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Consiglio di Stato, sezione V
Sentenza 28
gennaio 2005 n.178
(presidente Frascione – estensore Millemaggi Cogliani)
Le nomine e le designazioni
di rappresentanti delle Amministrazioni locali presso altri Enti, rispettivamente,
di competenza del Sindaco e del Presidente della Provincia, devono considerarsi
di carattere fiduciario, nel senso che riflettono il giudizio di affidabilità espresso
attraverso la nomina, ovvero la fiducia sulla capacità del nominato
di rappresentare gli indirizzi di chi l’ha designato, orientando l’azione
dell’organismo nel quale si trova ad operare in senso quanto più possibile
conforme
agli interessi di chi gli ha conferito l’incarico. La cessazione del mandato
del Sindaco e del Presidente della Provincia e lo scioglimento del Consiglio
comunale finiscono dunque con il
travolgere tutte le nomine
effettuate durante il mandato elettivo (nel caso in esame, si è ritenuto
che già al
momento
della
presa
d’atto e, successivamente, al momento della costituzione del Consiglio
di amministrazione, i nominativi indicati dal sindaco decaduto avevano cessato
di esprimere la relazione di rappresentatività, che doveva essere alla
base della presa d’atto, da un lato, e della nomina, all’atto della
costituzione dell’organo).
(…)
Diritto
1. L’appello è infondato.
2. La Sezione deve condividere l’orientamento espresso dal giudice di
primo grado, secondo cui la norma contenuta nell’articolo 50, comma 8
del D.Lgs 267/00 – in forza del quale “sulla base degli indirizzi
stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono
alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune
e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni– non si limita
a fissare, nella materia, le attribuzioni del Sindaco e del Presidente della
Provincia (come preteso dall’attuale appellante), ma definisce anche
la regola, di portata generale (e prevalente sulle norme statutarie anteriori
dei diversi enti, aziende e istituzioni, che eventualmente stabilissero in
senso difforme), secondo cui le nomine e le designazioni di rappresentanti
delle Amministrazioni locali presso altri Enti, rispettivamente, di competenza
del Sindaco e del Presidente della Provincia, devono considerarsi di carattere
fiduciario, nel senso che riflettono il giudizio di affidabilità espresso
attraverso la nomina, ovvero la fiducia sulla capacità del nominato
di rappresentare gli indirizzi di chi l’ha designato, orientando l’azione dell’organismo
nel quale si trova ad operare in senso quanto più possibile conforme
agli interessi di chi gli ha conferito l’incarico.
Il fenomeno, molto chiaramente illustrato dal Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nel parere 290/01 (sia
pure in rapporto ad una differente
base normativa) è reso ancor più evidente da casi in cui (come
nella specie) la norma interna dell’Ente di destinazione richiede che,
dei rappresentanti dell’Ente locale, uno costituisca espressione della
minoranza consiliare, con ciò oscurando totalmente il requisito della
capacità tecnica del designato, ed esaltando, al contrario quello della
appartenenza politica ovvero della fiducia riposta in lui da una certa formazione
politica, che non può non essere riguardata che con carattere di attualità,
in rapporto alla composizione politica del Consiglio in carica.
Ciò risponde alle regole di diritto comune, le quali esigono non soltanto
che i poteri del rappresentante siano conferiti dal rappresentato, ma anche
che persista il rapporto fiduciario fra l’uno e l’altro.
Ne consegue che la cessazione del mandato del Sindaco e del Presidente della
Provincia e lo scioglimento del Consiglio comunale finiscono con il travolgere
tutte le nomine effettuate durante il mandato elettivo.
