Incarichi di studio, ricerca e consulenza nella P.A.

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Le Sezioni riunite in sede di
controllo della Corte dei conti, nell’adunanza del 15 febbraio 2005,
hanno approvato le linee di indirizzo ed i criteri interpretativi delle
disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005)
in materia
di affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza
a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni (art. 1, commi
11 e
42
).

La Corte dei conti fa riferimento
tradizionalmente a cinque essenziali parametri di legittimità dell’azione
amministrativa:

1) rispondenza dell’incarico
agli obiettivi dell’amministrazione;

2) inesistenza,
all’interno
della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento
dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;

3) indicazione specifica dei contenuti e
dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;

4) indicazione della durata dell’incarico;

5) proporzione fra
il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

Le norme attuali hanno per oggetto
tre categorie (già individuate dal d. l. n. 168/2004): incarichi
di studio, di ricerca, di consulenza.

Gli incarichi di
studio

L’art. 5 DPR
n. 338/1994 determina il
contenuto di tali tipi di incarichi. Essi si concludono sempre con la consegna
di una relazione scritta finale, nella quale si illustrano i risultati
dello
studio
e le soluzioni
proposte.

Gli incarichi di ricerca

Presuppongono la preventiva definizione
del programma da parte dell’amministrazione.

Le consulenze

E’ l’ipotesi più semplice di
richiesta di un parere ad un esperto esterno.

Siamo in presenza
-sottolinea la Corte dei Conti- di
un contratto di prestazione d’opera intellettuale (ex artt. 2229–2238
codice civile).

I Giudici contabili individuano
una serie di casi, da intendersi ricompresi all’interno della previsione
contenuta in Finanziaria:

– studio e soluzione di questioni
inerenti all’attività dell’amministrazione committente;

– prestazioni professionali finalizzate
alla resa di pareri, valutazioni, espressione di giudizi;

– consulenze legali, al di fuori
della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione;

– studi per l’elaborazione
di schemi di atti amministrativi o normativi.

Non rientrano invece nella
Finanziaria gli incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori
per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione.
E in particolare:

– le prestazioni professionali
consistenti nella resa di servizi o adempimenti obbligatori per legge, qualora
non vi siano uffici o strutture a ciò deputati;

– la rappresentanza in giudizio
ed il patrocinio dell’amministrazione;

– gli appalti e le “esternalizzazioni” di
servizi, necessari per raggiungere gli scopi dell’amministrazione.

Restano fuori dalla Finanziaria
anche i “rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa”,
che rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio
dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato (art. 409, n.
3 cpc e art. 61 d. lgs. 276 del 2003) e che sono in atto utilizzabili per
le esigenze ordinarie proprie del funzionamento
delle strutture amministrative.

 

– – – –

 

Corte dei Conti, sezioni riunite di controllo

Adunanza del 15 febbraio 2005

Linee di indirizzo
e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004,
n. 311 (finanziaria
2005) in materia di affidamento
d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi
11 e 42)

Le amministrazioni pubbliche,
comprese le regioni, le province e i comuni, possono conferire, ai sensi
dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, corrispondente all’articolo 7 d. lgs. n. 29/1993
e successive modificazioni, incarichi individuali ad esperti di “provata
competenza” per “esigenze cui non possono far fronte con personale
in servizio”.

Le regole per il conferimento
degli incarichi da parte dei ministri, sono state definite con il regolamento
approvato con
D. P.
R. 18 aprile 1994, n.
338, che circoscrive l’oggetto degli incarichi alla “necessità di
compiere studi e di risolvere problemi”. Gli incaricati devono consegnare
una relazione scritta sui risultati dello studio e sulle soluzioni proposte.
L’attività svolta è soggetta alla valutazione di un apposito
comitato.

Allo scopo di garantire la trasparenza
e il rispetto delle regole sull’affidamento
degli incarichi, l’articolo 1, comma 127, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662 ha disposto che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono “di
collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza” retribuiti,
devono pubblicare gli elenchi sui conferimenti, da inviare semestralmente al
Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.
La disposizione è stata inserita nell’articolo 53, commi 14, 15
e 16, d. lgs. n. 165/2001 che ha previsto anche una relazione annuale al Parlamento
nella quale il Dipartimento deve riferire sui dati raccolti e formulare proposte “per
il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei
criteri di attribuzione degli incarichi stessi”.

