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Laicità
dello Stato e crocifisso nelle scuole
Il
Tribunale
amministrativo regionale per il Veneto, nel corso di un giudizio per l’impugnazione
di una deliberazione del consiglio di istituto di una scuola, aveva sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento al principio
di laicità dello Stato, relativamente a una serie di norme “nella
parte in cui includono il Crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche”
Secondo il Tribunale remittente, il Crocifisso è essenzialmente un simbolo
religioso cristiano, di univoco significato confessionale; l’imposizione della
sua affissione nelle aule scolastiche non sarebbe compatibile con il principio
supremo di laicità dello Stato, desunto dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e
20 della Costituzione, e con la conseguente posizione di equidistanza e di imparzialità
fra le diverse confessioni che lo Stato deve mantenere; la presenza del Crocifisso,
che verrebbe obbligatoriamente imposta ad alunni, genitori e insegnanti, delineerebbe
dunque una disciplina di favore per la religione cristiana rispetto alle altre
confessioni, attribuendo ad essa una ingiustificata posizione di privilegio.
La difesa della Presidenza del Consiglio aveva sostenuto che le norme legislative
impugnate e le norme regolamentari richiamate dal remittente non stabiliscono
alcun obbligo di esposizione del Crocifisso e , in assenza di un obbligo legale
di esposizione, il problema sarebbe quello di verificare se le norme costituzionali
consentano l’esposizione di quel simbolo del cattolicesimo: esposizione che
non sarebbe in contrasto con la laicità dello Stato e sarebbe coerente
sia con l’art. 7 della Costituzione, sia con il riconoscimento, contenuto nell’art.
9 dell’accordo di revisione del concordato reso esecutivo con la legge n. 121
del 1985, secondo cui i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio
storico del popolo italiano;
Secondo
l’Avvocatura erariale il Crocifisso sarebbe non solo un simbolo religioso, ma
anche“il vessillo della Chiesa cattolica, unico alleato di diritto internazionale”
dello Stato nominato dalla Costituzione all’art. 7, e dunque sarebbe da considerarsi
alla stregua di un simbolo dello Stato di cui non si potrebbe vietare l’esposizione,
al pari della bandiera e del ritratto del Capo dello Stato.
La
Corte ha affermato che in effetti l’impugnazione si appalesa come “un improprio
trasferimento su disposizioni di rango legislativo di una questione di legittimità
concernente solo norme regolamentari”: norme prive di forza di legge, sulle
quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale,
né, conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte.
In
definitiva, nessuna norma primaria impone -nè direttamente nè
indirettamente- l’utilizzo del crocifisso nelle scuole.
—
Corte
Costituzionale
Ordinanza 15 dicembre 2004 n. 389
(Presidente
estensore Onida)
1)
Nessuna norma primaria impone direttamente -nè mediante rinvio a norme
secondarie- l’utilizzo del crocifisso nelle scuole, per cui i relativi atti
regolamentari scolastici sono sindacabili direttamente dal Giudice amministrativo.
2)
E’ legittimo atto di intervento nel giudizio costituzionale laddove la posizione
sostanziale fatta valere (genitore di un’alunna della stessa scuola) sia “qualificata”
in rapporto alla questione oggetto del giudizio di costituzionalità.
(…)
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 190 del
decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole
di ogni ordine e grado), come specificati, rispettivamente, dall’art. 119 (e
allegata tabella C) del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione
del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art.
118 del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte
e dei Regi istituti di istruzione media), e dell’art. 676 del predetto decreto
legislativo n. 297 del 1994, promosso con ordinanza del 14 gennaio 2004 dal
TAR per il Veneto sul ricorso proposto da Soile Lautsi in proprio e nella qualità
di esercente la potestà genitoriale contro il Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, iscritta al n. 433 del registro ordinanze
2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria,
del 3 giugno 2004.
Visti
l’atto di costituzione di Soile Lautsi nonché gli atti di intervento
di Paolo Bonato ed altro e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 26 ottobre 2004 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi
l’avvocato Massimo Luciani per Soile Lautsi, l’avvocato Franco Gaetano Scoca
per Paolo Bonato ed altro e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
che, con ordinanza
emessa il 14 gennaio 2004, pervenuta a questa Corte il 20 aprile 2004, il
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nel corso di un giudizio per
l’impugnazione di una deliberazione del consiglio di istituto di una scuola,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento
al principio di laicità dello Stato, e, “comunque”, agli
artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, degli artt. 159 e 190 del decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine
e grado), “come specificati”, rispettivamente, dall’art. 119 (e
tabella C allegata) del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione
del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art.
