Corte Costituzionale 15 novembre 2004 n. 345





1) La Regione non può invocare, a fondamento di una impugnazione<br /> in via principale di una legge statale, parametri costituzionali diversi da<br /> quelli relativi alla tutela della propria sfera di autonomia (sentenze n



1) La Regione non può
invocare, a fondamento di una impugnazione in via principale di una legge
statale, parametri costituzionali diversi da quelli relativi alla tutela della
propria sfera di autonomia (sentenze n. 4, n. 6 e n. 196 del 2004).

 

2) Le procedure di
evidenza pubblica hanno un rilievo fondamentale per la tutela della
concorrenza, per cui, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione, spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela
della concorrenza (sentenze nn. 14 e 272 del 2004).

 

Siamo in presenza di una competenza trasversale, che coinvolge
più ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale e vale a
legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri
profili, di competenza regionale, ma nei limiti dei canoni di adeguatezza e
proporzionalità.

 

Solo una norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata
da risultare non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della
concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell’autonomia regionale
(sentenza n. 272 del 2004, al punto 3 del Considerato in diritto).

 

3) Ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione, spettano alla competenza esclusiva dello Stato le materie della
giurisdizione e dell’ordinamento civile.

 

Nella disciplina generale della responsabilità amministrativa i
profili sostanziali sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge
attribuisce al giudice chiamato ad accertarla, ovvero fanno riferimento a
situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile.

 

Ne discende che la potestà legislativa residuale delle Regioni a
statuto ordinario in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto
comma, della Costituzione), se può esplicarsi nel senso di disciplinare
il rapporto di impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi
la cui violazione comporti responsabilità amministrativa, non può
tuttavia incidere sul regime della stessa.

 

Qui di seguito il
testo della sentenza in commento:

 

 

Corte
Costituzionale

Sentenza n. 345 del 15 novembre 2004

Presidente Onida, Relatore Maddalena

 

(…)

 

Ritenuto in fatto

 

1. Le Regioni
Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano,
con distinti ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 15, 18, 19, 22, 25, 26 e
20 del registro ricorsi del 2003), hanno proposto questione di
legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e, tra queste,
dell’art. 24, nella sua interezza, o di alcuni commi di tale articolo,
lamentando, sotto vari profili, la lesione della propria competenza legislativa.

 

1.1. L’articolo
impugnato, concernente l’“acquisto di beni e servizi”, al comma 1,
“per ragioni di trasparenza e concorrenza”, impone alle
amministrazioni aggiudicatrici – come individuate nell’art. 1 del decreto
legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (Testo unico delle disposizioni in materia
di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE,
80/767/CEE e 88/295/CEE) e nell’art. 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995,
n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di
servizi) – l’utilizzazione, per l’aggiudicazione delle pubbliche
forniture e degli appalti di pubblici servizi, di “procedure aperte o
ristrette, con le modalità previste dalla normativa nazionale di
recepimento della normativa comunitaria”, anche quando il valore del
contratto è inferiore alla c.d. soglia comunitaria, ma superiore a
50.000 euro, fatta salva la disciplina dettata per l’affidamento degli
incarichi di progettazione dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro
in materia di lavori pubblici). Il comma 2 completa la regola escludendo da
tale obbligo: a) i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti; b) le
amministrazioni che facciano ricorso alle convenzioni quadro definite dalla
CONSIP s.p.a. – ai sensi degli artt. 26 della legge 23 dicembre 1999, n.
488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2000), 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2001), e 32 della legge 28 dicembre 2001, n. 448
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2002) – ovvero al mercato elettronico della
pubblica amministrazione; c) le cooperative sociali.

 

L’art. 24 prevede
inoltre (comma 3) l’obbligo per le amministrazioni centrali dello Stato e per
gli “enti pubblici istituzionali” di utilizzare le convenzioni
quadro definite dalla CONSIP e impone agli enti locali, qualora intendano
procedere ad acquisti in maniera autonoma, di adottare come base d’asta al
ribasso i prezzi delle convenzioni quadro definite dalla CONSIP.

 

La norma
impugnata, al comma 4, sanziona con la nullità i contratti stipulati in
violazione dell’obbligo di ricorrere alla gara “comunitaria” o
dell’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP e
prevede che delle obbligazioni derivanti dai medesimi contratti risponde il
dipendente pubblico che li ha sottoscritti, che la stipula degli stessi è
causa di responsabilità amministrativa e che il danno erariale è
valutato tenendo conto della differenza tra il prezzo previsto dalle
convenzioni e quello indicato nel contratto.

 

Il comma 5 limita
il ricorso alla trattativa privata, anche nelle ipotesi in cui la vigente
normativa la consenta, a casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una
documentata indagine di mercato e dandone comunicazione alla sezione regionale
della Corte dei conti.

 

Il comma 9
dell’articolo impugnato, infine, afferma che “le disposizioni di cui ai
commi 1, 2 e 5 costituiscono, per le Regioni, norme di principio e di
coordinamento”.

 

1.2. La Regione Toscana (reg. ric. n. 15
del 2003), in riferimento all’art. 24 della legge n. 289 del 2002, lamenta la
violazione dell’art. 117 della Costituzione, in quanto non spetterebbe allo
Stato disciplinare la materia delle acquisizioni di beni e servizi da parte
delle Regioni e degli enti dipendenti e strumentali delle stesse, dovendo
questa essere, piuttosto, ricondotta alla propria generale competenza
legislativa residuale (ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della
Costituzione).