L’articolo 110, comma 6, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce,
infine, che le province e i comuni possono inserire, nei propri regolamenti
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, disposizioni che prevedano “per
obiettivi determinati e con convenzioni a termine” il ricorso a collaborazioni
esterne “ad alto contenuto di professionalità”. Gli enti
locali perciò, oltre al conferimento degli incarichi esterni ai sensi
dell’articolo 7, comma 6, d. lgs. n. 165/2001, possono ricorrere a collaborazioni
esterne, nei casi in cui sia necessario avvalersi di un contributo d’alta
professionalità, a condizione che la facoltà sia stata prevista
nei loro regolamenti.

Oltre le disposizioni di carattere generale, diverse leggi consentono, alle
amministrazioni dello Stato, di ricorrere ad incarichi esterni in casi determinati;
anche le regioni hanno emanato leggi per disciplinare gli incarichi e le consulenze.

Sulla base delle disposizioni
citate, la giurisprudenza della Corte dei conti, in sede di controllo e in
sede giurisdizionale, ha
elaborato i seguenti criteri
per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterni:

a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;

b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura
professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione;

c) indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per
lo svolgimento dell’incarico;

d) indicazione della durata dell’incarico;

e) proporzione fra il compenso
corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita
dall’amministrazione.

Allo scopo di contenere la spesa
delle amministrazioni pubbliche, aumentata anche per il ricorso, frequente
e ingiustificato, agli
incarichi esterni, con
il duplice effetto di una spesa aggiuntiva e della mancata utilizzazione delle
ordinarie strutture amministrative, l’articolo 1, commi 9 e 11, del d.
l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito con legge 30 luglio 2004, n. 191, ha
posto un limite alla spesa per gli incarichi. Il limite è posto per
le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti “a
tutela dell’unità economica della Repubblica”.

Oltre il limite della spesa,
la norma citata ha individuato tre categorie d’incarichi: di studio, di ricerca o di consulenza, per le quali ha prescritto
un’adeguata motivazione e la possibilità di ricorrervi “solo
nei casi previsti dalla legge o nell’ipotesi di eventi straordinari”.
Gli atti di conferimento dell’incarico devono poi essere trasmessi agli
organi di controllo interno degli enti.

L’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti
dall’articolo 1, comma 9, “costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”.

Le disposizioni dei commi 9 e
11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004
hanno cessato di essere in vigore il 31 dicembre 2004 e sono state sostituite,
a decorrere dal 1 gennaio 2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della
legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005).

I commi 11 e 42 confermano il
limite della spesa per il conferimento degli incarichi esterni, determinandolo,
per tutte le
amministrazioni
pubbliche,
comprese le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000
abitanti, escluse le università e gli enti di ricerca, nell’importo
erogato per lo stesso oggetto nel 2004. Gli atti di affidamento degli incarichi
dovranno recare perciò una certificazione dell’Ufficio centrale
del bilancio, per le amministrazioni centrali dello Stato, e dei competenti
servizi di ragioneria per gli enti pubblici nazionali, per le regioni, le province
e i comuni, sul rispetto del limite di spesa stabilito dalla legge n. 311/2004.
Per gli enti che adottano la contabilità economica, l’attestazione è rimessa
all’organo che esercita il controllo contabile.

Il comma 11 disciplina, poi,
il conferimento degli incarichi esterni da parte delle amministrazioni dello
Stato, delle
Regioni e degli
enti pubblici non
economici nazionali; il comma 42 riguarda, invece, l’affidamento degli
incarichi da parte delle province e dei comuni, comunità montane e unioni
di comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Le norme attuali hanno per oggetto
le tre categorie già individuate
dal d. l. n. 168/2004: incarichi di studio, di ricerca, di consulenza. I due
commi differiscono, invece, nella motivazione prescritta per il conferimento.

Le differenze fra i due commi
saranno esaminate successivamente, poiché è necessario
definire, in via preliminare, il contenuto degli incarichi ai quali si applica
la legge.

Gli incarichi di studio possono
essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal D. P. R. n.
338/1994 che, all’articolo 5, determina il contenuto
dell’incarico nello svolgimento di un’attività di studio,
nell’interesse dell’amministrazione. Requisito essenziale, per
il corretto svolgimento di questo tipo d’incarichi, è la consegna
di una relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i risultati
dello studio e le soluzioni proposte.

Gli incarichi di ricerca, invece,
presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione.

Le consulenze, infine, riguardano le richieste di pareri ad esperti.

Il contenuto degli incarichi,
cui fanno riferimento i commi 11 e 42, coincide quindi con il contratto di
prestazione d’opera intellettuale, regolato
dagli articoli 2229 – 2238 del codice civile.

Per valutare se un incarico rientra
in una delle categorie previste dai commi 11 e 42, occorre considerare il
contenuto dell’atto
di conferimento, piuttosto che la qualificazione formale adoperata nel medesimo.

