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Corte dei Conti, sezione II giurisdizionale centrale
Sentenza 10 gennaio 2005 n. 2
(presidente De Pascalis – estensore Casaccia)
Quando
si sia in presenza di violazione di una norma che protegge interessi primari
finanziari, occorre sempre tener conto dei vantaggi di carattere
generale che il legislatore ha voluto tener presente a favore dell’ente o della
comunità e che non trova il suo esatto contrapposto nei vantaggi di
natura settoriale conseguiti con gli atti adottati contra legem, anche
se tali vantaggi possano compensare completamente il
pregiudizio economico verificatosi.
A fronte
di una grave lesione di una precisa norma di legge e del grave dissesto finanziario,
soccorre proprio la violazione
di quella minima diligenza cui corrisponde la sussistenza dell’elemento grave
della colpa richiesto dalla normativa per il riconoscimento della responsabilità amministrativa.
(…)
D I R I T T O
Vanno esaminate dapprima le eccezioni preliminari di rito.
L’eccezione di inammissibilità proposta
dall’appellante Antonio R. per mancata notifica dell’invito a dedurre deve
ritenersi eccezione
nuova non
proposta in primo grado e pertanto inammissibile ai sensi dell’art. 345 del
c.p.c..
L’eccezione di tardività dell’atto di citazione con riguardo al termine
di 120 giorni di cui all’art. 5, comma 1, del D.L. n. 453 del 1993, convertito
con la legge n. 639 del 1996, sollevata dagli appellanti D., G. ed
altri, Antonio R., M. e C., è da ritenere infondata
e pertanto va rigettata. Infatti, al riguardo, l’espressione adottata dal legislatore “il
Procuratore emette l’atto di citazione” va intesa per costante giurisprudenza
di questa Corte come deposito dell’atto presso la Segreteria della Sezione
Giurisdizionale competente, deposito che nella fattispecie è avvenuto
il 18.7.2001, mentre gli inviti a dedurre furono notificati nel marzo 2001.
L’eccezione sollevata dagli appellanti R. e C.
relativa ad una supposta invalidità della costituzione del rapporto processuale perché il
convenuto Z. Pasquale non partecipò alla delibera n. 14 sopra citata
con la conseguenza che a giudizio degli appellanti vi sarebbe stato un difetto
di integrazione del contraddittorio da colmare, è parimenti infondata
e va rigettata. Spetta al P.M. valutare se evocare in giudizio o meno un presunto
responsabile e non già al giudice anche a fronte di un presunto litisconsorzio
necessario che in realtà nella specie declina a litisconsorzio facoltativo,
e ciò in considerazione del carattere personale della responsabilità amministrativa.
Con riferimento poi all’eccezione di prescrizione
ed ad una costituzione in mora non rituale perché coinvolgente una incertezza sull’an e sul quantum
della pretesa dedotta in giudizio, così come rappresentato dagli appellanti
R. e C. e dagli appellanti D. e R. soprattutto in relazione
ad un contenuto generico, il Collegio rileva che la prescrizione per consolidato
orientamento della giurisprudenza di questa Corte decorre dall’effettiva erogazione
della spesa, e cioè dai mandati di pagamento e dai pagamenti delle utenze
o quantomeno dalla data della convenzione per cui essendo intervenuto l’atto
di costituzione in mora nel 1996 e l’atto di citazione nel 2001, la pretesa è del
tutto corretta e tempestiva. Ciò anche con riferimento al contenuto
della stessa in quanto gli atti di costituzione in mora ai vari amministratori
hanno indicato esattamente la delibera consiliare n. 14 del 31.1.1992 con cui
si è approvato lo schema di convenzione con la A.N.R.P. con le somme
ivi precisate e con il riferimento agli artt. 2943 e 1219 del c.c..
Infine, è da considerare parimenti infondata oltre che inammissibile
l’eccezione relativa ad una mancata ricezione dell’atto di costituzione in
mora del Sig. D’A. in quanto è risultato contumace nel giudizio
di primo grado e, pertanto, in appello per la prima volta non può far
valere supposte o eventuali irregolarità dell’atto di costituzione in
mora.
Passando all’esame del merito, l’art. 23 della
legge n. 144/89 stabilisce per tutte le Amministrazioni provinciali, comunali
e comunità montane
che presentino nell’ultimo conto consuntivo deliberato disavanzo di amministrazione
o debiti fuori bilancio, il divieto di assumere impegni per pagare spese per
servizi non espressamente previsti per legge. Questa norma è stata sostanzialmente
riportata al V° comma dell’art. 35 del D. L.vo n. 77 del 1995, mentre,
sempre dello stesso decreto, l’art. 123 al secondo comma prevede l’abrogazione
della legge n. 144 del 1989.
