Con sentenza n. 3655 dell’11 maggio 2005, la prima Sezione del TAR Lazio, sede di Roma, ha reso note le motivazioni per le quali lo scorso 17 febbraio aveva “accolto in parte” il ricorso presentato da Telecom Italia (TI) per chiedere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento con cui l’Antitrust aveva condannato la stessa Telecom a pagare 152 milioni di euro a titolo di multa per abuso di posizione dominante nel mercato delle telecomunicazioni.
Il giudizio aveva visto la partecipazione, oltre che dei soggetti istituzionali, anche delle associazioni dei Providers e delle associazioni dei consumatori (Cittadini Europei) contro gli abusi e le storture creati dalla presenza dell’ex monopolista nel mercato italiano delle telecomunicazioni.
La prima Sezione del TAR Lazio – Roma, in sintesi, pur affermando che l’Antitrust era competente ad emanare l’impugnato provvedimento (mentre TI sosteneva che essa spettasse all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), pur affermando che l’Autorità aveva correttamente considerato unitario il mercato rilevante in questione, non essendo accettabile la configurazione di distinti mercati, proposta da TI, pur decidendo che, nella concreta fattispecie accertata, la tipologia contrattuale cui si fa ricorso per la fornitura del servizio non costituisce elemento rilevante per la delimitazione di due mercati diversi, contrariamente a quanto affermato nel ricorso di TI, pur ritenendo che è inammissibile ritenere l’Autorità “vincolata” all’individuazione dei mercati già effettuata nella regolazione ed evidenzia che il principio, cui si ispira l’intero quadro regolatorio sulle comunicazioni elettroniche, è quello delle competenze parallele delle autorità garanti della concorrenza e delle autorità nazionali di regolazione (ANR), e ciò in ragione degli obiettivi specifici dei rispettivi interventi (art. 3.4. della Direttiva Quadro e punto 31 delle Linee Direttrici), pur ritenendo non fondata la doglianza relativa alla configurazione della gara Consip come mercato rilevante distinto da quello del resto della clientela business, pur ritenendo che la valutazione effettuata dall’Autorità sia sorretta da criteri di ragionevolezza, logicità e supportata da adeguata istruttoria circa l’individuazione della posizione dominante di TI, tuttavia ha deciso che la condanna era immotivata riguardo “alla gravità estrema dei comportamenti illeciti attribuiti alla responsabilità di Telecom Italia” e che non è rinvenibile “l’intento chiaramente volto all’illecito, che costituisce l’indispensabile presupposto soggettivo della sanzione”.
Per il Tar, non solo non v’era traccia delle offerte di TI alla GCA (Grande Clientela Affari) non replicabili dalla concorrenza (i c. dd. OLO), ma la posizione dominante di Telecom non consentiva l’imposizione di clausole contrattuali ai grandi clienti.
Il TAR, infine, ha ritenuto “illegittima la comminazione di due distinte sanzioni per una condotta che andava valutata unitariamente. Distinguere il comportamento contestato in due gruppi di condotte solo in sede di irrogazione della sanzione appare illogico e incoerente con lo schema seguito nel provvedimento che, pertanto, risulta illegittimo”.
La questione ora passa in Consiglio di Stato, in sede d’appello, per la decisione definitiva.
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Tar Lazio, sezione I
(presidente Amodio, estensore Panzironi)
Sentenza 11 maggio 2005 n. 3655
sul ricorso n. sul ricorso n. n. 12979/2004 proposto da:
SOC TELECOM ITALIA SPA
rappresentata e difesa da:
GUARINO AVV. ANDREA
LIBONATI AVV. BERARDINO
TESAURO AVV. CLAUDIO
TOFFOLETTO AVV. ALBERTO
D’AMELIO AVV. PIERO
con domicilio eletto in ROMA
VIA DELLA VITE N.7
presso
D’AMELIO AVV. PIERO
contro
AUTORITA’ GARANTE CONCORRENZA E MERCATO
AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI
rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 domicilia ex lege;
e nei confronti di
SOC ALBACOM SPA
rappresentata e difesa da:
CAIAZZO AVV. RINO
PESCE AVV. GIOVANNI
con domicilio eletto in ROMA
VIA XX SETTEMBRE, 1
presso
PESCE AVV. GIOVANNI
e nei confronti di
ASSOCIAZIONE PROVIDERS INDIPENDENTI ASSOPROVIDER
rappresentata e difesa da:
SARZANA DI SANT’IPPOLITO AVV. FULVIO
BARBON AVV. GIANCARLO
con domicilio eletto in ROMA
VIA CESARE BECCARIA, 16
presso
SARZANA DI SANT’IPPOLITO AVV. FULVIO
e nei confronti di
SOC COLT TELECOM SPA
rappresentata e difesa da:
CAIAZZO AVV. RINO
PESCE AVV. GIOVANNI
con domicilio eletto in ROMA
VIA XX SETTEMBRE, 1
presso
CAIAZZO AVV. RINO
e nei confronti di
SOC CONSIP SPA
rappresentata e difesa da:
OLIVIERI AVV. GUSTAVO
STELLA RICHTER AVV. PAOLO
con domicilio eletto in ROMA
V.LE G. MAZZINI, 11
presso
STELLA RICHTER AVV. PAOLO
e nei confronti di
SOC FASTWEB SPA
rappresentata e difesa da:
RISTUCCIA AVV. RENZO
LIBERTINI AVV. MARIO
con domicilio eletto in ROMA
VIA E. Q. VISCONTI, 20
presso
RISTUCCIA AVV. RENZO
e nei confronti di
SOC TISCALI SPA
rappresentata e difesa da:
CAIAZZO AVV. RINO
PESCE AVV. GIOVANNI
con domicilio eletto in ROMA
VIA XX SETTEMBRE, 1
presso
PESCE AVV. GIOVANNI
e nei confronti di
SOC WIND TELECOMUNICAZIONI SPA
rappresentata e difesa da:
SANTAMARIA AVV. ALBERTO
ROBERTI AVV GIAN MICHELE
DE VITA AVV. MANFREDI
BISCARETTI AVV. CLAUDIO
con domicilio eletto in ROMA
FORO TRAIANO 1/A
presso
ROBERTI AVV. GIAN MICHELE
e con l’intervento ad opponendum di
ASSOCIAZIONE NAZ. CITTADINI EUROPEI
rappresentata e difesa da:
GIURDANELLA AVV. CARMELO
SCORZA AVV. GUIDO
con domicilio eletto in ROMA
VIA DI MONTE GIORDANO N. 36
presso
SCORZA AVV. GUIDO
e con l’intervento ad opponendum di
ASSOCIAZIONE ITALIANA INTERNET PROVIDERS
rappresentata e difesa da:
VALLI AVV. ANDREA
FIENGA AVV. SERGIO
con domicilio eletto in ROMA
VIA DEL QUIRINALE,26
presso
STUDIO LEGALE CLMV
per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,
del provvedimento 16 novembre 2004, notificato il successivo giorno 19, emesso a conclusione del procedimento A351 con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato:
a) che le condotte poste in essere da Telecom Italia S.p.A. nei mercati rilevanti dei servizi finali all’utenza aziendale, consistenti nell’applicare condizioni contrattuali contenenti clausole di esclusiva, penalizzazioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa e clausole equivalenti quanto agli effetti a clausole inglesi, costituiscono violazioni molto gravi dell’articolo 3, lettera b), della legge n. 287/90;
b) che le condotte poste in essere da Telecom Italia s.p.a. nella formulazione alla clientela aziendale di condizioni economiche e tecniche non replicabili dai concorrenti, configurabili come pratiche discriminatorie sui mercati rilevanti dei servizi intermedi, consistenti nell’applicare ai propri concorrenti condizioni economiche e tecniche peggiorative rispetto a quelle praticate alle proprie divisioni commerciali, costituiscono violazioni molto gravi dell’art. 3, lettere b) e c), della legge n. 287/90;
e ha disposto:
c) che Telecom Italia s.p.a. ponga immediatamente termine ai comportamenti distorsivi della concorrenza di cui alle precedenti lettere a) e b), dando comunicazione all’Autorità delle misure adottate per la cessazione delle infrazioni entro 90 giorni dalla notificazione del presente provvedimento;
d) che, in ragione della gravità dei comportamenti tenuti, per le infrazioni di cui alla letera a), a Telecom Italia s.p.a. è applicata una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di 76 milioni di euro;
e) che, in ragione della gravità dei comportamenti tenuti, per le infrazioni di cui alla lettera b), a Telecom Italia s.p.a. è applicata una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di 76 milioni di euro;
nonchè per l’annullamento di tutti gli atti collegati e connessi, presupposti e conseguenti ed in particolare, per quanto di ragioni del parere espresso dall’AGCom sulla proposta di provvedimento finale dell’AGCM nonchè, sempre per quanto di ragione, la delib. 152/02/CONS dell’AGCom.
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di:
ASSOCIAZIONE ITALIANA INTERNET PROVIDERS
ASSOCIAZIONE NAZ. CITTADINI EUROPEI
ASSOCIAZIONE PROVIDERS INDIPENDENTI ASSOPROVIDER
SOC ALBACOM SPA
SOC COLT TELECOM SPA
SOC CONSIP SPA
SOC FASTWEB SPA
SOC TISCALI SPA
SOC WIND TELECOMUNICAZIONI SPA
Viste le memorie presentate dalle parti a sostegno delle loro rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 16.2.2005 il relatore Cons. GERMANA PANZIRONI edi altresì per le parti gli avv.ti A. Guarino, B. Libonati, C. Tesauro, A. Toffoletto, P. D’Amelio, D. Del Gaizo, R. Caiazzo, G. Pesce, F. Sarzana di Sant’Ippolito, G. Barbon, G. Olivieri, P. Stella Richter, R. Ristuccia, M. Libertini, A. Santamaria, G.M. Roberti, M. De Vita, C. Giurdanella, A. Valli, S. Fienga;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso ritualmente notificato la società Telecom Italia s.p.a., di seguito TI, chiede l’annullamento del provvedimento in epigrafe, con il quale l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, di seguito Autorità, ha accertato:
a) che le condotte poste in essere da Telecom Italia S.p.A. nei mercati rilevanti dei servizi finali all’utenza aziendale, consistenti nell’applicare condizioni contrattuali contenenti clausole di esclusiva, penalizzazioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa e clausole equivalenti quanto agli effetti a clausole inglesi, costituiscono violazioni molto gravi dell’articolo 3, lettera b), della legge n. 287/90;
b) che le condotte poste in essere da Telecom Italia S.p.A. nella formulazione alla clientela aziendale di condizioni economiche e tecniche non replicabili dai concorrenti, configurabili come pratiche discriminatorie sui mercati rilevanti dei servizi intermedi, consistenti nell’applicare ai propri concorrenti condizioni economiche e tecniche peggiorative rispetto a quelle praticate alle proprie divisioni commerciali, costituiscono violazioni molto gravi dell’articolo 3, lettere b) e c), della legge n. 287/90;
c) che Telecom Italia S.p.A. ponga immediatamente termine ai comportamenti distorsivi della concorrenza di cui alle precedenti lettere a) e b), dando comunicazione all’Autorità delle misure adottate per la cessazione delle infrazioni entro 90 giorni dalla notificazione del presente provvedimento;
d) che, in ragione della gravità dei comportamenti tenuti, per le infrazioni di cui alla lettera a), a Telecom Italia S.p.A. è applicata una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di 76 milioni di euro;
e) che, in ragione della gravità dei comportamenti tenuti, per le infrazioni di cui alla lettera b), a Telecom Italia S .p.A. è applicata una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di 76 milioni di euro.
La vicenda per cui è causa può essere riassunta nei termini che seguono.
Con segnalazioni pervenute all’Autorità nel marzo 2001, alcuni operatori concorrenti di Telecom Italia lamentavano l’attuazione da parte di tale società di strategie escludenti poste in essere attraverso offerte commerciali rivolte ai loro clienti business, di natura anticompetitiva, in quanto tendenti a sottrarre tale clientela mediante l’applicazione di condizioni economiche personalizzate per i servizi offerti, penalizzanti per la concorrenza.
Con riferimento ad una particolare categoria di clientela business, vale a dire quella rappresentata dalle amministrazioni pubbliche, alcuni operatori, e in particolare ALBACOM S.p.A. (ALBACOM d’ora in avanti), nel corso del 2003 avevano poi sostenuto che l’offerta con la quale TI, partecipando alla gara indetta da CONSIP nel corso del 2002 per la fornitura dei servizi di telecomunicazioni e di connettività IP alla Pubblica Amministrazione, si sarebbe aggiudicata la fornitura stessa, sarebbe stata ampiamente sottocosto, alla luce delle condizioni economiche di interconnessione contenute nell’Offerta di Interconnessione di Riferimento 2002 di Telecom Italia.
ALBACOM, unico altro soggetto che aveva partecipato alla gara, sarebbe, quindi, stato escluso dalla fornitura in quanto impossibilitato strutturalmente a competere con un’offerta che non avrebbe coperto neppure i suoi costi di interconnessione.
L’Autorità, in data 5 giugno 2003, avviava un procedimento istruttorio ai sensi degli artt. 3 e 14 della legge n. 287/90 .
Secondo la prospettazione dell’Autorità, TI aveva proposto ai clienti business dei propri concorrenti contratti di fornitura di servizi caratterizzati da sconti personalizzati, contrari ad una logica di redditività e, piuttosto, ispirati al solo intento di sottrarre clientela ai concorrenti. La natura anticompetitiva delle offerte veniva esplicitamente sostenuta con riferimento al fatto che i corrispettivi richiesti per i servizi offerti erano inferiori ai costi di interconnessione gravanti sugli operatori alternativi, (di seguito OLO), così come definiti dall’Offerta di Interconnessione di Riferimento, (c.d. OIR), formulata da TI per lo stesso anno.
Anche l’offerta presentata da TI nella gara pubblica indetta da Consip nel 2002 per la fornitura di servizi di telecomunicazioni per la Pubblica Amministrazione era connotata da condizioni economiche non replicabili dai concorrenti, tenuto conto dei costi di interconnessione che (determinati dalla stessa TI nella propria Offerta di Interconnessione di Riferimento per il 2002) tutti gli operatori alternativi devono necessariamente sostenere per la presentazione di offerte analoghe. Nell’avviare l’istruttoria, l’Autorità aveva quindi prospettato unitariamente che “la condotta potenzialmente abusiva di TI si concretizzerebbe quindi nella definizione di prezzi dei servizi di telecomunicazione su rete fissa, praticati in particolare all’utenza affari pubblica e privata. Tale condotta sarebbe stata posta in essere con intento escludente, in quanto i suddetti prezzi risultavano non replicabili da parte dei concorrenti, in considerazione dei costi di interconnessione su di esse gravanti e determinati dalla stessa TI”.
Il provvedimento di avvio prospettava la detenzione da parte di TI di una posizione di assoluta dominanza sia nei mercati all’ingrosso della fornitura di servizi di interconnessione e di circuiti diretti sulla rete pubblica commutata locale e di lunga distanza, sia nel mercato a valle dell’offerta all’utenza affari di servizi di telecomunicazioni su rete fissa.
Le condotte venivano configurate come abusi ai sensi dell’art. 3 della legge n. 287/90, riconducibili ad una strategia anticoncorrenziale di natura escludente, realizzata tramite la presentazione di offerte caratterizzate da condizioni economiche non replicabili dai concorrenti.
Con ricorso notificato il 26-9-2003, la società ricorrente impugnava il provvedimento di avvio dell’istruttoria, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere, e, in alternativa, la dichiarazione di nullità in quanto emesso in carenza di potere.
Questa Sezione, con sentenza n. 6895/2004, dichiarava inammissibile il ricorso proposto nei confronti dell’atto di avvio del procedimento.
Al termine di un’istruttoria, prorogata due volte e durata circa un anno e mezzo, l’Autorità concludeva il procedimento, previa acquisizione del prescritto parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, (di seguito AGCom), adottando il provvedimento impugnato.
Con il presente gravame TI impugna l’atto n. 13752 del 16-11-2004 ritenendo che il provvedimento sia affetto da gravi e numerosi vizi che lo rendono illegittimo per violazione di legge, della normativa europea di settore e per eccesso di potere sotto vari profili.
Per chiarezza espositiva, prima di elencare i vari motivi di gravame, la società istante svolge ampie considerazioni volte a delineare l’oggetto del contendere, determinato dall’ingresso nel mercato delle TLC di un certo numero di clienti tendenti a richiedere servizi e prodotti adattabili alle caratteristiche peculiari alle loro imprese, e, quindi, strettamente personalizzati.
Siffatto fenomeno, che configura la grande clientela affari (di seguito GCA) degli operatori di telecomunicazioni, è stato originato da vari fattori, tra cui la disponibilità di nuovi servizi resi possibili dalla rapida innovazione tecnologica propria del mercato di cui si discute, che consente l’utilizzo di infrastrutture e prodotti sempre avanzati e a costi decrescenti.
I principali gruppi economici, bancari, finanziari e industriali hanno introdotto una prassi contrattuale, volta alla creazione di un “pacchetto” integrato di servizi e personalizzato in relazione alle specifiche esigenze dell’impresa, quali la dimensione organizzativa e il volume del fatturato, ovvero la capillare distribuzione sul territorio dell’azienda.
Il tratto distintivo di tale negoziazione è dato dalla personalizzazione delle trattative per cui spesso la stipula è preceduta da una valutazione congiunta dell’oggetto del contratto, da parte del cliente e del fornitore, al fine di realizzare economie, tramite l’adattamento delle varie componenti della prestazione alle reali esigenze e agli impieghi effettivi dell’impresa.
Sostanzialmente la causa efficiente di tali contratti è la specificità della domanda, generalmente determinata dalla particolare struttura dimensionale dell’azienda.
TI fa discendere dalle sueposte considerazioni una prima conseguenza che incide sulla posizione contrattuale dell’operatore telefonico, il quale non ha un potere contrattuale assoluto, data la rilevante forza economica del cliente.
La GCA rappresenta una fascia di clientela che tutti gli operatori telefonici sono interessati ad assicurarsi e nei confronti della quale neanche TI si trova in posizione di dominanza, laddove le scelte contrattuali sono in definitiva del cliente.
Quanto appena illustrato appare funzionale a chiarire le difficoltà in cui è incorsa la società ricorrente nel trattare con questa tipologia di clienti, per effetto della delibera impugnata, che, secondo la prospettazione di parte, ha posto rigidi vincoli, che, se fossero applicati con efficacia permanente, sarebbero tali da impedire a TI la permanenza nel mercato dei contratti a prestazione personalizzata, sia che la domanda provenga dai privati, sia che parta dalla pubblica amministrazione.
L’Autorità ha infatti imposto a TI di astenersi dall’offrire un prezzo complessivo e di attenersi, nella determinazione del prezzo medesimo, ai costi regolatori fissati dall’offerta di interconnessione di riferimento ed alle condizioni economiche e tecniche stabilite in tale documento, approvato dall’autorità di settore.
La società istante, quindi, propone i seguenti motivi di gravame:
1) Violazione degli articoli 14 della legge n. 287/90, 6 n. 3 e 7, e del d.P.R. n. 217/98, e 7, della legge n. 241/90.