La norma in esame è, dunque, espressione, nell’ambito dell’ordinamento
degli enti locali, anche del principio della revocabilità dei rappresentanti
dell’Amministrazione comunale e provinciali, che trova conferma, nel sistema
delineato dal D.Lgs 267/00, nelle disposizioni di cui agli articoli 99 e 100
riguardanti la nomina e la revoca dei Segretari comunali e provinciali, strettamente
correlate al rapporto fiduciario che deve intercorrere fra gli stessi e, rispettivamente,
il Sindaco ed il Presidente della Provincia, quanto meno all’atto del
loro insediamento, innovando profondamente il sistema precedente, nel quale
il segretario (comunale o provinciale) era un funzionario statale destinato
a prestare servizio presso l’Ente locale sulla base sola base delle determinazioni
di un organo dello Stato, e ciò pur non essendo tuttora libera la scelta
dell’Ente (per essere ristretta fra i nominativi di coloro che sono iscritti
nell’albo nazionale dei segretari comunali o provinciali gestito da un’agenzia
autonoma avente personalità giuridica di diritto pubblico il cui consiglio
d’amministrazione è nominato con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri ed è sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’interno)
e permanendo, in capo alla figura professionale, funzioni di garanzia, in vista
del perseguimento di interessi generali (sul punto, significativa, Tar Sardegna,
311/03).
3. La natura fiduciaria della designazione
e l’immanenza del potere di
revoca al rapporto che lega il rappresentante all’Ente locale che lo ha nominato
costituiscono gli anelli del sistema che evidenziano l’illegittimità dell’operato
della Regione che ha provveduto alla presa d’atto della designazione
(deliberazione della Giunta regionale 772/02) allorché non soltanto
il Sindaco designante era decaduto dalla carica, ed il Consiglio comunale era
stato sciolto, con conseguente commissariamento, ma erano già state
svolte le elezioni amministrative per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio
comunale (in data 26/27 maggio 2002) ed ha persistito nel proprio comportamento
illegittimo, provvedendo alla nomina del Consiglio di amministrazione della
fondazione “Zaccagnino” (decreto assessoriale dell’1 luglio
2002) sulla base della designazione in parola, quando già l’elettorato
aveva espresso il nuovo Sindaco ed il nuovo Consiglio comunale.
In tale contesto, è di nessun rilievo che la nota 24 giugno 2002 (con
la quale il Sindaco comunicava di voler provvedere alla designazione dei componenti
del Consiglio di amministrazione della fondazione sulla base degli indirizzi
da darsi dal nuovo consiglio comunale) sia pervenuta alla Regione successivamente
alla adozione della decreto di nomina del Consiglio di amministrazione (del
1 luglio) o che la stessa proclamazione degli eletti sia successiva al suddetto
decreto (3 luglio 2002), così come il loro insediamento (22 luglio 2002).
Ciò che infatti concreta l’illegittimità degli atti oggetto
di impugnazione è la circostanza che, già al momento della presa
d’atto e, successivamente, al momento della costituzione del Consiglio
di amministrazione, i nominativi indicati dal sindaco decaduto avevano cessato
di esprimere la relazione di rappresentatività, che doveva essere alla
base della presa d’atto, da un lato e della nomina, all’atto della
costituzione dell’organo.
E’ del tutto estraneo alla fattispecie il ragionamento che la designazione
originaria avrebbe costituito titolo valido per la costituzione del Consiglio
di amministrazione secondo le regole proprie sia dell’articolo 50 del
D.Lgs 267/00, sia delle norme statutarie applicabili alla fattispecie (salvo,
poi, il potere di revoca del nuovo governo locale).
A parte le considerazioni esposte nel motivo assorbito,
in ordine alla mancata individuazione del designato dalla minoranza consiliare
(che non devono costituire
oggetto di esame, in questa sede, attesa la mancanza di fondamento dell’appello
principale), è il dato storico che risolve a monte il problema, essendo
fuori discussione che presa d’atto e provvedimento finale sono intervenuti
allorché mancava in radice la relazione di rappresentanza che doveva
essere alla base della nomina.
4. La sentenza appellata deve dunque essere confermata sia nel dispositivo
sia anche, nella motivazione, sussistendo la violazione di legge ed i vizi
di eccesso di potere sulla cui base i provvedimenti impugnati sono stati ritenuti
illegittimi ed annullati dal giudice di primo grado.
L’appello, pertanto, deve essere respinto. Tuttavia,
in considerazione della mancanza di casistica giudiziaria sulla specifica
questione e, dunque, della sua novità, le spese del giudizio possono
essere interamente compensate fra le parti.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.