 

La ricorrente,
richiamato il comma 1 dell’impugnato art. 24, il quale indica a fondamento
della norma “ragioni di trasparenza e concorrenza”, nega anzitutto
che la trasparenza sia titolo legittimante la potestà legislativa dello
Stato e sostiene che la norma in questione non abbia a che vedere con la tutela
della concorrenza, la quale, in senso proprio, andrebbe intesa come disciplina
dei mercati (normativa antitrust).

 

La Regione, nel censurare il
carattere dettagliato della norma impugnata, denuncia la
contraddittorietà tra la invocata tutela della concorrenza, la quale
è materia di esclusiva competenza statale, e l’affermazione, contenuta
nel comma 9, secondo cui le disposizioni dei commi 1, 2 e 5 costituiscono
“norme di principio e coordinamento”.

 

1.3. La Regione Piemonte (reg. ric. n. 18
del 2003), nel denunciare l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, prospetta la
violazione degli articoli 5, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione.

 

Anche la Regione Piemonte
sostiene che la materia dell’acquisto di beni e servizi, non essendo ricompresa
né tra quelle di competenza esclusiva statale né tra quelle di
competenza concorrente, ricadrebbe nella propria competenza legislativa
residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

 

La ricorrente
afferma, in particolare, che l’impugnato art. 24 della legge n. 289 del 2002
non potrebbe trovare fondamento nella lettera e) del secondo comma dell’art.
117 della Costituzione (tutela della concorrenza), in quanto, a parte la
irrilevanza dell’autoqualificazione, la norma non avrebbe ad oggetto la
concorrenza, anche se ragioni di concorrenza possono essere ad essa sottese.
Tuttavia, per la ricorrente, dovrebbe escludersi che le sottese “ragioni
di concorrenza” legittimino la potestà legislativa statale,
giacché un siffatto e così ampio criterio finirebbe con il
fondare la competenza statale in ogni ambito materiale, in violazione delle
regole di riparto dettate dall’art. 117 della Costituzione.

 

La Regione, inoltre, nega
che l’art. 24 della legge 289 del 2002 possa trovare fondamento nella materia
(di legislazione concorrente) “armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, sia perché
non sarebbe questo l’oggetto specifico della disposizione, sia perché la
norma avrebbe contenuto di dettaglio e non di principio, in violazione
dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

 

1.4. Per la Regione Valle
d’Aosta (reg. ric. n. 19 del 2003) l’art. 24 della legge n. 289 del 2002
violerebbe gli articoli 3, 5, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione e l’art.
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione).

 

La ricorrente,
dopo avere ricostruito il nuovo assetto costituzionale delle competenze
legislative risultante dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sostiene che
la materia degli appalti pubblici di servizi e forniture, non essendo
contemplata fra quelle di competenza statale, esclusiva o concorrente, dovrebbe
ritenersi attribuita alla propria competenza residuale (art. 117, quarto comma,
della Costituzione, applicabile alla Regione a statuto speciale per il disposto
dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001).

 

Anche la Regione Valle
d’Aosta sottolinea, poi, il carattere dettagliato della norma impugnata, che la
renderebbe illegittima ove pure si volesse riconoscere una competenza
concorrente dello Stato in materia.

 

1.5. La Provincia autonoma di
Bolzano (reg. ric. n. 20 del 2003) prospetta il contrasto dell’art. 24 della
legge n. 289 del 2002 con gli articoli 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1,
numero 10), e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato
con il d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e con le relative norme di attuazione di
cui al d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la Regione Trentino-Alto
Adige in materia di igiene e sanità), in particolare con l’art. 2,
secondo comma, nonché con l’art. 117 della Costituzione, in relazione
all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

 

Ad avviso della
Provincia ricorrente, la disciplina dell’acquisto di beni e servizi da parte
delle pubbliche amministrazioni sarebbe da ricondurre alla materia
dell’ordinamento degli uffici, oltre che a quella, connessa, della
contabilità e del bilancio.

 

La Provincia autonoma
richiama, in proposito, la sentenza n. 107 del 1970 di questa Corte, nella
quale, con riferimento alla analoga competenza esclusiva della Regione Sardegna,
si è affermato che “il bilancio e la contabilità
rappresentano mezzi e strumenti giuridici indispensabili perché l’ente
Regione possa concretamente operare per il perseguimento dei vari fini
assegnatigli” e che “la potestà regionale a dettare le
norme” in materia di contabilità e bilancio “rientra nel
precetto statutario … relativo all’ordinamento degli uffici”.

 

La ricorrente
afferma che lo Stato sarebbe competente, in via esclusiva, in materia di
“ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali”, in base all’art. 117, secondo comma, lettera g),
della Costituzione, mentre la
Provincia
sarebbe competente, sempre in via esclusiva, in
materia di “ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi
addetto”, ai sensi dell’art. 8, primo comma, numero 1), dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige.

 

La ricorrente
prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 16 dello statuto, il quale
riconosce alla Provincia competenza amministrativa nelle materie oggetto della
propria competenza legislativa esclusiva.

 

La Provincia autonoma
sostiene, in particolare, che l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, nella
misura in cui vincola ogni pubblica amministrazione e pertanto anche le aziende
sanitarie locali, violerebbe la propria competenza concorrente in materia di
“igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e
ospedaliera” (art. 9, primo comma, numero 10, dello statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige), la quale attiene anche al “funzionamento e alla
gestione delle istituzioni ed enti sanitari” (art. 2, secondo comma, del
d.P.R. n. 474 del 1975).