118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei
Regi istituti di istruzione media), “nella parte in cui includono il Crocifisso
tra gli arredi delle aule scolastiche”, nonché dell’art. 676 del
medesimo d.lgs. n. 297 del 1994 “nella parte in cui conferma la vigenza
delle disposizioni” di cui ai predetti art. 119 (e tabella C allegata)
del r.d. n. 1297 del 1928 e art. 118 del r.d. n. 965 del 1924;
che
l’impugnato art. 159 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce fra l’altro, al comma
1, che “spetta ai Comuni provvedere (…) alle spese necessarie per
l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento (…) degli arredi scolastici”
nelle scuole elementari, mentre l’art. 119 del r.d. n. 1297 del 1928 stabilisce
che “gli arredi, il materiale didattico delle varie classi e la dotazione
della scuola sono indicati nella tabella C allegata”, la quale, nell’elencare
gli arredi e il materiale occorrente nelle varie classi, include al n. 1, per
ogni classe, il Crocifisso;
che,
a sua volta, l’impugnato art. 190 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce fra
l’altro, al comma 1, che “i Comuni sono tenuti a fornire (…) l’arredamento”
dei locali delle scuole medie, mentre l’art. 118 del r.d. n. 965 del 1924 recita
che “ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del
Crocifisso e il ritratto del Re”;
che
l’impugnato art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che le disposizioni
non inserite nel testo unico “restano ferme ad eccezione delle disposizioni
contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate”;
che
il Tribunale remittente premette che le disposizioni citate del r.d. n. 1297
del 1928 e del r.d. n. 965 del 1924 costituirebbero adeguato fondamento giuridico
del provvedimento impugnato nel giudizio a quo; sarebbero tuttora in vigore
in quanto non abrogate per incompatibilità dalle disposizioni dei Patti
Lateranensi cui si è data esecuzione con la legge 27 maggio 1929, n.
810, né da quelle dell’Accordo di modifica di detti Patti reso esecutivo
con la legge 25 marzo 1985, n. 121; non sarebbero incompatibili infine con il
testo unico approvato con il d.lgs. n. 297 del 1994, né sarebbero state
abrogate per nuova disciplina dell’intera materia in quanto l’impugnato art.
676 del testo unico medesimo dispone che restino salve le norme preesistenti
non inserite in esso e non incompatibili con le disposizioni del medesimo testo
unico; che dette disposizioni sarebbero destinate ad introdurre norme attuative
di dettaglio rispetto ad atti legislativi, e cioè, rispettivamente, il
r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, al cui art. 55 corrisponde oggi l’art. 159, comma
1, del d.lgs. n. 297 del 1994, e il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, al cui art.
103 corrisponde oggi l’art. 190 del d.lgs. n. 297 del 1994;
che
il giudice a quo si pone il problema della costituzionalità delle disposizioni
regolamentari citate, da cui discenderebbe l’obbligo di esposizione del Crocifisso
nelle aule scolastiche, e ritiene che queste, pur non potendo essere oggetto
diretto di controllo di costituzionalità, dato il loro rango regolamentare,
sarebbero invece suscettibili di controllo indiretto, in quanto specificano
e integrano i disposti legislativi impugnati degli artt. 159 e 190 del d.lgs.
