“Disapplicheremo le norme interne anticoncorrenziali”

Autorithy per la Concorrenza e il Mercato

Relazione del 18 Novembre 2005

Oggetto: Liberalizzazione dei servizi professionali

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Dal Comunicato stampa dell’Antitrust:

“Troppi privilegi ai professionisti, urge riforma – Via tariffe e freni normativi, i quattro punti di una riforma possibile – Inviata a Parlamento e Governo relazione sul settore.

La riforma delle professioni è improcrastinabile anche alla luce delle sollecitazioni degli organismi internazionali. Lo afferma l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione inviata a Parlamento e Governo che accompagna la Relazione sul settore.

La Relazione, che è stata approvata nella riunione del 16 novembre 2005, è frutto di due anni di lavoro nel corso dei quali l’Autorità ha promosso incontri con i rappresentanti di alcuni Ordini professionali per analizzare le restrizioni della concorrenza che ancora caratterizzano il settore. Ne è emersa, in molti casi, la disponibilità dei professionisti a modificare le regole ritenute obsolete a fronte invece di un atteggiamento del legislatore volto a tutelare posizioni conservative.

Nel documento, che sarà esaminato nell’incontro degli esperti delle autorità di concorrenza degli Stati membri Ue, in programma per il 22 novembre prossimo, si auspica che la riforma venga messa a punto con un coinvolgimento dell’Autorità. Occorre uno sforzo in termini di dialogo da parte di tutti i soggetti interessati. Ma se l’attività di confronto non dovesse condurre a risultati soddisfacenti, l’Autorità potrà valutare la possibilità di utilizzare, nelle ipotesi di lesione della concorrenza, i poteri di intervento istruttori che la legge le riconosce, ricorrendo, grazie al primato del diritto comunitario, alla disapplicazione delle norme interne.

Nella Relazione l’Autorità individua quattro aree critiche che frenano la concorrenza:

1.- ruolo degli ordini,
2.- tariffe inderogabili,
3.- limiti alla pubblicità,
4.- eccesso di regolazione normativa.

1. ORDINI E CODICI DEONTOLOGICI

L’Autorità propone un profondo ripensamento del ruolo degli Ordini, il cui compito deve essere quello di promuovere la formazione (per garantire l’aggiornamento dei professionisti a vantaggio degli utenti) e di vigilare sulla correttezza dei comportamenti degli iscritti.

Bisogna quindi contrastare la tendenza a far ricadere nei codici deontologici aspetti spiccatamente regolatori dell’esercizio delle professioni, che non hanno niente a che vedere con questioni di ordine etico.

2. LE TARIFFE

Occorre eliminare le tariffe predeterminate inderogabili. Si tratta di un tassello fondamentale nella riforma delle professioni per consentire lo svolgersi della concorrenza proprio a beneficio di un continuo miglioramento dei servizi professionali.

La qualità minima della prestazione professionale è infatti garantita dalle regole di accesso alle professioni mentre i prezzi prefissati non costituiscono né un parametro di riferimento per gli utenti né un valido incentivo per i professionisti. Il risultato è che i costi dei servizi professionali sostenuti dalle imprese italiane sono sensibilmente superiori a quelli sostenuti per altri fattori della produzione, pur soggetti a regolamentazione.

3. LA PUBBLICITA’

A parere dell’Autorità occorre introdurre il principio della libertà di mezzi e contenuti pubblicitari perché la pubblicità rappresenta uno strumento fondamentale di concorrenza [n.d.r.: Il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà. nella presentazione della relazione ha dato atto che “molti Ordini hanno riconosciuto l’idoneità delle comunicazioni pubblicitarie a ridurre le asimmetrie informative dei consumatori, allorché fondate su elementi di fatto, quali caratteristiche, prezzi, risultati”].
Le limitazioni sui contenuti dell’informazione pubblicitaria potrebbero essere giustificati solo in casi particolari.

Ad esempio, potrebbero essere contemplate forme di regolamentazione della pubblicità per evitare la creazione di bisogni artificiali.

4. I FRENI NORMATIVI

In Italia esiste una regolamentazione normativa in molti casi sproporzionata, che attribuisce ingiustificati privilegi ai professionisti: si limita così l’accesso al mercato e se ne riduce l’efficienza complessiva a danno dei consumatori.

Vanno perciò eliminate alcune riserve di attività, come le certificazioni di alcuni atti notarili o la vendita di medicinali da banco e occorre ripensare il sistema di accesso alle attività professionali riservate.

E’ necessario eliminare i vincoli allo svolgimento delle professioni in forma societaria ed è indispensabile porre un argine alla domanda di regolamentazione espressa dalle professioni non protette”. (Roma, 19 novembre 2005)

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Il testo integrale della Relazione:

Autorithy per la Concorrenza e il Mercato

Relazione del 18 Novembre 2005

Oggetto: Liberalizzazione dei servizi professionali

(Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali).

Premessa

1. In Italia le professioni intellettuali sono soggette ad una pervasiva regolamentazione, riguardante sia le condizioni di accesso al mercato che le modalità di svolgimento dell’attività. Alle norme statali, concernenti principalmente la fissazione delle condizioni di accesso al mercato (tirocinio, esame di abilitazione, concorso) si aggiungono le misure di autoregolamentazione stabilite dagli Ordini di categoria che riguardano soprattutto l’esercizio dell’attività professionale (tariffe, divieto di pubblicità, limiti territoriali e incompatibilità).

2. L’Autorità ha già esaminato il settore con un’Indagine Conoscitiva avviata il 1° dicembre del 1994 e conclusasi il 3 ottobre 1997. Sono, pertanto, trascorsi 10 anni da quando l’Autorità ha posto in Italia il problema della compatibilità del sistema delle professioni liberali con la disciplina della concorrenza. Più recentemente, nella Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del 9 febbraio 2004 anche la Commissione Europea ha analizzato le limitazioni alla concorrenza che caratterizzano la regolamentazione dei servizi professionali negli Stati membri e che derivano, in particolare, dalla fissazione o raccomandazione dei prezzi, dalle restrizioni all’accesso alla professione e all’attività pubblicitaria, dai regimi di riserva previsti per talune attività, dalle regolamentazioni inerenti l’organizzazione e la struttura aziendale dell’attività, ricordando che le restrizioni derivanti dalle misure adottate dalle associazioni professionali sono qualificabili come decisioni di associazioni di imprese ai fini dell’applicazione dell’art. 2 della legge 287/90 e dell’art. 81 del Trattato CE e la disciplina di fonte statale è parimenti suscettibile di essere sindacata, sotto il profilo antitrust, per effetto del combinato disposto degli articoli 3, par. 1, lett. g), 10, par. 2 e 81 del Trattato.

3. Nella Relazione citata, riconoscendo le peculiarità dei servizi professionali, la Commissione ha tuttavia auspicato che la revisione complessiva della regolamentazione dei singoli Stati membri in materia di servizi professionali avvenga ad opera di interventi volontari dei soggetti responsabili delle restrizioni esistenti (segnatamente, le autorità di regolamentazione e gli organismi professionali). In particolare, la Commissione ha invitato detti soggetti a verificare l’effettiva funzionalità di tali regole restrittive alla tutela degli interessi di utenti e professionisti, mediante l’applicazione alle stesse del c.d. test di proporzionalità. La stessa Commissione ha esaminato, nel corso del 2004 e del 2005, la necessità, proporzionalità e giustificazione della disciplina del settore nell’ambito di incontri con le autorità nazionali di regolamentazione, con le associazioni europee degli organismi professionali e con le organizzazioni dei consumatori, invitando le autorità nazionali garanti della concorrenza a fare altrettanto.

4. Nel dare seguito all’invito della Commissione e nell’ottica di favorire la revisione spontanea delle restrizioni esistenti, l’Autorità ha ritenuto prioritario promuovere occasioni di confronto con i rappresentanti delle categorie professionali, nella convinzione che, nel nostro Paese, le esigenze di liberalizzazione del settore debbano essere condivise e fatte proprie dai professionisti prima ancora che dalle autorità di regolazione. Si è ritenuto, infatti, necessario trasmettere ai diretti interessati il messaggio che le analisi dell’Antitrust non mirano a mettere in discussione l’esistenza e l’importanza del ruolo svolto dalle professioni liberali c.d. protette e che le regole della concorrenza non possono ritenersi incompatibili con l’esistenza delle libere professioni o degli Ordini ma costituiscono, per contro, uno strumento indispensabile per favorire un continuo rinnovamento del settore. L’Autorità ha, infatti, piena consapevolezza degli interessi fondamentali del singolo e della collettività (come la salute e il diritto di difesa) spesso collegati ai servizi professionali, nonché del fatto che alcune attività professionali contribuiscono alla diffusione di innovazione nell’interesse della competitività del Paese. Si crede, tuttavia, che i principi di concorrenza non contraddicano i principi base su cui le professioni si fondano e, in particolare, la funzione di garanzia sociale e di tutela degli interessi pubblici cui esse assolvono.

5. Pertanto, si è ritenuto che, nell’ambito di incontri con i rappresentanti delle singole categorie, sarebbe stato possibile effettuare con maggiore consapevolezza l’analisi della necessarietà e proporzionalità delle restrizioni all’accesso e all’esercizio di ogni attività professionale. In effetti, il confronto diretto con gli Ordini professionali ha consentito all’Autorità di meglio comprendere le specificità proprie di ogni singola professione e, in particolare, gli interessi coinvolti nell’esercizio di ciascuna. Muovendo da questa prospettiva, gli Uffici dell’Autorità hanno incontrato i rappresentanti degli Ordini professionali individuati nella Relazione della Commissione per svolgere con essi un esame comparato delle vigenti norme di autoregolamentazione, al fine di promuoverne la liberalizzazione secondo coerenza, ma scongiurando, al tempo stesso, il rischio di compiere analisi astratte che prescindessero, cioè, dalle diverse realtà professionali. Inoltre, si è colta l’occasione per verificare l’esistenza di eventuali vincoli di carattere deontologico intesi a limitare l’attività dei farmacisti, soprattutto con riguardo all’attività pubblicitaria.