2) Violazione dell’art. 82 del Trattato CE e dell’art. 1, n. 4 e 3, della legge n. 287/90, anche alla luce del nuovo quadro regolatorio comunitario. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione, comportamento illogico e contraddittorio.
3)Violazione ed erronea interpretazione della delibera n. 152/02/ Cons. dell’AGCom. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione.
4) In via subordinata, insussistenza giuridica della delibera n. 152/02/Cons. Illegittimità costituzionale del d.PR. n. 317/98 e della legge n. 287/90 in relazione agli artt. 3 e 41 Cost.
5)Violazione del Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n. 259/2003). Eccesso di potere.
6) Violazione art. 31 del d.PR. n. 318/97, art. 25 della legge n. 128/98, e art. 20 della legge n. 287/90.
7) Violazione di legge (artt. 15 e 33 della legge n. 287/90 e 23 Reg. e 11 della legge n. 689/91). Incompetenza. Eccesso di potere.
I motivi di ricorso proposti da TI possono essere sintetizzati secondo il seguente prospetto:
A) Questioni generali.
1.1 TI ha dedotto vizi di natura procedurale per la mancata partecipazione al procedimento dei GCA, nonostante l’incidenza del provvedimento sull’assetto di interessi determinato dai contratti posti in essere.
1.2 Ulteriori censure riguardano la ripartizione delle competenze in materia di telecomunicazioni tra Autorità e Autorità di settore (AGCom), onde chiarire se e in quale misura, accanto alla competenza propria dell’AGCom di imporre l’osservanza delle regole da essa imposte, concorra la competenza di carattere generale dell’Autorità di imporre i principi della concorrenza di cui all’art. 82 del Trattato e alla legge n. 287/90.
1.3 Deduce, inoltre, il difetto di istruttoria, sostenendo l’erroneità della definizione offerta dall’Autorità dei mercati rilevanti, a monte e a valle, nonché l’errata individuazione della posizione dominante.
Quanto alla prima doglianza, secondo TI, l’Autorità avrebbe assunto una errata definizione dei mercati rilevanti a valle, in quanto non avrebbe distinto tra clientela business pubblica (ossia gara CONSIP) e clientela business privata nel cui ambito avrebbe poi dovuto ulteriormente distinguere tra gli utenti che operano su scala nazionale (c.d. Top Business ed Executive) e il resto della clientela affari.
TI ha evidenziato che, se il presunto abuso è riconducibile ad un’ipotesi di price squeeze, una corretta definizione del mercato rilevante a valle, consente di individuare quali elementi a monte sono necessari per i concorrenti per operare sul mercato dei servizi finali.
Secondo TI è necessario distinguere tra le offerte rivolte alla GCA e l’offerta CONSIP 2002, poiché i privati esprimono una domanda unica in termini di volumi e di qualità richiesta, chiedendo altresì certezza di spesa.
Questo è fra l’altro l’orientamento comunitario di riferimento nelle principali operazioni di concentrazione che hanno interessato il mercato delle TLC, in cui la Commissione ha riconosciuto l’esistenza di una GCA, la quale acquista servizi integrati di fonia, dati ed accesso internet e, grazie agli elevati volumi e attraverso l’integrazione delle diverse componenti, è in grado di ridurre i costi.
La segmentazione dei mercati prescelta dall’Autorità appare immotivata e non in linea con le nuove linee direttrici della Comunità Europea che tendono ad una “soft regulation” del settore, in armonia con la progressiva realizzazione del processo di liberalizzazione del mercato delle TLC.
Per quanto riguarda la gara Consip, la società ricorrente sostiene che la PA esprime una domanda profondamente diversa da quella dei clienti privati: è obbligata alla gara, ha volumi di spesa unici, conclude un contratto quadro al quale devono aderire le amministrazioni centrali e detta, attraverso il bando, regole inderogabili.
La stessa giurisprudenza amministrativa, in decisioni recenti, ha considerato Consip come un mercato rilevante distinto, in considerazione proprio della peculiarità della domanda. In definitiva TI non detiene una posizione dominante in nessun dei due mercati a valle correttamente individuati, in quanto: a) nel mercato della gara CONSIP è l’esistenza stessa di un meccanismo di gara ad escludere, in principio, che possa esservi un soggetto in posizione dominante; b) nel mercato della CGA la posizione di TI sarebbe controbilanciata dal contropotere esercitato dagli acquirenti in quanto soggetti dotati di notevole forza di contrattuale, considerate le loro dimensioni, importanza commerciale e capacità di migrare verso fornitori alternativi .
La ricorrente, ulteriormente, deduce la grave illegittimità delle asserzioni contenute nell’atto, in relazione all’obbligo per TI di presentare sempre offerte disaggregate per singole voci e comunque conformi al costo di interconnessione di riferimento.
Le conseguenze a cui porta l’impostazione dell’ Autorità sono, in primo luogo, che all’operatore in posizione dominante sarebbe vietata la partecipazione alle gare pubbliche, in quanto non gli potrebbe essere garantita la par condicio con gli altri concorrenti e gli sarebbe negata la possibilità di rispettare il principio indeclinabile della segretezza dell’offerta; in secondo luogo, che si verrebbe a sanzionare la posizione dominante in sé e non l’abuso di essa.
Per quanto attiene all’analisi dei mercati “a monte”, TI ha sostenuto che bisognasse stabilire quali elementi della rete di TI fossero non duplicabili da un OLO efficiente per formulare offerte concorrenti. In particolare, con riferimento ai tre livelli in cui può suddividersi la rete di TI, locale, intermedio, e di cd. backbone, la società ha sostenuto l’esistenza di diverse soluzioni disponibili ai concorrenti alternative all’ utilizzo di detta rete, anche per la rete locale (vale a dire il collegamento cliente/SGU) difficilmente replicabile anche da parte di un OLO efficiente; in tale segmento, per ottenere accesso a livello locale, un OLO efficiente potrebbe sia ricorrere all’ULL (che TI ha reso disponibile in tutte le centrali richieste dagli OLO) sia all’utilizzo di soluzioni basate su accesso in fibra proprie o acquistate sul mercato da altri operatori.
In conclusione, TI ha sostenuto l’erroneità del prendere in considerazione il mercato dell’interconnessione e dell’accesso in tutte le sue componenti di rete, poiché non si tiene conto dell’evoluzione del mercato di riferimento in assenza della dimostrazione della necessità da parte di OLO efficienti di utilizzare tali servizi nella predisposizione di offerte rivolte alla clientela affari.
Per quanto attiene all’individuazione della posizione di dominanza, la Società ritiene che l’erronea definizione del mercato rilevante porti all’ulteriore errore nella configurazione della forza di TI nel mercato medesimo o nei mercati di riferimento.
TI, quindi, sostiene che l’analisi condotta dall’AGCM non è stata né completa né precisa poiché ha considerato promiscuamente ipotesi diverse ed ha considerato, ai fini della dominanza, la sola ampiezza della quota di mercato senza considerare gli altri fattori elencati dalle citate linee direttrici, tra cui la mancanza o insufficienza di contropotere da parte degli acquirenti.
B) Questioni specifiche.
2.1 La società ricorrente ha contestato le valutazioni in merito al quadro regolamentare applicabile a TI, compresa l’identificazione del benchmark di riferimento per le analisi di redditività e replicabilità.
Sostiene TI che l’Autorità ha errato nell’identificazione del quadro della regolamentazione ex ante, in quanto non ha considerato che il quadro normativo in vigore negli anni 2001-2003, assunti a riferimento nel provvedimento, era dato dalla legge n. 249/97 e dal d.PR. n. 318/98.
I testi normativi richiamati, successivamente abrogati dal nuovo codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003), entrato in vigore il 16 settembre 2003, introducevano l’obbligo della separazione contabile a carico dell’impresa con notevole forza di mercato e, per l’uso della rete fissa e per i servizi “accessibili al pubblico”, il rispetto dei principi di “trasparenza, obiettività e di orientamento ai costi”.
L’art. 4 prevedeva una disciplina dettagliata dell’interconnessione, definita come accordo tra organismi di telecomunicazioni, al fine di promuovere l’eliminazione delle restrizioni relative ai diritti esistenti e per favorire un’interconnessione “aperta ed efficace”.
Le condizioni di interconnessione, sia tecniche che economiche devono essere rese pubbliche, con esclusione delle strategie commerciali delle parti, e rispettare i principi di orientamento ai costi.
I costi sono dimostrati in modo analitico e disaggregato, secondo quanto disposto dall’art. 8, relativamente ai costi diretti sostenuti dall’organismo di telecomunicazioni per l’installazione, il funzionamento, la manutenzione e la commercializzazione delle reti pubbliche e dei servizi di telecomunicazioni accessibili al pubblico (art. 8, comma 1, lett. a) e ai costi comuni, vale a dire quelli che non possono essere direttamente attribuiti (lett.b).
All’organismo notificato è imposto l’obbligo di pubblicazione di un’offerta di interconnessione di riferimento dove possono essere stabilite diverse condizioni economiche, obiettivamente giustificate per differenti categorie di organismi, approvata dall’Autorità di settore, che può imporre modifiche (articolo citato, n. 9).
Siffatta metodologia è stata applicata per l’OIR 2001 e 2002, rispettivamente approvate con delibere 4/02/CIR e 02/03/CIR.
Per quanto attiene all’OIR 2003, l’AGCom si riservava di rivedere le disposizioni alla luce del nuovo quadro regolatorio comunitario e della normativa di recepimento.
Con la delibera n. 152/02/Cons. l’AGCom ha introdotto, in via generale, un diverso metodo di calcolo dell’OIR, con criteri valevoli per ogni offerta, volti ad assicurare la parità di trattamento “interno-esterno” sugli aspetti relativi alla fornitura, alle azioni sistematiche per la garanzia di rispondenza alle specifiche e di qualità complessiva per le attività elementari necessarie alla fornitura del servizio commerciale all’utente finale e di fornitura dei servizi intermedi agli OLO.
Tale delibera riguarda le offerte presentate dal giugno 2002 in poi.
2.2 Dopo questa premessa TI ha contestato la correttezza dell’ analisi di replicabilità per la gara CONSIP e di sostenibilità per i listini di prezzi applicati alla clientela business, oltre alla valutazione dell’Autorità di grave restrittività di molte clausole utilizzate da TI nella contrattualistica rivolta alla suddetta clientela.
TI non ritiene in via generale che i costi regolatori dei servizi finali possano fornire una base corretta per la verifica della replicabilità delle offerte dell’operatore che si assume dominante, in quanto proprio per i ritardi nell’innovazione della base contabile utilizzata, i suddetti costi sovrastimano sistematicamente i costi effettivi, che sono di natura incrementale.
Infatti la società ricorrente ha sostenuto che i costi reali, sia degli imput forniti da TI ai concorrenti sia degli input prodotti dagli stessi, sono inferiori ai costi regolatori, perché il costo regolatorio è quello dell’ultimo Accounting regolatorio disponibile, che costituisce una base di costo superiore a quella del prezzo di interconnessione che i concorrenti pagano a TI, fissato annualmente attraverso un meccanismo di network cap (delibera 03/03/CIR adottata dall’AGCom) con cui si stabilisce una riduzione programmata dei prezzi massimi.
Il provvedimento è dunque viziato per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto con riferimento alla identificazione della normativa e delle offerte di interconnessione presentate negli anni di riferimento.
Ulteriore profilo di illegittimità è dato dalla mancata considerazione del fatto che i prezzi di interconnessione sono pubblicati e questo determina, ove fosse applicato il divieto di stabilire un prezzo complessivo da parte di TI, l’impossibilità per la stessa di partecipare alle gare e di essere competitiva con gli OLO, con danno finale per la clientela e per il mercato.
L’istante chiarisce che un tale divieto non può derivare, come pretenderebbe l’Autorità, dalla lettura della citata delibera n. 152/02/cons. che non riguarda i prezzi finali vincolati, attenendo, viceversa, ai costi regolatori, in quanto ne stabilisce le basi di calcolo.
2.3 Per quanto attiene in modo specifico la gara CONSIP la società istante dopo aver evidenziato che la PA esprime una domanda profondamente diversa da quella dei clienti privati, configurando un mercato distinto da quello della fornitura del servizio all’utenza business privata, precisa di aver avuto l’aggiudicazione del lotto relativo alla telefonia fissa, con provvedimento del 12 dicembre 2002, sulla base dell’accettazione incondizionata delle condizioni di contratto fissate unilateralmente dalla CONSIP.
TI sottolinea che CONSIP ha stabilito in piena autonomia le condizioni della fornitura, comprensive del progetto tecnico, oggetto del Capitolato speciale e che, per soddisfare tale richiesta, la Società aveva dovuto costituire un gruppo di lavoro apposito per presentare l’offerta.
Ulteriore profilo di illegittimità nel provvedimento è dato dalla non corretta analisi di replicabilità effettuata dall’Autorità, che avrebbe commesso un macroscopico errore di calcolo.
2.4. In merito all’accertamento di presunti abusi di natura contrattuale, realizzati tramite l’inserimento di clausole di esclusiva, clausole assimilabili alle cd. clausole inglesi e sconti cd. fedeltà, TI ha sostenuto che l’interpretazione data ad alcune delle clausole in essi contenute è fuorviante e giuridicamente non corretta.
Con specifico riferimento alle clausole di esclusiva, la maggior parte dei contratti che TI stipula ha durata annuale, e la giurisprudenza antitrust è costante nel ritenere che una clausola di esclusiva inserita in un contratto di breve durata trova spesso una giustificazione economica e non è suscettibile di creare una restrizione sensibile al gioco della concorrenza. Anche l’impegno delle parti di ridiscutere un nuovo contratto qualche mese prima della scadenza di quello in corso sottolinea in realtà la scadenza annuale, lungi dal costituire un vincolante impegno contrattuale al rinnovo, rappresenta probabilmente quanto di meglio l’azienda è riuscita ad ottenere da un cliente che proprio nella brevità del rapporto contrattuale esprime la propria forza negoziale.
Con riferimento alle cd. clausole inglesi, le clausole di adeguamento alle migliori condizioni di mercato utilizzate nei contratti di TI, come dimostrato dall’analisi puntuale di ogni singolo contratto, non presentano i requisiti atti a qualificarle come clausole abusive, vale a dire di garanzia per il soggetto in posizione dominante di conoscere le offerte dei concorrenti al fine di decidere se adeguare la propria offerta ovvero risolvere l’intero rapporto. E’ infatti TI che si impegna, in alcuni casi, a praticare al cliente finale le migliori condizioni che in quel momento sta applicando sul mercato. In altri casi invece è il consulente esterno del cliente a verificare che sul mercato non vi siano offerte migliori.
Con riferimento agli sconti fedeltà, TI evidenzia che lo sconto è considerato fidelizzante, e quindi restrittivo, quando il soggetto dominante, della cui fornitura il cliente non può fare a meno, subordina l’applicazione dello sconto all’impegno della controparte di acquisire presso di lui l’intero fabbisogno od una parte significativa ed applica la riduzione sull’intera fornitura cosi da innalzare una barriera economica all’accesso da parte dei concorrenti. Nel caso di specie l’offerta di TI è sempre replicabile da parte dei concorrenti, ciascun OLO è in grado di offrire gli stessi identici servizi ed il cliente può rivolgersi a qualunque altro operatore. Ed inoltre nei casi in esame non vi è alcun impegno da parte del cliente a soddisfare l’intero suo fabbisogno da TI. La struttura dei contratti in esame prevede un’indicazione della spesa, in termini di volume e di tipologia di traffico, che il cliente intende effettuare con TI. Su tale stima, che il cliente conosce e che di conseguenza possono conoscere anche gli OLO, TI formula la propria offerta, tenendo conto delle ottimizzazioni che in tale fornitura possono essere realizzate e trasferendo così al consumatore finale il beneficio della relativa riduzione dei costi. Vi è poi in alcuni casi la previsione di un margine di tolleranza che garantisce al cliente la certezza della spesa che dovrà sostenere.
La società istante sottolinea, infine, che erroneamente l’Autorità ha considerato promiscuamente, nell’esposizione e nelle argomentazioni, i rapporti business normali e quelli generati da domande complesse per servizi individualizzati, omettendo di diversificarli in relazione a condizioni contrattuali evidentemente non assimilabili tra loro.
Peraltro le offerte standard, rivolte alla clientela business, sono state oggetto di approvazione da parte dell’AGCom e, quindi, era già stata effettuato un esame di “liceità” da parte del’Autorità di settore, a cui non può sovrapporsi la nuova valutazione dell’Autorità.
2.5 Per quanto attiene alla contestazione mossa dall’Autorità sulla non replicabilità delle condizioni tecniche, TI ha sostenuto l’infondatezza di quanto affermato, richiamando l’esistenza di numerosi accordi premium conclusi con operatori concorrenti. Esiste un’offerta wholesale di SLA standard ma esiste anche la possibilità, tanto per i clienti finali quanto per gli OLO, di accedere a SLA cd. premium, sopportandone ovviamente i relativi oneri.
2.6 TI contesta la violazione del codice delle comunicazioni elettroniche e l’eccesso di potere in quanto l’Autorità avrebbe sottovalutato l’importanza e la portata degli impegni pro- concorrenziali assunti dalla società nei confronti degli OLO, la cui validità era stata oggetto di attestazione da parte dell’Autorità di settore nel parere reso all’AGCM.
Le proposte Telecom sono state accettate da Albacom, Colt Tiscali che le hanno ritenute effettive ed efficaci per garantire un maggiore e più semplice accesso al mercato dei servizi intermedi, ma tale profilo è stato del tutto pretermesso dall’Autorità, che non ha tenuto adeguatamente conto nella considerazione della condotta anticoncorrenziale contestata e nella conseguente applicazione delle sanzioni.
C) Sanzioni.
3.1 L’istante deduce l’illegittimità del provvedimento anche con riferimento alla parte in cui irroga la sanzione amministrativa pecuniaria, ritendendolo non conforme alle norme poste dalla legge n. 287/90 e n. 689/91.
In primo luogo lamenta l’insufficienza della motivazione in relazione alla circostanza che si tratta della sanzione più elevata che sia mai stata applicata nei confronti di un’impresa per comportamenti lesivi della concorrenza.
Evidenzia, inoltre, la violazione del principio del “ne bis in idem”, in quanto l’Autorità ha irrogato due distinte sanzioni, la prima con riguardo alla presenza di offerte commerciali escludenti, la seconda relativa alla non replicabilità delle stesse, quando nell’ambito del provvedimento tali elementi vengono ritenuti sintomatici di una medesima strategia commerciale.
Non è, infine, sufficientemente dimostrata l’estrema gravità dei comportamenti tenuti da TI, anche perché la società si è attivata efficacemente per porre fine ad eventuali condotte escludenti, con le proposte pro- concorrenza presentate agli OLO.
Si è costituita l’Autorità in resistenza al ricorso eccependone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
Preliminarmente la difesa erariale evidenzia la completezza dell’istruttoria condotta dall’Autorità nell’adozione del provvedimento impugnato.
Sostiene l’Avvocatura dello Stato che il provvedimento è stato adottato al termine di una accurata istruttoria, iniziata a seguito di numerose segnalazioni di imprese concorrenti di TI e durata circa un anno e mezzo, con due proroghe (anche su richiesta di TI) per assicurare il massimo grado di contraddittorio sia in forma scritta che orale. Nel corso dell’istruttoria sono stati svolti accertamenti ispettivi che, tra l’altro, hanno consentito di rinvenire presso TI numerosi documenti di rilievo.