n. 297 del 1994, il cui art. 676 a sua volta costituirebbe una norma primaria
“attraverso la quale l’obbligo di esposizione del Crocifisso conserva
vigenza nell’ordinamento positivo”;
che,
in punto di non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale remittente
sostiene che il Crocifisso è essenzialmente un simbolo religioso cristiano,
di univoco significato confessionale; e che l’imposizione della sua affissione
nelle aule scolastiche non sarebbe compatibile con il principio supremo di laicità
dello Stato, desunto da questa Corte dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione,
e con la conseguente posizione di equidistanza e di imparzialità fra
le diverse confessioni che lo Stato deve mantenere; e che la presenza del Crocifisso,
che verrebbe obbligatoriamente imposta ad alunni, genitori e insegnanti, delineerebbe
una disciplina di favore per la religione cristiana rispetto alle altre confessioni,
attribuendo ad essa una ingiustificata posizione di privilegio;
che
si è costituita la parte privata ricorrente nel giudizio a quo, concludendo
per l’accoglimento della questione;
che,
secondo la parte, l’obbligatoria esposizione del Crocifisso nelle aule violerebbe
il dovere di equidistanza dello Stato rispetto alle varie confessioni e contraddirebbe
l’esigenza di uno “spazio pubblico neutrale” in cui non potrebbe
trovare posto un simbolo religioso; non si potrebbe attribuire al Crocifisso
il carattere di un simbolo genericamente civile e culturale, essendo innegabile
la sua valenza religiosa, e mancando del resto ogni base costituzionale per
poter fare del Crocifisso un simbolo dell’unità della nazione al pari
della bandiera; non sarebbe praticabile, infine, nemmeno una soluzione che postuli
la permanenza dell’esposizione del Crocifisso salvo che qualcuno degli alunni
ritenga di esserne leso nella propria libertà religiosa, poiché
sarebbe violato comunque il principio oggettivo di laicità, né
si potrebbe costringere il singolo a opporsi apertamente alla eventuale volontà
maggioritaria del gruppo sociale di appartenenza;
che
sono intervenuti altresì, con unico atto, il sig. Paolo Bonato, in proprio
e quale genitore di un’alunna della stessa scuola, e il sig. Linicio Bano, in
qualità di presidente dell’associazione italiana genitori di Padova,
concludendo per la inammissibilità e comunque per la infondatezza della
questione;
che
gli intervenienti, affermata la propria legittimazione ad essere presenti nel
giudizio in quanto controinteressati nel giudizio a quo, pur se non evocati
in esso, nonché in quanto titolari di un interesse direttamente inerente
al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio medesimo, negano che l’esposizione
del Crocifisso nelle aule leda il principio di laicità, il quale non
implicherebbe indifferenza dello Stato rispetto alle religioni, e non impedirebbe
l’esposizione di un simbolo che rappresenta una parte integrante dell’identità
culturale e storica del popolo italiano;
che
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per
l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza della questione;
che
l’Avvocatura erariale eccepisce anzitutto il difetto di rilevanza della questione,
in quanto, alternativamente, il giudizio davanti al TAR non sarebbe stato proponibile
per difetto di contraddittorio e di legittimazione del ricorrente, ovvero il
TAR sarebbe carente di giurisdizione;
che,
nel merito, la difesa del Presidente del Consiglio sostiene che le norme legislative
impugnate e le norme regolamentari richiamate dal remittente non stabiliscono
alcun obbligo di esposizione del Crocifisso, e che, in assenza di un obbligo
legale di esposizione, il problema sarebbe quello di verificare se le norme
costituzionali consentano l’esposizione di quel simbolo del cattolicesimo: esposizione
che non sarebbe in contrasto con la laicità dello Stato e sarebbe coerente
sia con l’art. 7 della Costituzione, sia con il riconoscimento, contenuto nell’art.
9 dell’accordo di revisione del concordato reso esecutivo con la legge n. 121
del 1985, secondo cui i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio
storico del popolo italiano;
che
nella memoria presentata in vista dell’udienza l’Avvocatura erariale argomenta
nel senso della legittimità costituzionale della presenza del Crocifisso
nelle aule, quale “evenienza naturale” nell’ordinario svolgimento
della vita scolastica: il Crocifisso sarebbe bensì anche un simbolo religioso,
ma sarebbe “il vessillo della Chiesa cattolica, unico alleato di diritto
internazionale” dello Stato nominato dalla Costituzione all’art. 7, e
dunque sarebbe da considerarsi alla stregua di un simbolo dello Stato di cui
non si potrebbe vietare l’esposizione, al pari della bandiera e del ritratto
del Capo dello Stato.
Considerato
che l’intervento spiegato nel giudizio è stato ammesso dalla Corte con
ordinanza pronunciata in udienza, in quanto la posizione sostanziale fatta valere
dal sig. Paolo Bonato, in proprio e in qualità di genitore di un’alunna,
è qualificata in rapporto alla questione oggetto del giudizio di costituzionalità,
dovendosi in questa sede precisare che la legittimazione ad intervenire non
si estende all’altro firmatario dell’unico atto di intervento, sig. Linicio
Bano, in quanto presidente dell’associazione italiana genitori di Padova;
che
il remittente impugna gli articoli 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297,
sul presupposto che essi, “come specificati”, rispettivamente, dall’art.
