Corte Costituzionale
Sentenza n. 378 del 6 dicembre 2004
(Presidente Onida, estensore De Siervo)
La previsione inserita nello Statuto della Regione Umbria, per cui la Regione tutela “forme di convivenza” ulteriori rispetto a quella costituita dalla famiglia è da ritenere legittima, in quanto mera enunciazione di principio, priva di rilevanza giuridica.
Il ruolo delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività comporta invero la possibile «esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di altri possibili contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo» (sentenza n. 2 del 2004).
Alle superiori enunciazioni di principio tuttavia, anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, in quanto non sono assimilabili alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti delle futura disciplina legislativa, ma sopratutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti.
(…)
D I R I T T O
1. – Il Governo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell’articolo 123, secondo comma, della Costituzione, degli artt. 9, comma 2; 39, comma 2; 40; 66, commi 1 e 2; 82 dello statuto della Regione Umbria, approvato dal Consiglio regionale in prima deliberazione il 2 aprile del 2004 ed in seconda deliberazione il 29 luglio 2004, in riferimento agli artt. 2; 5; 29; 117, secondo comma, lettera l); 117, terzo comma; 121; 122, primo comma; 123; 134, della Costituzione nonché al principio della separazione dei poteri.
L’art. 9, comma 2, viene impugnato nella parte in cui, avendo il primo comma dell’art. 9 riconosciuto i diritti della famiglia e previsto l’adozione di ogni misura idonea a favorire l’adempimento dei compiti che la Costituzione le affida, dispone che la Regione tutela forme di convivenza, in quanto consentirebbe l’adozione di “eventuali future previsioni normative regionali” concernenti i rapporti patrimoniali e personali tra i conviventi. Ciò in violazione dell’esclusivo potere statale riconosciuto dall’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, nella materia dell’ “ordinamento civile”.
Al tempo stesso, ove la norma intendesse affermare la rilevanza giuridica delle forme di convivenza estranee alla famiglia al di là di quanto disciplinato dalla legislazione statale, violerebbe gli articoli 29, 2 e 5 della Costituzione, nonché lo stesso articolo 123 della Costituzione, in quanto questa disciplina eccederebbe i contenuti ammissibili degli statuti regionali.
L’art. 39, comma 2, il quale prevede che la Giunta regionale possa, previa autorizzazione da parte di apposita legge regionale, adottare regolamenti di delegificazione, violerebbe l’articolo 121, secondo comma, della Costituzione ed il principio di separazione dei poteri tra organo legislativo ed organo esecutivo della regione, che non consentirebbero l’adozione di regolamenti di delegificazione; sarebbe violato, inoltre, l’art. 117 della Costituzione, in quanto la fonte regolamentare sarebbe incongruente rispetto alle materie legislative di tipo concorrente, nelle quali i principî fondamentali fissati dal legislatore statale dovrebbero essere attuati in via legislativa.
L’art. 40, invece, prevedendo che la Giunta regionale, previa legge regionale di autorizzazione, presenti al Consiglio regionale progetti di testo unico di disposizioni legislative, soggetti solo alla approvazione finale del Consiglio, violerebbe l’art. 121 Cost., nonché il principio di separazione dei poteri tra organo legislativo ed organo esecutivo della regione, che non consentirebbero deleghe legislative, né rinunce sostanziali all’esercizio del potere legislativo da parte del Consiglio regionale.
L’art. 66, commi 1 e 2, è censurato nella parte in cui stabilisce l’incompatibilità della carica di componente della Giunta con quella di consigliere regionale, per violazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione, che riserva alla legge regionale l’individuazione dei casi di incompatibilità, nei limiti dei principî sanciti dalla legge statale.
L’art. 82, il quale attribuisce alla Commissione di garanzia la funzione di esprimere pareri sulla conformità allo statuto delle leggi e dei regolamenti regionali, violerebbe gli articoli 121 e 134 della Costituzione, in quanto, ove la disposizione impugnata dovesse intendersi nel senso che tale parere segua il compimento dell’attività normativa, conferirebbe ad un organo amministrativo il potere di sindacare le leggi ed i regolamenti adottati dai competenti organi regionali.