A tale istruttoria hanno preso parte tutti i principali operatori del settore (Albacom, FastWeb, Wind, Colt, Tiscali), una associazione (Assoprovider) che raccoglie circa 200 aziende di piccole e medie dimensioni operanti nel settore dei servizi Internet e della connettività, nonché Consip S.p.A., società incaricata della gestione delle procedure per le forniture alla Pubblica Amministrazione, in veste di amministrazione aggiudicatrice.
Lo schema del provvedimento, con la relativa documentazione, è stato quindi inviato all’AGCom, per il parere prescritto dall’articolo 1. comma 6, lettera c), n. 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249, che ha reso il suo parere motivato in senso favorevole al provvedimento dell’Autorità.
L’istruttoria ha consentito di accertare due condotte abusive poste in essere da TI nell’ambito di una strategia unitaria, volta consapevolmente ad escludere i concorrenti dal mercato dei servizi finali all’utenza aziendale e preservare così la posizione di dominanza storicamente detenuta tanto sui mercati dei servizi finali, quanto sui mercati dei servizi intermedi rivolti ai propri concorrenti.
Le condotte descritte, comportando l’esclusione dei concorrenti ed una discriminazione degli stessi a favore delle divisioni commerciali di TI, costituiscono abusi di posizione dominante in violazione dell’articolo 3, lett. b) e lett. c), della legge n. 287/90.
In particolare, su TI in quanto impresa dominante, incombe, per costante giurisprudenza, una speciale responsabilità dalla quale deriva il divieto di impedire/ostacolare la concorrenza che, nel caso di specie, si traduceva nell’obbligo per TI di astenersi dallo sfruttare la propria posizione di dominanza nella fornitura delle risorse di rete applicando condizioni economiche e tecniche discriminatorie e non orientate ai costi da essa stessa effettivamente sostenuti (ed imputati alle proprie divisioni commerciali) per la fornitura degli input intermedi forniti (a monte) agli OLO con cui TI era in concorrenza nei mercati (a valle) dei servizi finali ai clienti business.
Le suddette violazioni sono per loro natura molto gravi, in conformità ai consolidati orientamenti comunitari e nazionali, anche perché poste in essere con piena consapevolezza dall’operatore dominante sui mercati a monte e a valle, sfruttando la sua struttura integrata verticalmente (derivante, in larga misura, dall’essere l’ex monopolista legale del settore delle telecomunicazioni) per ostacolare la possibilità di offerte alternative e quindi preservare e rafforzare la propria posizione di dominanza.
La notevole gravità delle condotte abusive è evidente non solo per il loro oggetto anticoncorrenziale ma anche per la loro durata e per i consistenti effetti anticoncorrenziali che hanno prodotto sul mercato (con un innalzamento delle quote di TI nei mercati di riferimento a scapito della concorrenza). La notevole gravità delle condotte non è risultata affatto attenuata dagli impegni presentati all’ultimo momento da TI. Ciò in quanto, trattandosi di rimedi di natura regolamentare e validi unicamente per il futuro, si trattava di impegni assolutamente inidonei ad eliminare le condotte abusive e gli effetti da esse già prodotti sul mercato per alcuni anni.
Tutto ciò considerato, viste le condizioni economiche di TI (la quale nel 2003 ha realizzato ricavi per circa 16 miliardi di euro, di cui 15,6 miliardi di euro realizzati in Italia, con un utile netto di circa 2,6 miliardi di euro) l’Autorità si è trovata di fronte al compito di dover tutelare il mercato attraverso l’irrogazione di una sanzione che avesse un adeguato potere deterrente onde scoraggiare il ripetersi di condotte illecite di tale gravità, comminando a TI una sanzione pari a 76 milioni di euro per ciascuna delle due condotte censurate, per un totale di 152 milioni di euro (pari a meno dell’l% del fatturato di TI in Italia).
Si sono altresì costituiti i controinteressati che hanno chiesto il rigetto del ricorso siccome infondato, con argomentazioni sostanzialmente adesive alla difesa dell’Autorità.
L’Associazione Nazionale Cittadini Europei è intervenuta ad opponendum nei confronti della ricorrente, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame.
Con successive memorie la parti hanno ribadito le conclusioni rese nel ricorso e negli atti di costituzione.
Con istanza di correzione ex art. 287 c.p.c., depositata in data 24-3-2005, l’avvocato Fulvio Sarzana di S.Ippolito, difensore dell’Associazione Providers Indipendenti-Assoprovider, rilevato che per mero errore materiale negli atti di cancelleria, è stato indicato come difensore dell’Associazione, l’avvocato Carlo Sarzana di S. Ippolito, chiede la modifica del nome del difensore.
Il Collegio, ritenuta fondata la richiesta, trattandosi di mero errore materiale nella indicazione del nome del difensore, la accoglie, dandone atto nella sentenza medesima, e disponendo la correzione del dispositivo.
All’udienza del 16-2-2005 la causa è stata trattenuta in decisione
DIRITTO
Il ricorso è volto all’annullamento del provvedimento con cui l’Autorità ha accertato che la società Telecom Italia s. p. a. ha violato l’art. 3, lett. a) e b) della legge n. 287/90, ponendo in atto gravi comportamenti distorsivi della concorrenza, ed ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria per complessivi 152 milioni di euro.
La vicenda per cui è causa presenta aspetti diversi e complessi, in quanto l’Autorità ha accertato che TI, in posizione dominante su tutti i mercati rilevanti individuati nel provvedimento, ha posto in essere, dal 2001, una strategia commerciale nei confronti dell’utenza aziendale volta al mantenimento della propria posizione dominante, attraverso una serie di condotte (tra cui l’utilizzazione di clausole di esclusiva, clausole inglesi, scontistica fidelizzante, etc. nei contratti con i clienti aziendali) giudicate abusive ai sensi dell’art. 3 della legge n. 287/90 in quanto leganti ed escludenti, atte cioè ad ostacolare il dispiegarsi della concorrenza da parte di altre imprese di telecomunicazioni, legando a sé la clientela in danno di quest’ultima.
Il provvedimento ha, quindi, per oggetto un comportamento reiterato nel tempo e articolato verso una categoria molto ampia, identificata nella clientela business.
All’interno di tale categoria, è, però, necessario distinguere, ai soli fini di chiarezza e sistematicità espositiva, tra la clientela pubblica che si identifica con la P.A. in qualità di stazione appaltante, per il tramite della Consip, per la fornitura del servizio integrato di telefonia fissa, e la clientela privata.
Ulteriore distinzione nell’ambito dei clienti business privati occorre effettuarla tra la Grande Clientela Affari (GCA) e il resto della clientela, in relazione alle caratteristiche eterogenee che essa presenta.
Ciò posto il Collegio esaminerà le censure partitamente secondo la prospettazione riportata nella parte in fatto.
A) Questioni generali.
1.1. L’istante lamenta la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, poiché l’Autorità non avrebbe comunicato l’avvio del procedimento anche ai clienti aziendali di TI, in quanto parti lese direttamente dall’atto, rientrando nella nozione dei “soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai diretti destinatari”.
L’incompletezza del contraddittorio renderebbe illegittimo il provvedimento, in quanto anche i contraenti di TI, elencati a pagina 59 del provvedimento, sono, a vario titolo, coinvolti nell’atto.
TI sostiene che la dizione dell’art. 14 della legge n. 287/90, che parla di “imprese o enti interessati”, deve essere letta in armonia con il principio dell’art. 7 citato, in quanto espressione di principio generale, e, pertanto, i privati che possono essere pregiudicati dall’atto devono ricevere la comunicazione dell’avvio del procedimento.
Ove diversamente fosse intepretata la norma richiamata, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione.
La censura non è fondata.
La clientela della società ricorrente non deve essere qualificata come parte necessaria del procedimento e non è destinataria della comunicazione di avvio dell’istruttoria prevista dall’art. 14 della 287/90.
Tale articolo dispone espressamente che l’atto di avvio dell’istruttoria deve essere notificato ai soggetti, singole imprese, o eventuali associazioni di imprese coinvolte nella violazione, nonché ai soggetti che, ai sensi dell’art. 12, comma 1, della legge, avendo un interesse particolarmente qualificato (diretto, immediato e attuale), hanno presentato denunce o istanze utili all’avvio dell’istruttoria medesima.
La norma, individuando nelle categorie destinatarie della comunicazione di avvio dell’istruttoria antitrust le imprese o loro associazioni a carico delle quali viene contestata la violazione alle norme sulla concorrenza, pone un principio di garanzia e di trasparenza in conformità alla ratio della legge generale sul procedimento.
L’estensione della comunicazione di avvio del procedimento anche agli eventuali clienti delle imprese interessate, che in ipotesi potrebbe essere la generalità dei consumatori, non potendo essere sempre individuati o individuabili, non è configurabile, in quanto manca un interesse qualificato alla conoscenza o alla partecipazione al procedimento antitrust.
Nel caso de quo, pertanto, l’Autorità notificando l’atto di avvio a TI ed ai soggetti che ne avevano denunciato le condotte abusive, ha pienamente rispettato la legge n. 287/90, identificando, nella società ricorrente e nei controinteressati costituiti, gli unici soggetti portatori dell’interesse qualificato previsto dalla norma per esigere la conoscibilità dell’iniziativa procedimentale.
Il richiamo all’art. 7 della legge 241/90 appare, infine, non pertinente, in quanto, secondo il principio generale lex specialis derogat generali, nella fattispecie si applica la specifica normativa antitrust contenuta nella legge 287/90 e nel relativo regolamento di procedura (DPR n. 217/98), essendo la disciplina della legge n. 241/90 di carattere residuale.
Il Collegio, da ultimo, rileva la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge n. 287/1990, sollevata nel ricorso con riferimento all’art. 3 Cost.
La disposizione suddetta, peraltro conforme ai principi della legge sul procedimento, nel circoscrivere ai soli soggetti ivi considerati la notifica dell’apertura dell’istruttoria, non risulta affatto irragionevole, tenuto conto della natura e delle caratteristiche del procedimento dinanzi all’Autorità, il cui intervento è volto a garantire e a tutelare il libero gioco della concorrenza sul mercato, ponendo fine ad una situazione di abuso i cui effetti negativi finiscono, inevitabilmente, con il ripercuotersi nei confronti degli utenti finali, limitando l’offerta di altre imprese e quindi la loro possibilità di scelta.
Non si può, dunque, sostenere pregiudizialmente che i clienti aziendali ricevano dal provvedimento un danno diretto, immediato ed attuale.
1.2. La Società deduce l’illegittimità del provvedimento per incompetenza e violazione di legge, sollevando il problema dei rapporti tra competenza generale in materia di concorrenza, affidata all’Autorità e competenza specifica nel settore delle telecomunicazioni, attribuita dalla legge n. 249/97 all’AGCom, con particolare riferimento all’ipotesi in cui l’Autorità di settore abbia un potere specifico di disciplina in un ambito ben determinato.
L’istante sostiene che il punto da chiarire è quello della fonte regolatrice, stabilendo se le norme primarie che dettano, con riguardo alle telecomunicazioni, regole attinenti ad un oggetto concorrenziale, introducano un diritto speciale che regola l’intera materia, anche in deroga alla disciplina generale sulla concorrenza.
Partendo da una disamina della giurisprudenza che afferma la competenza generale dell’Autorità, TI, tuttavia, sostiene che, nel caso di specie, l’ampiezza e la completezza della disciplina di settore non lascino spazio ad interventi diversi da quelli dell’AGCom, paventandosi il rischio di un eventuale conflitto di competenze.
L’Autorità, quindi, potrebbe esercitare il suo potere per tutti gli aspetti del diritto della concorrenza di cui il diritto delle comunicazioni non si occupa, lasciando, in tale ipotesi, l’iniziativa all’Autorità di settore.
Nell’ambito delle telecomunicazioni esiste una disciplina particolare della posizione dominante, analitica e puntuale, contenuta nella legge n. 249/97 e, successivamente, nella regolamentazione di matrice comunitaria recepita nel nuovo codice delle comunicazioni (d.lgs. n. 259/03), determinata dalla particolarità e dalla significativa dinamicità del relativo mercato.
Alla stregua delle suesposte considerazioni la competenza a giudicare le ipotesi di abuso configurate nei confronti di TI sarebbe stata dell’Autorità di settore e non dell’Autorità, con ogni conseguenza anche in relazione alle sanzioni applicabili.
La censura non merita accoglimento nei termini prospettati di incompetenza assoluta dell’Autorità nella repressione dei comportamenti distorsivi della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni.
Appaiono, difatti, condivisibili le argomentazioni della difesa erariale per cui l’eccezione di incompetenza dell’Autorità a favore dell’AGCom è, di fatto, smentita dal parere reso in data 12 novembre 2004 dalla stessa AGCom nel corso del procedimento.
Il parere reso dall’AGCom muove proprio dal presupposto che l’Autorità sia pienamente competente ad applicare le norme a tutela della concorrenza alle condotte delle imprese operanti nel settore delle telecomunicazioni sulla base di quanto disposto dalla legge n. 287/90 (art. 20), dalla legge n. 481/95 (art. 2, comma 1, 33 e 34) e dalla legge n. 249/97 (art. 1, comma 6, lett. C), n.9 e art. 11).
L’art. 20 della legge n. 287/90, per cui la competenza in materia di concorrenza nel settore delle telecomunicazioni era attribuita al Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria, è, infatti, stato abrogato dalla legge n. 249/97, che ha riportato tale settore nell’ambito della competenza generale in materia di tutela della concorrenza attribuita all’Autorità.
I rapporti tra la legge n. 287/90 e la legge n. 249/97, nonché i rispettivi ambiti di competenza sono stati, inoltre, oggetto di varie pronunce dei giudici amministrativi che hanno chiarito (Cons. di Stato, VI Sez., n. 2869 del 24 maggio 2002) che “non sussiste, (…) una competenza generale dell’ AGCM in materia di tutela della concorrenza ed una competenza speciale di AGCom in materia di comunicazioni, che si estende anche alla tutela della concorrenza nel settore. Al contrario, le norme di legge delineano una generale competenza dell’AGCM per la tutela del valore della concorrenza anche nella materia delle telecomunicazioni, salvo l’obbligo di acquisire il parere dell’AGCom.”
Le deroghe alla competenza generale antitrust devono essere espressamente previste da una legge, come, ad esempio, nel caso delle competenze antitrust nel settore bancario, affidato, anche sotto tale profilo, al controllo della Banca d’Italia (Cons. St. Sez, VI, 2 marzo 2004, n. 926).
Siffatto principio è stato ribadito dalla Sezione nella sentenza n. 6895/04 che ha affermato che “.. nel sistema della legge n. 287/90, l’Autorità Antitrust assume il ruolo di amministrazione indipendente preposta alla garanzia di un interesse costituzionalmente rilevante quale è quello della tutela della concorrenza e del mercato (Cons. St. VI Sez., decisione 16 ottobre 2002, n.5640, caso Generali-Unicredito) ed è dotata di una competenza generale in questa materia -ad eccezione del settore strettamente bancario- anche in materia di telecomunicazioni, nonostante l’esistenza di una regolamentazione settoriale”.
Appare, quindi, costante l’orientamento per cui la regolazione di settore non esclude l’applicabilità della legge n. 287/90 e la relativa competenza dell’Autorità.
Una volta affermata la competenza dell’Autorità ad adottare il provvedimento impugnato, occorre, tuttavia, fare alcune precisazioni sul ruolo e le competenze dell’Autorità di settore, con riferimento alle valutazioni contenute nell’atto oggetto del presente ricorso, adottato previo parere dell’AGCom.
Tali precisazioni muovono dalla considerazione della peculiarità del settore delle telecomunicazioni, che importa una disciplina speciale della posizione dominante delle imprese che ivi operano.
Tale peculiarità ha origini storiche, in quanto la società ricorrente è un ex monopolista per legge e, naturalmente, si trova ancora in una posizione di forza nel mercato, essendo da poco iniziato il processo di liberalizzazione nelle telecomunicazioni (1997), che comunque richiede una sua gradualità anche per l’estensione territoriale della rete di proprietà dell’ex monopolista.
Ha inoltre origini tecniche poiché il mercato delle telecomunicazioni ha un rapido incedere e l’innovazione tecnologica nel settore lo modifica continuamente e in modo significativo.
Per questi motivi la legge istitutiva dell’Autorità di settore, legge n. 249/97, ne ha articolato la struttura per dotarla di una competenza tecnica specialistica, idonea a percepire le particolarità del mercato, definendolo e cogliendone le costanti e veloci variazioni.
Dati siffatti presupposti, è agevole convincersi dell’importanza e indispensabilità dell’apporto tecnico dell’AGCom, sia tramite la formulazione del parere, che tramite l’adozione della regolamentazione di settore, incidente nella configurazione della fattispecie per cui è causa.
Si analizzeranno successivamente gli aspetti più specifici del rapporto tra le due Autorità, trattando gli altri motivi di ricorso, relativi alla delibera n. 152/02/cons dell’AGCom.
1.3. La Società deduce la violazione dell’art. 82 del Trattato CE e dell’ art. 3 della legge n. 287/90, nonché l’eccesso di potere e il difetto di istruttoria e motivazione, ritenendo che l’Autorità abbia formulato una definizione errata del mercato rilevante, senza conformarsi all’analisi contenuta nel quadro regolatorio comunitario definito dalle direttive 2002/19/CE (Accesso), 2002/21/CE (Direttiva Quadro), 2002/22/CE (Servizio Universale), dalle due Raccomandazioni della Commissione e dalle Linee Direttrici della Commissione.
L’istante ritiene che la normativa regolatoria posta dalla Comunità Europea e recepita dal nuovo codice delle comunicazioni elettroniche, entrato in vigore a seguito dell’adozione del d. lgs. n. 259/2003, sia vincolante per tutte le autorità nazionali competenti sulle questioni relative alla definizione del mercato ed alla determinazione del “significativo potere di mercato” nello specifico settore delle telecomunicazioni.
La mancata considerazione della recente disciplina citata avrebbe, infatti, portato l’Autorità ad una definizione “antica” del mercato rilevante delle telecomunicazioni, abbandonata a seguito della nuova conformazione dei mercati, determinata dai progressi tecnologici e dalla liberalizzazione.
L’errata definizione del mercato rilevante comporterebbe, come logica conseguenza, un’erronea individuazione della posizione dominante.
In particolare, TI contesta la definizione del mercato rilevante, proponendone una alternativa, più rispondente ai principi comunitari, basata preliminarmente sulla distinzione tra il mercato della clientela business pubblica e il mercato costituito dalla clientela business privata, configurando, quindi, la gara Consip per l’aggiudicazione del servizio di telefonia fissa come mercato a sè stante.
La società ricorrente sostiene, infatti, che la PA esprime una domanda profondamente diversa da quella dei clienti privati: è obbligata alla gara, ha volumi di spesa unici, conclude un contratto quadro al quale devono aderire le amministrazioni centrali e detta, attraverso il bando, regole inderogabili.
Ulteriore distinzione viene proposta nell’ambito della clientela affari privata per configurare come mercato rilevante quello riguardante la Grande Clientela Affari (GCA), separato da quello comune business.