6. Parallelamente al confronto con gli Ordini professionali, l’Autorità ha continuato a svolgere un’azione diretta a rappresentare le esigenze di liberalizzazione del settore anche con riguardo alla regolamentazione di fonte statale. Nel corso degli ultimi due anni l’Antitrust italiana ha richiamato l’attenzione delle Autorità competenti sulla persistenza di significative restrizioni antitrust nel settore esercitando, a tal fine, i poteri di segnalazione, di cui agli articoli 21 e 22 della legge 287/90. E’ noto, infatti, come, benché da diversi anni si discutano in Parlamento progetti di legge di riforma del settore, ad oggi tale riforma è ancora lontana dall’essere approvata e rispetto allo scenario esaminato al tempo dell’Indagine conoscitiva del 1997 non sono intervenute modifiche significative.

7. Si ritiene, in ogni modo, che, data le specificità dei servizi professionali e la rilevanza degli interessi coinvolti, anche le proposte di revisione della regolazione di fonte statale dovrebbero formare oggetto di analisi nell’ambito di confronti che vedano la partecipazione dell’Autorità oltre che degli Ordini professionali e delle associazioni dei consumatori. Emblematiche sono, al riguardo, le determinazioni assunte dal Ministero della Salute in materia di pubblicità sanitaria tramite Internet a seguito di un tavolo di lavoro cui era stata invitata a partecipare anche l’Autorità e di cui si dirà in seguito. Parimenti significativo, sul punto, è quanto rilevato dalla Commissione Europea in una successiva Comunicazione (I servizi professionali- Proseguire la riforma, del 5 settembre 2005) in merito al fatto che i Paesi che hanno compiuto i maggiori sforzi in termini di liberalizzazione sono quelli in cui i legislatori hanno lavorato a stretto contatto con le Autorità antitrust nazionali o, comunque, hanno tenuto conto delle analisi svolte da tali autorità sulle restrizioni vigenti.

8. Nel periodo in esame, inoltre, i rappresentanti dell’Autorità hanno preso parte a numerosi convegni vertenti sul tema dell’applicabilità delle norme antitrust ai servizi professionali (spesso organizzati proprio dagli organismi rappresentativi dei professionisti). Negli ultimi due anni, infatti, in Italia, anche per effetto delle Comunicazioni adottate dalla Commissione Europea, sono state molteplici le occasioni di studio aventi ad oggetto la riforma delle professioni e l’impatto della stessa sotto il profilo antitrust. Si tratta di altre importanti occasioni in cui l’Autorità ha ritenuto di dover rappresentare la propria posizione ai professionisti coinvolti, alle associazioni dei consumatori e agli studiosi del settore.

9. Nell’analisi che segue, una prima sezione avrà ad oggetto gli incontri svolti dall’Autorità con gli Ordini professionali sulle restrizioni di natura deontologica che caratterizzano l’esercizio delle professioni considerate, al fine di evidenziare gli impegni assunti da tali Ordini per rimuovere le suddette restrizioni. Nella sezione successiva, invece, si darà conto delle limitazioni della concorrenza che derivano da norme di fonte statale, ricapitolando l’attività svolta dall’Autorità riguardo a tali norme nel biennio in esame. Infine, nella sezione conclusiva, verranno indicati i motivi per cui, in considerazione della peculiarità del settore, si auspica un maggiore coinvolgimento dell’Autorità nel processo di riforma del settore medesimo, evidenziando, altresì, eventuali altri interventi che la stessa Autorità potrebbe realizzare ai sensi della legge 287/90 e delle rilevanti norme comunitarie.

SEZIONE I

I.a. Ruolo degli Ordini

10. L’Autorità è dell’avviso che in Italia sia necessario operare un profondo ripensamento del ruolo svolto dagli Ordini. In particolare, occorre contrastare la tendenza a far ricadere nell’ambito della potestà deontologica aspetti spiccatamente regolatori dell’esercizio delle professioni, che nulla hanno a che vedere con le questioni di ordine etico rilevanti per la fiducia dei terzi nelle categorie professionali. L’Autorità ha sempre evidenziato come il compito degli Ordini professionali sia quello di promuovere la formazione, al fine di garantire l’aggiornamento delle conoscenze dei professionisti a vantaggio degli utenti, nonché quello di vigilare sulla correttezza dei comportamenti degli iscritti; è in tal modo, infatti, che si creano i presupposti per l’erogazione di servizi di qualità. La qualità delle prestazioni professionali preoccupa l’Autorità al pari degli Ordini; si ritiene, tuttavia, che la salvaguardia di tale valore non richieda interventi degli Ordini suscettibili di condizionare la libertà di scelta economica degli iscritti. In altri termini, le norme etiche, se effettivamente circoscritte al piano deontologico, non producono effetti sul mercato e, pertanto, non possono rilevare sotto il profilo antitrust, diversamente dalle determinazioni ordinistiche che assumono carattere regolatorio.

11. E’ in questa ottica che l’Autorità ha invitato alcuni Ordini professionali a riesaminare le disposizioni deontologiche restrittive della concorrenza, nella convinzione che i comportamenti dei professionisti sul mercato dovrebbero essere disciplinati dagli Ordini di appartenenza con riguardo ai soli aspetti che rilevano sul piano etico.

I.b. L’analisi di proporzionalità svolta con i rappresentanti degli Ordini

12. Nel biennio 2004-2005, gli Uffici dell’Autorità, prendendo spunto dalla Relazione della Commissione Europea sulla concorrenza nei servizi professionali del 9 febbraio 2004, hanno organizzato una serie di incontri con gli esponenti degli organismi rappresentativi delle professioni le cui regole di condotta apparivano caratterizzate da ingiustificate restrizioni alla concorrenza. Tali incontri erano volti a promuovere presso gli Ordini professionali l’applicazione a tali regole del c.d. test di proporzionalità. Il test di proporzionalità si considera soddisfatto allorché le misure restrittive della concorrenza risultino oggettivamente necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale chiaramente articolato e legittimo e costituiscano il meccanismo meno restrittivo della concorrenza idoneo a raggiungere detto obiettivo. E’ alla luce del c.d. test di proporzionalità che è stato possibile individuare gli aspetti delle norme di autoregolamentazione che presentano elementi di incoerenza con l’asserito perseguimento di interessi pubblici, così da promuoverne la volontaria revisione da parte degli Ordini.

13. Si è, quindi, avviato un dialogo con gli organismi rappresentativi di notai, avvocati, architetti, ingegneri, ragionieri, dottori commercialisti, farmacisti, vertente sui contenuti dei codici deontologici e, in particolare, sulle disposizioni che ostacolano la concorrenza tra
professionisti, sulla disciplina dei prezzi delle prestazioni, su quella relativa alla pubblicità, nonché sulla prassi applicativa di tali norme di condotta da parte degli Ordini Professionali.

I.c. Natura dei codici deontologici

14. Nell’ambito di tali incontri, gli Uffici dell’Autorità hanno anche preso in considerazione la natura giuridica dei codici deontologici. Sul punto, si ricorda che detti codici, in quanto espressioni della volontà collettiva degli enti esponenziali dei professionisti, costituiscono deliberazioni di associazioni di imprese, come risulta dalla consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale. Alcune peculiarità presenta, tuttavia, il codice di condotta dei notai, il quale trae origine dalle leggi 16 febbraio 1913, n. 89 e 27 giugno 1991, n. 220 che attribuiscono al Consiglio Nazionale del Notariato il compito di elaborare principi di deontologia professionale.

I.d. Disposizioni deontologiche di carattere generale

15. Alcuni dei codici esaminati contengono disposizioni in cui, in modo più o meno espresso a seconda dei casi, la concorrenza viene vietata ovvero considerata un disvalore. Così ad esempio, il codice deontologico degli avvocati, da ultimo modificato in data 26 ottobre 2002, impone al professionista di “evitare atteggiamenti concorrenziali verso colleghi” (art. 18) nonché l’accaparramento della clientela (art. 19). Il codice notarile del 2004 fa divieto ai notai di istituire un ufficio secondario in quelle sedi dove la media repertoriale realizzata nell’anno precedente sia stata inferiore alla media repertoriale del distretto (art. 11) e configura come ipotesi di illecita concorrenza, e quindi di illecito disciplinare, la riduzione non occasionale o persistente del compenso complessivamente dovuto al notaio (art. 17). Per quanto riguarda gli ingegneri, in un documento elaborato dal Consiglio nazionale, si enuncia un’accezione negativa del concetto di concorrenza; in particolare, si prevede che l’illecita concorrenza può manifestarsi in diverse forme tra cui: “offerte delle proprie prestazioni in termini concorrenziali ad esempio attraverso la proposta ad un possibile committente di progetti svolti per autonoma iniziativa” e “abuso di mezzi pubblicitari sulla propria attività professionale di tipo reclamistico e che possano ledere in vario modo la dignità della professione”. Si tratta di un fraintendimento comune a molti professionisti che guardano alla concorrenza alla luce del concetto civilistico di concorrenza sleale. Negli incontri svolti con tali Ordini, gli Uffici dell’Autorità hanno, invece, precisato che la concorrenza rappresenta un valore per i professionisti nella misura in cui, nel favorire confronti tra gli stessi, li incentiva a migliorare la qualità delle prestazioni. Si è pertanto evidenziata la restrittività delle disposizioni su indicate.

16. Sul punto, si segnala che con delibera del 18 marzo 2005, il Consiglio Nazionale del Notariato ha dato mandato alla commissione deontologica per una rivisitazione generale dell’intero codice deontologico anche alla luce di quanto emerso nell’incontro con gli Uffici dell’Autorità. Nella relazione del 28 ottobre 2005 illustrativa dei nuovi articoli del codice deontologico notarile si precisa, pertanto, che “la concorrenza tra colleghi purché praticata nel rispetto di principi di lealtà e correttezza produce utili risultati anche sotto il profilo della ottimizzazione del servizio notarile”. Gli ingegneri, nel corso degli incontri con gli Uffici, si sono dichiarati disponibili all’emanazione di un codice valido per tutti gli Ordini provinciali che contenga regole che assicurino la concorrenza. Anche gli avvocati, in sede di incontro con gli Uffici, si sono detti disponibili ad abrogare il divieto di concorrenza contenuto nel codice di condotta; tuttavia, nella documentazione successivamente trasmessa, relativa alle proposte di modifica allo studio della commissione deontologica, non sono state formulate nuove versioni delle norme che prevedono tale divieto.