2. – Il consigliere regionale Carlo Ripa di Meana ha sollevato questione di legittimità costituzionale della delibera statutaria nella sua interezza, in quanto sarebbe stata violata la procedura determinata dall’articolo 123 della Costituzione per l’approvazione dello statuto. Lo stesso consigliere ha impugnato singolarmente gli articoli 9 e 66 della delibera statutaria, in riferimento agli artt. 3; 29; 30; 31; 67; 117, secondo comma, lettera l); 121; 122; 123 della Costituzione.
La richiesta di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’intera delibera statutaria o quanto meno del suo art. 9 è motivata in ragione delle modifiche che sarebbero state apportate a questo articolo prima della votazione finale, giustificate dagli organi del Consiglio regionale sulla base di esigenze di coordinamento formale, e che avrebbero invece introdotto innovazioni sostanziali, che avrebbero pesato sullo stesso voto finale; da ciò la violazione dell’articolo 123 della Costituzione che, ai fini dell’approvazione dello statuto regionale, richiede l’adozione di due delibere successive tra loro identiche.
Nel merito l’art. 9 violerebbe gli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione, in quanto impegnerebbe la Regione ad agire attivamente a protezione delle convivenze di fatto, in contrasto con la norma costituzionale che non ammette forme di tutela della famiglia se non è basata sul matrimonio, religioso o civile. Inoltre questa disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, in quanto “usurperebbe” le competenze statali in materia di ordinamento civile.
L’art. 66, primo comma, è censurato nella parte in cui prevede che la carica di componente della Giunta sia incompatibile con quella di consigliere regionale, in quanto violerebbe l’art. 122, primo comma della Costituzione, il quale affida alla legge statale il compito di stabilire i principî fondamentali in materia di incompatibilità dei consiglieri regionali.
L’art. 66, secondo comma, disponendo che al consigliere regionale nominato membro della Giunta subentra il primo dei candidati non eletti nella stessa lista e che il subentrante dura in carica per tutto il periodo in cui il consigliere mantiene la carica di assessore, violerebbe l’articolo 67 della Costituzione ed il principio del divieto di mandato imperativo, in quanto il consigliere supplente sarebbe soggetto a revoca ad opera del supplito e dunque dell’organo esecutivo regionale, e durante il corso della legislatura. Questa norma, prevedendo minori garanzie per il consigliere supplente rispetto a quello ordinario, violerebbe anche l’art. 3; sarebbero pure violati gli artt. 121, 122 e 123 della Costituzione in quanto la disposizione impugnata determinerebbe l’esistenza di categorie diverse di consiglieri regionali; inoltre si introdurrebbe un meccanismo attraverso il quale potrebbero entrare nel Consiglio diversi candidati non eletti dal corpo elettorale.
3. – In via preliminare va dichiarato inammissibile il ricorso avverso la delibera statutaria presentato dal consigliere regionale Carlo Ripa di Meana.
L’impugnativa in via principale per motivi di costituzionalità delle leggi e degli statuti regionali è determinato da fonti costituzionali, secondo quanto reso palese dagli articoli 123 e 127 della Costituzione, nonché dall’articolo 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale), che individuano soltanto nel Governo e nelle Giunte regionali gli organi che possono ricorrere in via principale alla Corte costituzionale; ciò è confermato dal primo comma dell’articolo 137 della Costituzione, secondo il quale “una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale (…)”. Né le caratteristiche del nuovo procedimento di approvazione dello statuto regionale – quale risulta in seguito alle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 – possono fondare alcun potere dei consiglieri regionali di impugnativa della delibera statutaria.