 

Il carattere
“funzionale” della acquisizione di beni e servizi rispetto al
“funzionamento delle aziende sanitarie” varrebbe, infatti, a
radicare nella Provincia autonoma la competenza legislativa concorrente in
materia, con conseguente illegittimità di ogni norma non di principio di
fonte statale.

 

Del resto, ad
avviso della Provincia autonoma, l’art. 24 della legge n. 289 del 2002,
nonostante il disposto del comma 9, il quale riconosce natura di norma di
principio e coordinamento ai precedenti commi 1, 2 e 5, non sarebbe una norma
di principio, attesa la analiticità e la specificità delle sue
disposizioni, richiedenti una diretta ed immediata applicazione.

 

La ricorrente
rileva, infine, che, ove pure non si volesse riconoscere la propria competenza
in base agli invocati artt. 8, primo comma, numero 1), e 9, primo comma, numero
10), dello statuto speciale, nondimeno questa andrebbe riconosciuta in base al
combinato disposto dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione e dell’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto la materia, non riconducibile
ad alcuna di quelle elencate nell’art. 117 della Costituzione, sarebbe oggetto
della competenza legislativa residuale delle Regioni.

 

1.6. La Regione Umbria (reg. ric. n. 22
del 2003) denuncia dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 i commi 1, 2, 3
(nella parte in cui gli obblighi ivi previsti sono estesi agli enti pubblici
istituzionali e se ed in quanto tra questi possano essere ricomprese le
Regioni), 5 e 9, lamentando la violazione degli artt. 117, primo, terzo e
quarto comma, e 114, secondo comma, della Costituzione.

 

Ad avviso della
ricorrente, la disciplina dell’acquisto di beni e servizi rientrerebbe nella
propria competenza residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione), in
quanto non riconducibile a nessuna delle materie elencate nell’art. 117 della
Costituzione.

 

La Regione sostiene che la
qualificazione “norme di principio e coordinamento”, data dal comma
9 dell’art. 24 alle disposizioni dei precedenti commi 1, 2 e 5, sarebbe diversa
da quella prevista, peraltro in caso di competenza concorrente, dall’art. 117,
terzo comma, della Costituzione (“principi fondamentali”), e che in
tal modo si introdurrebbe per le Regioni un limite ulteriore, non contemplato
dalla Costituzione; ed afferma che nella specie non si tratterebbe comunque di
norme di principio, bensì di norme di dettaglio che pongono puntuali
obblighi e divieti.

 

La ricorrente, dopo
aver contestato che la finalità di trasparenza sia titolo legittimante
l’esercizio di potestà legislativa statale, esclude che i commi 1, 2 e 5
dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 possano trovare fondamento nella
competenza del legislatore statale in materia di fissazione dei livelli
essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, della
Costituzione), o di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera
e, della Costituzione), in quanto, per un verso, si sarebbe al di fuori del
campo dei diritti civili e sociali e non si tratterebbe di garantire livelli
omogenei di prestazioni sul territorio nazionale e, per altro verso, la materia
della tutela della concorrenza atterrebbe alla disciplina dei mercati in senso
proprio ed agli interventi diretti a correggere fenomeni distorsivi degli
stessi e non all’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni
pubbliche.

 

Per le stesse
ragioni sarebbe lesivo delle attribuzioni regionali (art. 117, quarto comma,
della Costituzione) il comma 3 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, il
quale impone agli “enti pubblici istituzionali” l’utilizzo delle
convenzioni quadro definite dalla CONSIP, ove questa espressione, ritenuta
“estremamente vaga”, possa essere riferita alla Regione.

 

1.7. La Regione Emilia-Romagna
(reg. ric. n. 25 del 2003) denuncia il contrasto dell’art. 24 della legge n.
289 del 2002 con l’art. 117 della Costituzione.

 

Con argomenti
sostanzialmente analoghi a quelli sviluppati dalle Regioni Toscana, Piemonte e
Umbria, la ricorrente sostiene che la materia dell’acquisto di beni e servizi,
non ricompresa né tra quelle di competenza esclusiva statale né
tra quelle di competenza concorrente, sia da ascriversi alla propria competenza
legislativa residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

 

La Regione nega, in
particolare, che la norma impugnata possa essere intesa come diretta a tutelare
la concorrenza, sia perché la tutela della concorrenza (intesa
propriamente come disciplina dei mercati ed interventi tesi a rimuovere le
distorsioni degli stessi) non sarebbe l’oggetto immediato della norma
impugnata, sia perché quest’ultima non tutelerebbe affatto la
concorrenza, producendo piuttosto una forte limitazione ovvero un consistente
orientamento del mercato. La previsione, accanto all’obbligo della gara
comunitaria anche per appalti sottosoglia, di ampie eccezioni soggettive
(Comuni con meno di 5.000 abitanti, che sono circa 7.000 nell’intero territorio
nazionale) ed oggettive (essendo prevista, in alternativa alla gara, l’adesione
alle convenzioni CONSIP, che per loro natura sono sottratte alla partecipazione
di moltissimi operatori medi e piccoli del mercato), sarebbe, secondo la
ricorrente, in palese contraddizione con il dichiarato fine di trasparenza e
concorrenza e verrebbe a rendere l’intervento normativo non ragionevole e non
proporzionale rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione.