E’ del tutto evidente che l’art. 23, ripetuto
nella sostanza dall’art. 35, esprime tutta la sua vigenza con riguardo alla
fattispecie
in giudizio; e ciò perché la
norma fa riferimento all’ultimo conto consuntivo deliberato, conto consuntivo
che è quello del 1990, approvato con delibera n. 49 del 15.7.91. Inoltre
nella stessa data sono stati riconosciuti debiti fuori bilancio con la delibera
n. 50 addirittura per una somma di L. 36.093.737.203 e predisposto un apposito
piano per il riequilibrio della gestione ai sensi dell’art. 1bis del D.L. n.
318 del 1986. Ma vi è di più: sussistono anche altre delibere
del 28.9.90 il cui oggetto è il riconoscimento del debiti fuori bilancio
e la n. 7 del 31.1.1992 con l’ulteriore riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Insomma, nella sostanza vi era una situazione grave di disavanzo di amministrazione
rispetto al quale non poteva il Comune assumere spese e carichi non previsti
espressamente dalla legge.
Ed è chiaro allora che a fronte di una difesa
che al riguardo ha sollevato profili soltanto formali, in pratica si è avuto,
come risulta dalla stessa delibera n. 55 del 3.12.92 con cui è stato
dichiarato lo stato di dissesto, che il piano di riequilibrio finanziario non
venne portato all’attuazione, ma al contrario vennero assunte nuove spese con
violazione dell’art. 23 della legge 144 del 1989 e del successivo art. 35 del
D. L.vo n. 77 del 25.2.1995.
Quanto poi alla rappresentazione difensiva relativa
all’interpretazione dell’art. 1 della legge 20.12.96, n. 639, ossia della
valutazione dei vantaggi
che devono
essere presi in considerazione ai fini della determinazione del danno, è fuori
dubbio che tali vantaggi possono completamente compensare il pregiudizio economico
verificatosi.
Tale valutazione però non può essere spinta al
punto tale da pervenire comunque e sempre ad un computo matematico o compensativo,
come sostenuto dalla difesa; e ciò perché quando trattasi di
una norma che protegge interessi primari finanziari, occorre tener conto dei
vantaggi di carattere generale che il legislatore ha voluto tener presente
a favore dell’ente o della comunità e che non trova il suo esatto contrapposto
nei vantaggi di natura settoriale della P.A. o comunque della comunità amministrata.
Nel caso di specie, il vantaggio che è derivato al Comune è fuori
discussione, perché la scuola ha funzionato ed aveva un certo numero
di sezioni e perché anche nella precedente gestione da parte del Comune
della scuola vi furono costi elevati.
Tuttavia, come correttamente ritenuto dal giudice
di prime cure, proprio in considerazione del grave dissesto e degli ingenti
debiti
fuori bilancio, si è venuto
a creare un danno che non può essere coperto dal vantaggio derivato
al Comune ed al servizio scolastico proprio in considerazione del fatto che
le erogazioni effettuate hanno contribuito a determinare quel grave dissesto
di cui dianzi ed hanno avuto riflessi dannosi diversi da quelli settoriali
e riferibili all’intera comunità amministrata. Conseguentemente la valutazione
effettuata dal giudice di primo grado pari ad un vantaggio compensativo del
40% della somma contestata può ritenersi corretta.
Quanto all’elemento soggettivo, a fronte di una
grave lesione di una precisa norma di legge e del grave dissesto finanziario,
soccorre
proprio la violazione
di quella minima diligenza cui corrisponde la sussistenza dell’elemento grave
della colpa richiesto dalla normativa per il riconoscimento della responsabilità amministrativa.
In conclusione soccorrono tutti i presupposti di rito e di merito per la conferma
della sentenza impugnata.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando, riuniti gli appelli ai sensi dell’art. 335 del
c.p.c., rigetta gli stessi gravami e per l’effetto conferma la sentenza impugnata
e con la condanna degli interessati appellanti anche alle spese del presente
giudizio che sino al deposito dell’originale della presente sentenza vengono
liquidati in Euro 3.442,79 (tremilaquattrocentoquarantadue/79).
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio
del
7 dicembre 2004.