Ulteriore argomento in tal senso è individuabile nella circostanza secondo la quale nel periodo di applicazione dell’articolo 127 nella formulazione precedentemente vigente, con cui l’attuale articolo 123 della Costituzione condivide la caratteristica di un giudizio in via principale su un testo legislativo non ancora promulgato, era pacificamente esclusa la possibilità di partecipare al giudizio per soggetti diversi dalle parti esplicitamente individuate dalle disposizioni di rango costituzionale e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio fosse oggetto di contestazione
In base a tali argomentazioni non potrebbe che essere dichiarata manifestamente infondata (ove il ricorso fosse – come non è – ammissibile) la questione di legittimità costituzionale posta dal consigliere ricorrente in relazione all’articolo 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, quale modificato dall’articolo 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), nella parte in cui non riconosce la legittimazione a ricorrere del consigliere regionale che non abbia votato per l’approvazione dello statuto regionale, dal momento che questa norma non fa che esplicitare quanto già chiaramente previsto nel secondo comma dell’articolo 123 della Costituzione.
4. – Va altresì dichiarato inammissibile l’intervento del consigliere regionale Carlo Ripa di Meana nel giudizio in via principale relativo alla delibera statutaria della Regione Umbria promosso dal Governo.
Infatti, analogamente a quanto affermato per il giudizio sulle leggi in via principale – e cioè che devono ritenersi legittimati ad esser parti solo i soggetti titolari delle attribuzioni legislative in contestazione – anche nel giudizio sulla speciale legge regionale disciplinata dall’articolo 123 della Costituzione, gli unici soggetti che possono essere parti sono la Regione, in quanto titolare della potestà normativa in contestazione, e lo Stato, indicato dalla Costituzione come unico possibile ricorrente. Restano fermi, naturalmente, per i soggetti privi di tali potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive dinanzi ad altre istanze giurisdizionali ed anche dinanzi a questa Corte nell’ambito del giudizio in via incidentale (cfr. ex plurimis sentenze n. 166 del 2004, n. 338, n. 315, n. 307 e n. 49 del 2003, nonché l’ordinanza allegata alla sentenza n. 196 del 2004).
5. – Venendo alle censure di illegittimità costituzionale sollevate nel ricorso governativo, in via preliminare occorre dichiarare la inammissibilità delle censure relative all’art. 9, comma 2.
Va ricordato che negli statuti regionali entrati in vigore nel 1971 – ivi compreso quello della Regione Umbria – si rinvengono assai spesso indicazioni di obiettivi prioritari dell’attività regionale ed anche in quel tempo si posero problemi di costituzionalità di tali indicazioni, sotto il profilo della competenza della fonte statutaria ad incidere su materie anche eccedenti la sfera di attribuzione regionale. Al riguardo, dopo aver riconosciuto la possibilità di distinguere tra un contenuto “necessario” ed un contenuto “eventuale” dello statuto (cfr. sentenza n. 40 del 1972), si è ritenuto che la formulazione di proposizioni statutarie del tipo predetto avesse principalmente la funzione di legittimare la Regione come ente esponenziale della collettività regionale e del complesso dei relativi interessi ed aspettative. Tali interessi possono essere adeguatamente perseguiti non soltanto attraverso l’esercizio della competenza legislativa ed amministrativa, ma anche avvalendosi dei vari poteri, conferiti alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi statali, di iniziativa, di partecipazione, di consultazione, di proposta, e così via, esercitabili, in via formale ed informale, al fine di ottenere il migliore soddisfacimento delle esigenze della collettività stessa. In questo senso si è espressa questa Corte, affermando che l’adempimento di una serie di compiti fondamentali «legittima, dunque, una presenza politica della regione, in rapporto allo Stato o anche ad altre regioni, riguardo a tutte le questioni di interesse della comunità regionale, anche se queste sorgono in settori estranei alle singole materie indicate nell’articolo 117 Cost. e si proiettano al di là dei confini territoriali della regione medesima» (sentenza n. 829 del 1988).
Il ruolo delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prevalente dottrina, è dunque rilevante, anche nel momento presente, ai fini «dell’esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di altri possibili contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo» (sentenza n. 2 del 2004); contenuti che talora si esprimono attraverso proclamazioni di finalità da perseguire. Ma la sentenza ha rilevato come sia opinabile la “misura dell’efficacia giuridica” di tali proclamazioni; tale dubbio va sciolto considerando che alle enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto.
D’altra parte, tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti delle futura disciplina legislativa, ma sopratutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque «essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione» (sentenza n. 196 del 2003).