 

La Regione, infine, ritiene
che il disposto del comma 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, il quale
qualifica come “norme di principio e coordinamento” i precedenti
commi 1, 2 e 5, sarebbe in contrasto con il dichiarato intento di disciplinare
la materia della concorrenza, oggetto di competenza statale esclusiva, e
sarebbe, peraltro, non corretto, atteso il carattere analitico della
disposizione. Né sarebbe possibile accreditare quale norma di principio
una disposizione (il comma 1 del citato art. 24) che ha ampie eccezioni
oggettive e soggettive.

 

1.8. La Regione Veneto (reg. ric. n. 26
del 2003) denuncia i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del
2002, lamentando la violazione degli artt. 97 e 117 della Costituzione.

 

Ad avviso della
Regione, la materia dell’acquisto di beni e servizi, non prevista né tra
quelle di competenza esclusiva statale né tra quelle di competenza
concorrente, sarebbe da ricondurre alla competenza legislativa residuale delle
Regioni (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

 

La Regione ritiene
“privo di senso, nell’ambito del disegno costituzionale tracciato dalla
legge costituzionale n. 3 del 2001, il dettato del comma 9, che vorrebbe
attribuire alle disposizioni dei commi 1, 2 e 5 la natura di norme di principio
e coordinamento”, in quanto, se effettivamente la materia rientrasse nel
dichiarato fine di tutelare la concorrenza, lo Stato, competente in via
esclusiva, dovrebbe dettare la disciplina della materia e non porre in essere
“norme di principio e di coordinamento”.

La ricorrente
sostiene, poi, che il comma 5 dell’impugnato art. 24, il quale limita l’esperibilità
della trattativa privata a casi eccezionali e motivati, previo esperimento di
una documentata indagine di mercato e pone un obbligo di comunicazione alla
Corte dei conti, confliggerebbe con il canone costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), in quanto da un
lato la norma sarebbe ridondante rispetto alle normative comunitarie, nazionali
e regionali già disciplinanti la materia, e dall’altro imporrebbe una
comunicazione che costituirebbe un ulteriore adempimento
“burocratico” di cui non risulterebbe chiaro quale sia l’effetto.

 

La Regione censura, infine,
il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, là dove esso
prevede la responsabilità amministrativa del dipendente che sottoscriva
un contratto in violazione degli obblighi di esperimento della gara ovvero
dell’utilizzo delle convenzioni quadro definite dalla CONSIP, rilevando che la
disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa e contabile
dei funzionari degli uffici non statali, non rientrando in nessuna delle
materie elencate nell’art. 117 della Costituzione ed, in particolare, non
essendo ascrivibile alla materia processuale della giustizia amministrativa,
spetterebbe alla competenza residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma,
della Costituzione).

 

2. In tutti i giudizi
si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la non
fondatezza delle questioni.

 

In alcuni degli
atti di costituzione l’Avvocatura sostiene che la norma denunciata –
investendo la disciplina della c.d. evidenza pubblica, la quale mirerebbe ad
“ampliare e ad assicurare la libera concorrenza” e, nel contempo,
la trasparenza della pubblica amministrazione aggiudicatrice –
rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117,
secondo comma, lettera e, della Costituzione) (così nell’atto di
costituzione depositato nei giudizi promossi dalla Regione Toscana, Valle
d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto). A tale riguardo, la difesa erariale
richiama, in particolare, il sesto considerando della direttiva 93/37/CEE, nel
quale si afferma che la disciplina degli appalti di lavori è finalizzata
ad organizzare la concorrenza, e sostiene che l’estensione della disciplina di
derivazione comunitaria agli appalti c.d. sottosoglia, al pari dell’intero
settore dell’evidenza pubblica, tenderebbe ad assicurare non solo
l’imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche l’uguaglianza e
la libera concorrenza degli operatori economici. Che si tratti di competenza
esclusiva dello Stato non sarebbe smentito, secondo l’Avvocatura, dal comma 9
dell’impugnato art. 24, il quale definisce le disposizioni dei precedenti commi
1, 2 e 5 “norme di principio e di coordinamento”, in quanto si
tratterebbe di una “norma di chiusura” dettata per l’evenienza che
le Regioni avessero inteso la materia come concorrente, “così da
evitare contestazioni”.

 

Costituendosi nel
giudizio promosso dalla Regione Piemonte, l’Avvocatura articola la propria
difesa sostenendo, in via generale, che, senza vincolo di materia, lo Stato,
nella fase di transizione al nuovo modello di regionalismo inaugurato dalla
legge costituzionale n. 3 del 2001, sarebbe legittimato a modificare la
legislazione anteriore, da esso stesso prodotta, “senza incontrare alcuna
riserva di legge regionale”, “con salvezza delle competenze
legislative che ogni singola Regione potrà o meno esercitare”.
Allo Stato competerebbe, quindi, la potestà di disciplinare mediante
proprie leggi, “eventualmente cedevoli”, le attività
amministrative degli enti locali, anche in ambiti non compresi nelle materie
elencate nell’art. 117, secondo comma, della Costituzione.