I.e. Le tariffe

17. Con alcuni Ordini (avvocati, architetti, ingegneri, dottori commercialisti e notai) il confronto ha riguardato anche le tariffe. Per tali professioni esistono in Italia tariffe minime o fisse inderogabili approvate con atti normativi o regolamentari. Unica eccezione concerne i dottori commercialisti, cui, a norma del codice di condotta, è consentito derogare ai minimi tariffari tramite accordo tra le parti. Per quanto riguarda i notai, accanto alla tariffa nazionale, esiste una tariffa applicata a livello locale e regionale che non è uguale su tutto il territorio nazionale.

18. Sebbene le tariffe di tali professionisti siano previste dalla legge, i relativi codici di condotta vi fanno comunque riferimento, prescrivendo in taluni casi l’obbligo degli iscritti di rispettarle. Sul punto, nell’ambito degli incontri, si è registrato da parte del Consiglio Nazionale Forense una posizione di chiusura rispetto a una revisione del vigente sistema tariffario. Il Consiglio ha espresso il proprio dissenso rispetto ai contenuti della Relazione della Commissione, secondo la quale il cliente dovrebbe poter negoziare la qualità della prestazione al fine di ottenere un prezzo più basso. Ad avviso del Consiglio Nazionale, l’utilità della tariffa consisterebbe nel fatto che in assenza della stessa, il professionista potrebbe chiedere un corrispettivo per una data prestazione senza doverne giustificare la congruità. Le tariffe elaborate dall’Ordine terrebbero, invece, conto di una serie di criteri per giungere alla definizione di prezzi congrui. Si aggiunga che, per gli avvocati, si registrano procedimenti disciplinari del Consiglio Nazionale intesi a sanzionare il mancato rispetto dei minimi da parte degli iscritti. Ingegneri ed architetti hanno, invece, sottolineato come, nei rapporti con i privati, la prassi è la libera contrattazione, tant’è che la loro tariffa professionale non è stata ancora aggiornata dal 1987; tale tariffa, pertanto, troverebbe applicazione solo nel caso in cui l’Ordine sia chiamato ad apporre il visto di congruità sulla parcella. Per contro, viene di norma rispettata la tariffa del 2001 relativa ai lavori pubblici. In ogni caso, gli ingegneri hanno riferito che, negli ultimi anni, non si sono svolti procedimenti disciplinari in materia di violazione dei minimi tariffari. I dottori commercialisti hanno sottolineato la peculiarità della loro tariffa minima che è derogabile con accordo tra le parti. Benché infatti il D.P.R. n. 625/94 preveda l’inderogabilità dei minimi tariffari, il Consiglio Nazionale ha ritenuto di dare un’interpretazione evolutiva a tale disposizione in ragione delle posizioni espresse dall’Autorità e del dibattito in tema di riforme e, pertanto, ha espressamente statuito nel codice deontologico del 2001, da ultimo aggiornato in data 6 ottobre 2004, la derogabilità dei minimi. I notai hanno condiviso le osservazioni degli Uffici dell’Autorità sulla scarsa trasparenza della tariffa notarile dovuta al fatto che, accanto alla tariffa nazionale, esistono diverse tariffe applicate a livello distrettuale ed hanno mostrato piena consapevolezza della necessità di una modifica della tariffa almeno sotto tale profilo.

TABELLA 1: TARIFFE

1) “Tariffa prevista dalla legge ?”;
2) “Inderogabilità prevista dalla legge ?”
3) “Obbligo deontologico del rispetto delle tariffe ?”

Avvocati:
SI (minimi e massimi)
SI (minimi)
SI

Dottori commercialisti:
SI
SI (minimi)
NO (il codice consente espressamente di derogare ai minimi)

Ragionieri:
SI
SI (minimi)
NO

Ingegneri/Architetti:
SI
SI
SI

Notai
SI (prezzo fisso)
SI
SI

I.f. La pubblicità come strumento di concorrenza

19. Come sostenuto anche in sede comunitaria, la pubblicità, costituisce un “elemento importante dello stato di concorrenza su un determinato mercato in quanto consente una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, la qualità delle prestazioni ed il loro costo”. Più in particolare, si è rilevato che la promozione di servizi, quando verte su informazioni esatte e precise, e la pubblicità comparativa, quando confronta aspetti rappresentativi e verificabili e non è ingannevole, servono ad accrescere l’informazione a vantaggio degli utenti e costituiscono elementi importanti del processo concorrenziale. La pubblicità, pertanto, funziona da leva concorrenziale in quanto facilita l’ingresso di nuovi operatori e costituisce, nel contempo, uno stimolo all’innovazione nella produzione di beni e nella prestazione di servizi per gli operatori già presenti sul mercato. In tale contesto, la comparazione pubblicitaria, rispetto agli altri fenomeni pubblicitari, si pone in più stretta correlazione con lo sviluppo delle dinamiche del mercato, potendo costituire, da un lato, uno strumento per le imprese per affermare la propria posizione, dall’altro, un fattore di orientamento della domanda e, quindi, di influenza sulle condizioni del mercato stesso.

20. Nel corso degli incontri, gli Uffici dell’Autorità hanno precisato che la pubblicità delle attività professionali dovrebbe essere in prevalenza volta a superare le asimmetrie informative degli utenti. Un tale tipo di pubblicità, per essere realmente informativa, dovrebbe riguardare elementi di fatto, quali prezzi, caratteristiche, risultati. Tuttavia, sebbene i codici deontologici esaminati non contengano più un divieto assoluto di pubblicità, seguitano a permanere numerosi vincoli in tema di mezzi di diffusione utilizzabili e di contenuti che la pubblicità professionale può assumere. Gli Uffici dell’Autorità hanno evidenziato come la preclusione di mezzi tradizionalmente usati nelle comunicazioni pubblicitarie, come pure le limitazioni a divulgare notizie essenziali ai fini della valutazione dell’attività del professionista privano di ogni utilità informativa dette comunicazioni. Pertanto, pur nella consapevolezza della peculiarità dei servizi professionali, è stata rappresentata la necessità di sottoporre i vincoli ancora esistenti in materia di pubblicità al c.d. test di proporzionalità.

21. In generale, nel corso degli incontri, è stato chiarito che le limitazioni all’attività pubblicitaria dei professionisti si possono giustificare solo se funzionali alla tutela di pubblici interessi. In questa prospettiva, si è pertanto rappresentato che il divieto di utilizzare taluni mezzi non può essere ricondotto alla salvaguardia di interessi generali, tant’è che gli stessi professionisti riconducono tali divieti alla tutela del decoro. L’Autorità ritiene che il decoro, benché costituisca di certo un interesse rilevante per professionisti, non sia riconducibile ad un interesse pubblico. Peraltro, l’individuazione preventiva di mezzi attraverso cui è possibile promuovere i servizi professionali risulta incongruente nella misura in cui un dato mezzo non appare, di per sé, idoneo a ledere il decoro; tutt’al più sono i contenuti dell’informazione pubblicitaria che potrebbero eventualmente pregiudicare il prestigio di una categoria professionale. Aggiungasi, infine, che in caso di eventuale inadeguatezza di un mezzo di comunicazione a promuovere un servizio professionale, sarà lo stesso mercato ad effettuare la selezione.

22. Diversamente, ma solo per talune professioni, alcune limitazioni sui contenuti dell’informazione pubblicitaria potrebbero giustificarsi in ragione dell’importanza degli interessi pubblici coinvolti. Ad esempio, potrebbero essere necessarie forme di regolamentazione della pubblicità di avvocati e medici intese ad evitare la creazione di bisogno artificiale di giustizia o di cure mediche. In generale, poi, deve considerarsi che non sempre l’utente è in grado di effettuare la valutazione sulla congruità dei contenuti dell’informazione pubblicitaria. In altri termini, rispetto ai contenuti della pubblicità professionale è più difficilmente ipotizzabile che la selezione si realizzi ad opera del mercato.

I.f.i. I mezzi di comunicazione

23. Alcuni codici deontologici, richiamando il decoro della professione, fanno divieto di utilizzare una pluralità di mezzi di diffusione. Ad esempio, il codice forense vieta l’utilizzo di televisione, radio, quotidiani, periodici, telefono, sponsorizzazioni, opuscoli e volantini indirizzati a soggetti indeterminati. Agli avvocati è, inoltre, fatto divieto di offrire, sia
direttamente che per interposta persona, i propri servizi professionali al domicilio dei consumatori, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago, e in generale in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Quanto ai notai, esiste un divieto di pubblicità contenuto nell’art. 34 del R.D.L. n. 1666/1937. Il divieto di legge è stato, tuttavia, interpretato dalla categoria professionale in senso evolutivo: il codice deontologico notarile del 2004 (articoli 18-21) ha infatti consentito la pubblicità informativa, prevedendo tuttavia numerosi limiti sia in termini di contenuto che di mezzi di diffusione della pubblicità stessa. Così, detto codice deontologico prevede per il notaio il divieto di esporre targhe di inusuali dimensioni, di fare annunci su stampa o con altri mezzi di comunicazione, di indicare il proprio nominativo su rubriche telefoniche con caratteri di particolare risalto, di prestare qualsiasi forma di collaborazione all’inserimento del proprio nome in elenchi, periodici, guide che non riportino tutti i nomi dei notai del Distretto. Ai sensi delle norme deontologiche, inoltre, il notaio deve informare il Consiglio Notarile della partecipazione o collaborazione a trasmissioni o rubriche radio televisive o giornalistiche anche in forma di intervista, nonché di altri fatti di rilievo dai quali possano derivare occasioni di notorietà professionale attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Il codice deontologico degli architetti, da ultimo modificato in data 27 febbraio 2003, benché individui i mezzi di diffusione dei messaggi pubblicitari consentiti, ne permette l’utilizzo di un numero significativo (biglietti da visita, brochure, annuari, targhe, giornali, periodici, mezzi di comunicazione informatica e telematica). Il citato codice deontologico dei dottori commercialisti non prevede significative limitazioni ai mezzi di diffusione. Tuttavia, in un documento elaborato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, sono vietati, in quanto ritenuti offensivi del decoro e della dignità della professione, cartelloni pubblicitari, manifesti, attività di volantinaggio, invio di messaggi a mezzo fax, posta elettronica ad una massa indistinta di soggetti, telefonate di presentazione, visite dirette, diffusione amplificata con mezzi mobili. Anche il codice di condotta dei ragionieri, approvato il 1° ottobre 1999, non vieta il ricorso a determinati mezzi di comunicazione pubblicitaria, tuttavia, anche per tali professionisti, un documento di interpretazione della norma deontologica relativa alla pubblicità prevede di valutare con particolare attenzione il ricorso a mezzi di diffusione ritenuti a carattere invasivo, quali invii a mezzo posta, fax, e-mail, distribuzione di volantini, biglietti da visita. Si è visto che gli ingegneri non disciplinano la pubblicità sul piano deontologico e che i farmacisti, per effetto del citato procedimento istruttorio concluso dall’Autorità nel 2002, non sono soggetti ad alcuna limitazione rispetto ai mezzi di diffusione dei messaggi pubblicitari.