Dalle premesse appena formulate sul carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa. Nel caso in esame, una enunciazione siffatta si rinviene proprio nell’art. 9, comma 2, della delibera statutaria impugnata, là dove si afferma che la Regione “tutela altresì forme di convivenza”; tale disposizione non comporta né alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato, né fonda esercizio di poteri regionali. Va così dichiarata inammissibile, per inidoneità lesiva della disposizione impugnata, la censura avverso la denunciata proposizione della deliberazione statutaria.
6. – Le censure di illegittimità costituzionale relative all’art. 39, comma 2, sono infondate.
Le argomentazioni del ricorso, infatti, muovono da una errata lettura della disposizione, che non prevede affatto il “conferimento alla Giunta di una potestà legislativa”, come afferma l’Avvocatura, con la conseguente alterazione dei rapporti fra potere esecutivo e legislativo a livello regionale. La norma in oggetto, invece, si limita a riprodurre il modello vigente a livello statale dei cosiddetti regolamenti delegati, che è disciplinato dal comma 2 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n.400 (Disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). In questo modello di delegificazione, come ben noto largamente utilizzato a livello nazionale e ormai anche in varie Regioni pur in assenza di disposizioni statutarie in tal senso, è alla legge che autorizza l’adozione del regolamento che deve essere imputato l’effetto abrogativo, mentre il regolamento determina semplicemente il termine iniziale di questa abrogazione.
La stessa preoccupazione che l’adozione di regolamenti del genere possa alterare nelle materie di competenza concorrente il rapporto fra normativa statale di principio e legislazione regionale, dal momento che potrebbe invece risultare necessario che la normazione regionale sia adottata in tutto o in parte mediante legge, può essere fugata dal fatto che lo stesso art. 39, comma 2, che è stato impugnato, dispone che la legge di autorizzazione all’adozione del regolamento deve comunque contenere “le norme generali regolatrici della materia”, nonché la clausola abrogativa delle disposizioni vigenti. Sarà dunque in relazione a tale legge che potrà essere verificato il rispetto di riserve di legge regionale esistenti nei differenziati settori, con anche la possibilità, in caso di elusione di questo vincolo, di promuovere la relativa questione di legittimità costituzionale.
7. – Le censure di illegittimità costituzionale dell’art. 40 non sono fondate.
Anche in questo caso, infatti appare errata l’interpretazione della disposizione in oggetto come attributiva di “deleghe legislative” da parte del Consiglio alla Giunta regionale, poiché invece l’articolo in contestazione prevede soltanto che il Consiglio conferisca alla Giunta un semplice incarico di presentare allo stesso organo legislativo regionale, entro termini perentori, un “progetto di testo unico delle disposizioni di legge” già esistenti in “uno o più settori omogenei”, progetto che poi il Consiglio dovrà approvare con apposita votazione, seppure dopo un dibattito molto semplificato.
Ben può uno statuto regionale prevedere uno speciale procedimento legislativo diretto soltanto ad operare sulla legislazione regionale vigente, a meri fini “di riordino e di semplificazione”. La stessa previsione di cui al terzo comma dell’art. 40, relativa al fatto che eventuali proposte di revisione sostanziale delle leggi oggetto del procedimento per la formazione del testo unico, che siano presentate nel periodo previsto per l’espletamento dell’incarico dato alla Giunta, debbano necessariamente tradursi in apposita modifica della legge di autorizzazione alla redazione del testo unico, sta a confermare che ogni modifica sostanziale della legislazione da riunificare spetta alla legge regionale e che quindi la Giunta nella sua opera di predisposizione del testo unico non può andare oltre al mero riordino e alla semplificazione di quanto deliberato in sede legislativa dal Consiglio regionale.
8. – Le censure di illegittimità costituzionale relative all’art. 66, commi 1 e 2, sono fondate.
L’art. 122 Cost. riserva espressamente alla legge regionale, “nei limiti dei principî fondamentali stabiliti con legge della Repubblica”, la determinazione delle norme relative al “sistema di elezione” e ai “casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali”, senza che si possa distinguere (come invece ipotizza la difesa regionale) fra ipotesi di incompatibilità “esterne” ed “interne” all’organizzazione istituzionale della Regione.