Il primo, a differenza del secondo, sarebbe caratterizzato dalla domanda di un pacchetto integrato di servizi, da parte di clienti con notevole dimensione organizzativa e volume di fatturato, che negoziano in modo personalizzato le condizioni economiche espresse in un unico prezzo globale, detenendo un notevole potere contrattuale (buy power) rispetto all’operatore di telecomunicazioni.
La base normativa per siffatta delimitazione, come in precedenza esposto, si rinviene nelle Linee Direttrici CE, che dettano criteri in materia di individuazione di mercati distinti con riguardo ai servizi di telefonia fissa al dettaglio, considerando le varie categorie di consumatori.
Il provvedimento impugnato sarebbe, pertanto, illegittimo per gravi vizi di istruttoria, perché avrebbe trascurato di esaminare la separabilità della domanda specifica di servizi personalizzati e la peculiarità della clientela, per concentrarsi esclusivamente sul lato dell’offerta, omettendo di valutare l’emersione di un mercato nuovo e diverso rispetto a quello della normale clientela business.
Come corollario di quanto affermato, TI sostiene che i rapporti menzionati a pagina 59 del provvedimento sono frutto di negoziati specifici tra le parti, che hanno spesso formato gruppi di lavoro paritetici per trovare soluzioni personalizzate a seconda delle esigenze della o delle aziende, mentre nei rapporti con la clientela business TI si basa su modelli standard in cui non è mai inserito un rapporto di consulenza o collaborazione.
Il dato strutturalmente diverso tra le due categorie è che, nel primo caso, il cliente ha potere negoziale e lo usa per stipulare un accordo costruito su misura; nel secondo il cliente aderisce ad un’offerta già predisposta dall’operatore, senza alcuna possibilità di modifica delle condizioni.
Ulteriori considerazioni sono svolte dalla società ricorrente in ordine alla necessità di presentare un’ offerta di prezzo complessivo unico e non disaggregato servizio per servizio, censura ribadita in modo più articolato nel settimo motivo di ricorso.
La difesa erariale eccepisce l’inammissibilità della censura per difetto di interesse, in quanto le argomentazioni economiche di TI, essendo dirette ad individuare un mercato più ristretto, non metterebbero in discussione la sua dominanza, anzi la rafforzerebbero.
La doglianza sarebbe parimenti inammissibile poiché atterrebbe al merito delle valutazioni effettuate nel provvedimento impugnato, non sindacabili in sede di giudizio impugnatorio.
In via subordinata la censura sarebbe comunque infondata perché la definizione di mercato rilevante data dall’Autorità sarebbe assistita da una articolata motivazione che dà contezza delle ragioni sottostanti a tale definizione, fondate su un’analisi economica ineccepibile.
Preliminarmente il Collegio ritiene cha la censura prospettata sia ammissibile in quanto deduce vizi di legittimità quali la violazione e falsa applicazione di legge e l’eccesso di potere sotto il particolare profilo del difetto di istruttoria, vizi che non sono volti a sovrapporre una valutazione di questa Sezione a quella formulata dall’Autorità.
Per costante orientamento giurisprudenziale i provvedimenti dell’Autorità sono qualificati come atipici e articolati in più parti, quali l’accertamento dei fatti, la “contestualizzazione” della norma posta a tutela della concorrenza, il confronto dei fatti con il parametro “contestualizzato”, l’eventuale applicazione della sanzione.
La fase c.d. della “contestualizzazione” è frutto di una valutazione complessa che trasforma concetti giuridici indeterminati quali “mercato rilevante”, “abuso di posizione dominante” ed altri, in applicazioni specifiche del diritto della concorrenza, secondo criteri di flessibilità e aderenza alla concreta ipotesi di indagine.
Il giudizio del giudice amministrativo nei confronti dei provvedimenti dell’Autorità è di tipo impugnatorio e consiste nel verificare se il potere attribuito dalla legge n. 287/90 all’Autorità sia stato correttamente esercitato.
Il Tribunale può sindacare con piena cognizione i fatti oggetto dell’indagine e il processo valutativo mediante il quale l’Autorità applica al caso concreto la regola individuata.
Naturalmente il sindacato, ove fosse accertata la legittimità dell’operato dell’Autorità, sulla base della corretta utilizzazione delle regole tecniche sottostanti, non può spingersi fino al punto di sostituire la valutazione effettuata con un’autonoma scelta, poiché vi sarebbe un’indebita sostituzione da parte del giudice al potere discrezionale dell’Autorità (Cons. di St., Sez. VI, n. 926/04; idem n. 5156/02).
Ciò premesso il Collegio ritiene che l’Autorità abbia correttamente considerato unitario il mercato rilevante in questione, non essendo accettabile la configurazione di distinti mercati, proposta da TI.
L’individuazione del mercato rilevante è funzionale al tipo di indagine in corso e può variare a seconda che si discuta di un’operazione di concentrazione ovvero di intesa restrittiva della concorrenza.
Naturalmente, la conseguenza non è in termini di assoluta relatività per cui vi sono tanti mercati di riferimento quante sono le operazioni economiche compiute o le gare bandite dalla pubblica amministrazione, poiché è necessario compiere un’analisi sulla parte “rilevante” del mercato nazionale.
In particolare, nel procedimento de quo, avente ad oggetto le politiche commerciali di TI, operatore verticalmente integrato, nell’offerta di servizi di telecomunicazioni su rete fissa all’utenza finale affari, l’Autorità ha individuato un unico mercato per l’intera utenza business, al cui interno ha effettuato una partizione tra mercato a monte e mercato a valle.
Tale distinzione appare corretta, poiché hanno rilievo entrambi gli ambiti competitivi di fornitura di servizi all’ ingrosso e al dettaglio, con riferimento alla complessiva clientela affari, pubblica e privata.
In particolare l’Autorità, avuto riguardo ai servizi intermedi, necessari a TI come anche ai suoi concorrenti per la fornitura dei servizi agli utenti finali, ha individuato i seguenti mercati rilevanti a monte: 1. il mercato dei servizi di interconnessione su rete fissa; 2. il mercato all’ ingrosso dell’accesso alla rete locale; 3. il mercato delle linee affittate.
Con riferimento invece all’insieme dei servizi al dettaglio offerti da TI nelle proposte commerciali all’utenza business, considerando che i servizi al dettaglio di accesso, di fonia, di trasmissione dati e di connessione a Internet rispondono a bisogni distinti e non sostituibili, viene analizzato il contesto competitivo dell’offerta di servizi di telecomunicazioni su rete fissa all’utenza business con riguardo a quattro distinti mercati rilevanti a valle: 1. il mercato dei servizi di accesso alla rete telefonica; 2. il mercato dei servizi di fonia (ricomprendenti i servizi di telefonia vocale su base locale, nazionale, internazionale e verso terminali mobili); 3. il mercato dei servizi di trasmissione dati; 4. il mercato dei servizi di accesso a Internet.
Il mercato dei servizi di accesso, viene individuato sulla base del fatto che, per poter fruire dei servizi di comunicazione forniti sulle infrastrutture di rete, un utente deve preliminarmente potersi avvalere di un collegamento alle suddette infrastrutture. Tale mercato è distinto da quello dei servizi di telecomunicazione a traffico, che possono anche essere forniti a un determinato utente da un soggetto diverso da quello che offre accesso.
Con riferimento poi ai servizi offerti una volta che l’utente sia connesso alla rete, il secondo ambito di competizione rilevante per il procedimento è quello della fornitura di servizi a traffico di telecomunicazioni su rete fissa per la clientela affari, che ricomprende i distinti mercati dei servizi di telefonia vocale, di trasmissione dati e connettività IP.
Quanto alla fornitura dei servizi di telefonia vocale su base locale, nazionale, internazionale e verso terminali mobili rivolti alla clientela affari, privata e pubblica, l’Autorità rileva che tale segmento di mercato, pur essendo costituito da differenti parti relativi alle diverse direttrici di traffico, ai fini del procedimento, in considerazione del fatto che, a seguito del completamento del processo di liberalizzazione della telefonia vocale, la maggioranza degli operatori possono offrire l’intera gamma delle comunicazioni vocali, comprendendo tutte le direttrici considerate, non si configurano mercati del prodotto più ristretti rispetto a quello generale dei servizi di fonia rivolti all’utenza business .
Relativamente, infine, ai mercati dei servizi di accesso a Internet e dei servizi di trasmissione dati, l’Autorità ha configurato due distinti mercati rilevanti del prodotto, in ragione della non sostituibilità dei medesimi.
Tale individuazione dei mercati, sia all’ingrosso che al dettaglio, appare in linea con il quadro normativo attuale, sia comunitario che nazionale, e trova conferma nella complessa analisi istruttoria, che ha consentito di raffinarne la definizione rispetto a quanto già si prospettava nel provvedimento di avvio, in linea con una consolidata tradizione di analisi utilizzata dall’Autorità, e con l’ausilio dell’analisi dell’Autorità di settore.
L’unica distinzione presa in considerazione dall’Autorità riguarda l’offerta rivolta al complesso dell’utenza business rispetto a quella della clientela residenziale, e ciò in ragione della diversità delle esigenze espresse dai due tipi di domanda e della diversità delle modalità, anche economiche, dell’offerta di servizi di comunicazione.
Dalla documentazione in atti e dalle risultanze istruttorie esposte nel provvedimento non sono emersi elementi che consentissero di operare ulteriori distinzioni all’interno della clientela business, tali, almeno da configurare un mercato rilevante.
Infatti l’Autorità dà atto che nella maggior parte dei casi non sono state riscontrate rilevanti diversità nei servizi offerti ai piccoli e medi clienti rispetto a quelli diretti verso la clientela di maggiori dimensioni; ad esempio, i servizi richiesti, di fonia, trasmissione dati e/o accesso a Internet, erano destinate a soddisfare le stesse esigenze della domanda indipendentemente dalla dimensione del cliente (§ 309 provv.).
Sotto lo specifico profilo delle modalità di fornitura, non appare fondata l’affermazione per cui sarebbero stati utilizzati, per diverse tipologie di clientela, diverse tipologie contrattuali ed, in particolare, che i grandi clienti (GCA) sarebbero contrattualizzati esclusivamente con Accordi di Partnership, in quanto dagli elementi istruttori a base della delibera risulta che questo tipo di contratti è stato utilizzato anche nei rapporti con clienti di minori dimensioni.
Pertanto, nella concreta fattispecie accertata, la tipologia contrattuale cui si fa ricorso per la fornitura del servizio non costituisce elemento rilevante per la delimitazione di due mercati diversi, contrariamente a quanto affermato nel ricorso.
Con riferimento, poi, alla tesi secondo cui la domanda della GCA si caratterizzerebbe per avere ad oggetto un pacchetto integrato di servizi, l’Autorità ha verificato invece che permangono distinte esigenze della domanda da parte della clientela, che spesso utilizza differenti fornitori per i vari servizi, ed ha evidenziato come sia lo stesso mercato a richiedere soluzioni multifornitore. Questa “disarticolazione” dell’offerta derivante da una diversificazione della domanda è stata riscontrata ampiamente con riferimento a tutte le categorie di clientela di TI, indipendentemente dalle dimensioni aziendali (§ 311 provv.)
Alcune specifiche considerazioni merita l’affermazione di TI in ordine all’obbligo per l’Autorità di conformarsi al nuovo quadro regolatorio comunitario e nazionale per la definizione del mercato delle telecomunicazioni che tenga conto delle peculiarità della GCA, rilevanti ai fini dell’individuazione di un mercato rilevante a sé stante.
La difesa erariale sostiene che è inammissibile ritenere l’Autorità “vincolata” all’individuazione dei mercati già effettuata nella regolazione ed evidenzia che il principio, cui si ispira l’intero quadro regolatorio sulle comunicazioni elettroniche, è quello delle competenze parallele delle autorità garanti della concorrenza e delle autorità nazionali di regolazione (ANR), e ciò in ragione degli obiettivi specifici dei rispettivi interventi (art. 3.4. della Direttiva Quadro e punto 31 delle Linee Direttrici).
Non sembra al Collegio che tale asserzione possa essere contestata, alla luce della normativa introdotta, purchè non comporti l’introduzione di un principio di netta e assoluta separazione tra le competenze dell’Autorità della concorrenza e l’Autorità di settore.
Appare, infatti, altrettanto pacifico che, proprio in virtù del principio delle “competenze parallele”, la regolazione di settore incide anche sull’applicazione del diritto della concorrenza, dovendosi trovare un equilibrio tra i due settori normativi.
Nelle linee direttrici è espressamente previsto che i mercati che verranno definiti dalle ANR, ai fini della regolamentazione ex ante, non pregiudicano le definizioni date dalle autorità nazionali per la concorrenza, in casi specifici di applicazione del diritto della concorrenza; tali disposizioni devono tuttavia essere interpretate secondo principi di sinergia e armonizzazione, in modo che il patrimonio tecnico particolare, sottostante il diritto delle telecomunicazioni, divenga utile apporto all’esercizio delle competenze in materia di concorrenza.
Non è accettabile, in un ottica di necessaria collaborazione, quanto affermato dalla difesa dell’Autorità per cui la definizione dei mercati rilevanti in senso antitrust è rimessa alla propria discrezionalità tecnica, poiché è smentita dalla previsione del parere dell’AGCom, e dall’ incontestabile peculiarità e dal tecnicismo del settore in esame.
La regolazione medesima auspica una coerenza metodologica tra la definizione del mercato ai fini della regolamentazione ex ante e quella elaborata ai fini dell’applicazione ex post delle norme sulla concorrenza, anche se esse rimangono distinte “in casi specifici di applicazione del diritto della concorrenza”.
Le Linee Direttrici della Commissione CE, già più volte citate, ossia il documento che espone ed illustra, entro il nuovo quadro regolatorio, lo stato dell’arte in materia di definizione dei mercati rilevanti nel settore in questione, riferisce della “prassi della Commissione” (Sez. 2.3, par. 63 ss.) nei seguenti termini: «Nel mercato dei servizi di telefonia fissa al dettaglio (…) l’utenza imprese (…) può essere a sua volta suddivisa in altre due categorie: da un lato i professionisti e le imprese di piccole e medie dimensioni, dall’altro le grandi imprese.
È dunque principio recepito che la definizione dei mercati rilevanti nella fornitura di telefonia fissa al dettaglio debba considerare le grandi imprese come utenza distinta, cioè come mercato rilevante distinto.
La stessa delibera n. 385/04/cons con cui l’AGCom ha reso il parere nel provvedimento impugnato menziona, in due passaggi, la possibilità di svolgere una segmentazione del mercato della clientela affari tra utenza business pubblica e utenza business privata e – nell’ambito di quest’ultima – tra utenti suddivisi in base alle dimensioni dell’impresa, concludendo che tale analisi debba essere effettuata nell’ambito delle analisi di mercato previste dal nuovo quadro regolamentare, con particolare riferimento ai mercati nn. 2, 5 e 6 della Raccomandazione sui mercati rilevanti.
Quanto illustrato porta a ritenere che allo stato attuale il mercato rilevante della GCA non è configurato, ma anche che non è esclusa una sua considerazione come mercato a sé stante e che, comunque, esistono delle condizioni particolari che diversificano l’utenza business privata in ragione del volume di spesa e delle dimensioni dell’impresa.
La portata delle conseguenze sul provvedimento impugnato non è, tuttavia, tale da configurare i vizi dedotti in ricorso, in quanto non è, allo stato dell’attuale legislazione, fondata la prospettazione di un nuovo mercato e, quindi, l’illegittimità della valutazione effettuata dall’Autorità del mercato di riferimento.
Però, ignorare tout court tali caratteristiche non può ritenersi corretto da un punto di vista della conformità alla regolazione di settore e da un punto di vista meramente empirico, poiché le differenze sono palesi e hanno importanti ripercussioni sulla contrattazione con gli operatori delle telecomunicazioni.
Il Collegio ne analizzerà la specifica incidenza nel corso dell’esame delle ulteriori doglianze.
Passando all’esame del particolare profilo di doglianza relativo alla configurazione della gara Consip come mercato rilevante distinto da quello del resto della clientela business, occorre evidenziare che il richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI, n. 926/04 (resa sulla gara Consip per i buoni pasto alle P.A.) non appare determinante nell’accoglimento della censura, in adesione a quanto eccepito dalla difesa dell’Autorità e della Consip.
La pronuncia citata, nella quale si afferma che i criteri utilizzati per l’individuazione del mercato rilevante non sono tassativi, come ribadito dalla comunicazione della Commissione Europea pubblicata nella G.U. n.C 372 del 9-12-1997, configura un mercato a sé stante nella gara pubblica dei buoni pasto relativamente ad una fattispecie del tutto diversa.
In quella ipotesi l’Autorità aveva, infatti, accertato l’esistenza di un’intesa inerente alla formulazione delle offerte e quindi intrinsecamente connessa al meccanismo di funzionamento della gara e volta a falsare l’esito della gara stessa.
Si configura, per converso, un abuso di posizione dominante da parte di una sola impresa, nell’ambito di una strategia complessiva volta a limitare la concorrenza escludendo gli altri operatori di telecomunicazioni.
Nè è rinvenibile, nell’ipotesi per cui è causa, il presupposto che il Consiglio di Stato, nel precedente citato, ha reputato decisivo per individuare nella gara un distinto mercato, ossia che nel settore pubblico gli operatori esercitino un “autonomo e distinto potere di mercato” rispetto al settore privato, intendendo per potere di mercato “la capacità di comportarsi indipendentemente dagli altri soggetti”: la condotta di TI è finalizzata ad una propria politica di compressione dei margini dei concorrenti (e cioè l’offerta sottocosto regolamentare) ed è la medesima che di fatto ha utilizzato, contemporaneamente e successivamente, anche nelle relazioni con la clientela privata.
Conclusivamente il Collegio ritiene non fondata la doglianza proposta.
Relativamente, poi, alle censure sull’errata individuazione della posizione dominante, il Collegio ritiene che la valutazione effettuata dall’Autorità sia sorretta da criteri di ragionevolezza, logicità e supportata da adeguata istruttoria.
Dal provvedimento emerge che, secondo costante giurisprudenza comunitaria, la posizione dominante consiste in “[…]una posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato in questione e ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei concorrenti, dei clienti e, in ultima analisi, dei consumatori. L’esistenza di una posizione dominante deriva in generale dalla concomitanza di più fattori che, presi isolatamente, non sarebbero necessariamente decisivi”. La posizione dominante, peraltro, “[. . ] a differenza di una situazione di monopolio o di quasi monopolio, non esclude l’esistenza di una certa concorrenza, ma pone la ditta che la detiene in grado, se non di decidere, almeno di influire notevolmente sul modo in cui si svolgerà detta concorrenza, e comunque, di comportarsi sovente senza doverne tenere conto e senza che, per questo, simile condotta le arrechi pregiudizio”.
L’Autorità si è basata su di un consolidato orientamento giurisprudenziale ed ha reputato, nel caso di specie, quale primo fattore da considerare ai fini della misurazione della forza di mercato di TI, la titolarità del monopolio della rete di telecomunicazioni e dei servizi connessi all’offerta di infrastrutture, commutate e dedicate. La posizione di monopolio nelle infrastrutture di rete garantisce a TI una posizione di controllo della struttura dei costi di tale risorsa che costituisce un fattore essenziale per consentire agli altri operatori di offrire, in concorrenza con la stessa TI, i servizi liberalizzati.