24. L’Autorità ritiene che la soluzione preferibile sia proprio quella di non individuare i mezzi consenti (e, quindi, di non disciplinare in alcun modo il ricorso ad un mezzo piuttosto che ad un altro); come già osservato, infatti, l’eventuale inadeguatezza di un determinato mezzo può ben essere decretata dal mercato.

25. A seguito degli incontri con gli Uffici l’Autorità, alcune categorie di professionisti, come emerge dalla Tabella n. 2, hanno manifestato la propria disponibilità a modificare le norme deontologiche che limitano l’utilizzo dei mezzi di comunicazione. Al riguardo, il Consiglio Nazionale del Notariato ha adottato, nel febbraio 2005, una delibera con la quale ha delegato la commissione deontologia a proporre una modifica ed integrazione del codice deontologico nella parte riguardante la pubblicità e ad eliminare tutti i divieti di pubblicità di cui agli articoli 19-21, sul presupposto che, in considerazione del mutamento del mondo delle professioni e anche alla luce delle istanze dell’Autorità antitrust, la pubblicità è idonea a “migliorare la qualità e l’efficienza della prestazione professionale nell’esclusivo interesse della clientela cioè quella pubblicità di situazioni soggettive e di qualità che proprio perché possono essere pubblicizzate stimolano il professionista a conseguirle”. In attuazione di detta delibera, il Consiglio Nazionale del Notariato in data 28 ottobre 2005, ha modificato i suindicati articoli del codice deontologico. Il nuovo art. 20 prevede che al notaio è consentito fare pubblicità con ogni mezzo di comunicazione e, a titolo meramente esemplificativo, si indicano le targhe da esporsi fuori dello studio, le rubriche anche telefoniche, la carta intestata ed i siti internet. Inoltre, viene espressamente prevista la possibilità di promuovere la propria attività nell’ambito di trasmissioni televisive, rubriche giornalistiche, ecc. purché nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 18. I ragionieri hanno riferito di star provvedendo a riformulare l’art. 10 del loro codice deontologico, tenendo conto delle indicazioni dell’Autorità, ed a disciplinare la pubblicità on line. I dottori commercialisti si sono impegnati a produrre entro la fine dell’anno una proposta di revisione delle proprie norme deontologiche, specificando, in ogni caso, che per il 2008, in ragione dell’unificazione degli albi di dottori commercialisti e ragionieri, verrà redatto un unico codice di condotta. Gli architetti hanno presentato una bozza di riforma dell’art. 35 del codice di condotta, in cui vengono individuati, ma solo a titolo esemplificativo, un numero molto ampio di mezzi attraverso i quali l’informazione può essere data (biglietti da visita, brochure, annuari, targhe, giornali, periodici ed ogni altro mezzo di comunicazione anche telematica e informatica). Per gli ingegneri, l’Autorità confida che l’impegno di emanare un codice che contenga regole che assicurino la concorrenza implichi, in materia di pubblicità, l’assenza di qualsivoglia limitazione all’utilizzo dei mezzi. Nessuna proposta di modifica con riguardo alle esistenti limitazioni in materia di mezzi è pervenuta, invece, da parte degli avvocati.

I.f.ii. L’utilizzo di Internet

26. Per quanto riguarda Internet, si evidenzia che i codici deontologici esaminati consentono l’utilizzo di tale mezzo a fini pubblicitari anche in virtù dell’obbligo previsto in tal senso dalla direttiva 2003/31/CE sul commercio elettronico. Si osservi, inoltre, che per i messaggi diffusi via Internet risulta quanto mai valida la considerazione secondo cui il mezzo di diffusione impiegato è spesso in grado di informare di sé o contribuire a creare le caratteristiche stesse del messaggio: basti pensare al carattere potenzialmente “effimero” dal punto di vista temporale del messaggio Internet, all’ampiezza ed eterogeneità del relativo target di riferimento o, ancora, alle peculiari modalità di fruizione dei messaggi stessi che richiedono un contributo spesso “attivo” e comunque imprescindibile da parte dei destinatari che “navigano” in rete. Internet si presenta, quindi, come un mezzo di diffusione estremamente duttile e versatile tanto da essere in grado di ospitare i tipi più svariati di promozioni. In questo senso, pertanto, Internet riveste una portata trasversale accentuata rispetto ad altri mezzi di diffusione che l’esperienza ha dimostrato essere spesso in prevalenza “dedicati” alla veicolazione di particolari tipologie di messaggi.

27. Tali considerazioni sono state rappresentate dagli Uffici dell’Autorità nell’ambito degli incontri con i professionisti; in particolare, si è evidenziato come il fatto che gran parte dei codici richieda la previa segnalazione all’Ordine dell’apertura di un sito web non sia conforme alla citata direttiva sul commercio elettronico. Tale direttiva osta a che qualsivoglia operatore che intenda offrire i propri servizi in rete debba richiedere un’autorizzazione preventiva, con l’unica esclusione delle attività professionali direttamente connesse all’esercizio di pubbliche funzioni. Sul punto, i rappresentanti degli Ordini hanno chiarito che l’apertura di un sito non soggiace ad alcuna autorizzazione preventiva, ma soltanto ad una mera comunicazione trasmessa dal professionista all’Ordine di appartenenza.

28. Quanto alle modifiche intervenute a seguito degli incontri, è da segnalare che i ragionieri nel predisporre una bozza di modifica dell’art. 10 del loro codice deontologico hanno disciplinato la pubblicità via Internet che, per ciò che attiene alle modalità di utilizzo del mezzo, consente l’inserimento di link al sito web del Collegio di appartenenza, o del Consiglio nazionale e ai siti web di istituzioni, enti attinenti alla professione. Inoltre, è consentito effettuare pubblicità a mezzo terzi: il professionista può promuovere la propria attività anche attraverso “banner” inseriti nei siti web di terzi, purché il messaggio diffuso riguardi la professione e i siti web su cui appare siano comunque specializzati nel settore professionale.

TABELLA 2: MEZZI DI COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

1) “Divieti esaminati”;
2) “Modifiche apportate”.

Avvocati:

1) Televisione, radio, quotidiani, periodici, opuscoli, volantini, fax-e-mail indirizzati a soggetti indeterminati, telefonate di presentazione, visite a domicilio non richieste, cartelloni pubblicitari, sponsorizzazioni.

2) Nessuna modifica in tema di mezzi.

Notai:

1) A titolo esemplificativo: televisione, radio, quotidiani, periodici, cartelloni pubblicitari.
2) Possibilità di utilizzare tutti i mezzi.

Architetti:

1) Telefonate e visite a domicilio non richieste, volantini, testimonial.
2) Introduzione in via esemplicativa di mezzi consentiti (biglietti da visita, brochure, annuari, targhe, giornali, periodici ed ogni altro mezzo di comunicazione anche telematica e informatica)

Ingegneri

Nessuna disciplina dei mezzi pubblicitari.

Dottori Commercialisti:

1) Volantini, fax, e-mail e telefonate a soggetti indeterminati, visite a domicilio non richieste, cartelloni pubblicitari.
2) Nessuna modifica in tema di mezzi Ragionieri Opuscoli, volantini, fax e e-mail indirizzati a soggetti indeterminati, cartelloni pubblicitari. Nessuna modifica in tema di mezzi.

Farmacisti:

Nessun divieto in tema di mezzi.

I.f.iii. I contenuti dei messaggi

29. Oggetto di analisi sono state anche le previsioni dei codici relative ai contenuti che la pubblicità dell’attività professionale può assumere. Invero, numerose limitazioni poste dagli Ordini sono apparse sproporzionate rispetto alla finalità da tutelare, risultando di converso le informazioni vietate del tutto utili per consentire al consumatore di effettuare scelte più consapevoli. Ma proprio la pubblicità di elementi di fatto, quali prezzi, caratteristiche e risultati, risulta, invece, spesso vietata o ingiustificatamente limitata in Italia a norma dei codici di condotta.

30. Nel corso degli incontri, gli Uffici dell’Autorità hanno precisato come il divieto di indicare in pubblicità i nominativi dei clienti, laddove questi abbiano dato il loro consenso, non sembra soddisfare il c.d. test di proporzionalità, in quanto non si vede il pregiudizio che può derivare a chicchessia da siffatta informazione, la quale, per contro, contribuisce a fornire ragguagli sul ramo di attività del professionista e, più in generale, sul suo prestigio. Inoltre, considerata l’esigenza di specializzazione che caratterizza ormai tutte le professioni, la pubblicità dovrebbe riguardare anche le specializzazioni possedute; l’utente, infatti, dovrebbe essere messo in grado di scegliere in ragione delle sue specifiche esigenze il professionista a cui rivolgersi. Peraltro, la diffusione di informazioni sulle specializzazioni consente di remunerare il professionista per l’investimento effettuato nella propria formazione. Infine, dovrebbe essere consentito di pubblicizzare i prezzi delle prestazioni, proprio in ragione dell’asimmetria informativa che caratterizza i rapporti professionisti-clienti, senza considerare che un divieto in tal senso contrasta con la direttiva sul commercio elettronico la quale stabilisce che le informazioni diffuse tramite internet possono riguardare anche i prezzi.

31. Sul punto, importa segnalare che i farmacisti – sempre per effetto della citata istruttoria – non prevedono alcun limite ai contenuti dell’informazione pubblicitaria dal momento che l’art. 23, primo comma del codice deontologico dispone che è conforme alle norme deontologiche rendere noti al pubblico dati e elementi conoscitivi, veritieri e corretti, relativi ai servizi prestati, ai reparti presenti nella farmacia, ai prezzi praticati per i prodotti diversi dai medicinali per uso umano nonché per servizi. Si ricorda, poi, che gli ingegneri allo stato non disciplinano in alcun modo la pubblicità.