 

Peraltro il
legislatore, con la disposizione contenuta nel comma 9 dell’impugnato art. 24
della legge n. 289 del 2002, avrebbe “collocato il proprio intervento
nell’ambito della legislazione concorrente”: la disposizione censurata,
inserita in una legge finanziaria, rientrerebbe nella materia del
“coordinamento della finanza pubblica” (artt. 117, terzo comma, e
119 della Costituzione). Anche in questo atto di costituzione, tuttavia,
l’Avvocatura rileva che “avrebbero potuto evocarsi anche materie di
legislazione esclusiva dello Stato”, quali la tutela della concorrenza e
l’ordinamento civile, nonché i poteri sostitutivi previsti dall’art. 120
della Costituzione. La norma denunciata – prosegue la difesa erariale
– perseguirebbe l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica
“allargata” attraverso una maggiore e più aperta concorrenza,
che eliminerebbe le “nicchie” di mini-protezionismo locale, e
attraverso le “economie di scala” ottenibili dai più elevati
volumi di acquisti e di commesse gestiti dalla CONSIP: finalità, queste,
non realizzabili se non attraverso una legislazione unitaria sul piano
nazionale.

 

Nell’atto di
costituzione depositato nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di
Bolzano, l’Avvocatura contesta inoltre il richiamo all’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, affermando che, in attesa dell’adeguamento dello
statuto, non sarebbe possibile stabilire se le competenze di cui all’art. 117,
quarto comma, della Costituzione spettino alla Regione o alle Province
autonome, sicché la ricorrente non potrebbe dolersi della lesione di una
sfera di competenza di dubbia spettanza. Nel merito, ad avviso della difesa
erariale, la censurata disciplina dell’acquisto di beni e servizi sarebbe
materia concorrente ai sensi degli artt. 5 e 9 dello statuto speciale, non
riconducibile alla materia, di competenza provinciale esclusiva,
dell’ordinamento degli uffici, non avrebbe contenuto dettagliato, ma
costituirebbe norma di principio.

 

3. Con successivo
ricorso (iscritto al n. 73 del registro ricorsi del 2003), la Regione Valle
d’Aosta ha proposto, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 della
Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed
agli artt. 2, primo comma, lettera a), e 4 dello statuto speciale di autonomia,
approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, questione di
legittimità costituzionale della legge 1° agosto 2003, n. 212
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2003, n.
143, recante disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione dei
tributi, di Fondazioni bancarie e di gare indette da CONSIP s.p.a.), nella
parte in cui modifica l’art. 24 della legge 27 dicembre 2002, n. 289,
sostituendo il comma 3 ed introducendo i commi 3-bis e 4-bis.

 

3.1. La norma impugnata
circoscrive l’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro definite dalla
CONSIP, limitandolo alle sole ipotesi di acquisto di beni o servizi
caratterizzati “dall’alta qualità dei servizi stessi e dalla bassa
intensità di lavoro” (comma 3) e demandando ad un decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze il compito di indicare quali servizi
possano considerarsi rientranti nella predetta nozione (comma 3-bis); il comma
4-bis, poi, consente alle amministrazioni pubbliche la stipulazione di ogni
tipo di contratto senza utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP,
qualora il valore dei costi e delle prestazioni dedotte in contratto sia uguale
o inferiore a quello previsto dalle stesse convenzioni.

 

3.2. La Regione Valle d’Aosta
sostanzialmente ripropone contro la legge n. 212 del 2003 le doglianze dalla
medesima svolte avverso la legge n. 289 del 2002. Ad esse la ricorrente
aggiunge due nuove censure, in riferimento agli artt. 2, primo comma, lettera
a), e 4 dello statuto speciale, sostenendo che la disciplina degli acquisti di
beni e servizi rientrerebbe nella propria competenza legislativa esclusiva in
materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione (art.
2, primo comma, lettera a) e che sarebbe violata la propria competenza
amministrativa in materia (art. 4).

 

4. Anche in questo
giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo,
preliminarmente, per l’inammissibilità del ricorso e riproponendo, nel
merito, le medesime difese e conclusioni dell’atto di costituzione nel
procedimento instaurato dalla ricorrente con il precedente ricorso iscritto al
n. 19 del registro ricorsi del 2003.

 

Ad avviso
dell’Avvocatura, l’inammissibilità del ricorso deriverebbe dal fatto che
esso, sebbene volto apparentemente ad impugnare le nuove disposizioni
introdotte con la legge n. 212 del 2003, in realtà riprodurrebbe le
medesime censure a suo tempo mosse avverso l’art. 24 della legge n. 289 del
2002, e si limiterebbe a richiamare solo tre disposizioni della legge
impugnata, senza tuttavia muovere alcuna autonoma censura verso le stesse.

 

Nel merito, la
difesa erariale, oltre a ribadire le precedenti conclusioni, sostiene che la
legge n. 212 del 2003, limitandosi a ridurre il campo di operatività di
norme già impugnate, sarebbe priva di contenuto lesivo.

 

L’Avvocatura
richiama inoltre la sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte per escludere che
la materia dei lavori pubblici possa essere ricondotta alla competenza
residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

 

5. In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per il 28 settembre 2004, le Regioni Toscana,
Piemonte ed Emilia-Romagna e la
Provincia
autonoma di Bolzano hanno depositato memorie nelle
quali, dato atto della intervenuta abrogazione della disposizione impugnata da
parte dell’art. 3, comma 166, della legge 24 dicembre 2003, n. 350
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2004), hanno ritenuto cessata la materia del contendere.
Altrettanto ha affermato la
Regione Umbria
, nel corso dell’udienza pubblica. Per lo
stesso motivo la Regione
Valle
d’Aosta ha espressamente rinunciato ad entrambi i
ricorsi proposti.