L’Autorità non ha considerato solo l’ampiezza della quota di mercato, che è, in ogni caso, ben al di sopra della soglia del 50% che la Commissione Europea ha giudicato di per sè sufficiente a dimostrare una posizione di dominanza, ma ha preso in considerazione altri fattori quali:
a) l’esistenza di una forte integrazione verticale; b) il vantaggio tecnologico e il possesso di informazioni relativamente ai protocolli di accesso o alle interfacce necessarie a garantire l’interfunzionalità del software e dell’hardware; c) la vasta gamma di prodotti offerti; d) la titolarità di un marchio diffuso; e) il possesso di una rete di distribuzione efficiente ed estesa.
Con specifico riferimento alla gara Consip, laddove TI afferma che l’esistenza stessa di un meccanismo di gara, come garanzia di par condicio dei concorrenti, escluderebbe in principio che possa esservi un soggetto in posizione dominante, il Collegio osserva che tale affermazione porterebbe ad escludere, per definizione, l’intero settore delle gare dall’applicazione delle norme della legge n. 287/90, in contrasto con il principio di generale applicabilità delle norme antitrust (cfr. la citata sentenza n. 6895/04; in senso conforme la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sent., Sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926 citata, dove si legge che: “in alcun modo interferisce con le competenze dell’ Autorità la disciplina penale ed amministrativa relativa alle pubbliche gare, che opera su un piano diverso rispetto a quello della concorrenza”).
Il Collegio condivide le argomentazioni offerte da parte resistente e dalla Consip, per cui la gara è solo una specifica modalità di acquisto del servizio e non esclude la sussistenza di una posizione dominante nel mercato di tale servizio.
Resta evidente che, se l’impresa ha la forza ed il potere di comportarsi indipendentemente dai concorrenti, continua ad esserlo anche nel momento in cui partecipa ad una gara accanto ad altri operatori che sono e rimangono in posizione subordinata.
Inoltre, la gara Consip 2002 per la fornitura del servizio di fonia alle PA rappresenta, nell’accezione di mercato fornita nella delibera, un sottoinsieme del mercato individuato dall’Autorità, ed, essendo accertata la dominanza di TI nel (più ampio) mercato del servizio finale di fonia rivolto all’utenza business complessivamente considerata, a fortiori TI sarebbe ugualmente dominante anche qualora tale mercato venisse ridotto alla sola utenza pubblica.
Non appare, per converso, condivisibile l’impostazione che alla delibera ha dato l’Autorità nella valutazione della posizione di dominanza di TI nei rapporti con la GCA, assimilata alla posizione detenuta nei confronti della normale utenza business.
Il Collegio ha, in precedenza, trattato dello speciale ruolo assunto dalla Società nei confronti della GCA, mettendo in luce, in adesione alla prospettazione di parte, le caratteristiche soprattutto negoziali dei rapporti intrapresi con un’utenza particolare, precisamente identificata nel provvedimento impugnato (tabella a pag. 59).
E’ stato evidenziato come, nei rapporti dai quali ha tratto origine la contestazione, in una pluralità di casi l’iniziativa contrattuale fosse partita non dall’operatore di telecomunicazioni, quindi non da TI, ma dagli utenti medesimi, portatori di una domanda di particolare consistenza, in relazione alle rilevanti dimensioni aziendali.
Le dimensioni dell’impresa e il conseguente imponente volume d’affari caratterizzano in modo significativo l’utenza, che spesso si è rivolta ad un consulente specializzato che predisponesse un progetto di fornitura integrata o bandisse gare alle quali i vari operatori telefonici venivano chiamati a partecipare, selezionando, infine, alcune volte un operatore alternativo, altre volte TI.
Il provvedimento impugnato non ha tenuto nella necessaria considerazione la peculiarità di tali contratti. In realtà la questione posta dal ricorso in esame presenta aspetti di novità e singolarità nel panorama della contrattualistica d’impresa, in quanto evidenzia una situazione di rapporti di forza negoziale alterata tra operatore in posizione dominante e utenza, a favore di quest’ultima.
Una prospettazione siffatta, dove, quindi, TI non detiene quel potere negoziale nettamente preminente che consente di operare in totale autonomia nei confronti del cliente, produce conseguenze nella concreta valutazione della condotta dell’operatore dominante e dell’elemento soggettivo sottostante il comportamento anticoncorrenziale.
Non può non essere valutato, infatti, anche ai fini dell’irrogazione della sanzione (questo aspetto particolare sarà esaminato in modo approfondito successivamente), che le condotte anticoncorrenziali, determinate soprattutto dall’inserimento di clausole fidelizzanti con intento escludente della concorrenza, non sono da imputare in via esclusiva a TI.
Un’attribuzione assoluta di responsabilità, come contemplata nella delibera, presuppone una totale autonomia di comportamento, a fronte di una posizione contrattuale del cliente del tutto subordinata a quella dell’operatore; in pratica rimanda alle modalità di contrattazione per adesione, dove l’offerta è predisposta unilateralmente, non è modificabile e può essere solo accettata o rifiutata.
Dalla copiosa documentazione esibita dalla società ricorrente, che riporta i contratti stipulati con la GCA, tra cui Finmeccanica, Unicredito, H3G Italia e altri, emerge che tale utenza ricorre a:
– procedure complesse per la selezione del fornitore;
– utilizza consulenti specializzati nella fase di negoziazione e conclusione del contratto;
– richiede forniture integrate di servizi diversi di tlc.
Da quanto esposto si desume che l’utente stabilisce le regole della negoziazione ovvero le concorda con l’operatore, stabilendo volta per volta, in relazione alle esigenze della propria impresa, il contenuto, la durata e l’articolazione del contratto.
Le procedure negoziali sono inoltre complesse e portano alla predisposizione di capitolati dettagliati, come ad esempio la “richiesta di offerta per fornitura dei servizi di telefonia fissa” di Finmeccanica o il contratto di servizio di Unicredito dove sono identificati contenuti e limiti del servizio richiesto.
Da tutto ciò emerge con evidenza la peculiarità del rapporto tra operatore e grandi utenti, che è irragionevole assimilare a quelli esistenti con la normale clientela business, dove vige la contrattazione per adesione.
Data la complessità delle questioni il Collegio ritiene opportuno precisare i termini dell’esame delle censure, sottolineando che la suesposta configurazione della negoziazione con la GCA non porta alla negazione dell’esistenza di una posizione dominante in capo a TI, nè all’ individuazione di un mercato rilevante specifico, non essendo allo stato ancora identificato, secondo la normativa vigente, ma evidenzia che siffatte caratteristiche non sono ininfluenti nell’esame della legittimità della delibera impugnata, sotto i profili dedotti della carenza di istruttoria e dell’eccesso di potere.
In tale ottica, l’Autorità avrebbe dovuto in primo luogo scindere la valutazione dei rapporti con la GCA, esaminandoli alla luce delle caratteristiche proprie, per effettuare un’analisi della posizione della ricorrente e quindi dell’illiceità del suo comportamento, fondata su dati di fatto completi e aderenti alla realtà.
L’assimilazione tra rapporti con l’utenza business normale e rapporti con i grandi clienti ha generato un travisamento della base fattuale del ragionamento e della valutazione effettuata dall’Autorità che inficia la legittimità della delibera con specifico riferimento all’asserzione del principio del divieto di presentazione di offerte aggregate e complessive da parte di TI.
Lo schema logico seguito porta all’esame del settimo motivo di gravame in cui è contenuta la problematica, in termini generali, quindi, con riferimento a tutte le offerte complesse presentate da TI.
La ricorrente sostiene che, se la domanda da parte delle grandi aziende, o anche da parte della Consip, è volta ad ottenere una soluzione contrattuale personalizzata con un “pacchetto integrato” di soluzioni tarate sulle specifiche esigenze del gruppo o dell’impresa, ovvero del settore pubblico, e questo è dimostrato dalla documentazione in atti, non è configurabile l’imposizione a TI di un obbligo di presentazione dell’offerta disaggregata per servizio, anche sotto l’aspetto economico, poiché ad essa deriverebbe sicuramente un pregiudizio rilevante in termini di competitività sul mercato rispetto agli OLO.
La Società afferma che l’Autorità abbia illegittimamente stabilito un principio di grave nocumento per la presenza nel mercato di TI, articolandolo in tre parti:
a) TI non può fare offerte basate su un prezzo complessivo, ma deve disaggregare il prezzo servizio per servizio;
b)TI deve obbligatoriamente applicare, servizio per servizio, un prezzo non inferiore ai costi regolatori;
c) i prezzi regolatori sono quelli dell’OlR pubblicata dalla stessa TI, indipendentemente dalle determinazioni successive dell’AGCom, ancorché queste debbano in ipotesi applicarsi con efficacia retroattiva.
Secondo la ricorrente la prima componente del principio è espressa nei § 390, 398, 401 dove l’Autorità afferma che una valutazione complessiva della redditività dell’offerta di TI non consentirebbe la verifica della sussistenza di eventuali sussidi incrociati.
La seconda componente del principio è espressa nei § 382, 387, 460, 462, 465, 466, 467, 469, 474, 475, 476, 478, 479, 480, 481, 487, 488, 509, 513 dove l’Autorità afferma che l’offerta di TI non deve essere inferiore ai prezzi dell’offerta regolatoria di riferimento in ogni singola componente.
La terza componente è espressa nei § 71, 72, 94, 484, 485, dove l’Autorità afferma che il parametro di riferimento per il calcolo della replicabilità è l’OIR pubblicata da TI al momento di formulazione dell’offerta.
Come in precedenza esposto il Collegio ritiene condivisibile la tesi della società ricorrente.
Prima di esaminare la doglianza occorre premettere alcune considerazioni sulla posizione della società istante, anche nei rapporti con gli operatori alternativi, al fine di chiarire il suo ruolo nel mercato delle telecomunicazioni.
TI deriva dalla Stet, società interamente controllata dalla mano pubblica, titolare unica del servizio pubblico di telefonia, dalla quale ha ereditato l’organizzazione preesistente e la titolarità della prestazione del servizio universale.
La rete fissa (telefonia vocale), nella cui gestione consisteva in origine in modo esclusivo l’attività di TI, pur essendo stata aggiornata tecnologicamente, per una parte usa ancora attrezzature meno avanzate rispetto a quelle che sono oggi disponibili sul mercato.
Con l’introduzione del regime di mercato sono venute maturando situazioni distinte, in capo agli OLO, i quali, avendo creato la propria organizzazione e le proprie reti di telefonia, nella vigenza del regime di mercato, sopportano, conseguentemente, oneri organizzativi mediamente inferiori a quelli di TI.
Gli operatori alternativi hanno, quindi, esteso la rete, avvalendosi delle tecnologie più avanzate disponibili, nei luoghi nei quali la concentrazione delle utenze garantiva un massimo ritorno in termini di ricavi rispetto ai costi sostenuti, non essendo obbligati a portare gli impianti anche nei luoghi decentrati.
Vi è poi un’ulteriore categoria di operatori alternativi i quali, senza realizzare impianti propri, o realizzandone in misura minima, con strategie commerciali e l’utilizzo combinato di varie tecnologie di trasmissione, sono in grado di offrire tariffe convenienti per l’utenza in condizioni di elevata redditività per l’operatore.
Tutti fanno capo a TI per le prestazioni di rete fissa che non sono in grado di fornire con mezzi propri, attraverso l’interconnessione che TI è obbligata ad accordare.
La disciplina di dettaglio del rapporto di interconnessione è stabilita dall’Autorità di settore con proprie delibere che fissa i criteri per arrivare alla determinazione dell’OIR, partendo dai costi complessivi di TI.
L’AGCom ha individuato i singoli servizi e per ciascuno di essi calcola il costo ammissibile. I prezzi che TI offre per la interconnessione devono essere orientati ai costi.
I costi di TI sono costi “medi”, in quanto tengono conto tanto dei costi che attengono alle attività più remunerative, tanto di quelli delle attività meno o per nulla remunerative.
Ogni anno, tenuto conto delle tendenze del traffico e dei miglioramenti conseguibili per effetto delle innovazioni tecniche ed organizzative e senza trascurare le condizioni imposte dalla concorrenza, TI deve pubblicare una offerta di riferimento (OIR) che indica le caratteristiche tecniche e le condizioni commerciali delle prestazioni da fornire agli OLO in sede di interconnessione.
L’OIR, che è pubblica, è vincolante per TI, che è obbligata a separare al suo interno le divisioni che si occupano della rete dalle divisioni commerciali, che intrattengono i rapporti con i clienti finali (gli utenti).
L’OIR ha per oggetto solo prodotti e servizi intermedi ed è soggetta ad approvazione da parte dell’AGCom, che può modificarla o integrarla, anche con effetto retroattivo.
Il sistema così delineato, quindi, vede un obbligo in capo a TI di determinazione dei prezzi dei servizi intermedi, nell’ambito delle regole fissate dall’AGCom, che valgono per le sue divisioni commerciali e per gli altri operatori.
Questi, acquisiti i prodotti e servizi intermedi oggetto della interconnessione ai prezzi fissati dall’OIR, non incontrano alcun limite o vincolo nella fissazione del prezzo al cliente finale, che è libero, secondo il principio di mercato.
Ad avviso del Collegio, alla luce dei chiarimenti in punto di fatto illustrati, il principio affermato dall’Autorità, per cui TI sarebbe obbligata a presentare solo offerte disaggregate, servizio per servizio, provoca ingiustificati effetti pregiudizievoli nei confronti della Società.
Infatti, siffatto obbligo danneggerebbe quest’ultima nella competizione nell’ambito della grande clientela affari che richiede prestazioni complesse su progettazioni individualizzate, sia essa una clientela privata o pubblica, interessata unicamente al prezzo globale, decidendo in base ad esso ed all’affidabilità dell’offerente.
Inoltre, ove TI dovesse attenersi al vincolo di presentare solo offerte disaggregate, servizio per servizio, secondo il prezzo prefissato, e pubblico, dell’OIR, sarebbe esclusa in partenza da tutte le gare pubbliche, essendo la sua offerta conoscibile ex ante.
Analoghe conseguenze si avrebbero nel settore delle offerte ai privati, in quanto, considerato che i prezzi OIR sono pubblici, e quindi conosciuti dall’OLO, il principio di renderli fissi per TI ne riduce significativamente la competitività.
Mentre, infatti, TI non conosce quale sarà l’offerta dell’OLO, questi conosce in anticipo l’offerta TI, che dovrà sempre essere superiore alla OIR, risultandone ingiustificatamente avvantaggiato.
Preme evidenziare che, seguendo il ragionamento dell’Autorità, il prezzo fisso pubblicato ex ante si pone come una tariffa amministrata e, in quanto tale, risulta incompatibile con il principio della libera determinazione delle imprese nel mercato.
Il Collegio ritiene, infatti, che l’OIR non possa essere definita alla stregua di un parametro di riferimento assoluto, assumendo così il carattere di vera e propria tariffa, in quanto tale configurazione non trova riscontro nella disciplina normativa.
L’accettazione di tale prospettazione determinerebbe un mercato anomalo, in cui esiste un operatore obbligato ad un regime tariffario ed operatori invece liberi.
L’ OLO, infatti, che dispone di infrastrutture proprie, cioè un operatore efficiente e competitivo sul mercato, può offrire il prodotto finale, avvalendosi di condizioni di maggiore economicità, tramite la riduzione, il più possibile, dei contatti con la rete fissa di TI.
Quando, invece, si avvale della rete TI, sopporta il prezzo dell’interconnessione, che, come evidenziato, è un costo medio e, quindi, di norma, inferiore a quello che sarebbe praticato in condizioni di mercato, data la generale concentrazione della grande clientela affari in zone ad alta redditività.
Peraltro tale costo viene annullato sostanzialmente dalla circostanza che è utilizzato in misura equivalente dalla divisione commerciale di TI.
Il Collegio, sulla questione posta dai ricorrenti, non condivide la tesi della difesa erariale, per cui l’Autorità non avrebbe mai imposto a TI di applicare determinati prezzi per la fornitura dei suoi servizi, né vietato di intrattenere rapporti con singoli clienti, ma solo imposto di non attuare pratiche discriminatorie.
L’Autorità stessa, infatti, chiarisce che ciò che è pubblico non sono i costi sopportati da TI, noti solo all’Autorità di settore, ma esclusivamente l’OIR, la cui ratio è quella di creare un “ level playing field”, nell’utilizzo di alcuni fattori di base tra soggetti strutturalmente asimmetrici nel mercato; ma è esattamente la pubblicità dell’offerta di interconnessione a rendere estremamente difficile, ove applicata come prezzo fisso, la possibilità di presentare offerte competitive.
Naturalmente laddove l’OLO è costretto a servirsi delle infrastrutture di TI, questa, anche in virtù della normativa comunitaria più volte richiamata, è obbligata alla concessione delle stesse secondo l’offerta di riferimento, per garantire, ai nuovi entrati, un accesso al mercato trasparente e non discriminatorio, assumendosi quella “particolare responsabilità” data dalla posizione di ex- monopolista.
Non è infatti contestabile che TI sia obbligata ad attenersi al prezzo dell’OIR, ma ciò non esclude che, nell’ambito della propria strategia commerciale, al pari degli altri operatori, la Società possa presentare delle offerte globali, all’interno delle quali abbia operato aggiustamenti con compensazioni, dei vari fattori di costo.
In sostanza la ricorrente rivendica la possibilità di operare nel mercato delle telecomunicazioni, così come sta emergendo negli ultimi anni, caratterizzato da una domanda sempre maggiore di prestazioni personalizzate ed integrate, al pari degli OLO. Il che non significa libertà di adottare pratiche escludenti e anticoncorrenziali.
Risulta di palmare evidenza che il margine di discrezionalità rivendicato nell’adozione di “pacchetti integrati” trova un limite invalicabile nel divieto di price-squeeze e di condotte escludenti, il cui concreto accertamento è sempre possibile sull’offerta presentata, con tutte le ineludibili conseguenze che ciò comporta.
L’Autorità potrà effettuare indagini volte a valutare la compatibilità dell’offerta con i principi del diritto della concorrenza, accertando che siano stati rispettati parametri di conformità all’OIR e di replicabilità dell’offerta medesima, considerando le componenti di essa unitariamente, in un ottica di necessaria autonomia imprenditoriale.
B) Questioni specifiche.
2.1. Seguendo la partizione precedentemente indicata, il Collegio procede ad esaminare il gruppo delle censure con cui TI contesta la legittimità della parte della delibera relativa all’analisi di replicabilità delle offerte.
E’ necessario evidenziare, preliminarmente, che il secondo gruppo di condotte abusive accertate nel provvedimento impugnato ha riguardato la formulazione da parte di TI di condizioni economiche e tecniche nelle offerte ai clienti aziendali non replicabili dai concorrenti, a fronte di costi e condizioni tecniche stabilite in via regolamentare per l’offerta dei servizi intermedi a questi ultimi. Tali condotte si sono caratterizzate come pratiche escludenti (pricesqueeze) e discriminatorie nei mercati (a monte) della fornitura di input o fattori intermedi di rete agli OLO concorrenti e sono consistite nell’applicazione da parte di TI di condizioni tecniche ed economiche agli OLO peggiorative rispetto a quelle praticate dalla stessa TI alle proprie divisioni commerciali.