32. Per quanto concerne i contenuti dell’informazione pubblicitaria, al momento degli incontri con gli Uffici dell’Autorità, i codici deontologici esaminati prevedevano:

– divieto di pubblicizzare il prezzo delle prestazioni (avvocati, notai, dottori commercialisti, architetti, ragionieri). A seguito degli incontri, soltanto architetti e ragionieri hanno eliminato tale divieto. Infatti, il nuovo testo sulla pubblicità del codice deontologico degli architetti consente di dare informazioni sui criteri di calcolo dell’onorario. Analogamente, il progetto di riformulazione dell’art. 10 del codice deontologico dei ragionieri prevede che si possa pubblicizzare il costo delle pratiche, benché a tal fine occorra far riferimento alla tariffa professionale.

– divieto di citare i nominativi dei clienti (avvocati, dottori commercialisti, architetti). Anche rispetto a tale restrizione, il nuovo testo sulla pubblicità del codice deontologico degli architetti consente, invece, al professionista di indicare i nominativi dei clienti, previa autorizzazione di questi ultimi.

– divieto di indicare i propri risultati professionali (dottori commercialisti), ad esempio le percentuali della cause vinte (avvocati). Sul punto, il nuovo codice degli architetti prevede espressamente la possibilità di pubblicizzare le opere realizzate previa autorizzazione del cliente.

– divieto di indicare le caratteristiche del servizio offerto, ad esempio la specializzazione del professionista (avvocati) ovvero la struttura in cui opera.

A seguito dell’incontro con gli Uffici dell’Autorità, il Consiglio Nazionale Forense ha redatto una bozza di modifica dell’art. 17 del codice deontologico forense secondo cui sarà possibile per gli avvocati pubblicizzare i settori di esercizio dell’attività professionale (civile, penale, amministrativo e tributario) e nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente, con il limite di non più di tre materie. Tale bozza prevede anche la possibilità di indicare la denominazione dello studio, i nominativi di tutti i professionisti che lo compongono, se l’esercizio della professione è svolto in forma associata o societaria, nonché l’Ordine a cui è iscritto ciascuno dei componenti dello studio. Il nuovo codice degli architetti prevede che si possano indicare le aree di specifica competenza e le specializzazioni aventi valore legale, nonché la certificazione di qualità eventualmente ottenuta dallo studio e l’affiliazione a network professionali. Anche le proposte di modifica del codice dei ragionieri contemplano la possibilità di pubblicizzare la struttura dello studio professionale, la sua composizione, l’attività professionale svolta, i curricula dei professionisti che compongono lo studio. Da ultimo, si segnala che anche i notai hanno previsto la legittimità della pubblicità informativa avente ad oggetto “situazioni e stati verificati o verificabili, dati personali attinenti l’attività ed elementi organizzativi”. Il nuovo art. 19 indica, quindi, a titolo esemplificativo quali dati personali e obiettivi che il notaio potrà pubblicizzare: titoli di studio e professionali legalmente riconosciuti, curricula scolastici e universitari, docenza universitaria o in scuole di formazione, frequenza di master o corsi di specializzazione o perfezionamento in ambito giuridico, svolgimento di conferenze in convegni giuridici, pubblicazione giuridiche o in altre materie, conseguimento di crediti formativi, incarichi in organismi ufficiali del notariato, partecipazione ad enti associativi senza scopo di lucro, incarichi nel mondo della cultura. Sarà inoltre ammessa la pubblicità relativa alla disponibilità di lavoro in determinati giorni ed ore, alla struttura organizzativa dello studio, all’ubicazione e modalità di accesso allo studio, alla conoscenza da parte del notaio o del personale di studio di determinate lingue straniere.

I.f.iv. La pubblicità comparativa

33. La gran parte dei codici deontologici esaminati vietano la pubblicità comparativa. Invero, tale divieto non trova giustificazione, atteso che il D.lgs. n. 67/2000 (in attuazione della direttiva 97/55/CE) ha sancito la liceità della comparazione pubblicitaria. Tale forma di pubblicità, essendo per natura finalizzata alla valorizzazione degli elementi che differenziano il bene o servizio offerto da quello del concorrente, risulta auspicabile, nella misura in cui sia fondata su elementi di confronto qualitativo di carattere obiettivo, proprio in ragione dei contenuti informativi che la caratterizzano. Anche secondo la Commissione Europea tale forma di pubblicità “può essere uno strumento di concorrenza fondamentale per le nuove imprese che fanno il loro ingresso nel mercato e per le imprese esistenti che lanciano nuovi prodotti”.

34. Diversamente, tra i professionisti – presumibilmente anche in ragione della sua recente introduzione nel nostro ordinamento – è diffusa l’avversione verso tale tipologia pubblicitaria, in base all’erroneo presupposto che la comparazione comporti di per sé la denigrazione del concorrente. E’ bene, invece, ricordare che la denigrazione è censurata sia a livello civilistico che a norma della specifica disciplina in materia di pubblicità comparativa.

TABELLA 3: CONTENUTI DELL’INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

1) “Divieti esaminati”;
2) “Modifiche apportate”.

Avvocati:

1) Prezzo della prestazione, nominativi dei clienti, percentuali cause vinte, specializzazione, pubblicità comparativa.
2) Possibilità di pubblicizzare la struttura dello studio in cui si opera e di indicare i settori di esercizio dell’attività professionale (civile, penale, amministrativo e tributario).

Notai:

1) Indicazioni diverse da quelle attinenti l’esercizio della professione, informazioni sull’organizzazione dello studio, indicazione del proprio nominativo con particolare risalto, pubblicità comparativa.
2) Possibilità di pubblicizzare titoli di studio e professionali legalmente riconosciuti, docenze master, partecipazioni a conferenze, pubblicazioni, conseguimento di crediti formativi, struttura organizzativa dello studio, conoscenza lingue straniere.

Architetti:

1) Prezzo della prestazione, nominativi dei clienti, pubblicità comparativa.
2) Possibilità di pubblicizzare criteri di calcolo dell’onorario, nominativi dei clienti, organizzazione dello studio, certificazione di qualità, affiliazioni a network professionali, aree di competenza, opere realizzate.

Ingegneri:

Nessuna disciplina dei contenuti pubblicitari.

Dottori Commercialisti:

1) Prezzo della prestazione, nominativi dei clienti, risultati ottenuti, specializzazione, pubblicità comparativa.
2) Nessuna modifica apportata.

Ragionieri:

1) Nessun divieto espresso.
2) Espressa previsione della possibilità di pubblicizzare: prezzi delle prestazioni, attività professionale svolta, struttura dello studio, sua composizione, curricula dei professionisti che vi lavorano.

Farmacisti: Nessun divieto in tema di contenuti pubblicitari.

35. In conclusione, da un’analisi comparativa della disciplina deontologica della pubblicità, il codice più restrittivo resta quello degli avvocati, anche alla luce delle poco significative modifiche proposte. I dottori commercialisti, sebbene abbiano un codice non particolarmente restrittivo quanto ai mezzi, non hanno ancora proposto alcuna modifica con riguardo ai contenuti informativi consentiti. Maggiori aperture si registrano nel codice deontologico degli architetti con riguardo al testo riformulato dal Consiglio Nazionale, come pure nella proposta di modifica del codice deontologico dei ragionieri, in particolare per quanto concerne i contenuti delle informazioni (ad esempio, possibilità di pubblicizzare i prezzi). I notai hanno proceduto ad una rilevante revisione in chiave concorrenziale della pubblicità professionale sia per quanto attiene i mezzi che i contenuti.

SEZIONE II

II.a. L’attività svolta nei confronti del regolatore

36. Come accennato, la regolamentazione dei servizi professionali di fonte statale è stata oggetto di continuo monitoraggio da parte dell’Autorità. In particolare, sui progetti di riforma del settore succedutesi nel tempo l’Autorità ha, anche di recente, prontamente esposto le proprie considerazioni, esercitando i poteri di segnalazione di cui agli articoli 21 e 22 della legge 287/90. La necessarietà di alcuni aspetti della regolamentazione italiana è, peraltro, attualmente al vaglio degli organi comunitari, anche per impulso di giudici di merito italiani; si tratta, come noto, delle tariffe inderogabili di avvocati, ingegneri e architetti17. Da ultimo, si ricorda che anche l’OCSE e il Fondo Monetario Internazionale hanno richiamato il nostro Paese all’applicazione dei principi antitrust al settore delle professioni.

37. Gli interventi dell’Autorità, le recenti iniziative dei giudici italiani e quelle della Commissione Europea non hanno, allo stato, indotto le autorità di regolazione italiane ad operare un ripensamento in merito agli effetti restrittivi della concorrenza derivanti dalla regolamentazione dei servizi professionali vigente nel nostro Paese. Si rileva, tuttavia, che la partecipazione dell’Autorità alla fase di formazione delle proposte regolatorie ha consentito di trasmettere il messaggio per cui la promozione della concorrenza contribuisce, anche nelle professioni, a migliorare la qualità dei servizi resi agli utenti e non viceversa.

38. In generale, nell’ordinamento italiano permangono previsioni legislative o regolamentari che determinano significative restrizioni della concorrenza, che, tuttavia, vengono ritenute necessarie dalle autorità competenti in ragione della loro asserita funzionalità alla salvaguardia di interessi generali. L’Autorità è consapevole che in alcuni casi l’intervento regolamentare trova giustificazione nei c.d. fallimenti del mercato e che, nel settore dei servizi professionali, le asimmetrie informative che caratterizzano i rapporti dei professionisti con i propri clienti si prestano a generare malfunzionamenti del mercato. Ciononostante, la regolamentazione esistente risulta essere in molti casi sproporzionata, traducendosi nell’attribuzione di ingiustificati privilegi ai professionisti che limitano l’accesso al mercato e riducono, in tal modo, l’efficienza complessiva del mercato a danno dei consumatori. E’ muovendo da questa prospettiva che il regolatore dovrebbe operare un ripensamento della coincidenza tra interessi pubblici e privati.