 

La Regione Veneto, di contro,
ritiene che la avvenuta abrogazione delle disposizioni impugnate dell’art. 24
della legge n. 289 del 2002 non determini la cessazione della materia del
contendere ovvero la sopravvenuta carenza di interesse, in quanto l’abrogazione
non ha avuto efficacia retroattiva e le disposizioni impugnate conservano,
pertanto, una sia pure limitata vigenza temporale.

 

La Regione Veneto, inoltre, rileva
che l’art. 1, comma 4, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi
urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito nella legge 30
luglio 2004, n. 191, ha
sostituito il comma 3 dell’art. 26 della legge n. 488 del 1999, prevedendo che
le amministrazioni pubbliche possono aderire alle convenzioni definite dalla
CONSIP ovvero ne utilizzano i parametri prezzo-qualità, come limiti
massimi, per l’acquisto di beni e servizi, e che la violazione di tale obbligo
è causa di responsabilità amministrativa. La ricorrente sostiene
che, in questa parte, sia stato sostanzialmente riprodotto il contenuto
precettivo dell’impugnato articolo 24 della legge n. 289 del 2002, e che, per
il principio di effettività della tutela delle parti nei giudizi
costituzionali in via di azione, la successione di norme nel tempo determini il
trasferimento della questione di costituzionalità sulla nuova disposizione.

 

La ricorrente
Regione Veneto ripropone, per il resto, le argomentazioni svolte nell’atto
introduttivo.

 

6. In prossimità
dell’udienza pubblica anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato memorie, nelle quali, in via preliminare, chiede darsi atto della
cessazione della materia del contendere, per intervenuta abrogazione delle
disposizioni impugnate, e, nel merito, ribadisce le difese già svolte.

 

Considerato in
diritto

 

1. Le Regioni
Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto e la Provincia autonoma di
Bolzano, con distinti ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 15, 18, 19, 22,
25, 26 e 20 del registro ricorsi del 2003), hanno proposto questione di
legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e, tra queste,
dell’art. 24, nella sua interezza, o di alcuni commi di tale articolo, oggetto
del presente giudizio, concernenti l’“acquisto di beni e servizi”.

 

La Regione autonoma Valle
d’Aosta, con successivo ricorso (reg. ric. n. 73 del 2003), ha altresì
impugnato la legge 1° agosto 2003, n. 212 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, recante disposizioni
urgenti in tema di versamento e riscossione dei tributi, di Fondazioni bancarie
e di gare indette da CONSIP s.p.a.), nella parte in cui modifica l’art. 24
della legge n. 289 del 2002, sostituendo il comma 3 ed introducendo i commi
3-bis e 4-bis.

 

1.1. L’articolo 24
della legge n. 289 del 2002 impone alle amministrazioni aggiudicatrici, come
individuate nell’art. 1 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (Testo
unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione
delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE) e nell’art. 2 del decreto
legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in
materia di appalti pubblici di servizi), di ricorrere alle procedure
comunitarie, aperte o ristrette, per l’acquisizione di beni e servizi di
importo superiore ad euro 50.000 (comma 1). Da tale obbligo sono esclusi i
Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le amministrazioni che
facciano ricorso alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP ovvero al
mercato elettronico della pubblica amministrazione, nonché le
cooperative sociali (comma 2). I contratti stipulati in violazione di tale
obbligo e di quello, alternativo, di aderire alle convenzioni CONSIP sono
nulli, con responsabilità del dipendente che ha sottoscritto il
contratto (comma 4). Anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa ammette la
trattativa privata è fatto obbligo alle amministrazioni di ricorrervi
solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di documentata indagine
di mercato, con comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti
(comma 5). Il comma 9 qualifica come “norme di principio e di
coordinamento” le disposizioni dei commi 1, 2 e 5.

 

L’art. 24 della
legge n. 289 del 2002 detta pure disposizioni in riferimento alla CONSIP,
prevedendo (nel testo originario del comma 3) che, fermo quanto previsto da
altre disposizioni (a partire dall’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n.
488, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2000”), le pubbliche amministrazioni
considerate nella Tabella C (amministrazioni dello Stato) e, comunque, gli
“enti pubblici istituzionali”, hanno l’obbligo di utilizzare le
convenzioni quadro da questa definite e che, per procedere agli acquisti in
maniera autonoma, gli enti di cui all’art. 24, comma 6, della legge 28 dicembre
2001, n. 448 (Comuni, Province, comunità montane e loro consorzi)
adottano i prezzi di tali convenzioni come base d’asta al ribasso.

 

1.2. La legge n. 212
del 2003, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 143 del 2003, ha in parte
novellato l’art. 24 della legge n. 289 del 2002. Nel sostituire l’art. 5 di
detto decreto-legge, la legge n. 212 del 2003 ha circoscritto
l’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP,
limitandolo alle sole ipotesi di acquisto di beni o servizi caratterizzati
“dall’alta qualità dei servizi stessi e dalla bassa
intensità di lavoro” (art. 24, comma 3) e demandando poi ad un
decreto del Ministero dell’economia e delle finanze il compito di indicare
quali servizi possano considerarsi rientranti nella predetta nozione (art. 24,
comma 3-bis); inoltre ha introdotto nell’art. 24 un comma 4-bis, il quale
consente la stipulazione di ogni tipo di contratto senza utilizzare le
convenzioni quadro definite dalla CONSIP qualora il valore dei costi e delle
prestazioni dedotte in contratto sia uguale o inferiore a quello previsto dalle
stesse convenzioni.

