Corte Costituzionale
Sentenza 26 maggio 2005 n. 200
(presidente Contri, estensore Capotosti)
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Nel sistema sanitario nazionale, il principio di libera scelta non appare affatto assoluto, dovendo invece essere contemperato con altri interessi, costituzionalmente tutelati.
Il diritto alla salute è «un diritto costituzionale condizionato all’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti», tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (sentenze nn. 304 del 1994, 247 del 1992).
L’evoluzione della legislazione sanitaria evidenzia come, subito dopo l’enunciazione del principio della parificazione e concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, con la conseguente facoltà di libera scelta da parte dell’assistito, si sia pure progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario, con ciò temperando il predetto regime concorrenziale attraverso i poteri di programmazione propri delle Regioni e la stipula di appositi “accordi contrattuali” tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili
Anche nel sistema dell’accreditamento permangono i poteri di controllo, indirizzo e verifica delle Regioni e delle USL, tanto che «la libertà di scegliere, da parte dell’assistito, chi chiamare a fornire le prestazioni sanitarie non comporta affatto una libertà sull’an e sull’esigenza delle prestazioni», in quanto resta confermato il principio fondamentale che l’erogazione delle prestazioni soggette a scelte dell’assistito è subordinata a formale prescrizione a cura del servizio sanitario nazionale (sentenza n. 416 del 1995).
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(…)
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, della legge della Regione Marche 17 luglio 1996, n. 26 (Riordino del servizio sanitario regionale), promosso con ordinanza del 17 marzo 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche sul ricorso proposto da Vera Serroni – Laboratorio Analisi s.r.l. contro Azienda USL n. 11 di Fermo ed altra, iscritta al n. 581 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2005 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
udito l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con ordinanza del 17 marzo 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, della legge della Regione Marche 17 luglio 1996, n. 26.
2. — L’ordinanza premette che la ricorrente, a seguito dell’entrata in vigore del regime dell’accreditamento delle strutture sanitarie (art. 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), ha ottenuto la qualifica di “laboratorio accreditato”. Inoltre, osserva che questo regime prevede dei tetti di spesa per l’erogazione delle prestazioni assistenziali e la Regione Marche, con deliberazioni della Giunta regionale 16 dicembre 1996, n. 3825, e 10 marzo 1997, n. 625, ha provveduto ad armonizzare i criteri di rimborso delle prestazioni. L’Azienda unità sanitaria locale (infra, USL) n. 11 di Fermo, con deliberazioni del Commissario straordinario del 30 maggio 1997, n. 65 e del Direttore generale del 10 marzo 1997, n. 875, ha fissato il budget spettante alla società ricorrente relativo all’anno 1996. Il direttore generale dell’USL n. 11, con provvedimento del 6 febbraio 1998, n. 2121, ha disposto che, per l’accesso al convenzionamento esterno, occorre fare riferimento «alle modalità già disciplinate» dalla norma regionale impugnata e che, pertanto, «dal 10 gennaio 1998, saranno riconosciute ed ammesse a rimborso solo quelle impegnative debitamente autorizzate dagli uffici competenti» di questa USL.
2.1. — Secondo il TAR, il provvedimento impugnato costituirebbe “pedissequa applicazione” della norma regionale censurata e, in base alla disciplina vigente alla data della sua adozione, le convenzioni tra Servizio sanitario nazionale (SSN) e strutture private erano state sostituite dal cd. accreditamento, che avrebbe realizzato una situazione di parità tra strutture pubbliche e private, con conseguente facoltà dell’assistito di scegliere la struttura alla quale rivolgersi, indipendentemente dagli accordi aventi ad oggetto la quantità presunta e la tipologia delle prestazioni erogabili (art. 2, comma 8, della legge 28 dicembre 1995, n. 549).