39. Dato il contesto descritto, non stupisce che nella menzionata Relazione della Commissione dello scorso 5 settembre (I servizi professionali- Proseguire la riforma) l’Italia figuri, dopo la Grecia, come il paese con il più alto tasso di regolamentazione in materia. Ma ciò che appare più grave all’Autorità è che il nostro Paese occupi il penultimo posto nell’analisi di confronto tra il livello di regolamentazione esistente e l’attività di riforma intrapresa dal febbraio 2004 e che risulti essere l’unico Stato europeo in cui, nonostante i richiami della Commissione, sono stati adottati dopo la Comunicazione del 2004 nuovi tariffari minimi e massimi per gli avvocati e risultano essere oggetto di aggiornamento quelli di ingegneri ed architetti.

II.b. Le restrizioni esistenti

II.b.i. Le riserve di attività

40. In Italia la regolamentazione non appare, ad esempio, giustificabile con riguardo a talune riserve di attività, quali le certificazioni di alcuni atti notarili o la vendita di medicinali da banco. Le riserve di attività, infatti, risultano necessarie solo con riguardo ad attività che rappresentano un valore per l’intera collettività e allorché l’inadeguatezza dell’offerta delle stesse comporti elevati costi sociali. In svariati settori professionali, tuttavia, molte attività hanno subito un processo di standardizzazione e, ciononostante, restano coperte da riserva. Sul punto, la scelta compiuta dal Governo italiano nel progetto di legge finanziaria per il 2006, attualmente al vaglio del Parlamento, di abolire la riserva a favore dei notai per la certificazione dei trasferimenti di proprietà di autoveicoli dimostra come sia possibile, anche per una professione come quella notarile, distinguere le attività supportate da necessità di interesse pubblico, per le quali si giustifica l’esistenza di un’esclusiva, da quelle che invece ben possono essere svolte da soggetti diversi dai professionisti. Restano, come noto, numerose attività il cui espletamento continua ad essere riservato dall’ordinamento in via esclusiva ai notai, benché caratterizzate dal processo di standardizzazione anzidetto (si pensi, ad esempio, alle competenze esclusive dei notai in materia di trasferimenti di immobili). Nel contempo, in Italia la domanda di regolamentazione espressa dalle professioni non protette si traduce non di rado nell’istituzione di nuovi Ordini o Albi o, comunque, nell’introduzione di modalità selettive e limitative simili a quelle previste per le professioni protette. E’, ad esempio, all’esame del Parlamento un progetto di legge (su cui, come diremo nel prosieguo, l’Autorità aveva espresso forti perplessità) che prevede l’istituzione di nuovi Ordini per le professioni sanitarie non mediche.

II.b.ii. L’accesso alla professione

41. Nel nostro Paese, l’accesso alle attività professionali riservate è subordinata al possesso di requisiti predeterminati, che vanno dal semplice titolo di studio, al tirocinio, all’esame di Stato, all’iscrizione in un albo professionale. Al riguardo, si osserva che se una selezione anche stringente all’entrata può apparire giustificata per le professioni caratterizzate da importanti asimmetrie informative, alcune restrizioni all’accesso comportano dei costi eccessivi in termini di rallentamento dell’entrata nel mondo del lavoro; è il caso, ad esempio, del tirocinio, richiesto alla maggior parte degli aspiranti professionisti per accedere all’esame di abilitazione. Detto accesso, peraltro, non sempre è stato predisposto dal legislatore in modo da mettere tutti nelle condizioni di accedervi facilmente, la formazione essendo spesso rimessa alle disponibilità del singolo professionista. Inoltre, in Italia, per talune professioni (i notai e i farmacisti), vige un regime di predeterminazione del numero dei soggetti ammessi ad operare sul mercato a ciascuno dei quali viene riconosciuta un’esclusiva territoriale. Ciò significa che è richiesto – successivamente al superamento dell’esame di abilitazione (nel caso dei farmacisti) o in luogo dello stesso (nel caso dei notai) – di sostenere un concorso per acquisire la titolarità di una delle sedi disponibili, il cui numero massimo è determinato sentito il parere dell’Ordine competente.

42. In generale, poi, non si comprende la ratio di introdurre forme di regolamentazione ulteriori una volta avvenuta la selezione all’entrata e, in particolare, quelle che, vincolando le modalità di esercizio della professione, limitano la concorrenza tra professionisti. Ci si riferisce alla predisposizione di tariffari, alle restrizioni all’utilizzo della pubblicità, alle limitazioni all’organizzazione dell’attività.

II.b.iii. Le tariffe

43. Tra i vincoli all’esercizio dell’attività professionale, la fissazione di tariffe inderogabili minime o fisse appare quella meno riconducibile al perseguimento dell’interesse generale. Le tariffe predeterminate, infatti, da una parte, non sono idonee a garantire la qualità delle prestazioni (nulla, infatti, impedisce al professionista senza scrupoli di offrire comunque servizi di bassa qualità) e, dall’altra parte, non consentono al professionista di gestire la più importante variabile del proprio comportamento economico.

44. Diversamente, nel corso degli incontri con gli Uffici dell’Autorità, i rappresentanti degli Ordini hanno rilevato che la tariffa costituirebbe lo strumento tramite il quale il professionista riesce a far comprendere al cliente le varie attività svolte per la realizzazione di un’opera. Inoltre, l’utilità della tariffa sarebbe da ricondurre alle agevolazioni che ne deriverebbero in termini di definizione del compenso, ad esempio nei casi in cui i professionisti non hanno potere contrattuale, come nei rapporti con i grandi clienti. Infine, la tariffa si presterebbe a favorire la qualità della prestazione, anche nella misura in cui scongiurerebbe la fuoriuscita dal mercato dei professionisti più qualificati i quali, per effetto di una concorrenza al ribasso, potrebbero infatti ritenere non appetibile il mercato.

45. Quanto alla necessarietà delle tariffe, se, come detto, la regolazione di una data attività economica si giustifica allorché risulti funzionale a sopperire ai fallimenti del mercato, non può ignorarsi, in relazione alle lacune informative dei fruitori dei servizi professionali, che le caratteristiche della domanda di tali servizi hanno subito una notevole evoluzione nel corso degli anni. Si calcola, infatti, che i principali fruitori di servizi professionali siano le imprese, le quali, evidentemente, costituiscono una clientela più qualificata del semplice consumatore, anche in ragione della presenza di professionisti all’interno delle stesse imprese. Peraltro, l’esistenza di asimmetrie informative potrebbe semmai giustificare la previsione di prezzi massimi e non anche di prezzi minimi. Le tariffe, cioè, potrebbero al più risultare necessarie per garantire che a quella parte minoritaria di domanda non qualificata i servizi professionali non siano offerti a prezzi gravosi e sproporzionati. In merito all’argomento per cui la fissazione di tariffe sarebbe necessaria a garantire la qualità dei servizi offerti, l’Autorità ha più volte osservato che la qualità minima della prestazione dovrebbe essere garantita dalle selezioni previste dalla disciplina dell’accesso alla professione. Al contrario, il meccanismo dei prezzi prefissati fa sì che la qualità non sia una variabile che concorre alla determinazione degli stessi e, quindi, non costituisca né un parametro di riferimento per il cliente/utente che si trova a compiere le proprie scelte sul mercato, né un valido incentivo per il professionista ad offrire servizi qualitativamente migliori di quelli dei propri concorrenti. Allo stesso modo, non convince l’argomento secondo cui la qualità sarebbe espressione del livello al quale la tariffa è fissata. In tal caso, infatti, la qualità risulta determinata ex ante e, pertanto, ad un livello necessariamente minimo ed uniforme, già assicurato, come detto, dai meccanismi di selezione all’accesso. La qualità dovrebbe invece contribuire allo sviluppo della professione e, quindi, costituire un elemento dinamico che, in quanto tale, non può che emergere ex post, al momento dello svolgimento della prestazione e dal confronto che il professionista stesso dovrebbe effettuare con prestazioni analoghe svolte da propri concorrenti. In tal senso, pertanto, si potrebbe sostenere che qualità e tariffe uniformi sono strumenti in contraddizione tra loro, essendo la prima un elemento di differenziazione, la seconda di omologazione del servizio professionale. Né può condividersi il paventato rischio secondo cui l’eliminazione delle tariffe potrebbe indurre i professionisti più qualificati a non erogare più le proprie prestazioni; posti, infatti, i menzionati cambiamenti che si registrano nella domanda di servizi professionali, si ritiene che la parte più qualificata dei fruitori di servizi professionali, ove interessata a prestazioni di qualità particolarmente elevata, resterà disponibile a corrispondere prezzi più onerosi.

46. Esclusa la necessarietà delle tariffe per la tutela di interessi generali, si deve ancora osservare che la fissazione dei prezzi non appare neanche proporzionale rispetto agli obiettivi che tramite le tariffe si dovrebbero realizzare. Ad esempio, con riguardo ai servizi legali, non può tacersi che la gran parte delle attività legali professionali sono di tipo stragiudiziale e, quindi, non riservate (ciò vale, in particolare, per i grandi studi legali per i quali la difesa in giudizio concorre in minima parte a realizzarne il fatturato). Perlomeno per le attività di consulenza che gli avvocati svolgono in concorrenza con altri professionisti, quindi, la ratio dei prezzi minimi inderogabili appare essere quella di evitare confronti concorrenziali tra gli appartenenti alla medesima categoria e non la tutela di interessi della collettività. In termini più generali, l’analisi della proporzionalità andrebbe svolta avendo riguardo ai costi che derivano alla collettività dai sistemi tariffari. Sul punto, ci si limita a richiamare quanto già osservato dall’Autorità nella Relazione annuale sull’attività svolta nel 200320, secondo cui i costi dei servizi professionali sostenuti dalle imprese italiane sono sensibilmente superiori a quelli sostenuti per altri fattori della produzione, pur soggetti a regolamentazione (quali, energia, telecomunicazioni, servizi finanziari). Ovviamente, i costi che gravano sulle imprese non possono che ripercuotersi sui consumatori finali in termini di rincaro dei prezzi di acquisto dei beni i cui costi di produzione includono, evidentemente, anche i costi dei servizi professionali.

