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TAR Piemonte, sezione I
Sentenza 26 gennaio 2005 n. 121
(presidente Gomez de Ayala, estensore Goso)
– – – – –
1. Il ricorso contro il provvedimento
di approvazione della graduatoria di medicina generale è
ammissibile in quanto quest’ultima costituisce l’atto conclusivo del
relativo procedimento e, dunque, risulta essere l’atto immediatamente
e concretamente lesivo dell’interesse del ricorrente, impugnabile in uno agli
atti regolamentari presupposti (conf.
Consiglio di Stato, sezione I, parere n. 3328/95).
2.
“La direttiva 86/457CEE attribuiva agli stati membri il potere-dovere
di individuare, a propria discrezione,
i ‘diritti acquisiti’ i cui titolari avrebbero potuto esercitare
l’attività di medico in qualità di medico generico in
assenza dell’attestato di formazione specifica in medicina generale. Il
legislatore delegato avrebbe quindi potuto individuare i medici titolari di diritti
acquisiti facendoli
coincidere esattamente con le categorie previste dalla normativa comunitaria
oppure ampliare discrezionalmente l’area degli aventi diritto, con
riferimento ad altre categorie di medici. Egli
non avrebbe però potuto
spingersi ad includere nell’area dei titolari di diritti acquisiti
soggetti che, nell’intenzione della direttiva comunitaria, ne dovevano
restare esclusi. Poiché il legislatore
comunitario fa espresso riferimento, trattando dei diritti acquisiti, ai
soli medici, ne deriva che non avrebbero potuto essere inclusi nell’area
dei titolari di diritti acquisiti tutti coloro che tali non erano ancora
perché, pur essendo iscritti al corso di laurea in medicina, non avevano
ancora terminato il corso di studi. Il
legislatore delegato legittimamente non ha considerato nel novero dei titolari
di diritti acquisiti gli iscritti
al corso di laurea in medicina (indipendentemente dall’avanzamento
del corso di studi e dal numero di esami sostenuti) in quanto tale soluzione
avrebbe rappresentato una violazione della normativa comunitaria“.
– – – – –
(…)
per l’annullamento:
del comunicato dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte
avente ad oggetto: “Graduatoria provvisoria dei medici di medicina generale”,
pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte in data 25 febbraio
1998, nella parte in cui esclude da detta graduatoria il ricorrente;
nonché per l’annullamento:
del decreto del Ministro della Sanità del 15 dicembre 1994, con il quale è stato
limitato per tutti coloro in possesso dei requisiti di legge alla data del 31
dicembre 1994 il diritto a poter esercitare l’attività di medico
di medicina generale;
e per l’annullamento, per
quanto occorra:
degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi
del relativo procedimento e per ogni consequenziale statuizione.
Visto il ricorso e le memorie difensive successivamente
depositate dal ricorrente; Visti gli atti di costituzione in giudizio e le
memorie difensive delle amministrazioni
resistenti; Visti gli atti e i documenti tutti della causa; Uditi all’udienza del 19 gennaio 2005, relatore il referendario Richard
Goso, l’avv. Dal Piaz per il ricorrente e l’avv. Scollo per la
Regione Piemonte;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorrente espone di essersi laureato in
medicina il 23 febbraio 1995 e di avere conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione
medica nella prima sessione dello stesso anno. Egli presentava domanda all’Assessorato alla Sanità della Regione
Piemonte per essere incluso nella graduatoria dei medici di medicina generale
per l’anno 1998.
La domanda era però respinta, come risulta dal comunicato dell’Assessorato
in data 25 febbraio 1998, in quanto inclusa tra quelle “prive del requisito
di accesso”. La motivazione del rigetto era da rinvenirsi nel fatto che l’interessato
non era in possesso dell’attestato di formazione previsto dagli articoli
1 e 2 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256 e, essendosi laureato e abilitato
all’esercizio della professione medica successivamente al 1° gennaio
2005, non poteva neppure beneficiare della deroga prevista dal d.m. Sanità 15
dicembre 2004 per i medici abilitati entro il 31 dicembre 2004.
Il ricorrente impugnava il comunicato dell’Assessorato alla Sanità e
il decreto ministeriale da ultimo citato, proponendo i seguenti motivi di censura:
I) illegittimità dei provvedimenti impugnati per incostituzionalità dell’art.
6, IV comma del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 256, in quanto contrastante con gli
artt. 3, 4 e 97 della Costituzione.
Assume il ricorrente che il legislatore, nell’introdurre la riforma dell’accesso
alle graduatorie di medicina generale (d.lgs. n. 256/1991), avrebbe dovuto tener
conto dei soggetti già laureati in medicina, e anche di quelli in corso
di laurea, ma non ancora abilitati all’esercizio della professione medica.
La mancata previsione di tali categorie di soggetti
determinerebbe l’illegittimità della
legge in quanto lesiva del principio di uguaglianza di cui all’articolo
3 della Costituzione, del principio di libertà di scelta nell’attività lavorativa
di cui all’articolo 4 e dell’articolo 97.