La legge della Regione Marche n. 26 del 1996, ad avviso del rimettente, si era inserita in questo quadro normativo, stabilendo, con la norma censurata, che «fino alla definizione degli accordi di cui all’art. 5, comma 4», e cioè degli accordi concernenti la negoziazione dei servizi e delle prestazioni con i soggetti indicati in quest’ultima disposizione, sulla base di tariffe e corrispettivi definiti dalla Giunta regionale, nonché sulla base del piano annuale preventivo, «restano valide le modalità di accesso alle prestazioni così come disciplinate dall’art. 19 della legge 11 marzo 1988, n. 67».
La norma regionale impugnata, secondo il giudice a quo, violerebbe l’art. 117 della Costituzione, in quanto, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato, avrebbe reintrodotto, sia pure in via provvisoria, l’obbligo di un’autorizzazione per l’accesso alle strutture private, subordinandolo all’insufficienza della struttura pubblica, mentre la legge statale avrebbe attribuito all’assistito la facoltà di libera scelta, non subordinandola all’accettazione del budget imposto dalla USL alla singola struttura.
Inoltre, la norma regionale, stabilendo che, una volta intervenuto l’accordo, sarebbe venuto meno il limite alla libertà di scelta, permetteva alla amministrazione di imporre alle strutture private le condizioni contrattuali ritenute opportune, attribuendole in tal modo l’arbitrario potere di sospendere di fatto l’accreditamento, in contrasto con il canone di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 della Costituzione).
2.2. — Il TAR ritiene la questione rilevante, nonostante siano sopravvenute le norme indicate nell’ordinanza di questa Corte (n. 355 del 2001), che aveva disposto la restituzione degli atti in riferimento all’identica questione ora riproposta dallo stesso giudice.
Ad avviso del rimettente, la sopravvenuta legge della Regione Marche 16 marzo 2000, n. 20, che ha disciplinato organicamente la materia, rimettendosi in larga misura alle leggi dello Stato per la disciplina concernente gli accordi o procedure negoziali per la definizione delle prestazioni, non avrebbe infatti
modificato la disposizione impugnata e, quindi, in base ad essa, il Direttore generale della USL n. 11 poteva adottare il provvedimento impugnato, non essendo ipotizzabile che la legge ne abbia determinato la «caducazione con efficacia retroattiva», sicché la questione sarebbe ancora rilevante.
3. — Nel giudizio si è costituita la Regione Marche -parte nel giudizio principale-, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, chiedendo che la Corte dichiari la questione infondata.
La resistente premette che la tutela della salute costituisce materia attribuita alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, ex art. 117 della Costituzione, già prima della riforma realizzata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e sostiene altresì che la norma impugnata non contrasterebbe con i principi fondamentali recati dalle leggi statali.
Secondo la Regione Marche, dalla legislazione statale si ricaverebbe che la materia è governata da due principi fondamentali: l’accreditamento e la libera scelta delle strutture accreditate, con la conseguenza che la scelta dell’utente può cadere soltanto su di una struttura accreditata e convenzionata.
Peraltro, il principio di libera scelta non avrebbe l’estensione ritenuta dal TAR, in quanto il d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, ha abrogato l’art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, introducendo l’art. 8-bis, che ha confermato detto principio «nell’ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appositi accordi contrattuali» (comma 2), che abbiano stipulato gli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies (comma 3).
A suo avviso, la norma sarebbe conforme anche ai principi vigenti anteriormente alle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 229 del 1999, poiché nel sistema definito dall’art. 8, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 502 del 1992 le Regioni e le USL dovevano adottare i provvedimenti necessari per l’instaurazione dei nuovi rapporti, «fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione, sull’adozione del sistema di verifica e previsione della qualità delle attività svolte per prestazione erogata». Inoltre, il diritto di scelta, secondo un principio enunciato da questa Corte, dovrebbe comunque essere bilanciato con l’esigenza di realizzare l’equilibrio nella gestione delle risorse finanziarie pubbliche.