A titolo esemplificativo, si elencano alcuni tipi di prestazione che rientrano
nella previsione normativa:

studio e soluzione di questioni
inerenti all’attività dell’amministrazione
committente;

prestazioni professionali finalizzate alla resa di pareri, valutazioni, espressione
di giudizi;

consulenze legali, al di fuori
della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione;

studi per l’elaborazione
di schemi di atti amministrativi
o normativi.

Non rientrano, invece, nella previsione dei commi 11 e 42:

le prestazioni professionali
consistenti nella resa di servizi o adempimenti obbligatori per legge, qualora
non vi siano
uffici
o strutture a ciò deputati;

la rappresentanza in giudizio
ed il patrocinio
dell’amministrazione;

gli appalti e le “esternalizzazioni” di servizi, necessari per
raggiungere gli scopi dell’amministrazione.

Non rientrano, in sostanza, nella
previsione gli incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge,
mancando,
in tali ipotesi,
qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione. L’esclusione di questo tipo di incarichi è,
del resto, convalidata dallo stesso comma 42 che esclude dall’ambito
della sua applicazione gli incarichi conferiti ai sensi della legge quadro
sui lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109.

Restano fuori dell’oggetto dei
commi 11 e 42 anche i “rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa”, che rappresentano una posizione intermedia
fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro
subordinato (art. 409, n. 3 del codice di procedura civile; art. 61 d. lgs.
10 settembre 2003, n. 276).

L’esclusione di questo tipo di rapporti si ricava, del resto, dalla
stessa legge n. 311/2004 la quale, al comma 116 dell’articolo 1, prevede
che le pubbliche amministrazioni, comprese regioni, province e comuni, possono
avvalersi, nel 2005, di personale a tempo determinato, esclusa la nomina del
direttore generale dei Comuni (art. 108 d. lgs. n. 267/2000), “con contratti
di collaborazione coordinata e continuativa”. I rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa sono quindi utilizzabili per le esigenze ordinarie
proprie del funzionamento delle strutture amministrative e non riguardano perciò il
ricorso agli incarichi esterni.

Gli incarichi di collaborazione
coordinata e continuativa, infatti, per la loro stessa natura che prevede
la continuità della prestazione e un
potere di direzione dell’amministrazione, appaiono distinti dalla categoria
degli incarichi esterni, caratterizzata dalla temporaneità e dall’autonomia
della prestazione. Resta fermo, peraltro, che, qualora un atto rechi il nome
di collaborazione coordinata e continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri
nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza, il
medesimo sarà soggetto al limite di spesa, alla motivazione e all’invio
alla Corte dei conti, secondo le previsioni dei commi 11 e 42.

Dopo avere precisato il contenuto
degli incarichi, si può passare a
considerare le differenze fra il comma 11 e il comma 42, per quanto riguarda
la motivazione prescritta.

Il comma 11, che si applica alle
pubbliche amministrazioni di cui all’articolo
1, comma 2, d. lgs. n. 165/2001, comprese le regioni, dispone che il conferimento
dell’incarico deve essere adeguatamente motivato ed “è possibile
soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”.
Le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali non economici e le
regioni potranno quindi conferire incarichi esterni soltanto nei casi previsti
dalla legge nazionale, o dalle leggi regionali, salvi gli eventi straordinari.
Le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, benché esclusi
dal rispetto del limite di spesa stabilito dal comma 11, sono assoggettati
alle altre disposizioni dello stesso comma, limitatamente però agli
incarichi di studio, di ricerca o di consulenza, conferiti in materie e per
oggetti rientranti nella competenza della struttura burocratica dell’ente.

Il comma 42, che riguarda le
province e i comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti, stabilisce
che il conferimento
degli
incarichi “deve
essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di
strutture organizzative o professionalità interne all’ente in
grado di assicurare i medesimi servizi”. L’affidamento dell’incarico
deve essere preceduto perciò da un accertamento reale, che coinvolge
la responsabilità del dirigente competente, sull’assenza di servizi
o di professionalità, interne all’ente, che siano in grado di
adempiere l’incarico.

Il comma 42 dispone poi che l’atto di conferimento deve essere sottoposto
all’esame del collegio dei revisori dei conti, che valuterà, ai
sensi dell’articolo 239 lettera b) T. U. n. 267/2000, la regolarità contabile,
finanziaria ed economica dell’atto, con particolare riguardo all’osservanza
del limite di spesa posto dalla legge n. 311/2004.

I commi 11 e 42 stabiliscono,
infine, la trasmissione alla Corte dei conti degli atti di conferimento degli
incarichi e prevedono
che l’affidamento
dei medesimi, senza il rispetto delle previsioni della legge, “costituisce
illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.