47. In tema di tariffe, preme, infine, chiarire che l’Autorità è ben consapevole dei benefici che in molti casi derivano alla collettività dalle prestazioni professionali ed è anche per questo motivo che ritiene di dover intervenire sul sistema dei costi delle stesse. Se, infatti, la consulenza del professionista costituisce ormai un elemento imprescindibile in molti settori dell’economia – con la conseguenza che allo stesso sono richiesti livelli di specializzazione sempre più elevati – l’eliminazione delle tariffe prefissate diviene ancor più importante per consentire lo svolgersi della concorrenza proprio a beneficio di un continuo miglioramento dei servizi professionali. Non dimentichiamo, infatti, che oggi si può parlare di domanda qualificata di servizi professionali. Gli incontri svolti dall’Autorità con gli Ordini hanno evidenziato la natura ormai anacronistica delle restrizioni dei comportamenti di prezzo dei professionisti. In proposito, non può non rilevarsi che i dottori commercialisti hanno ritenuto di non dover più dare seguito al principio legislativo di inderogabilità dei minimi tariffari e che la tariffa di ingegneri e architetti, da ultimo rielaborata nel 1987, non viene nei fatti applicata.

II.b.iv. La pubblicità

48. In Italia vige, altresì, un atteggiamento di disfavore rispetto all’attività promozionale del libero professionista e, in particolare, per i servizi forniti da medici, notai e avvocati. La pubblicità non può più essere considerata come uno strumento legittimo per la sola vendita di prodotti commerciali; come già evidenziato nella prima parte della presente relazione, il ricorso alla pubblicità c.d. informativa costituisce uno strumento atto a colmare le lacune informative dei fruitori di servizi professionali, in quanto aiuta il consumatore ad orientarsi nella scelta del servizio di cui necessita e giudicarne la qualità. Del resto, eventuali elementi non rispondenti alla realtà potranno sempre essere perseguiti come forme di pubblicità ingannevole. In Italia, tuttavia, la pubblicità professionale è spesso ingiustificatamente limitata, se non addirittura vietata, anche ad opera del legislatore (è il caso dell’attività promozionale dei medici e dei notai). La direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE (trasposta nel nostro ordinamento con il D.lgs. n. 70/2003) ha introdotto il principio della legittimità della pubblicità nelle professioni regolamentate, così imponendo una rivisitazione delle regole esistenti, almeno con riguardo alla pubblicità tramite Internet. Sotto tale profilo, molti Ordini professionali, come visto, hanno mostrato disponibilità a rivedere i propri codici deontologici.

II.b.v. L’esercizio della professione in forma societaria

49. In Italia, una maggiore disponibilità alla liberalizzazione si registra, invece, in merito alle forme di organizzazione dell’attività dei professionisti. Il crescente grado di internazionalizzazione del settore, unitamente all’aumento della domanda di servizi professionali proveniente dalle imprese (che richiede approcci differenziati e spesso di tipo interdisciplinare), ha portato ad un’interpretazione meno rigida del principio della personalità della prestazione e, quindi, a consentire assetti organizzativi e dimensionali nell’erogazione dei servizi professionali più consoni alle evoluzioni della domanda, prevedendo in capo al professionista l’obbligo di direzione e responsabilità dell’attività svolta ma non anche quello di eseguire direttamente la prestazione. In particolare, è da segnalare che, con legge 7 agosto 1997, n. 266, è stato abrogato il divieto di società tra professionisti. Successivamente, con esclusivo riguardo alle professioni tecniche (ingegneri, architetti, geometri, geologi, periti industriali etc.), il D.P.R. n. 554/1999 ha disciplinato le società tra professionisti e le società di ingegneria, stabilendo che le prime devono essere costituite da soli professionisti iscritti nei relativi albi professionali, nella forma di società di persone e di cooperative. Le società di ingegneria, invece, possono avere la forma di società di capitali. Infine, si deve registrare l’adozione del D.Lgs. n. 96/2001 relativo alla possibilità per gli avvocati di costituire società in nome collettivo.

II.c. Le principali segnalazioni adottate dall’Autorità nel biennio considerato

50. Anche di recente, l’Autorità ha ribadito le osservazioni sopra richiamate nell’ambito di segnalazioni e pareri emessi con riguardo a disegni di legge intesi a confermare restrizioni alla concorrenza esistenti o ad introdurne di nuove. Nel corso del periodo in esame, tale attività consultiva è stata svolta con particolare sollecitudine, nell’intento di far pervenire le osservazioni dell’Autorità ai soggetti competenti nel momento in cui l’attività decisionale era ancora in corso, vale a dire prima dell’approvazione definitiva dei provvedimenti legislativi in questione. Ciononostante, l’analisi dell’impatto di tale attività dell’Autorità dimostra come le manifestate esigenze di tutela della concorrenza non siano state prese in considerazione dalle autorità competenti, nonostante la tempestività degli interventi.

II.c.i. AS298 Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale

51. Tra le segnalazioni di carattere generale, si ricorda quella adottata, con delibera del 20 aprile 2005, in cui, prendendo spunto dalle previsioni sulle professioni contenute nel c.d. decreto competitività (Decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”), l’Autorità ha colto l’occasione per rappresentare la necessità di una revisione complessiva dell’ordinamento delle libere professioni, in funzione delle effettive esigenze di necessità e proporzionalità, ribadendo ai Presidenti di Camera e Senato e al Presidente del Consiglio dei Ministri i problemi di ordine concorrenziale che caratterizzano il settore.

52. In particolare, quanto ai regimi di riserva, si è nuovamente evidenziato che gli stessi si giustificano solo con riguardo ad attività che comportano rilevanti costi sociali in caso di inadeguata erogazione della prestazione, precisando altresì che la previsione di ricondurre determinate professioni (podologi, i fisioterapisti, i logopedisti ed altri) attualmente svolte in regime di libero mercato sotto l’egida di Ordini professionali, oltre ad ampliare giustificatamente le competenze degli Ordini stessi, determinerebbe significative restrizioni della concorrenza in termini di limitazione all’accesso di nuovi operatori – tramite l’introduzione di nuove forme di selezione all’entrata -, nonché di creazione di ingiustificate riserve di attività. In materia di accesso alle professioni, si è manifestata, rispetto ad una delle previsioni oggetto di esame, la necessità di limitare la presenza di rappresentanti degli Ordini nell’ambito delle commissioni esaminatrici, nella convinzione che i professionisti non dovrebbero contribuire a stabilire il numero dei loro potenziali concorrenti. Si è, poi, riaffermato il principio per cui la fissazione di tariffe fisse o minime non solo non è riconducibile al perseguimento dell’interesse generale, ma neanche garantisce elevati livelli qualitativi nell’erogazione della prestazione. Inoltre, è stato sottolineato come risulti oggi necessario esplicitare che la pubblicità deve riferirsi alle tipologie, alle caratteristiche e ai prezzi dei servizi offerti dai singoli professionisti, al fine di aiutare gli utenti a limitare i costi connessi al reperimento delle informazioni necessarie per compiere le proprie scelte.

53. Infine, nella segnalazione in discorso, l’Autorità ha richiamato l’attenzione del legislatore sulla necessità di svincolare l’esercizio in forma societaria delle professioni regolamentate dai principi della personalità della prestazione professionale e della responsabilità diretta ed individuale del professionista, oggi consentito in parte alle sole società di ingegneria. Si è, pertanto, osservato che la creazione di società di professionisti che rispettino tali criteri finisce per sottrarre le attività professionali riservate alle modalità di organizzazione e di offerta tipiche dell’attività economica. Ad esempio, è stata prospettata la possibilità di prevedere modalità organizzative dell’attività professionale che prevedono forme di partecipazione al finanziamento delle imprese da parte di soggetti, in posizione di minoranza, non direttamente coinvolti nell’attività produttiva. Sul punto, l’Autorità ha specificato che la salvaguardia del principio di vigilanza dell’Ordine sul professionista che opera all’interno della società non sembra richiedere la totale esclusione di soci di solo capitale o, quanto meno, che lo stesso obiettivo potrebbe essere perseguito consentendo la partecipazione di soci di capitale in misura limitata e prevedendo che la maggioranza del capitale sociale e dei voti debba essere detenuta da professionisti che esercitano la professione all’interno della società.

54. Le disposizioni relative alle professioni sono state, in seguito, espunte dalla legge di conversione del decreto competitività. Pertanto, le osservazioni svolte dall’Autorità in tale occasione non hanno trovato spazio in tale provvedimento legislativo.

II.c.ii. AS306 Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni

55. Ancor più di recente, con delibera del 13 luglio 2005, l’Autorità ha sentito nuovamente il dovere di esercitare i propri poteri consultivi con riguardo allo schema di decreto legislativo avente ad oggetto la ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni (c.d. decreto La Loggia). Si tratta di un atto legislativo che si inserisce nell’attività di ricognizione dei vigenti principi fondamentali dell’ordinamento nelle materie di competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, affidata al Governo, ai sensi dell’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dell’art. 117, commi 1 e 3 della Costituzione.

56. Lo schema di decreto esaminato dall’Autorità, nell’individuare tra i principi fondamentali la tutela della concorrenza e del mercato, ne fornisce una interpretazione che ne stravolge il significato. L’art. 3, comma 1 di tale schema di decreto, infatti, prescrive che “l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale”. Sul punto, l’Autorità ha rilevato come, secondo il principio del primato del diritto comunitario, le norme nazionali con questo confliggenti sono inapplicabili e che tale automatica disapplicazione della norma interna incompatibile incontra il solo limite dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana; ai principi fondamentali della Costituzione non possono, evidentemente, ricondursi le riserve di attività professionale, le tariffe professionali e le limitazioni alla pubblicità professionale. Pertanto, l’Autorità ha precisato che il diritto comunitario ammette deroghe all’applicazione dei principi antitrust solo con riguardo al singolo caso concreto e nella misura in cui ne risulti accertata l’effettiva funzionalità alla tutela di interessi generali sulla scorta del test di proporzionalità anzidetto.

57. L’Autorità ha altresì espresso perplessità in ordine all’art. 3, comma 2 dello schema di decreto, secondo cui “L’attività professionale esercitata in forma di lavoro autonomo è equiparata all’attività d’impresa ai fini della concorrenza di cui agli articoli 81, 82, e 86, ex articoli 85, 86 e 90, del Trattato Ce, salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali”, ritenendo che la non meglio qualificata “normativa in materia di professioni intellettuali” appare contrastare con il consolidato orientamento secondo cui, ai fini antitrust, l’attività professionale è attività di impresa, quale che sia la professione intellettuale coinvolta, a prescindere dalla natura complessa e tecnica dei servizi forniti e il rango dei valori cui, in alcuni casi, si collega.