Dall’incostituzionalità della normativa in questione deriverebbe
l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.
II) Eccesso
di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà,
disparità di trattamento, ingiustizia grave e manifesta, difetto di motivazione
(qui dedotto, altresì, come violazione di legge con riferimento agli
artt. 3 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241).
I provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi per vizi propri.
Il decreto del Ministero della Sanità in data 15 dicembre 2004 violerebbe,
infatti, i principi di ragionevolezza e imparzialità, avendo immotivatamente
limitato il diritto all’esercizio della medicina di base ai soli medici
abilitati entro il 31 dicembre 2004; esso, inoltre, difetterebbe di sufficiente
motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato la limitazione di
cui sopra.
Il ricorrente conclusivamente chiede la rimessione
della questione alla Corte Costituzionale perché sia valutato il contrasto dell’articolo 6,
comma 4 del decreto legislativo n. 256/1991 con gli articoli 3, 4 e 97 della
Costituzione; nel merito, insiste per l’accoglimento del ricorso, previa
sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
Si sono costituiti in giudizio con apposite
memorie difensive la Regione Piemonte e il Ministero della Sanità, chiedendo il rigetto del ricorso;
la Regione Piemonte, in particolare, ritiene che il provvedimento impugnato
abbia natura
vincolata, meramente esecutiva, e, come tale, non possa essere dotato di propri
vizi di legittimità. L’istanza di sospensiva è stata quindi riunita al merito e, all’udienza
del 19 gennaio 2005, il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
1) Una migliore comprensione della fattispecie richiede la sintetica
ricostruzione della normativa di riferimento.
La direttiva 86/457/CEE ha introdotto nell’ordinamento comunitario la formazione
specifica in medicina generale, al cui compimento è subordinato l’esercizio
delle attività di medico in qualità di medico generico nell’ambito
dei regimi di sicurezza sociale degli stati membri (articoli 1 e 7, comma 1).
La direttiva prevede che, in deroga al possesso del diploma, certificato o
altro titolo attestante il compimento della formazione specifica in medicina
generale,
gli stati membri potranno determinate i diritti acquisiti, in ogni caso considerando
come acquisito il diritto per tutti i medici che godevano del diritto al 31
dicembre 2004 (articolo 7, comma 2).
Con il decreto legislativo
8 agosto 1991, n. 256 la direttiva 86/457 è stata
recepita nell’ordinamento italiano.
L’articolo 2 di tale decreto dispone che, dal 1° gennaio 1995, l’attestato
di formazione specifica in medicina generale costituisce il titolo necessario
per l’esercizio della medicina generale nell’ambito del servizio
sanitario nazionale, salvi i diritti acquisiti.
Ai sensi dell’articolo 6 del decreto, che tratta dei diritti acquisiti,
hanno diritto ad esercitare l’attività professionale in qualità di
medico di medicina generale nell’ambito del servizio sanitario nazionale “i
titolari … di un rapporto convenzionale”, purché il rapporto
sia stato stabilito anteriormente al 31 dicembre 1994.
Il medesimo decreto attribuisce, inoltre, al Ministro della Sanità il
potere di individuare ulteriori categorie di medici cui viene riconosciuto, come
diritto acquisito, il diritto di esercitare l’attività professionale
in qualità di medico di medicina generale nell’ambito del servizio
sanitario nazionale.
Il Ministro della Sanità si è quindi avvalso di tale potere emanando
il decreto 15 dicembre 1994 (pubblicato sulla G.U. n. 203 del 29 dicembre 2004)
con il quale è stato riconosciuto il diritto acquisito a tutti i medici
che avevano conseguito l’abilitazione professionale entro il 31 dicembre
2004.
Con il decreto legislativo
17 agosto 1999, n. 368 recante “Attuazione della
direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco
riconoscimento dei loro diplomi, certificati e altri titoli e delle direttive
97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE” è stato
infine abrogato il decreto legislativo n. 256/1991; lo stesso decreto legislativo
n. 368/1999 prevede, però, all’articolo 30, comma 1, che “hanno
diritto ad esercitare l’attività professionale in qualità di
medico di medicina generale”, in deroga al principio che richiede il possesso
del diploma di formazione specifica in medicina generale, “i medici chirurghi
abilitati all’esercizio professionale entro il 31 dicembre 1994”,
così confermando per tale aspetto la disciplina previgente.
2) Ciò premesso, il Collegio ritiene che debba essere preliminarmente
valutata l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa regionale,
laddove essa afferma che il provvedimento di approvazione delle graduatorie,
in quanto necessitato e meramente esecutivo di criteri predefiniti contenuti
del decreto ministeriale, non si potrebbe configurare come atto dotato di propri
vizi di illegittimità.
L’eccezione è priva di fondamento.