Nell’ambito di tali comportamenti rientra una pluralità di offerte economiche e tecniche rivolte alla grande utenza aziendale, a clienti di dimensioni minori, pubblici e privati, nonché l’offerta di TI nella gara Consip del 2002, per la fornitura di servizi di telecomunicazioni alla P.A.
Nel ricorso si contesta sia l’accertamento della non replicabilità delle condizioni economiche che il metodo utilizzato dall’Autorità con riguardo alle offerte alla GCA, alla gara Consip e alle offerte standard, ribadendo quanto affermato nel corso del procedimento antitrust.
La società ricorrente propone una prospettazione diversa e alternativa rispetto all’accertamento effettuato dall’Autorità, articolata in due ordini di argomentazioni, il primo relativo al concetto di costo regolatorio, il secondo al metodo di calcolo dello stesso.
In relazione al primo profilo la Società premette di dover fornire i servizi di interconnessione in qualsiasi parte del territorio nazionale, avvalendosi delle strutture impiantistiche a disposizione. Il prezzo di fornitura dei vari servizi di interconnessione deve essere, ai sensi dell’art. 7 della direttiva 2002/19/CE, “orientato ai costi”.
Poiché il prezzo dei servizi di interconnessione deve essere indipendente dall’OLO che lo chiede, dalla località dove viene richiesto, nonchè dall’età e caratteristiche dell’ impianto che TI ha concretamente messo in campo in quella specifica località (impianto che puo’ essere stato acquistato e costruito 10 anni prima oppure un anno prima, etc), è evidente che tale prezzo non puo’ che essere orientato al “costo medio” della rete TI.
La Società evidenzia, altresì, che la propria rete è in Italia la più completa, estendendosi anche a zone di bassa densità dell’utenza ed è per questo destinata a fornire il c.d. servizio universale. Per tutti questi fattori l’AGCom, in via regolatoria, individua, servendosi della documentazione formatasi sulla base di un sistema di separazione contabile predisposto dalle norme regolamentari e certificato da un revisore indipendente nominato dalla medesima AGCom, una serie di costi di singole componenti di reti ( e poi di aggregazioni di componenti, atte a erogare i servizi di interconnessione) che per definizione sono “costi medi”, in quando riflettono stratificazioni temporali di tecnologie e di investimenti, differenze geografiche e differenze di dispersione di clientela.
L’offerta di interconnessione di riferimento raccoglie, quindi, i prezzi dei vari servizi ed è necessariamente riferita ai costi medi di tutte le risorse di rete, costo che, per definizione, non puo’ che essere maggiore del costo di produzione cui va incontro – per il medesimo fattore di rete – un operatore che abbia replicato componenti di rete analoghe investendo in anni recenti, senza i vincoli del passato e sfruttando esclusivamente tecnologie nuove, più efficienti e meno costose di quelle mediamente utilizzate da TI.
I “costi regolatori” dei singoli fattori produttivi vanno anche utilizzati, ai sensi della delibera 152/02/Cons, per valutare i costi di rete dei servizi generalizzati standard che TI vende ai propri clienti finali (cioè i servizi retail); conseguentemente il costo di rete di un servizio retail generalizzato standard è un costo medio di rete.
Discorso aggiuntivo, ma concettualmente analogo, va fatto per i costi commerciali. La Contabilità Regolatoria impone a TI di dare evidenza anche dei costi commerciali sostenuti per l’offerta alla clientela retail, separatamente per ciascun servizio; essi devono essere sommati ai costi medi di rete afferenti il servizio, per formare così il costo regolatorio totale di un determinato servizio generalizzato standard.
Riassumendo quanto esposto, la Società sostiene che il costo regolatorio dei servizi retail esposto nei documenti contabili previsti dalla citata delibera n. 152/02/cons. rappresenta un costo medio e costituisce la soglia sotto la quale, secondo l’Autorità, TI non dovrebbe mai scendere nella contrattazione con la clientela business, sia pubblica che privata, poiché un prezzo leggermente al di sotto non sarebbe replicabile da un OLO.
Il Collegio ha avuto modo di affrontare la questione della valenza, in termini di “cogenza”, dell’OIR come parametro di replicabilità ed ha evidenziato che non è rinvenibile una norma che imponga l’assoluto rispetto dell’OIR, né che la configuri come tariffa inderogabile da parte dell’operatore dominante.
La configurazione dell’offerta di interconnessione come prezzo fisso stabilito ex ante è, inoltre, priva di logica e ragionevolezza in quanto, se TI fosse obbligata al pedissequo rispetto dell’OIR, non potrebbe esistere un mercato concorrenziale, con, in ultima analisi, grave danno per i consumatori.
Si avrebbero solo operatori diversi i cui costi operativi sarebbero pressoché identici, in quanto determinati dal prezzo pagato per l’interconnessione, ovvero inferiori per l’assenza dei costi, per gli OLO, dotati di una rete propria alternativa a quella di TI.
2.2. Per quanto attiene al secondo profilo la Società evidenzia che le direttive comunitarie di riferimento richiedono di adottare nella contabilità regolatoria dell’incumbent una metodologia più innovativa, passando da una definizione dei costi sottostanti l’OIR basata su di una metodologia fully distributed cost/hystorical cost accounting (FDC/HCA) ad una metodologia fully distributed cost/current cost accounting (FDC/CCA) o meglio ancora Long Run Incremental Cost (LRIC), allo scopo di incentivare lo sviluppo e promuovere una concorrenza tra operatori efficienti.
Il legislatore comunitario affida tale compito alle autorità nazionali di settore (NRA).
In Italia l’AGCom non ha ancora adottato una metodologia di calcolo più innovativa, in quanto l’OIR fissata per gli anni di riferimento (anni 2001 e 2002) è stata calcolata con una metodologia di tipo FDC, ossia i costi comuni e congiunti vengono allocati rispetto all’insieme dei servizi offerti ai clienti e comprendono anche i costi del capitale (WA CC, ossia Weighted Average Cost of Capital) con una metodologia, quindi, non adeguata sia sotto un profilo economico che sotto un profilo giuridico.
A tale inadeguatezza, di cui non è responsabile la Società, che ha più volte dichiarato la propria disponibilità ad adeguarsi ad una diversa e più innovativa metodologia di calcolo, dovrebbe aggiungersi un fattore assai rilevante nel dinamico mercato delle telecomunicazioni, determinato dal notevole lasso di tempo che intercorre tra la proposta e l’adozione della delibera di approvazione.
Ciò premesso, TI non ritiene in via generale che i costi regolatori dei servizi finali possano fornire una base corretta per la verifica della replicabilità delle offerte dell’operatore che si assume dominante, in quanto, proprio per i ritardi nell’innovazione della base contabile utilizzata, i suddetti costi sovrastimano sistematicamente i costi effettivi, che sono di natura LRIC.
La società istante introduce una distinzione tra il test per verificare la non predatorietà di un’ offerta e il test della replicabilità oggettiva di una offerta da parte di concorrenti efficienti, ossia un test di price-squeeze che attiene al rapporto tra i prezzi a monte ed a valle.
I due tests coincidono solo in quanto entrambi devono essere condotti riguardo al prezzo retail relativo all’offerta integrata e non disarticolata per singoli servizi. Ciò discende dal fatto i concorrenti sono in grado di presentare gli stessi pacchetti di servizi offerti dall’impresa verticalmente integrata. I due tests differiscono invece metodologicamente in quanto, mentre per un test di predatorietà occorre prendere in considerazione solo i LRIC (Long Run Incremental Costs), per verificare la replicabilità dell’offerta occorre procedere secondo il cd imputation test, che richiede di individuare quali sono i servizi di rete che anche un OLO efficiente dovrà acquistare dall’operatore dominante, e quindi tener conto del fatto che, oltre l’interconnessione, esistono modalità di accesso più convenienti dell’offerta di interconnessione (ULL e fibra ottica, ad esempio).
TI ha sostenuto che per tutti gli elementi di rete che un OLO non deve acquistare dall’incumbent (e quindi almeno le tratte backbone a lunga distanza), il riferimento al costo di rete regolatorio dei servizi di TI è fuorviante; in ogni caso, bisogna far riferimento ai costi efficienti, cioè quelli correlati alla realizzazione di una rete a tecnologia innovativa utilizzando modelli di costo LRIC e quelli commerciali effettivamente sopportati. Inoltre, la valutazione deve essere effettuata sull’insieme dei servizi acquistati dal cliente finale perché il cliente sceglierà l’operatore in base all’economicità complessiva della fornitura richiesta. Se il cliente finale acquista servizi integrati e se ciascun OLO presente sul mercato italiano è in grado di formulare un’offerta integrata, quello è il livello dei servizi sul quale si svolge il confronto competitivo.
Richiamato quanto illustrato nell’esame delle precedenti censure, con particolare riferimento alla configurazione dell’OIR, il Collegio esaminerà le censure singolarmente, con riferimento alla gara Consip, alle offerte alla GCA ed alle offerte standard alla clientela business normale.
2.3. Nel Luglio 2002 Consip s.p.a., società indirettamente controllata dal Ministero del Tesoro, ha indetto una gara comunitaria a procedura aperta per l’individuazione del soggetto con cui stipulare una convenzione per l’affidamento dei servizi di telefonia fissa e mobile per la P.A.
Le principali caratteristiche della gara possono riassumersi nei termini seguenti:
1) articolazione in due lotti: Lotto A per l’affidamento dei servizi di telefonia fissa, di base e aggiuntivi di connettività IP, fornitura e ottimizzazione di Local Loop, nonché di servizi connessi di fatturazione, rendicontazione, manutenzione, assistenza e reportistica (copertura richiesta:intero territorio nazionale); Lotto B per l’affidamento dei servizi di telefonia mobile, di base e aggiuntivi, di noleggio e manutenzione di apparati radiomobili e di schede SIM, nonché di servizi connessi di rendicontazione e di reportistica (copertura richiesta, 80% del territorio nazionale);
2) condizioni di offerta: 1) divieto di offerte parziali; 2) ogni offerta deve riferirsi al singolo lotto; 3) possibilità di presentare, oltre a un prezzo necessario (c.d. offerta non condizionata) anche un prezzo facoltativo (offerta c.d. condizionata)
3) condizioni di Partecipazione: divieto di partecipazione per le imprese con rapporti di controllo ex art. 2359 c.c. con altre imprese partecipanti singolarmente o come componenti di RTI o di Consorzi;
4) criteri di aggiudicazione: secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa valutata in base alle modalità e ai criteri fissati nel Capitolato, che attribuiscono 30 punti alla valutazione della componente tecnica e 70 a quella economica.
5) durata: 12 mesi, nel senso che entro questo termine le Amministrazioni possono aderirvi, mentre i singoli contratti attuativi della stessa hanno durata sino al diciottesimo mese dalla scadenza della durata della Convenzione. Di conseguenza la generalità dei contratti ha una durata al più di 30 mesi, ma in media minore.
La società ricorrente ha partecipato alla gara per entrambi i lotti risultando aggiudicataria del Lotto A, in quanto la sua offerta non condizionata, del valore complessivo di 488,731 milioni di euro, è stata valutata economicamente più vantaggiosa di quella dell’altro unico operatore concorrente che ha partecipato alla gara, ossia ALBACOM, che aveva presentato un’offerta di circa 798 milioni di euro.
Per il Lotto B è, invece, risultata vincitrice la società WIND Telecomunicazioni S.p.A. con un’offerta di oltre 60 milioni di euro.
I servizi di telefonia fissa di cui al Lotto A erano, peraltro, già forniti, al momento dell’aggiudicazione della gara, da TI in quanto vincitrice della precedente gara CONSIP indetta nel 2000, con conseguente applicazione della clausola di cui all’art. 7 del Capitolato tecnico, che prevede l’applicazione automatica alle Pubbliche Amministrazioni già convenzionate delle condizioni previste dalla nuova convenzione se oggettivamente migliorative e salvo comunicazione di revoca da parte dell’Amministrazione stessa.
Emerge dalla delibera impugnata che la CONSIP, nel corso della gara, ha riscontrato il carattere anormalmente basso dell’offerta presentata da TI, alla quale ha, pertanto, rivolto richiesta di fornire dettagliate giustificazioni; l’impresa, in replica, ha addotto vari fattori a giustificazione della particolare convenienza della propria offerta economica, tra i quali la significativa durata contrattuale, il numero elevato delle amministrazioni che potranno aderire alla convenzione, la possibilità di ridurre alcuni costi fissi. L’insieme di queste circostanze avrebbe, infatti, permesso a TI di applicare “i migliori prezzi riferiti alle richieste di elevati volumi e relativi a una significativa durata contrattuale”.
Tali argomentazioni sono state valutate sufficienti dalla stazione appaltante.
L’unico altro operatore concorrente, Albacom s.p.a., nel mercato delle telecomunicazioni dal 1998 per la concessione di licenza individuale per l’offerta del servizio pubblico di telefonia vocale da parte del Ministero delle Comunicazioni, ha denunciato il comportamento anticoncorrenziale di TI, ritenendo sottocosto il listino applicato alla suddetta gara.
Con riferimento all’offerta presentata nella gara CONSIP 2002 la società ricorrente sostiene di aver presentato un “pacchetto” replicabile da un OLO efficiente, negando di aver posto in essere una condotta anticoncorrenziale.
L’istante richiama le conclusioni dello studio sulla profittabilità e replicabilità dell’offerta per la gara CONSIP, già esibito all’Autorità, evidenziando il difetto di istruttoria della delibera in parte qua, poiché non ha considerato una serie di presupposti generali di analisi, che, ove fossero stati valutati, avrebbero portato ad un risultato economico completamente diverso.
Durante l’istruttoria TI proponeva uno studio di replicabilità alternativo, evidenziando alcuni elementi di valutazione tra i quali la circostanza che l’ analisi dell’offerta CONSIP doveva essere svolta, come previsto nel bando di gara, sull’offerta nel suo complesso e che i soli costi rilevanti nell’analisi erano i costi incrementali o evitabili, che non sarebbero sorti se la gara non fosse stata aggiudicata a TI.
Sulla base di questi presupposti la ricorrente sosteneva la replicabilità dell’offerta CONSIP, da parte di concorrenti efficienti considerando il complesso dei servizi offerti, dimostrandone anche la remuneratività nel suo complesso.
Telecom Italia ha, quindi, fornito alcune linee di difesa più specifiche sui comportamenti assunti nella gara CONSIP, sia in materia di replicabilità economica e tecnica delle offerte che in termini di clausole contrattuali adottate, attraverso il deposito di un documento illustrativo della consistenza delle “infrastrutture dei principali operatori alternativi a Telecom Italia”, cioè le infrastrutture “ replicate” dai concorrenti, documento che è stato ridepositato agli atti del presente giudizio sotto la lettera u).
L’amministrazione resistente rileva l’infondatezza delle censure proposte, evidenziando che, da un punto di vista metodologico, l’accertamento della non replicabilità delle condizioni economiche di pacchetti integrati di servizi offerti da TI alla clientela affari tramite l’analisi per singola componente di servizi e, nell’ambito dei servizi voce, per singola direttrice di traffico, risulta necessario per verificare che l’operatore dominante non sussidiasse eventuali perdite sui servizi maggiormente esposti alla concorrenza con profitti realizzati su altre componenti della medesima offerta, ossia che non effettuasse sussidi incrociati allo scopo di mantenere o rafforzare la propria posizione di dominanza.
Peraltro, nel caso dell’offerta Consip 2002, la non replicabilità è stata accertata anche con riguardo all’offerta integrata nel suo complesso.
Per quanto riguarda la valutazione di non replicabilità essa si è basata sul presupposto, poi confermato dall’AGCom, che i costi attribuiti a TI e quelli da essa indicati all’Autorità di settore a fini regolatori dovessero basarsi sulla medesima metodologia di calcolo. Viceversa, TI ha indicato all’AGCom la metodologia (CCA/FDC) per i costi regolatori degli OLO ai fini dell’OIR, smentendosi, poi, in sede di difesa dinanzi all’Autorità, quando ha sostenuto che la replicabilità dei suoi prezzi ai clienti finali dovesse essere verificata sulla base di una diversa metodologia (LRIC), dichiarando espressamente che la metodologia (CCA/FDC) sovrastimava i costi di rete di TI .
Il Collegio ritiene che l’accertamento compiuto dall’Autorità con specifico riferimento all’offerta di TI nella gara Consip sia sorretto da adeguata istruttoria e sia esente dai vizi denunciati con il ricorso.
Risulta effettuata, infatti, una completa e approfondita valutazione della non replicabilità del listino Consip, giudicandolo fortemente sottocosto rispetto ai prezzi regolatori e, quindi, idoneo a configurare un illecito concorrenziale.
Il provvedimento valuta, in primo luogo, la non replicabilità dell’offerta riferita ai singoli servizi (§ 2.1.3), considerando tutte le componenti di costi e di prezzi e prendendo in considerazione l’analisi alternativa proposta da TI nel corso dell’istruttoria, per arrivare, in adesione anche alle argomentazioni proposte dai denuncianti, alla conclusione della anticoncorrenzialità della condotta posta in essere dalla Società.
Dalle risultanze istruttorie emerge la piena consapevolezza della dirigenza di TI, in fase di predisposizione dell’offerta di gara, della non replicabilità dei prezzi di alcuni servizi: in particolare, nonostante la documentazione rinvenuta indicasse il prezzo di 288 lire/minuto per il traffico fisso-mobile come soglia minima di offerta, il prezzo poi effettivamente offerto da TI per tale direttrice di traffico nel listino per la gara Consip 2002 era di molto inferiore a tale limite critico, ossia pari a 10,53 eurocent/minuto (circa 204 lire/minuto).
Questa circostanza veniva confermata dai rappresentanti di TI nel corso dell’audizione istruttoria del 5 agosto 2003, allorché il Responsabile Affari Regolatori Divisione Domestic Wireline confermava espressamente che l’offerta di TI presentata per la gara Consip 2002 non assicurava la redditività su ciascuna direttrice di traffico.
L’analisi condotta dall’Autorità evidenzia, inoltre, la non replicabilità dei prezzi offerti da TI per la componente linee-affittate (circuiti PABX) rispetto alle corrispondenti offerte agli OLO per i medesimi servizi, come riconosciuto espressamente dai consulenti economici di TI intervenuti nell’istruttoria, a fronte di un maggior costo per gli OLO per tale servizio pari a 9 milioni di euro.
Ulteriori componenti non replicabili dell’offerta di TI sono quelle relative alla trasmissione dati (servizi di multiconferenza) ed alla connettività IP (dial-up). Anche con riferimento a tali componenti TI non contesta nel ricorso la non replicabilità del prezzo per il servizi di connettività IP (dial-up), ma sostiene, senza riscontro documentale, che le stime dei costi complessivi contenute nel documento istruttorio citato nella delibera sarebbero incoerenti con le specifiche del servizio richieste dal capitolato della gara Consip.
Pur ritenendo non probanti le dichiarazioni rese dalla dirigenza Telecom davanti l’Autorità in ordine alla non replicabilità di alcune voci, in quanto la tesi che TI sostiene si basa sulla replicabilità della sua offerta nella gara Consip, se complessivamente considerata, e non di ogni singola componente, dalla delibera, tuttavia, emerge l’accertamento dell’effettiva non replicabilità della offerta medesima, anche se valutata come “offerta integrata”.