 

1.3. Successivamente
alla proposizione dei ricorsi, il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione dei tributi, di
Fondazioni bancarie e di gare indette dalla CONSIP s.p.a. nonché di
alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato),
convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, ha soppresso i commi 1
e 2 dell’impugnato art. 24 della legge n. 289 del 2002, cioè le
disposizioni recanti l’estensione alle gare sottosoglia, ma di importo
superiore a 50.000 euro, della disciplina nazionale di recepimento della
normativa comunitaria.

 

L’art. 3, comma
166, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) ha,
infine, abrogato l’intera disposizione, ad eccezione dell’ultimo periodo del
comma 3 (disposizione che consente ai partiti politici di aderire alle
convenzioni della CONSIP) e dei commi 6-bis e 7 (disposizioni relative a
modalità operative della CONSIP ed alla peculiare posizione dei servizi
di informazione e sicurezza dello Stato).

 

Il decreto-legge
12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa
pubblica), convertito nella legge 30 luglio 2004, n. 191, ha sostituito il comma
3 dell’art. 26 della legge n. 488 del 1999, prevedendo (art. 1, comma 4), con
disposizione parzialmente analoga a quella dell’impugnato art. 24 della legge
n. 289 del 2004, che le amministrazioni pubbliche possono aderire alle
convenzioni definite dalla CONSIP ovvero ne utilizzano i parametri
prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi, e
che la violazione di tale obbligo sia causa di responsabilità
amministrativa.

 

2. Stante la
sostanziale identità dell’oggetto delle questioni proposte, riferite al
medesimo articolo, i giudizi promossi con i ricorsi indicati in epigrafe,
possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

 

3. Deve anzitutto
darsi atto che, a seguito della pressoché integrale abrogazione
dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 da parte dell’art. 3, comma 166, della
legge n. 350 del 2003, la
Regione
autonoma Valle d’Aosta ha rinunciato ai due ricorsi
proposti. La rinuncia è stata accettata dalla Avvocatura generale dello
Stato e deve pertanto dichiararsi l’estinzione dei giudizi in questione.

 

Per gli stessi
motivi le Regioni Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di
Bolzano, nelle memorie presentate in prossimità dell’udienza, hanno
ritenuto cessata la materia del contendere. Altrettanto ha affermato la Regione Umbria, nel
corso dell’udienza pubblica.

 

La richiesta di
queste ricorrenti di dichiarare la cessazione della materia del contendere per
il venire meno del loro interesse ad una pronuncia di merito fa ritenere che
l’impugnato articolo 24 della legge n. 289 del 2002 non abbia avuto
applicazione nell’ambito del loro territorio.

 

Deve pertanto
dichiararsi la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni
di costituzionalità sollevate dalle Regioni Toscana, Piemonte,
Emilia-Romagna e Umbria e dalla Provincia autonoma di Bolzano con i ricorsi
indicati in epigrafe.

 

4. La Regione Veneto
ritiene, di contro, che la abrogazione non retroattiva delle disposizioni
impugnate faccia persistere il proprio interesse al ricorso.

 

Al riguardo deve
ritenersi che la abrogazione di tutti i commi impugnati dell’art. 24 della
legge n. 289 del 2002 non faccia venire meno di per sé
l’attualità dell’interesse in relazione alle questioni poste dalla
ricorrente, giacché queste disposizioni, abrogate ex nunc e non ex tunc,
hanno comunque dispiegato effetti, sia pure per un breve arco temporale.

 

La Regione Veneto, inoltre, chiede
che la questione di costituzionalità, sollevata in relazione al comma 4
dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, sia trasferita sulla disposizione
dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito nella legge
n. 191 del 2004. 

 

Tale richiesta non
può essere accolta.

 

Infatti le due
disposizioni appena richiamate ricollegano la sanzione della
responsabilità amministrativa alla violazione di obblighi diversi. Nel
caso del comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, la
responsabilità consegue alla violazione dell’obbligo di indire la gara
secondo le procedure comunitarie, o, in alternativa, di aderire alle convenzioni
CONSIP; mentre nel caso dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004
la responsabilità stessa consegue alla violazione dell’obbligo di
rispettare il prezzo unitario di base delle convenzioni CONSIP.

 

La
diversità delle disposizioni impedisce che possa darsi luogo a quanto
richiesto dalla Regione Veneto, in quanto, a ben vedere, la ricorrente chiede
una inammissibile estensione oggettiva del giudizio ad una norma diversa, che
essa aveva l’onere di impugnare autonomamente.

 

5. In via preliminare,
deve essere dichiarata inammissibile la questione sollevata dalla Regione
Veneto avverso il comma 5 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, in riferimento
all’art. 97 della Costituzione, in quanto la norma, che sarebbe ridondante
rispetto alle normative comunitarie, nazionali e regionali già
disciplinanti la materia, imporrebbe una comunicazione alla Corte dei conti che
costituirebbe un ulteriore adempimento “burocratico” di cui non
risulterebbe chiaro l’effetto.

 

Al riguardo deve
infatti essere ribadito l’orientamento di questa Corte, il quale esclude che la Regione possa invocare, a
fondamento di una impugnazione in via principale di una legge statale,
parametri costituzionali diversi da quelli relativi alla tutela della propria
sfera di autonomia (da ultimo, sentenze n. 4, n. 6 e n. 196 del 2004).

 

6. La Regione Veneto impugna i commi
1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, sostenendo che la
disciplina dell’acquisto di beni e servizi secondo procedure di evidenza
pubblica, non riconducibile a nessuna delle materie elencate nei commi secondo
e terzo dell’art. 117 della Costituzione, rientrerebbe nella competenza
residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della
Costituzione.

