Corte di Cassazione, sezioni unite civili
Sentenza 10 giugno 2005 n. 12195
(presidente Carbone, estensore Criscuolo)
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Nel vigore del combinato disposto degli articoli 284 e 288 R. D. 3 marzo 1934, n. 383, la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se contenga la previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte.
L’inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l’idoneità a costituire titolo per il compenso.
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Diritto
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Il tema da decidere si risolve nel seguente quesito:
Se la nullità dell’atto deliberativo di un ente pubblico locale (nel caso di specie, Amministrazione provinciale), col quale viene conferito un incarico professionale, per difetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 284 del R. D. 3 marzo 1934, n. 383, determini la nullità anche della convenzione tra l’ente e il professionista con la quale il rapporto è costituito, oppure se gli eventuali vizi della suddetta deliberazione possano assumere rilievo nell’ambito interno dell’organizzazione dell’ente ma non incidano sulla validità ed efficacia del contratto privatistico di prestazione d’opera professionale e, quindi, sul diritto al compenso del professionista.
3.1. Sulla soluzione del quesito ora formulato si registra nella giurisprudenza di questa Corte il contrasto segnalato dall’ordinanza di rimessione alle sezioni unite.
Più esattamente si sono manifestati due orientamenti.
Secondo il primo, la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista l’incarico della compilazione di un progetto per un’opera pubblica è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto qualora contenga la previsione dell’ammontare dei compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte.
L’inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l’idoneità a costituire titolo per il pagamento del compenso professionale ed implicando il diritto dell’ente alla ripetizione di eventuali acconti versati in esecuzione del contratto stesso (Cass., 29 luglio 1967, n. 2021; 24 giugno 1972, n. 2144; 27 maggio 1975, n. 2131; 3 luglio 1979, n. 3724; 5 settembre 1980, n. 5134; 9 marzo 1983, n. 1760; 14 marzo 1983, n. 1890; 18 agosto 1990, n. 8410; 30 maggio 2002, n. 7910).
In forza di un secondo orientamento, invece, qualora un ente locale, esercitando una facoltà conferitagli dalla legge (articolo 285, 21 comma, R. D. n. 383 del 1934), si avvalga per la redazione di un progetto di opera pubblica di un professionista privato, l’atto di affidamento del relativo incarico, come gli atti che vengano successivamente ad interferire sul rapporto, configurano espressione non di poteri pubblicistici ma di autonomia negoziale privatistica.
Ciò comporta che il diritto del professionista al compenso, insorto quando la deliberazione comunale di conferimento dell’incarico si sia adotta nella costituzione del rapporto di prestazione d’opera professionale, resta insensibile ad eventuali vizi di detta deliberazione, rilevanti soltanto nell’ambito interno dell’organizzazione dell’ente territoriale, quale quello derivante dall’inosservanza dell’obbligo d’indicare l’ammontare della spesa e dei mezzi per farvi fronte (Cass., Su 17 novembre 1984, n. 5833; Cass., 11 maggio 1990, n. 4039; 30 agosto 1995, 9115; 28 maggio 1996, n. 4929; 27 febbraio 1998, n. 2235; 13 febbraio 2003, n. 2139).
Il primo dei suddetti orientamenti è affidato alle seguenti considerazioni:
Il precetto dettato dall’articolo 284 del R. D. 3 marzo 1934, n. 383, ha carattere imperativo e mira ad impedire che l’ente pubblico assuma un’obbligazione senza rendersi conto del suo ammontare e senza conoscere se e come farvi fronte.
La delibera, come momento essenziale ai fini della validità del contratto successivo, e cioè come momento centrale della formazione del consenso (e non mero atto autorizzativo nei riguardi del legale rappresentante dell’ente, affinché stipuli il contratto) deve corrispondere alle norme particolari dei diritto pubblico che regolano la formazione dei contratti della P. A., e pertanto la sua invalidità si riflette sulla validità dei contratto.
Nell’ipotesi contemplata dall’articolo 284 cit. si tratta di una nullità testuale che investe anche il contratto, sotto il profilo della violazione di norme imperative, ex articolo 1418, Il comma, cod. civ. (così Cass. n. 5134 del 1980, in motivazione).
Il secondo orientamento, invece, trova il principale punto di riferimento nella citata sentenza delle Sezioni unite n. 5833 del 1984.
In base a tale pronuncia (affidata alle Sezioni unite perché era stata addotta una questione di giurisdizione e, perciò, non emessa in sede di composizione di contrasto) l’eventuale incompletezza o irregolarità formale nella previsione della spesa occorrente per il compenso dovuto al professionista non potrebbe pregiudicare il diritto di questo.
Invero, formatasi ritualmente nella sede propria la volontà dell’ente in relazione al conferimento dell’incarico ad un certo professionista per una data opera, e divenuta efficace la delibera in conseguenza delle prescritte ratifiche, la costituzione del rapporto di prestazione d’opera nella fase attuativa della delibera stessa ed il suo svolgimento producono tutti gli effetti giuridici propri di quel contratto e quindi anche l’obbligazione dell’ente di corrispondere le competenze al professionista.
Le carenze e le irregolarità del procedimento amministrativo in ordine alla previsione della relativa spesa e dei mezzi per fronteggiarla potrebbero produrre conseguenze nell’ambito interno dell’organizzazione dell’ente, non esclusa la responsabilità degli amministratori che concorsero a deliberare quel provvedimento, ma non potrebbero incidere negativamente: sui diritti acquisiti dal privato professionista in forza del contratto di prestazione d’opera (le sentenze successive si muovono, in sostanza, nella stessa prospettiva).
4. Il collegio ritiene che il contrasto debba essere composto secondo le linee tracciate dal primo degli orientamenti ora riassunti.