La norma censurata, conclude infine la Regione, neppure violerebbe l’art. 97 della Costituzione, in quanto l’interesse al contenimento delle spese sanitarie giustifica il potere dell’amministrazione di sospendere l’accesso alle strutture che non accettino i limiti di compatibilità economica stabiliti dall’amministrazione, occorrendo peraltro considerare che la norma disciplina l’accesso alle strutture accreditate in via transitoria e nelle more della definizione degli accordi contrattuali. In altri termini, si tratta di una disciplina di carattere transitorio, coerente con i principi di programmazione e controllo economico-finanziario che le Regioni sono tenute ad attuare, che non comprime il diritto alla salute del cittadino.
3.1. — La Regione Marche, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha ribadito le argomentazioni svolte nell’atto di costituzione, sottolineando, in particolare, che, secondo le norme statali, l’assistito può esercitare la facoltà di libera scelta esclusivamente con riferimento alle strutture accreditate con le quali sono stati stipulati gli accordi contrattuali previsti dal d.lgs. n. 229 del 1999.
Inoltre, a suo avviso, di pregnante rilievo, soprattutto al fine di escludere il contrasto con l’art. 97 della Costituzione, sarebbe la circostanza, sopra già indicata, che la disciplina stabilita dalla norma censurata è applicabile soltanto nelle more della stipulazione degli accordi contrattuali con le
strutture sanitarie.
4. — All’udienza pubblica la Regione Marche ha insistito per la dichiarazione di infondatezza della questione.
Considerato in diritto
1. — Il TAR per le Marche dubita della legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, della legge della Regione Marche 17 luglio 1996, n. 26 (Riordino del servizio sanitario regionale), il quale dispone che, fino alla definizione degli accordi di cui all’art. 5, comma 4, di detta legge, restano valide le modalità di accesso alle prestazioni così come disciplinate dall’art. 19 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e cioè che, in via provvisoria, resta fermo l’obbligo della preventiva autorizzazione per l’accesso alle strutture sanitarie non pubbliche, entro i limiti ed i termini stabiliti da quest’ultima norma.
Secondo il giudice a quo, la norma impugnata violerebbe anzitutto l’art. 117 della Costituzione, dato che, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato in materia di accreditamento e di libera scelta da parte dell’assistito della struttura sanitaria alla quale richiedere l’erogazione delle prestazioni, avrebbe reintrodotto l’obbligo di un’autorizzazione per l’accesso alle strutture private accreditate, subordinando il suo rilascio all’insufficienza della struttura pubblica.
Inoltre, a suo avviso, la norma regionale, stabilendo che, una volta intervenuto l’accordo previsto dall’art. 5, comma 4, della stessa legge, viene meno il limite alla libertà di scelta dell’assistito, permetterebbe alla pubblica amministrazione di imporre a dette strutture le condizioni contrattuali ritenute opportune, attribuendole in tal modo l’arbitrario potere di sospendere, di fatto, l’accreditamento, in contrasto con il canone di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione.
2. – La questione non è fondata.
La censura in esame si incentra essenzialmente sulla violazione dell’art. 117 della Costituzione, in quanto la disposizione regionale impugnata non avrebbe attribuito all’assistito, in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale, la facoltà di “libera scelta” della struttura sanitaria, subordinandola invece, nell’attesa di appositi accordi, al rilascio di un’autorizzazione per l’accesso alle strutture private accreditate, che abbiano accettato il budget imposto dalla USL territorialmente competente.
Questa questione va esaminata tenendo conto dell’evoluzione della disciplina concernente il sistema di erogazione e retribuzione delle prestazioni specialistiche.
Ed è proprio alla stregua di questa evoluzione che, nel sistema sanitario nazionale, il principio di libera scelta non appare affatto assoluto, dovendo invece essere contemperato con altri interessi, costituzionalmente tutelati, puntualmente indicati da norme di principio della legislazione statale.
Ed invero, già nella prima fase della riforma sanitaria l’accesso alle strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale era subordinato da varie norme statali -tra cui proprio l’art. 19 della legge 11 marzo 1988, n. 67, al quale rinvia la disposizione regionale impugnata- alla duplice condizione che il servizio pubblico non fosse in grado di soddisfare la richiesta di prestazioni specialistiche entro quattro giorni dalla presentazione e che fosse rilasciata apposita autorizzazione dalla USL territorialmente competente.