E’ vero che le scelte in tema di incompatibilità fra incarico di componente della Giunta regionale e di consigliere regionale possono essere originate da opzioni statutarie in tema di forma di governo della Regione, ma – come questa Corte ha già affermato in relazione ad altra delibera statutaria regionale nella sentenza n. 2 del 2004 – occorre rilevare che il riconoscimento nell’articolo 123 della Costituzione del potere statutario in tema di forma di governo regionale è accompagnato dalla previsione dell’articolo 122 della Costituzione, e che quindi la disciplina dei particolari oggetti cui si riferisce l’articolo 122 sfugge alle determinazioni lasciate all’autonomia statutaria.
Né la formulazione del primo comma dell’art. 66 può essere interpretata come espressiva di un mero principio direttivo per il legislatore regionale, nell’ambito della sua discrezionalità legislativa in materia.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 66 si estende logicamente anche al secondo comma della medesima disposizione, che ne disciplina le conseguenze sul piano della composizione del Consiglio regionale.
Inoltre, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa anche al terzo comma dell’art. 66 della delibera statutaria, che prevede un ulteriore svolgimento di quanto disciplinato nel secondo comma, ben potendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale applicarsi non soltanto ai giudizi in via principale (cfr. sentenze n. 4 del 2004, n. 20 del 2000, n. 441 del 1994 e n. 34 del 1961), ma anche al particolare giudizio di cui all’art. 123 Cost. (cfr. sentenza n. 2 del 2004).
9. – Le censure di illegittimità costituzionale relative all’art. 82 non sono fondate.
La disciplina della Commissione di garanzia statutaria negli artt. 81 ed 82 della delibera statutaria configura solo nelle linee generali questo organo e le sue funzioni, essendo prevista nell’art. 81 una apposita legge regionale, da approvare a maggioranza assoluta, per definirne – tra l’altro – “le condizioni, le forme ed i termini per lo svolgimento delle sue funzioni”: sarà evidentemente questa legge a disciplinare analiticamente i poteri di questo organo nelle diverse fasi nelle quali potrà essere chiamato ad esprimere pareri giuridici.
In ogni caso, la disposizione impugnata fa espresso riferimento ad un potere consultivo della Commissione, da esplicarsi attraverso semplici pareri, che, se negativi sul piano della conformità statutaria, determinano come conseguenza il solo obbligo di riesame, senza che siano previste maggioranze qualificate ed anche senza vincolo in ordine ad alcuna modifica delle disposizioni normative interessate.
P. Q. M.
1) dichiara inammissibile il ricorso, iscritto al n. 90 del registro ricorsi del 2004, presentato dal consigliere regionale della Regione Umbria Carlo Ripa di Meana nei confronti della delibera statutaria della Regione Umbria approvata dal Consiglio regionale in prima deliberazione il 2 aprile del 2004 ed in seconda deliberazione il 29 luglio 2004;
2) dichiara inammissibile l’intervento spiegato dal consigliere regionale della Regione Umbria Carlo Ripa di Meana, nel giudizio iscritto al n. 88 del registro ricorsi del 2004, relativo alla predetta delibera statutaria della Regione Umbria;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, commi 1 e 2, della predetta delibera statutaria della Regione Umbria;
4) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, comma 3, della predetta delibera statutaria della Regione Umbria;
5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, della predetta delibera statutaria della Regione Umbria, per violazione degli artt. 2, 5, 29, 117, secondo comma, lettera l), e 123 Cost., proposte con il ricorso n. 88 del 2004;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 2, della predetta delibera statutaria della Regione Umbria, per violazione degli artt. 121 e 117 Cost., proposte con il ricorso n. 88 del 2004;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 della predetta delibera statutaria della Regione Umbria, per violazione dell’art. 121 Cost. e del principio di separazione dei poteri, proposta con il ricorso n. 88 del 2004;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 82 della predetta delibera statutaria della Regione Umbria, per violazione degli artt. 121 e 134 Cost., proposte con il ricorso n. 88 del 2004.