Si deve premettere che, ai sensi dell’articolo 284, primo comma, R. D. 3 marzo 1934, n. 383 (normativa, disciplinante la fattispecie in esame ratione temporis), le deliberazioni dei comuni, delle province e dei consorzi, che importino spese, devono indicare l’ammontare di esse e i mezzi per farvi fronte.
Il successivo articolo 288 dello stesso R. D. statuisce la nullità delle deliberazioni “prese in adunanze illegali, o adottate sopra oggetti estranei alle attribuzioni degli organi deliberanti o che contengano violazioni di legge”.
Dal combinato disposto dei due precetti discende che le deliberazioni – che importino spese e non indichino l’ammontare di esse e i mezzi per farvi fronte – sono nulle perché adottate in violazione di legge, stante il carattere tassativo della prima disposizione (“devono indicare”).
La ratio di essa non può essere riduttivamente individuata soltanto in un’esigenza di contabilità pubblica. Se è vero che la norma ha di mira la regolarità e il buon andamento finanziario delle amministrazioni locali, è vero del pari che questi obiettivi sono perseguiti in funzione dell’interesse pubblico all’equilibrio economico, e quindi al buon andamento, di dette amministrazioni, in un quadro di certezza e di trasparenza che ha fondamento costituzionale (articolo 97).
Del resto, si tratta di un principio generale che si è perpetuato nell’ordinamento degli enti locali territoriali, com’è dimostrato, dal fatto che anche la legge 8 giugno 1990, n. 142, recante l’ordinamento delle autonomie locali, stabilisce nell’articolo 55, comma 5, che “gli impegni di spesa non possono essere assunti senza attestazione della relativa copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio finanziario”, aggiungendo subito dopo che “senza tale attestazione l’atto è nullo di diritto”.
Non rileva qui stabilire se tale precetto abbia carattere innovativo o meno rispetto alla precedente disposizione del citato articolo 284.
E’ sufficiente notare che anche la nuova disciplina delle autonomie locali ha ritenuto necessario prevedere un’espressa comminatoria di nullità per gli impegni di spesa assunti senza preventiva attestazione della copertura finanziaria, adottando una formula che appare ancor più rigorosa rispetto a quella precedente, e ciò conferma la peculiare valenza dell’interesse pubblico che il legislatore ha inteso tutelare.
Ciò posto, la tesi – secondo cui gli eventuali vizi della delibera in ordine alla previsione della relativa spesa e dei mezzi per farvi fronte potrebbero produrre conseguenze nell’ambito interno dell’organizzazione dell’ente, ma non sarebbero idonei ad incidere negativamente sui diritti acquisiti dal privato professionista in forza del contratto di prestazione d’opera – non può essere condivisa.
Invero, nella formazione dei contratti soggetti alla c.d. evidenza pubblica (nel cui novero rientrano anche quelli dei comuni e delle province) coesistono due procedimenti: il primo si traduce in un provvedimento (deliberazione a contrarre da parte degli organi qualificati) con cui si esterna lo scopo da perseguire nonché il modo con cui s’intende realizzarlo, e tale manifestazione di volontà costituisce il presupposto dell’atto negoziale che perciò si pone in rapporto strumentale col provvedimento; il secondo si svolge tra le parti contraenti ed ha ad oggetto la formazione della volontà secondo le norme privatistiche, con alcune varianti correlate specialmente alle procedure da seguire per la scelta del contraente.
Orbene, è vero che, come questa Corte ha più volte affermato con particolare riguardo alla conclusione del contratto d’opera professionale (quando ne sia parte la P. A.), la deliberazione dell’ente – fino a quando non risulti tradotta in un atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante dell’ente stesso e dal professionista – è atto con efficacia interna all’ente pubblico, non costituente neppure proposta contrattuale, sicché non è idonea a determinare la costituzione del relativo rapporto negoziale (v., ex multis Cass, 25 novembre 2003, n. 17891; 5 novembre 2001, n. 13628; 16 ottobre 1999, n. 11687; 14 marzo 1998, n. 2772).
Ciò, tuttavia, non significa che tutti i vizi della fase amministrativa e (per quanto qui rileva) della delibera siano privi d’incidenza sul contratto stipulato in forza di essa. L’affermazione può essere condivisa in relazione a carenze o vizi che rendano la delibera stessa soltanto annullabile, non in presenza di una violazione di legge che ne comporti la nullità.
Infatti, come già si è notato, il contratto e la delibera, ancorché tra loro distinti, sono collegati poiché la delibera a contrarre s’inserisce come passaggio obbligato nell’iter di formazione della volontà contrattuale della parte pubblica. Pertanto la sua nullità (come la sua mancanza) si riflette necessariamente sulla validità del contratto, perché la volontà dell’ente non si può ritenere ritualmente formata nella sede propria e, sul piano negoziale, il contratto viene ad essere stipulato in contrasto con una norma imperativa (quale il combinato disposto dei citati articoli 284, 288 deve ritenersi, alla stregua delle considerazioni sopra svolte), con le conseguenze di cui all’articolo 1418, primo comma, cod. civile.
Conclusivamente, il contrasto segnalato deve essere risolto con l’affermazione del seguente principio di diritto:
“Nel vigore del combinato disposto degli articoli 284 e 288 R. D. 3 marzo 1934, n. 383, la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se contenga la previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte.
L’inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l’idoneità a costituire titolo per il compenso”.
La sentenza impugnata risulta conforme a tale principio, sicché il ricorso deve essere respinto.
La natura della questione trattata, tuttavia, consente di ravvisare la sussistenza di giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese dei giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, pronunziando a sezioni unite, rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.