno
condotto alla decisione impugnata.

 

Sulla base delle considerazioni che precedono l’appello va
perciò respinto.

 

Si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di
questo grado del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente
pronunciando, respinge l’appello.

 

Spese del grado compensate.

 

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.

 

(Depositata in
segreteria il 2 novembre 2004)

 

Redazione

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