Il provvedimento dà conto dell’istruttoria compiuta dall’Autorità, la quale ha effettuato una puntuale e completa analisi dell’offerta Consip nel suo complesso (§ 2.1.4), dimostrando di aver basato la valutazione di non replicabilità su un solido fondamento probatorio: l’esibizione di un documento istruttorio (89.4), costituito da un simulazione interna trovata in ispezione presso la Divisione Pubblica Amministrazione Centrale di TI, che aveva materialmente predisposto l’offerta per la gara Consip, e che attesta la predetta non replicabilità dell’offerta di TI, anche ove valutata come offerta integrata.
Nel ricorso non si confuta la portata probatoria di tale atto, limitandosi a contestare il metodo di valutazione disaggregata dell’offerta e a prospettare un non dimostrato errore di calcolo finale nei margini positivi dell’offerta integrata; nel corso dell’istruttoria antitrust, infine, TI aveva reiteratamente cercato di dare una “diversa interpretazione” a detto documento, negandone la valenza probatoria, in quanto riferito a valori espressi in milioni di euro, piuttosto che a miliardi di lire e relativo non già all’intero perimetro dei servizi posti a gara, ma solo alle componenti voce ed accessi.
Dalla delibera emerge che TI è stata sentita due volte in audizione sull’argomento, proponendo delle interpretazioni parzialmente contrastanti.
Il provvedimento, anche per quanto riguarda l’asserito errore di calcolo, in grado di inficiare completamente le conclusioni dell’analisi, appare esauriente nella prospettazione della valutazione economica e nell’analisi della simulazione alternativa proposta, non mutando il risultato dell’analisi effettuata (vedi tabella 25 della delibera).
La delibera, da ultimo, risulta congruamente e sufficientemente motivata nell’analisi della strategia commerciale sottostante, laddove (§ 425) evidenzia che TI ha “effettuato le sue scelte sulla base di una logica di gruppo che teneva conto distintamente dei costi, dei ricavi e dei margini derivanti a TI e TIM dalla partecipazione alla gara per il lotto A e per il lotto B.”
Appare di estrema rilevanza evidenziare che l’Autorità ha, nei paragrafi 435 e ss., compiuto l’analisi di replicabilità anche adottando la metodologia proposta da TI, per cui il criterio di replicabilità deve tenere conto della condizione di efficienza dell’operatore concorrente, pervenendo al medesimo risultato.
L’Autorità ha postulato che l’operatore, a partire dal terzo mese dall’aggiudicazione della gara, potesse optare per la fornitura dell’accesso mediante ULL, anziché attraverso la preselezione automatica fornita da TI (CPS), fino a un certo numero di canali telefonici mensili, giungendo alla conclusione che l’ipotesi di partenza non poteva trovare riscontro nella realtà per l’impossibilità reale di attivare un elevatissimo numero di linee unbundling, data la necessità di tempi tecnici molto più lunghi di quelli ipotizzati da TI.
Nei successivi paragrafi l’Autorità prende in esame singolarmente tutti gli elementi proposti da TI nell’analisi di replicabilità dell’offerta, tra cui i valori di decalage sulla terminazione fisso-mobile e l’attribuzione dei costi di Kit e Circuiti per il traffico internazionale e fisso-mobile, arrivando comunque ad una valutazione di non replicabilità.
Si legge nella delibera, al paragrafo 448:
“Si è quindi sviluppata un’analisi alternativa a quella dello studio prodotto da TI, sia pure mantenendo le ipotesi fondamentali adottate in quest’ultimo, nonostante non se ne condivida il fondamento per le motivazioni illustrate in precedenza. Occorre sottolineare che l’esercizio di seguito assume le medesime ipotesi di base adottate da TI al solo scopo di illustrare come la conclusione di replicabilità proposta dalla difesa riposi su un ben preciso insieme di ipotesi e che l’introduzione di una modifica seppur minore a tale set di ipotesi, correggendo elementi assolutamente non condivisibili alla luce delle risultanze istruttorie, conduca alla conclusione opposta di non replicabilità dell’offerta nel suo complesso. Pertanto, ai soli fini dell’esercizio prospettato, nel seguito si assume:
— una valutazione di replicabilità dell’offerta CONSIP con riferimento al complesso dei servizi previsti dal bando di gara e non riguardo a singole componenti;
— che i valori riportati per i costi generali e di marketing riflettano i costi che TI si aspetta di sostenere in caso di vittoria e non il livello medio dei costi calcolato ai fini della contabilità regolatoria. I soli costi rilevanti nell’analisi sono quindi i costi incrementali o evitabili, che non sarebbero sorti se la gara non fosse stata aggiudicata a TI;
— l’adozione di tutte le ipotesi di decalage utilizzate da TI ad eccezione di quella per il fisso-mobile che la stessa TI riteneva non ragionevole nell’orizzonte temporale di fornitura, riducendola leggermente;
— l’ azzeramento dei costi esterni di rete del concorrente relativi ai Kit ed ai circuiti di interconnessione sulla rete di TI, ossia gli unici costi per Kit e circuiti considerati sono quelli relativi all’interconnessione con reti diverse, ovvero fisso-mobili o internazionali.”
Occorre, infine, sottolineare che anche l’AGCom, nel parere reso, conferma la valutazione di non replicabilità dell’offerta, condividendo, sostanzialmente, la sopravvalutazione e l’onerosità dei costi degli input o fattori intermedi fatti gravare sugli OLO, rispetto a quelli imputati alle proprie divisioni commerciali nella predisposizione dell’offerta nella gara Consip.
Conclusivamente, con riguardo alla gara Consip, il Collegio respinge le censure proposte dalla società ricorrente.
2.4 Prima di passare alla trattazione delle censure relative all’accertamento delle condotte anticoncorrenziali adottate da TI nell’ambito dei rapporti con la Grande Clientela Affari, il Collegio ritiene necessario richiamare alcune considerazioni, già esposte, e relative alla posizione della Società nei confronti della GCA.
Si è più volte rappresentato che gli utenti menzionati nel provvedimento sono clienti “particolari”, in quanto dotati di un potere negoziale (buy power) così rilevante da determinare un significativo indebolimento della forza contrattuale dell’operatore dominante, in ragione delle dimensioni economiche dell’impresa.
Tale aspetto, trascurato dall’Antitrust nella delibera impugnata in sede di individuazione del mercato rilevante e della conseguente posizione dominante di TI, ha determinato l’ errata qualificazione della forza contrattuale della Società verso i grandi clienti e l’erronea valutazione dell’elemento soggettivo sottostante le condotte anticoncorrenziali imputate a TI.
In particolare l’Autorità ha individuato il primo gruppo di comportamenti sanzionati, sul presupposto dell’ assoluta dominanza di TI nei confronti dei clienti, tale da portare all’imposizione di clausole volte a fidelizzare l’utente, escludendo un potenziale operatore concorrente.
Tali condizioni contrattuali, identificate nelle clausole di esclusiva, negli sconti fidelizzanti, nelle penalizzazioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa e nelle c.d. clausole inglesi, sarebbero state poste in essere in attuazione di una strategia commerciale unitaria finalizzata alla difesa della posizione storicamente detenuta da TI in quanto operatore ex- monopolista ed alla esclusione dei concorrenti dal mercato.
L’accertamento di tali condotte ha portato all’irrogazione di una delle sanzioni pecuniarie contestate.
La Società, con articolati motivi di ricorso, partendo dalla contestazione della propria posizione di dominanza, deduce ulteriori vizi della delibera nella parte in cui, conseguentemente all’illegittima impostazione, attribuisce a TI le condotte anticoncorrenziali sanzionate, costituite dall’imposizione di clausole fidelizzanti e dalla presentazione di offerte economicamente e tecnicamente non replicabili. Sotto quest’ultimo profilo lamenta l’illegittimità del provvedimento per l’erroneo svolgimento dell’analisi di replicabilità.
TI deduce, quindi, l’errata e falsa interpretazione che l’Autorità ha proposto della delibera n.152/02/cons. dell’AGCom, presa a riferimento per la valutazione di replicabiltà delle offerte.
Per quanto attiene all’aspetto relativo all’imposizione delle clausole, il Collegio, sviluppando le considerazioni in precedenza svolte sulla posizione di TI nei confronti della GCA, ritiene che l’Autorità abbia compiuto una istruttoria incompleta e non approfondita della situazione di fatto sottostante alla determinazione di imputare comportamenti illeciti a TI.
Nel provvedimento (§ 340) si legge che la Società ha attuato una politica commerciale, nei mercati di riferimento, caratterizzata da “azioni di retention e winback, ed è stata attuata, in particolare, mediante:
a) la previsione di sconti condizionati implicitamente o esplicitamente all’obbligo dell’acquisto esclusivo da TI. Rientrano in tale categoria le clausole contenute nei contratti, quali Accordi di Programma, Accordi di Partnership, Accordi Quadro e Accordi di Outsourcing, che prevedono sconti a volume personalizzati in base all’intero fabbisogno stimato del cliente, laddove questi sconti o sono legati espressamente a un obbligo da parte del cliente di soddisfare il suo intero fabbisogno di servizi di TLC avvalendosi unicamente dì TI o, disincentivando il cliente a diversificare i fornitori, equivalgono per la loro struttura a sconti condizionati ad obblighi di esclusiva;
b) l’applicazione della formula di “adeguamento alla migliore offerta”, in quanto equivalente all’applicazione di clausole inglesi;
c) la previsione, in alcune formule contrattuali, di penalizzazioni per il cliente nei casi di sviluppo di traffico con un fornitore alternativo.
d) l’introduzione di vincoli di esclusiva con contratti che prevedono condizioni di sconto espressamente condizionate all’obbligo di acquisto esclusivo (o quasi esclusivo).”
La difesa erariale sottolinea come tale motivo di ricorso non sia altro che la riformulazione delle doglianze relative all’errata definizione del mercato unico dell’utenza business e della dominanza di TI e evidenzia che l’accertamento effettuato dall’Autorità si basa su ampie e comprovate risultanze istruttorie.
Il Collegio ritiene che le doglianze di TI vadano condivise, alla luce della documentazione depositata in atti e delle argomentazioni contenute nella memoria illustrativa.
La Società ha dimostrato documentalmente quanto affermato nel ricorso sulle caratteristiche della GCA, differenziata dall’utenza affari, sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
In particolare:
– il ricorso a procedure complesse per la selezione del fornitore;
– l’utilizzazione di consulenti/mediatori specializzati nella fase di negoziazione e conclusione del contratto;
– la richiesta di forniture integrate di servizi diversi di TLC.
Da tali caratteristiche si evince agevolmente la diversità della situazione del mercato formato dai “grandi clienti”, che stabiliscono le regole della negoziazione, il più delle volte ricorrendo a vere e proprie gare, altre volte all’intermediazione di società di consulenza e servizi, stabilendo il contenuto, quantitativo e qualitativo del contratto, anche tramite l’applicazione delle clausole che l’Autorità ha considerato illecite, in quanto espressione di un preciso piano strategico escludente, unilateralmente progettato da TI.
Per quanto attiene all’utilizzo di procedure complesse per la negoziazione e conclusione del contratto, dalla documentazione depositata si rileva che il 54% dei 56 clienti, identificati dalla CRI e dal provvedimento nella analoga tabella a p. 59, ha fatto ricorso, per la stipulazione dei contratti di fornitura di servizi di TLC oggetto dell’istruttoria, a procedure di gara, mentre il 32% ha utilizzato, per la negoziazione, società di consulenza.
Risulta, inoltre, che le gare indette da tali clienti, appartenenti di regola al mondo bancario od assicurativo o comunque al mondo della grande impresa, si articolano in due fasi.
Nella prima vengono individuati gli operatori che sono tecnicamente in grado di garantire la fornitura richiesta, nel rispetto di specifiche condizioni economiche coincidenti con un prezzo massimo prestabilito. In questa fase, il cliente sottopone ad un insieme di possibili fornitori le proprie necessità sotto forma di “schemi predefiniti di servizio”, denominati “Richiesta di Offerta”, il cui puntuale rispetto costituisce un requisito essenziale per la valida partecipazione alla gara.
Nella seconda fase, gli operatori che hanno superato la prima selezione vengono invitati a formulare nuovamente le condizioni economiche di fornitura, proponendo offerte al ribasso rispetto a quelle presentate precedentemente.
Da tale meccanismo consegue una chiara incidenza della volontà del cliente sull’esplicarsi del gioco concorrenziale ed anche sulla stessa formulazione contrattuale, posto che assai spesso il “capitolato” prevede, addirittura nel dettaglio, la durata del rapporto, le modalità di recesso e le revisioni periodiche del prezzo di fornitura.
Altre modalità di selezione da parte della clientela, come le c.d. Gare on Line (di seguito, GOL), sono state largamente applicate nel triennio di riferimento dell’istruttoria condotta dall’Autorità.
Ad esempio, Unicredito, alla fine del 2002, ha incaricato una società di consulenza di indire per suo conto un’asta telematica per l’acquisto di servizi di telefonia fissa per il Gruppo. Agli inizi del 2003 la società di consulenza ha sollecitato, via mail, TI a formulare rilanci al ribasso e solo dopo è stato stipulato il contratto.
Un dato sembra emergere con assoluta evidenza: nel rapporto negoziale la domanda è forte quanto o più dell’offerta dell’operatore.
Per quanto attiene al ricorso a società di consulenza per la negoziazione dei contratti di fornitura in discorso, essa è documentalmente provata in più casi, tra i quali Lombardini e Finmeccanica.
La funzione del consulente/mediatore che emerge è sostanzialmente sostitutiva del cliente nella fase della trattativa contrattuale e della predisposizione analitica dello schema negoziale, costruendo una domanda che può solo essere accettata o rifiutata dal fornitore.
Significativo appare il caso di Finmeccanica che ha predisposto “richiesta di offerta per fornitura di servizi di telefonia fissa” come un capitolato tecnico, che definisce integralmente e nel dettaglio l’oggetto dei servizi richiesti, nonché “l’offerta economica per la fornitura”, che quantifica in un importo “a corpo” il prezzo massimo per il traffico nazionale e specifica in una dettagliata tabella il prezzo minutario massimo per il traffico internazionale.
L’art. 12 dello schema di offerta contiene le condizioni generali di contratto, definite unilateralmente da Finmeccanica, e stabilisce che il pagamento avverrà a 90 giorni dalla fine del mese nel quale sarà stata emessa la fattura.
Nella lettera d’invito Finmeccanica ha cura di specificare che “si riserva la facoltà, in funzione delle offerte ricevute, di assegnare direttamente la fornitura o, in alternativa, di procedere ad una fase di affinamento delle offerte ricevute per identificare una short list di fornitori con i quali attivare una negoziazione on-line gestita dalla società BravoSolution s.p.a.”;
Analoghe modalità sono rinvenibili nei rapporti con Unicredito, che, alla lettera d’invito del 15.2.2001, allega le “specifiche sulla fornitura del servizio di telefonia” dove sono identificati contenuti e limiti del servizio richiesto e, quanto al corrispettivo, è richiesta una “tariffa flat per minuto di traffico unificata … senza addebito alla risposta e senza canone per le linee telefoniche”; in alternativa “una quantificazione a forfait” omnicomprensiva annua.
Alla scadenza dell’accordo programmatico (contratto di servizio) stipulato per gli anni 2001-2002, Unicredito incarica la società di consulenza di indire un’asta telematica per acquistare i servizi di TLC per il biennio successivo nella quale erano predeterminati contenuti e modalità delle prestazioni. All’esito della gara è stato chiesto un ulteriore rilancio al ribasso per il prezzo a seguito del quale TI si è aggiudicata il contratto.
Ulteriore documentazione è relativa ad altri casi che si collocano nella medesima prospettiva negoziale, come la “richiesta di offerta di servizi di TLC” del 18 gennaio 2002 di IBM, che regola tempistica, modalità di partecipazione alla gara, oggetto e caratteristiche dei servizi richiesti ovvero la gara bandita dalla Banca Popolare di Lodi, di cui ha definito oggetto, tempi e modalità, predisponendo unilateralmente il testo del contratto.
Rileva il Collegio che la casistica è molto ampia e presenta aspetti di uniformità nelle modalità di contrattazione che, nel corso dell’istruttoria, l’Autorità avrebbe dovuto individuare e considerare nell’accertamento dell’attuazione delle condotte illecite e dell’intenzionalità di tali condotte (elemento soggettivo dell’illecito).
A fronte di un cliente “forte”, era opportuno chiedersi quale effettivo rilievo avesse la domanda rispetto all’offerta in quel settore, accertando in concreto i reali rapporti di forza e, conseguentemente, la consistenza della posizione di dominanza di TI.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo per difetto di istruttoria in quanto l’Autorità ha omesso di effettuare tale indagine, utilizzando pedissequamente le verifiche fatte nell’ambito di altre fattispecie, in applicazione di un principio astratto di abuso di posizione dominante.
In sostanza è mancata una corretta contestualizzazione della nozione indeterminata di “abuso di posizione dominante” alle circostanze fattuali, poiché l’Autorità ha, pregiudizialmente, trasposto nella fattispecie in questione l’ accertamento relativo alla conduzione della gara Consip, dove, peraltro, è stato trattato il solo profilo della non replicabilità dell’offerta.
Ulteriore profilo di illegittimità denunciato dalla ricorrente attiene alla valutazione che l’Autorità ha dato delle c.d. offerte standard, costituite dall’Offerta Budgetaria, Corporate e Business e dall’Offerta Business Voice, in quanto errata sotto un profilo interpretativo, rientrando tali offerte, nella costante pratica commerciale di un’impresa.
La Società sottolinea, inoltre, che le offerte standard erano state oggetto di approvazione dell’AGCom, in quanto considerate non discriminatorie e conformi ai parametri introdotti dalla delibera n. 152/02/cons.
Ad avviso dell’Autorità, tali offerte, generalmente rivolte all’utenza business normale, configurano, invece, comportamenti abusivi nei confronti degli operatori concorrenti, poiché hanno lo scopo di fidelizzare il cliente con l’applicazione di condizioni economiche particolarmente convenienti, subordinate al rispetto, da parte del cliente medesimo, degli obiettivi di consumo prefissati.
La tesi proposta da parte istante è condivisibile alla stregua del parere reso dall’AGCom nel procedimento antitrust in esame, in quanto quest’ultima, le cui determinazioni sono particolarmente incidenti sul provvedimento impugnato, come chiarito in precedenza, ha ritenuto che le offerte standard, comunicate da TI e approvate con modifiche, fossero pienamente compatibili con quanto previsto dalla delibera n. 152/02/cons.
L’AGCom ha espressamente chiarito che le formule contrattuali “standard”, che non rientrano nei “listini” offerti all’utenza grandi affari, rispetto al principio di non discriminazione tra le diverse tipologie di clientela, non alterano le condizioni di competizione nei mercati della telefonia destinata all’utenza business.
A fronte di una determinazione di tale chiarezza dell’Autorità di settore, l’Autorità ha invece proceduto nella sua valutazione negativa, ritenendo, come esposto dalla difesa erariale, sostanzialmente non rilevante l’approvazione da parte dell’AGCom; l’Autorità ha, infatti, messo in rilievo le modifiche apportate, a seguito delle indicazioni dell’AGCom, alle varie formule contrattuali proposte dalla società, per esaltarne il carattere abusivo. In realtà l’AGCom, nel richiedere modifiche, ha esercitato il proprio potere di controllo prima di approvare le clausole, rendendole conformi ai criteri espressi nella delibera citata.