119 (e allegata tabella C) del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297, e dall’art. 118
del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, forniscano fondamento legislativo ad un obbligo
– contestato dal ricorrente per contrasto con il principio di laicità
dello Stato – di esposizione del Crocifisso in ogni aula scolastica delle
scuole elementari e medie; e impugna altresì l’art. 676 del medesimo
d.lgs. n. 297 del 1994 sul presupposto che a tale disposizione – che sancisce
l’abrogazione delle sole disposizioni non incluse nel testo unico che risultino
incompatibili con esso – debba farsi risalire la permanente vigenza delle
due norme regolamentari citate, dopo l’emanazione dello stesso testo unico;
che
tali presupposti sono però erronei;
che,
infatti, gli articoli 159 e 190 del testo unico si limitano a disporre l’obbligo
a carico dei Comuni di fornire gli arredi scolastici, rispettivamente per le
scuole elementari e per quelle medie, attenendo dunque il loro oggetto e il
loro contenuto solo all’onere della spesa per gli arredi;
che,
pertanto, non sussiste fra le due menzionate disposizioni legislative, da un
lato, e le disposizioni regolamentari richiamate dal remittente, dall’altro
lato, quel rapporto di integrazione e specificazione, ai fini dell’oggetto del
quesito di costituzionalità proposto, che avrebbe consentito, a suo giudizio,
l’impugnazione delle disposizioni legislative “come specificate”
dalle norme regolamentari;
che,
a differenza di quanto rilevato da questa Corte nelle sentenze n. 1104 del 1988
e n. 456 del 1994 (richiamate dal remittente) a proposito dell’ammissibilità
di censure mosse nei confronti di disposizioni legislative come specificate
da norme regolamentari previgenti, fatte salve dalla legge fino all’emanazione
di nuovi regolamenti, nella specie il precetto che il remittente ricava dalle
norme regolamentari non si desume nemmeno in via di principio dalle disposizioni
impugnate degli artt. 159 e 190 del testo unico;
che,
infatti, per quanto riguarda la tabella C allegata al r.d. n. 1297 del 1928,
e richiamata nell’art. 119 dello stesso, essa contiene soltanto elenchi di arredi
previsti per le varie classi, elenchi peraltro in parte non attuali e superati,
come ha riconosciuto la stessa amministrazione;
che
l’assenza del preteso rapporto di specificazione è ancor più evidente
per quanto riguarda l’art. 118 del r.d. n. 965 del 1924, che si riferisce bensì
alla presenza nelle aule del Crocifisso e del ritratto del Re, ma non si occupa
dell’arredamento delle aule, e dunque non può trovare fondamento legislativo
nella – né costituire specificazione della – disposizione
censurata dell’art. 190 del testo unico, volta anch’essa, come si è detto,
a disciplinare solo l’onere finanziario per la fornitura di tale arredamento;
che,
per quanto riguarda l’art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994, non può ricondursi
ad esso l’affermata perdurante vigenza delle norme regolamentari richiamate,
poiché la eventuale salvezza, ivi prevista, di norme non incluse nel
testo unico, e non incompatibili con esso, può concernere solo disposizioni
legislative, e non disposizioni regolamentari, essendo solo le prime riunite
e coordinate nel testo unico medesimo, in conformità alla delega di cui
all’art. 1 della legge 10 aprile 1991, n. 121, come sostituito dall’art. 1 della
legge 26 aprile 1993, n. 126;
che
l’impugnazione delle indicate disposizioni del testo unico si appalesa dunque
il frutto di un improprio trasferimento su disposizioni di rango legislativo
di una questione di legittimità concernente le norme regolamentari richiamate:
norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un
sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente,
un intervento interpretativo di questa Corte;
che,
pertanto, la questione proposta è, sotto ogni profilo, manifestamente
inammissibile.
per questi motivi
dichiara
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
degli artt. 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo
unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative
alle scuole di ogni ordine e grado), come specificati, rispettivamente, dall’art.
119 (e allegata tabella C) del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del
regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art. 118
del r.d. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi
istituti di istruzione media), e dell’art. 676 del predetto d.lgs. n. 297 del
1994, sollevata, in riferimento al principio di laicità dello Stato e,
comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo
regionale per il Veneto con l’ordinanza in epigrafe.