La legge impone l’invio degli atti alla Corte dei conti, senza altra
specificazione. Poiché la Corte svolge funzioni di controllo e giurisdizionali, è necessario
individuare se gli atti debbano essere trasmessi alle Sezioni centrali e regionali
di controllo o alle Procure regionali, restando, in ogni caso, escluse le sezioni
giurisdizionali della Corte che, per la natura delle loro funzioni, non possono
ricevere atti al di fuori dell’esercizio della giurisdizione.

Le Sezioni Riunite in sede di
controllo hanno già riconosciuto, con
la deliberazione n. 7/2003 del 27 febbraio 2003, la competenza delle Sezioni
del controllo nel caso dell’invio alla Corte dei conti dei contratti
conclusi a trattativa privata. Le Sezioni Riunite ritennero, infatti, che la
competenza a ricevere gli atti spettasse alle Sezioni del controllo, trattandosi
di atti utilizzabili ai fini del controllo sulla gestione.

Occorre aggiungere che l’eventuale attribuzione della competenza alle
Procure regionali, contrasterebbe con la funzione istituzionale degli organi
requirenti, che hanno il compito di esercitare l’azione per l’accertamento
della responsabilità amministrativa o contabile e che possono ricevere,
perciò, soltanto gli atti dai quali emergano elementi di danno per l’erario.
La Corte costituzionale ha affermato (sentenza 22 febbraio 1989 n. 104), del
resto, che il Procuratore della Corte dei conti non può chiedere una
serie di atti amministrativi, al di fuori di “elementi concreti e specifici” d’ipotesi
di danno erariale, poiché, in tal modo, l’organo requirente si
attribuirebbe compiti di controllo, estranei alla sua funzione istituzionale.

Conferma, ex adverso, tale assunto
l’articolo 23, comma 5, della legge
27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) che fa oggetto di espressa
previsione l’invio alle Procure regionali della Corte dei conti degli
atti di riconoscimento del debito, sintomatici di danno erariale.

Corrobora ulteriormente il riconoscimento
della competenza delle Sezioni del controllo la considerazione che le disposizioni
dei commi
11 e 42 sono dirette,
soprattutto, al contenimento della spesa nel settore degli incarichi. La competenza
delle Sezioni del controllo deriva, perciò, dallo scopo delle norme,
poiché l’accertamento degli equilibri finanziari delle amministrazioni
pubbliche e della “sana gestione finanziaria” degli enti locali,
non può che spettare alla sede del controllo.

Occorre precisare, ora, secondo
le competenze stabilite dalla legge e dal regolamento per l’organizzazione
delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato con la deliberazione
delle Sezioni
riunite n. 14 del 16
giugno 2000 e successive modificazioni, le Sezioni del controllo alle quali
dovranno essere inviati gli atti:

Sezione centrale del controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello
Stato

Amministrazioni centrali dello Stato

Sezione del controllo sugli enti
Enti controllati

Sezioni regionali di controllo
Amministrazioni decentrate dello Stato

Regioni

Province

Comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti

Comunità montane, con
popolazione superiore a 5.000
abitanti

Unioni di Comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti

Aziende sanitarie locali

Camere di commercio, industria e agricoltura

Enti pubblici regionali non economici.

Le Sezioni del controllo, ricevuti
gli atti, li utilizzeranno secondo i principi e i procedimenti del controllo
successivo
sulla gestione,
previsti dall’articolo
3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 richiamato, per quanto riguarda i comuni
e le province, dall’articolo 148 T. U. n. 267/2000, e dall’articolo
7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Rientra, poi, nella competenza
delle Sezioni l’approvazione dei criteri organizzativi interni per l’esame
degli atti.

Qualora, in tale sede, si dovesse
venire a conoscenza di ipotesi d’illecito
contabile si procederà alla segnalazione alla competente Procura regionale
della Corte dei conti, secondo le indicazioni della Corte costituzionale (sentenza
n. 29 del 12 – 27 gennaio 1995) che, nell’affermare la netta distinzione
fra il controllo sulla gestione e la giurisdizione di responsabilità amministrativa,
ha confermato, tuttavia, che il Procuratore della Corte dei conti può promuovere
l’azione di responsabilità sulla base di una segnalazione acquisita “attraverso
l’esercizio dei poteri istruttori inerenti al controllo sulla gestione”,
arrestandosi alla segnalazione il rapporto fra attività giurisdizionale
e controllo sulla gestione. Resta fermo, peraltro, l’obbligo di denunzia
alla Procura della Corte dei conti, posto dalla legge a carico degli organi
amministrativi e di controllo interni.


Redazione

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