Per i motivi esposti, la delibera impugnata, nella parte in cui configura come condotte abusive poste in essere da TI le formule contrattuali c.d. standard, non appare congruamente motivata, né istruita, risultando conseguentemente illegittima.
2.5 La Società lamenta l’illegittimità della delibera nella parte relativa all’accertamento della replicabilità delle offerte proposte alla G.C.A., ritenendo che l’Autorità abbia condotto il test di replicabilità in contrasto con la normativa di riferimento e in violazione della delibera n. 152/02/cons. dell’AGCom.
Ancora una volta occorre ribadire quanto in precedenza affermato in ordine alla disciplina dell’OIR ed alla sua configurazione, secondo quanto stabilito dall’AGCom, in particolare con la citata delibera n. 152/02/cons.
E’ stato chiaramente espresso che il costo regolatorio dei servizi retail esposto nei report di Separazione Contabile previsti dalla delibera 152/02/Cons, adottata dall’AGCom, rappresenta per sua natura un costo medio. Ed è tale costo medio la soglia sotto la quale, secondo l’Autorità, TI non dovrebbe mai scendere anche nelle contrattazioni con la Grande Clientela affari, in quanto a suo avviso, un prezzo anche leggermente al di sotto di tale costo regolatorio medio non sarebbe replicabile da un OLO (v. ad es. la tabella n. 29 a p. 185 del provvedimento impugnato, dove offerte praticate da TI vengono ritenute non replicabili perché le singole voci di costo non riflettono i dati regolatori).
L’intepretazione assunta dall’Autorità nella lettura della delibera 152/02/cons e dell’offerta di interconnessione di riferimento non è accettabile in quanto priva di una base normativa. In primo luogo, come il Collegio ha avuto modo di evidenziare, tale lettura trasformerebbe l’OIR in una tariffa vincolante per l’operatore e ciò non è in linea con i principi del mercato, né con la regolamentazione data dalle direttive europee.
In secondo luogo, l’interconnessione alla rete dell’operatore dominante può non essere necessaria per gli OLO, laddove essi sono dotati di infrastrutture proprie.
Dalla documentazione depositata in atti emerge che, su parti significative del territorio nazionale, esistono reti alternative, più moderne, in quanto create con le tecnologie più avanzate, nella disponibilità e nell’uso degli altri operatori.
Così anche l’interconnessione non è necessaria per certi servizi che possono essere resi con tecnologie diverse da quelle afferenti la rete TI, più economiche e più remunerative per l’operatore.
Risulta, pertanto, evidente che l’interconnessione alla rete TI è utilizzata da ciascun operatore in maniera differenziata dagli altri e non vi è un utilizzo omogeneo per ogni servizio, poiché, ove l’OLO è in grado di usufruire di una rete propria o di tecnologie alternative con un costo più basso, è altresì in grado di offrire al consumatore un prezzo più vantaggioso.
Tale meccanismo è sostenuto dalla normativa comunitaria che, nelle direttive del 2002 citate, detta regole volte ad implementare la creazione e fruizione di infrastrutture alternative a costo più basso di quello di cui all’OIR per il sostegno dell’operatore efficiente che interviene nella competizione, innovando e attivando la dinamica concorrenziale, vero approdo del processo di liberalizzazione del mercato.
La dipendenza dall’interconnessione si configurerà sempre di più come residuale, limitata ad alcuni punti nodali di struttura e fornitura, i cc.dd. bottleneck, colli di bottiglia (tipicamente nelle parti di rete locale, e non sulla lunga distanza), per i quali si deve comunque passare, e per altri momenti di strutture essenziali.
Secondo la prospettazione di parte, la conclusione è che se l’Autorità avesse voluto effettuare un corretto test di replicabilità dei prezzi praticati da TI alla GCA, si sarebbe dovuta domandare:
a) quali fossero i costi commerciali ai quali un operatore va incontro per tale specifica clientela (e quindi tramite un canale di commercializzazione profondamente diverso da quello “medio”, polarizzato dalla clientela residenziale);
b) quali costi di rete propria avrebbe avuto un Olo efficiente;
c) quali costi di interconnessione avrebbe avuto, per acquisire i cosiddetti servizi “bottleneck”, in quanto non immediatamente o facilmente replicabili.
In adesione a tale metodologia, l’Autorità non avrebbe dovuto valutare la replicabilità da parte di un Olo delle offerte in esame confrontandola con i costi regolatori dei servizi retail di TI, poiché questi ultimi costi, come già esposto, sono “costi medi”.
Il Collegio ritiene condivisibile la prospettazione di parte, anche in considerazione di quanto contenuto nella delibera n. 152/02/cons.
In quest’ultima l’AGCom stabilisce le “misure atte a garantire la piena applicazione del principio di parità di trattamento interna ed esterna da parte degli operatori aventi notevole forza di mercato nella telefonia fissa”, in applicazione dei principi comunitari in materia di abuso della posizione dominante e di armonizzazione tariffaria nel settore delle telecomunicazioni.
La delibera è volta a realizzare la parità di trattamento e la non discriminazione tra operatori rispetto all’interconnessione offerta, secondo tre direttive:
1) accesso alle informazioni necessarie all’interconnessione;
2) osservanza dei principi di trasparenza, obiettività e orientamento ai costi per le condizioni economiche relative all’accesso;
3) disaggregazione delle condizioni economiche di interconnessione per servizi e componenti per evitare che il richiedente debba sostenere oneri non strettamente attinenti al servizio richiesto.
A tutela del principio di trasparenza, l’AGCom stabilisce, inoltre, l’obbligo di separazione contabile a carico dell’operatore dominante, ritenendo tale misura proporzionata e conforme al quadro regolatorio comunitario, al contrario di quella proposta dall’Autorità nel parere reso sulla delibera, che proponeva di imporre la separazione proprietaria tra rete e gestione della stessa.
Con la delibera, infine, si introduce un nuovo sistema di calcolo dell’OIR, il c.d. network cap, con l’obiettivo di ridurre i prezzi massimi di interconnessione, al fine di incentivare una maggiore efficienza dell’operatore notificato.
Di specifico rilievo appare la parte in cui l’AGCom stabilisce i criteri per la valutazione della soglia di replicabilità che considera un OLO efficiente, che ha una propria infrastruttura di rete, sufficientemente estesa e che si interconnette al livello di rete TI più vicino al cliente finale, cioè il “bottleneck”.
L’Autorità di settore chiarisce che il test di replicabilità è condotto sui costi di rete dell’operatore notificato solo “in prima applicazione”, perché tali costi sono l’unico dato conoscibile sulla base dei documenti di contabilità regolatoria disponibili.
In seguito l’AGCom “procederà ad ulteriori specifiche valutazioni dei costi di rete di un OLO e dei costi operativi, che caratterizzano un operatore efficiente, anche sulla base dei dati rappresentativi di costo degli operatori alternativi.”.
Risulta, quindi, agevole desumere che la citata delibera n. 152 non introduce criteri inderogabili di comparazione all’OIR per l’operatore notificato, né un obbligo generale di offerta disaggregata, essendo prevista la sola disaggregazione ai fini della trasparenza dei prezzi dei singoli servizi intermedi ai fini dell’accesso dell’operatore alternativo.
Appare, inoltre, desumibile la considerazione del test price nei confronti di un OLO efficiente, nel senso che deve essere valutato, nell’analisi di replicabilità dell’offerta, il concreto uso della rete di TI da parte del concorrente, che varia di volta in volta, in relazione allo sviluppo della rete alternativa o dell’utilizzo di diversi sistemi di connessione.
Sostanzialmente, se è pacifico che l’operatore dominante deve assicurare la parità di trattamento nell’accesso alla propria rete, è altrettanto scontato che i costi regolatori delle singole componenti di rete saranno parametro di valutazione del comportamento dell’incumbent solo nel caso in cui gli operatori alternativi ne acquistano i servizi.
L’Autorità nel provvedimento impugnato, seguendo un’interpretazione opinabile della delibera dell’AGCom, non ha condotto un’ appropriata analisi di replicabilità delle offerte economiche proposte alla G.C.A., ancorché, nel parere reso in quella sede, avesse posto l’accento proprio sulla necessità di considerare il test price nei confronti di un OLO efficiente.
Un’adeguata istruttoria doveva essere condotta come era stata condotta nel test di replicabilità dell’offerta Consip, anche in considerazione dell’avvenuta acquisizione dei dati sui costi di rete e sui costi operativi di un OLO.
Resta chiaro che tali considerazioni non sono riferibili ai comportamenti anticoncorrenziali adottati da TI, laddove, come evidenziato nella CRI, TI ha utilizzato il listino Consip nella contrattazione con l’utenza business, essendo tale offerta anticoncorrenziale, come correttamente accertato dall’Autorità nella delibera gravata.
In siffatte ipotesi la Società ha posto in essere le condotte illecite contestate dall’Autorità in quanto un’ adeguata analisi di replicabilità ha evidenziato che le condizioni economiche praticate nell’offerta Consip erano fortemente sottocosto rispetto all’offerta di interconnessione, configurando una pratica di price-squeeze, come tale vietata dal diritto della concorrenza.
Nelle restanti ipotesi, in base alla documentazione in atti, con particolare riferimento al documento sotto la lettera u), già esibito nel corso del procedimento antitrust, il Collegio ritiene che un attento esame delle singole posizioni contrattuali e delle infrastrutture alternative degli OLO concorrenti avrebbe portato l’Autorità a conclusioni dimostrate e basate su una reale ricostruzione economica delle varie posizioni, in aderenza a quanto necessario per un corretto test di replicabilità.
Ad esempio, si legge a pagina 16 del citato documento, come evidenziato nella memoria della ricorrente, che nei confronti di uno dei grandi clienti i tre principali Olo risultavano essere in grado di soddisfare le esigenze del cliente per oltre la metà attraverso infrastrutture di loro proprietà (fibra ottica o per unbundling).
Ulteriori esempi sono riportati per altri clienti.
Non è questa la sede per svolgere un’analisi di replicabilità alternativa a quella effettuata dall’Autorità, essendo sufficiente evidenziarne l’errore di impostazione per la mancata conduzione dell’indagine innanzi indicata.
Conclusivamente, alla luce delle censure dedotte, il provvedimento impugnato è illegittimo, in quanto viziato per difetto di istruttoria nella parte relativa alla verifica della replicabilità delle condizioni economiche delle offerte alla CGA.
2.6. Secondo la ricorrente ulteriori vizi di legittimità della delibera impugnata si configurano nel difetto di istruttoria e motivazione della parte in cui l’Autorità esamina gli impegni assunti da TI nei confronti degli operatori concorrenti.
L’istante sostiene che l’Autorità non avrebbe correttamente valutato gli impegni pro-concorrenziali da essa assunti ed accettati da Albacom, Colt e Tiscali, che hanno ritenuto le proposte di TI effettive ed efficaci per garantire un più semplice accesso al mercato dei servizi intermedi, anche in contrasto con quanto stabilito dall’AGCom nella citata delibera n. 385/04/cons.
La difesa erariale sostiene che l’Autorità ha tenuto in debito conto tali impegni, che, per loro natura, riguardando il futuro, non potevano incidere in modo rilevante sulla quantificazione della sanzione che, invece, è riferita a comportamenti pregressi, attuati a partire dal 2001, che avevano già prodotto i loro effetti sul mercato delle telecomunicazioni.
Ad avviso del Collegio la contestata determinazione in ordine agli impegni di TI non è sorretta da attenta e completa istruttoria e non è sufficientemente motivata.
La ricorrente si impegnava a rendere disponibili agli OLO informazioni in merito ai contratti sottoscritti con la clientela business, comprensive delle condizioni economiche e di qualità, disaggregate per tutte le componenti regolamentate, ad eliminare determinate clausole contrattuali utilizzate con la clientela business al fine di non ostacolarne l’eventuale passaggio ad operatori concorrenti e ad applicare alcuni consistenti miglioramenti economici in termini di riduzione della propria offerta wholesale.
Come già evidenziato, la metà degli operatori intervenuti nel procedimento ha ritenuto valide le proposte di TI.
In primo luogo, occorre evidenziare che la valutazione compiuta dall’Autorità non è coerente con quella svolta dall’AGCom, che, nelle conclusioni della delibera n. 385/04/Cons, ha espressamente affermato che “gli impegni, assunti da TI — con specifico riferimento a quelli in materia di accesso ed interconnessione poi ribaditi nell’Offerta di Riferimento 2005 — segnalano un comportamento dell’operatore dominante che va nella direzione dell’approccio regolamentare seguito da questa Autorità nel mercato della telefonia fissa, e, dal momento che possono avere significativa influenza sulle condizioni competitive, appaiono idonei ad incidere sulla valutazione della gravità dei comportamenti contestati”.
Il parere reso dall’AGCom risulta essere, sul punto, articolato e puntuale, in quanto sottolinea l’efficacia delle varie misure proposte da TI.
In particolare, dopo aver riconosciuto che, sotto alcuni profili, le misure proposte da TI si spingono anche al di là di quanto richiesto dal quadro regolamentare comunitario, l’AGCom sostiene che è indubbio che l’insieme degli interventi volti a ridurre i costi che gli operatori alternativi debbono sostenere per l’accesso disaggregato alla rete locale (Local Loop Unbundling) “costituisce un contributo per accelerare lo sviluppo di una effettiva competizione basata sulle infrastrutture”.
L’Autorità di settore ritiene, quindi, valide ed efficaci, sotto il profilo concorrenziale, altre misure tra quelle proposte, tra cui la previsione di fornire il servizio di unbundling in fibra ottica (accesa e spenta) fino al 2010 e le misure relative al monitoraggio degli adempimenti previsti dagli SLA (Service Level Agreement), in base a nuove migliorative condizioni tecniche ed operative.
Per l’AGCom, “l’insieme degli interventi finalizzati, da un lato, a ridurre i costi che i concorrenti debbono riconoscere a TI e, dall’altro lato, a migliorare le condizioni di fornitura (SLA), rappresentano un contributo alla affermazione di una competizione maggiormente basata sulle infrastrutture e, perciò, più durevole e solida”.
L’Autorità ha rilevato, in un’ottica negativa, la natura regolamentare della “prevalenza degli impegni” proposti da TI e l’efficacia ex nunc e non ex tunc delle stesse misure, senza dar conto delle positive valutazioni svolte dall’Autorità di settore.
Sulla natura regolamentare degli impegni l’AGCom ha convenuto nel citato parere, ma ha altresì effettuato una corretta valutazione della loro incidenza sulla struttura e sul funzionamento del mercato in questione.
La valutazione degli impegni da parte dell’Antitrust non appare, pertanto, aderente alla natura ed alla portata degli stessi, come rappresentato dall’AGCom, ed in tal senso non risulta corretta, per difetto di istruttoria e di motivazione.
Non sono stati esaminati, con la dovuta completezza, gli effetti che le misure proposte sono in grado di produrre sul mercato e non è stato considerata adeguatamente l’adesione ad esse di tre operatori alternativi, che le hanno ritenute apprezzabili ed effettive.
Preme, infine, evidenziare che non è si è dato conto del parere positivo dell’Autorità di settore, confutandolo nelle sue singole affermazioni e fornendo una valutazione negativa, sostanzialmente immotivata, rispetto al citato parere.
C) Sanzioni.
3.1. Devono, infine, esaminarsi i motivi di gravame relativi all’irrogazione delle sanzioni.
La ricorrente deduce l’illegittimità della delibera per difetto di motivazione, considerato che trattasi della sanzione più elevata applicata ad un’impresa per una fattispecie antitrust per abuso di posizione dominante.
Denuncia, inoltre, la violazione del principio del ne bis in idem, per l’irrogazione di due sanzioni anziché di una sola, dal momento che l’Autorità ha sempre, nel corso del provvedimento, considerato insieme i due tipi di comportamenti, in quanto sviluppati “nell’ambito di una strategia unitaria, chiaramente definita a livello centrale”.
L’Autorità e le altre parti in giudizio deducono l’infondatezza delle censure, assumendo che l’adozione delle misure sanzionatorie è stata effettuata nel pieno rispetto dei principi della giurisprudenza comunitaria e nazionale ed è sorretta da ampia e articolata motivazione.
Alla luce di quanto esposto in precedenza, il Collegio ritiene sussistere il difetto di motivazione in ordine alla gravità estrema dei comportamenti illeciti attribuiti alla responsabilità di TI.
E’ stato evidenziato che, relativamente alla condotta anticoncorrenziale costituita dall’imposizione di clausole volte a fidelizzare il cliente escludendo gli operatori concorrenti, non è configurabile un’ esclusiva responsabilità a carico della ricorrente, sulla base del potere contrattuale della GCA, i quali hanno predisposto, unitamente a TI, le offerte contrattuali, oggetto dell’indagine.
Resta agevole desumere, conseguentemente, che, sotto tale profilo, non è rinvenibile l’intento chiaramente volto all’illecito, che costituisce l’indispensabile presupposto soggettivo della sanzione, poiché l’istante non godeva di una posizione di dominanza tale da consentirgli l’imposizione di clausole contrattuali.
Peraltro tali condizioni, come è stato illustrato, non producevano un danno ai consumatori, in quanto idonee a provocare una diminuzione dei prezzi, con meccanismi legati al volume di affari della GCA, che è dimensionato in modo di gran lunga superiore alla media di quello della normale clientela business, secondo le normali regole imprenditoriali.
La quantificazione delle sanzioni risente, quindi, in punto di legittimità, del vizio appena evidenziato; parimenti emerge il difetto di motivazione per la sottovalutazione degli impegni pro-concorrenza assunti da TI nei confronti degli OLO.
Come in precedenza illustrato l’Autorità ha omesso di considerare che tre dei maggiori operatori alternativi hanno accettato i suddetti impegni che, inoltre, sono stati ritenuti dall’AGCom “idonei ad incidere sulla valutazione dei comportamenti contestati”.
La misura complessiva della sanzione, pari a 152 milioni di euro, risulta, pertanto, sproporzionata rispetto all’effettiva configurazione dei comportamenti ed alle misure proposte quali correttivi.
Da ultimo risulta, altresì, illegittima la comminazione di due distinte sanzioni per una condotta che andava valutata unitariamente, come ha più volte affermato la stessa Autorità, nella delibera gravata.
Nel provvedimento si legge, infatti, che TI ha posto in essere una strategia commerciale unitaria, volta ad escludere dal mercato gli OLO con una condotta che si realizzava con l’imposizione di clausole contrattuali fidelizzanti del cliente e con la proposta di condizioni economiche e tecniche non replicabili dagli operatori.
Distinguere, invece, il comportamento contestato in due gruppi di condotte solo in sede di irrogazione della sanzione appare illogico e incoerente con lo schema seguito nel provvedimento, che, pertanto, risulta illegittimo.
Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni esposte e nei limiti innanzi individuati, il provvedimento impugnato va annullato in parte qua.
Circa le spese e gli onorari del giudizio, si ravvisano giustificati motivi per compensarli tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, definitivamente pronunciando, accoglie in parte il ricorso in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 16-2-2005 e del 22-2-2005.