Anche nel successivo regime dell’accreditamento, introdotto dall’art. 8, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, così come integrato dall’art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il quale appare improntato alla logica della parificazione e della concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, la facoltà di libera scelta delle strutture e dei professionisti accreditati è esercitabile dall’assistito soltanto a condizione che “risultino effettivamente in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e accettino il sistema della remunerazione a prestazione”.
Ulteriori limiti a tale facoltà si hanno con l’art. 2 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, il quale al comma 8 stabilisce, nella specificazione dell’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che le USL competenti, sulla base di piani preventivi regionali che fissano anche il tetto massimo di spesa sostenibile, contrattano con le strutture pubbliche e private la quantità presunta e la tipologia delle prestazioni erogabili, anche al fine degli oneri organizzativi e finanziari da sopportare. Successivamente questo indirizzo legislativo ha trovato altra conferma nell’art. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che prevede che sia una delibera regionale a ripartire in via preventiva e contestuale tra i soggetti accreditati il volume di prestazioni erogabili in base alla programmazione.
Appare quindi evidente come l’evoluzione della legislazione sanitaria fino a circa la metà degli anni Novanta -per non dire di quella successiva che peraltro non rileva nella questione di costituzionalità in esame- abbia messo in luce che, subito dopo l’enunciazione del principio della parificazione e concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, con la conseguente facoltà di libera scelta da parte dell’assistito, si sia progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario.
In questo modo si è temperato il predetto regime concorrenziale attraverso i poteri di programmazione propri delle Regioni e la stipula di appositi “accordi contrattuali” tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili (cfr. art. 8-quinquies del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229).
Le citate disposizioni si configurano dunque, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, essenzialmente come norme di principio della legislazione statale dirette a garantire ad ogni persona il diritto alla salute come «un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti», tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (sentenze nn. 304 del 1994, 247 del 1992).
In particolare, dall’indicato orientamento giurisprudenziale si ricava che anche nel sistema dell’accreditamento permangono i poteri di controllo, indirizzo e verifica delle Regioni e delle USL, tanto che «la libertà di scegliere, da parte dell’assistito, chi chiamare a fornire le prestazioni sanitarie non comporta affatto una libertà sull’an e sull’esigenza delle prestazioni», in quanto resta confermato il principio fondamentale che l’erogazione delle prestazioni soggette a scelte dell’assistito è subordinata a formale prescrizione a cura del servizio sanitario nazionale (sentenza n. 416 del 1995).
Tutto ciò conferma dunque che nella legislazione statale si rinvengono le indicate disposizioni di principio, alla cui stregua le Regioni, nella vigenza sia del “vecchio” testo dell’art. 117 della Costituzione sia del nuovo, debbono indirizzare la propria competenza legislativa in materia.
Sotto questo profilo, quindi, non sussiste la violazione dell’indicato parametro costituzionale, poiché la norma censurata si conforma a quei principi. Oltre tutto la disposizione in esame ha carattere transitorio e proprio nella stessa legge regionale impugnata si prevedono forme di contrattazione -che sono alla base di diversi piani annuali preventivi – che intercorrono tra Giunta regionale e USL, da un lato, ed i vari soggetti accreditati, pubblici e privati, erogatori delle prestazioni, dall’altro. La natura negoziale di questi accordi previsti dalla norma censurata esclude, inoltre, il preteso carattere di arbitrarietà delle scelte poste in essere in questo settore dalle amministrazioni competenti, cosicché appare insussistente anche la censura formulata in riferimento ai canoni di buon andamento e imparzialità prescritti dall’art. 97 della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, della legge della Regione Marche 17 luglio 1996 n. 26 (Riordino del servizio sanitario regionale), sollevata, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche con l’ordinanza in epigrafe.