 

6.1. La questione non
è fondata nei termini di seguito precisati.

 

6.2. Le procedure di
evidenza pubblica, anche alla luce delle direttive della Comunità
Europea (cfr., da ultimo, la direttiva 2004/18/CE, del 31 marzo 2004, relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo fondamentale per la
tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle
commesse pubbliche.

 

Viene in rilievo,
a questo proposito, la disposizione di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
e), della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in via
esclusiva in tema di tutela della concorrenza.

 

Al riguardo la
giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 14 e 272 del 2004) ha posto in
evidenza che si tratta di una competenza trasversale, che coinvolge più
ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale (individuando,
più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la
potestà legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare
l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di
competenza regionale.

 

Peraltro la stessa
giurisprudenza ha chiarito che l’intervento del legislatore statale è
legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e
proporzionalità. In particolare, come si legge nella citata sentenza n.
272 del 2004 (punto 3 del Considerato in diritto), la norma statale che
imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata
rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una
illegittima compressione dell’autonomia regionale.

 

Deve pertanto
ritenersi che nel caso di specie l’estensione agli acquisti sotto soglia di
beni e servizi della normativa nazionale di recepimento della normativa
comunitaria non implichi per gli enti autonomi l’applicazione di puntuali
modalità, ma solo l’osservanza dei principi desumibili dalla normativa
in questione.

 

Questa
interpretazione del comma 1 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 appare
d’altro canto conforme alla disposizione del comma 9 dello stesso art. 24, nel
quale si legge che “le disposizioni dei commi 1, 2 e 5 costituiscono
norme di principio e di coordinamento”. Questa espressione, diversa da
quella di “principi fondamentali” che ricorre in ipotesi di
legislazione concorrente, conferma che qui ci si trova di fronte ad un caso di
legislazione esclusiva e “trasversale” dello Stato, che deve tener
conto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dei mezzi usati
rispetto al fine che si vuol raggiungere della tutela della concorrenza.

 

6.3. Se ne deve
concludere che i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002,
là dove impongono la gara, fissano l’ambito soggettivo ed oggettivo di
tale obbligo, limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla
violazione dell’obbligo sanzioni civili (nullità dei contratti) e forme
di responsabilità, trovano fondamento, nei termini sopra riferiti, nella
potestà dello Stato di regolare il mercato e di favorire rapporti
concorrenziali nell’ambito dello stesso.

 

7. La Regione Veneto ha
impugnato il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 anche sotto il
profilo dell’incompetenza dello Stato a dettare la disciplina sostanziale della
responsabilità amministrativa dei dipendenti della Regione e degli enti
pubblici regionali e locali, sostenendo che si versi in tema di competenza
residuale della Regione in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117,
quarto comma, della Costituzione).

 

La questione non
è fondata.

 

La ricorrente
trascura che, in proposito, vengono in evidenza le disposizioni dell’art. 117,
secondo comma, lettera l), della Costituzione, secondo le quali spettano alla
competenza esclusiva dello Stato le materie della giurisdizione e
dell’ordinamento civile.

 

Nella disciplina
generale della responsabilità amministrativa i profili sostanziali sono
strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice
chiamato ad accertarla (come si rileva, ad esempio, dalla disposizione
dell’art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, recante il “Testo
unico delle leggi sulla Corte dei conti”, secondo la quale “la Corte, valutate le singole
responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte
del danno accertato o del valore perduto”), ovvero fanno riferimento a
situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile.

 

Ne discende che la
potestà legislativa residuale delle Regioni a statuto ordinario in
materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione),
se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di
servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui violazione comporti
responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere sul
regime della stessa.

 

per questi motivi

 

La Corte Costituzionale

riservata a
separate pronunce ogni decisione sulle ulteriori questioni di
legittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevate con i
ricorsi in epigrafe,

 

riuniti i giudizi,

 

1) dichiara
estinti i giudizi promossi dalla Regione Valle d’Aosta, in ordine alle
questioni di costituzionalità dell’art. 24, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 9,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, con i ricorsi indicati in epigrafe (reg.
ric. n. 19 e n. 73 del 2003);

 

2) dichiara
cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di
costituzionalità dell’art. 24, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 9, della legge 27
dicembre 2002, n. 289, sollevate, rispettivamente: in riferimento all’art. 117
della Costituzione, dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 5, 114,
117, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, in riferimento
agli artt. 8, primo comma, numero 1), 9, primo comma, numero 10), e 16 dello
statuto speciale (approvato con il d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e alle
relative norme di attuazione (di cui all’art. 2 del d.P.R. 28 agosto 1975, n.
474), all’art. 117 della Costituzione e all’art. 10 della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli
artt. 117, primo, terzo e quarto comma, e 114, secondo comma, della
Costituzione, dalla Regione Umbria, in riferimento all’art. 117 della
Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe
(reg. ric. nn.15, 18, 20, 22 e 25 del 2003);

 

3) dichiara
inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 24, comma 5,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevata, in riferimento all’art. 97
della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe (reg. ric.
n. 26 del 2003);

 

4) dichiara non
fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di
costituzionalità dell’art. 24, commi 1, 2, 4, 5 e 9, della legge 27
dicembre 2002, n. 289, sollevate in riferimento all’art. 117 della Costituzione
dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 26 del
2003).

 

Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28
ottobre 2004.

 

(Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2004)

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