Il provvedimento impugnato, infatti, costituisce l’atto conclusivo del
procedimento di approvazione delle graduatorie e, come tale, risulta immediatamente
lesivo.
Il d.m. Sanità del 15 dicembre 2004, per contro, come già riconosciuto
dal Consiglio di Stato – sezione I con parere n. 3328/95, “è un
tipico atto regolamentare, non suscettibile di essere impugnato direttamente
ed impugnabile, invece, solo insieme all’atto che ne ha fatta concreta
applicazione nei confronti della parte ricorrente”.
Il ricorso, proposto contro la graduatoria e indirettamente
contro l’atto
regolamentare, è quindi ammissibile.
3) Il ricorrente sospetta l’illegittimità costituzionale dell’articolo
6, comma 4 del decreto legislativo n. 256/1991 (oggi il riferimento normativo è costituito
dall’articolo 30, comma 1 del decreto legislativo n. 368/1999) in quanto,
nell’individuare talune categorie di soggetti aventi diritto ad esercitare
l’attività professionale in qualità di medico di medicina
generale indipendentemente dal possesso degli attestati di formazione previsti
dallo stesso decreto, non ha tenuto conto dei soggetti laureati in medicina
o ancora in corso di laurea, ma non ancora abilitati.
Tale omessa considerazione darebbe luogo, ad avviso del
ricorrente, alla violazione del principio di uguaglianza
di cui all’articolo 3 della Costituzione nonché del
principio della libertà di scelta nell’attività lavorativa
di cui all’articolo 4 e dell’articolo 97 della Costituzione.
In realtà, il ricorrente fa riferimento a due distinte situazioni soggettive
(i soggetti laureati ma non ancora abilitati e i soggetti in corso di laurea
ma non ancora laureati né abilitati), ma ha interesse solo relativamente
alla seconda, poiché alla data del 31 dicembre 2004 egli non aveva ancora
conseguito la laurea in medicina.
Il quesito deve pertanto porsi nei seguenti termini:
se si debba sospettare della legittimità costituzionale della disposizione citata nella parte in cui,
non riconoscendo loro il diritto acquisito, esclude dalla deroga i soggetti che
alla data del 31 dicembre 2004 erano iscritti al corso di laurea in medicina,
ma non avevano ancora terminato il corso di studi né, ovviamente, conseguito
l’abilitazione professionale.
La questione di legittimità costituzionale è manifestamente
infondata.
La direttiva 86/457CEE attribuiva agli stati membri
il potere-dovere di individuare, a propria discrezione,
i “diritti acquisiti” i cui titolari avrebbero
potuto esercitare l’attività di medico in qualità di medico
generico in assenza dell’attestato di formazione
specifica in medicina generale.
Il legislatore delegato avrebbe quindi potuto
individuare i medici titolari di diritti acquisiti
facendoli
coincidere esattamente
con le categorie
previste dalla normativa comunitaria oppure
ampliare discrezionalmente l’area
degli aventi diritto, con riferimento ad altre
categorie di medici.
Egli non avrebbe però potuto spingersi ad includere nell’area dei
titolari di diritti acquisiti soggetti che, nell’intenzione
della direttiva comunitaria, ne dovevano restare
esclusi.
Poiché il legislatore comunitario fa espresso riferimento, trattando dei
diritti acquisiti, ai soli medici, ne deriva che non avrebbero potuto essere
inclusi nell’area dei titolari di diritti acquisiti tutti coloro che tali
non erano ancora perché, pur essendo iscritti
al corso di laurea in medicina, non avevano ancora
terminato il corso di studi.
Il legislatore delegato legittimamente
non ha considerato nel novero dei titolari
di
diritti acquisiti gli
iscritti al corso
di laurea
in medicina
(indipendentemente
dall’avanzamento del corso di studi e dal
numero di esami sostenuti) in quanto tale soluzione
avrebbe rappresentato una violazione della normativa
comunitaria.
Dall’infondatezza della questione di legittimità costituzionale
prospettata dal ricorrente deriva la legittimità,
sotto questo profilo, degli atti impugnati.
4) Il decreto ministeriale impugnato
non risulta neppure viziato per eccesso
di
potere, sotto
il profilo della
asserita lesione
dei principi
di ragionevolezza
e di imparzialità dell’agire amministrativo, giacché esso
ha realizzato la puntuale applicazione della normativa
comunitaria e statuale di riferimento.
5) Infine, è anche infondata la censura di difetto di motivazione rivolta
al d.m. Sanità 15 dicembre 2004, trattandosi, come già rilevato,
di atto regolamentare e, come tale, non soggetto all’obbligo di motivazione
in forza del capoverso dell’articolo 3 della
legge n. 241/1990.
6) In conclusione, il ricorso è infondato
e deve pertanto essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano
comunque giusti motivi per
disporre la compensazione
delle spese
tra le parti
costituite.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Piemonte
– 1^ Sezione – definitivamente
pronunciando sul ricorso
in epigrafe, lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dall’Autorità amministrativa.