58. Ancora una volta, quindi, l’Autorità ha richiamato l’attenzione del Governo sulla circostanza che il corretto dispiegarsi della concorrenza implica la libertà di accesso al mercato ed il libero esercizio dell’attività, soprattutto con riferimento alla possibilità per gli operatori di determinare autonomamente il proprio comportamento concorrenziale, ed ha, pertanto, sentito il dovere di chiarire la portata della sentenza Arduino, con cui la Corte di giustizia comunitaria si è pronunciata, in sede pregiudiziale, sulla imputabilità allo Stato italiano del tariffario forense. L’Autorità ha, in particolare, precisato che tale sentenza si limita ad affermare l’assenza di delega da parte dello Stato italiano ad operatori privati per lo svolgimento di pubbliche funzioni, senza tuttavia esprimersi sulla funzionalità delle tariffe al perseguimento di interessi generali ed ha, pertanto, invitato a non trarre da tale pronuncia giurisprudenziale principi di carattere generale in materia di tariffe.

59. Il progetto di decreto in questione non ha ancora concluso la fase consultiva, ma si deve segnalare che, nel parere emesso il 15 settembre 2005 dalla Conferenza Stato Regioni riguardo all’articolato, le osservazioni dell’Autorità non sono state tenute in considerazione e, anzi, tale organo, che pure ha espresso parere negativo rispetto al progetto di decreto, non ha proposto alcun emendamento alle disposizioni sopra riportate che più avevano preoccupato l’Autorità.

II.c.iii. AS287 Disposizioni in materia di professioni sanitarie non mediche

60. Nel periodo considerato, l’Autorità ha esercitato i propri poteri di segnalazione e parere anche in materia di regolamentazione delle professioni non protette. In particolare, si è ritenuto di dover riaffermare il principio per cui l’esercizio di una professione è, in linea di principio, libero e, pertanto, le limitazioni poste dal legislatore all’esercizio della stessa dovrebbero assumere carattere eccezionale e trovare una giustificazione nella particolare rilevanza dell’attività svolta. Poiché, le riserve di attività si giustificano solo in presenza di comprovate esigenze di tutela di interessi generali – che spesso non ricorrono per le stesse professioni protette – risulta difficile riscontrare dette esigenze con riguardo a professioni rispetto alle quali, fino ad oggi, non era stata avvertita la necessità di introdurre esclusive.

61. Pertanto, con segnalazione del 25 novembre 2004 l’Autorità ha espresso le proprie perplessità in ordine ad un disegno di legge che delega il Governo ad istituire nuovi Ordini professionali per le professioni sanitarie non mediche (professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecniche e tecniche della prevenzione), prevedendo, altresì, la trasformazione dei Collegi professionali esistenti in Ordini professionali e subordinando l’esercizio di tali professioni all’iscrizione obbligatoria al rispettivo albo professionale e all’esito dell’esame di Stato abilitante. In tale occasione, si è constatato come, rispetto alle professioni oggetto del disegno di legge, non sembrino sussistere asimmetrie informative tali da giustificare una limitazione della concorrenza attraverso l’imposizione di barriere all’accesso nel relativo mercato, le esigenze di tutela del consumatore essendo ben suscettibili di essere soddisfatte tramite la previsione di un percorso formativo di livello universitario obbligatorio.

62. Tale segnalazione ha suscitato diverse reazioni riportate dagli organi di stampa, secondo cui la posizione dell’Antitrust sarebbe in contrasto con il diritto alla tutela della
salute dei cittadini, che imporrebbe, per motivi imperativi di ordine generale ed in coerenza con la normativa comunitaria, di regolamentare le attività sanitarie non mediche al fine di tutelare l’affidabilità della prestazione, tutela che sarebbe preclusa dall’applicazione a dette attività dei meccanismi del libero mercato. Nel frattempo il disegno di legge ha proseguito l’iter parlamentare nella forma in cui era stato proposto e se ne prevede l’approvazione definitiva entro l’anno.

II.c.iv. AS300 Disposizioni urgenti per il prezzo dei farmaci non rimborsabili dal servizio sanitario nazionale

63. In tema di esclusive, in data 1° giugno 2005, l’Autorità è anche intervenuta con riguardo al Decreto-Legge 27 maggio 2005 n. 87 per ribadire la necessità di procedere alla liberalizzazione della vendita dei farmaci di automedicazione, consentendone la commercializzazione anche presso punti vendita diversi dalle farmacie31. Le barriere alla commercializzazione di farmaci non soggetti all’obbligo di prescrizione non appaiono giustificate da nessuna considerazione di interesse pubblico e determinano solamente il permanere di rendite a favore dei beneficiari di tale limitazione. Infatti, una volta che nel punto vendita vengano garantiti un adeguato spazio dedicato a questi prodotti e l’eventuale assistenza informativa alla clientela, l’ampliamento del numero dei punti vendita di tali farmaci determinerebbe un aumento della concorrenza e, quindi, un forte incentivo per le farmacie a praticare importanti sconti.

64. Rispetto a tale segnalazione sia i rappresentanti dei farmacisti che il Ministero della Salute si sono espressi per l’impraticabilità della vendita dei farmaci da automedicazione al di fuori del canale farmaceutico. La legge di conversione del decreto in questione non prende in considerazione i rilievi mossi sul punto dall’Autorità.

II.d. Il caso del concreto coinvolgimento dell’Autorità nell’attività di regolamentazione delle professioni

65. Come anticipato, nel biennio considerato si registra un solo caso in cui l’Autorità è stata invitata a partecipare direttamente alla definizione della disciplina in materia di professioni. Ci si riferisce ad un tavolo di lavoro organizzato dal Ministero della Salute per disciplinare la pubblicità sanitaria effettuata attraverso Internet, cui hanno partecipato anche i rappresentanti dei professionisti. Importa, al riguardo, segnalare che la bozza di decreto adottata dal Ministero a conclusione di tale tavolo di lavoro prevede la possibilità per i medici di pubblicizzare nei propri siti internet i prezzi e le tariffe dei servizi prestati, nonché di ricorrere a forme di pubblicità comparativa. Si tratta di previsioni piuttosto evolutive sia se rapportate alle modalità di pubblicizzare la propria attività consentite ad altre categorie di professionisti che in considerazione della categoria a cui si rivolgono (i medici), per la quale in Italia, vigono
in materia di pubblicità realizzata attraverso altri mezzi di comunicazione restrizioni assai significative, peraltro più volte oggetto di segnalazione da parte dell’Autorità. L’Autorità ritiene che l’introduzione di tali innovative previsioni abbia favorito un dialogo costruttivo con tutte le categorie interessate e con l’autorità di regolamentazione che ha organizzato il tavolo di lavoro. Basti, infatti, considerare che l’adeguamento della disciplina della pubblicità di tutte la altre categorie professionali alla direttiva sul commercio elettronico non ha condotto a legittimare la promozione dei prezzi delle prestazioni né la pubblicità comparativa.

66. Sul punto, è altresì da segnalare che, nel maggio 2005, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul decreto in esame, ha sospeso la valutazione di merito, ritenendo di dover previamente acquisire, tra l’altro, il parere dell’Autorità, presumibilmente in ragione del fatto che dagli atti trasmessi dal Ministero della Salute al Consiglio di Stato emergeva che l’Autorità aveva partecipato al tavolo di lavoro predetto. L’Autorità ha pertanto avuto l’occasione di rappresentare le proprie osservazioni anche al Consiglio di Stato. Ciò dimostra che la partecipazione a tale tavolo di lavoro, ha poi consentito la partecipazione dell’Autorità alle successive fasi del dibattito, con la conseguenza che tutti gli organi che vi hanno preso parte sono stati messi in condizione di tenere in conto anche le esigenze di tutela della concorrenza.

III. CONCLUSIONI

67. L’attività svolta nel 2004-2005 ha evidenziato che in Italia l’applicazione dei principi di concorrenza ai servizi professionali è ancora vista con diffidenza non solo da parte di alcune categorie di professionisti ma anche dalle autorità di regolamentazione. Si fatica, tuttora, a considerare l’attività professionale come attività d’impresa ed è, in ultima analisi, per tale motivo che nel nostro Paese una riforma strutturale delle professioni stenta a decollare.

68. E’ muovendo da questa consapevolezza che l’Autorità si è determinata a promuovere occasioni di confronto con i soggetti direttamente interessati dalla riforma. Il grado di disponibilità dei rappresentanti degli Ordini incontrati ad applicare alle rispettive norme deontologiche il c.d. test di proporzionalità appare piuttosto differenziato. A fronte di Ordini che hanno già provveduto ad apportare incisive modifiche alle proprie regole di condotta, ve ne sono altri che invece ancora non hanno dato riscontro ai rilievi mossi dall’Autorità, ovvero hanno adottato modifiche di assai scarsa rilevanza. In generale, si può osservare che le professioni tecniche si sono mostrate più sensibili alle esigenze di liberalizzazione o, comunque, nei fatti, dimostrano di guardare con minore scetticismo alle regole del mercato. Ad esempio, in materia di tariffe, i rappresentanti degli ingegneri, per le cui prestazioni sono previsti minimi tariffari fissati dalla legge, hanno riferito che, nei rapporti con i privati, prevale la libera contrattazione (ma continuano, invece, ad applicare la tariffa relativa ai lavori pubblici) e che, sul piano disciplinare, negli ultimi anni non si registra alcun contenzioso in materia di violazione dei minimi tariffari. Ancor più significative appaiono le determinazioni assunte dai dottori commercialisti, i quali, tenendo conto della posizione più volte espressa dall’Autorità, hanno stabilito sul piano deontologico la possibilità di derogare ai minimi tariffari, ancorché la legge ne preveda la inderogabilità. Per altro verso, in materia di disciplina della pubblicità, i notai, che pure rappresentano una delle professioni cui l’ordinamento italiano riconosce tra le più significative deroghe ai principi di tutela della concorrenza (soprattutto per quel che attiene all’accesso alla professione e alle numerose riserve di attività riconosciute a tali professionisti), hanno attuato un importante processo di revisione dei vincoli che caratterizzano la loro attività promozionale. Diversamente, si deve constatare che gli avvocati continuano a mostrarsi restii in merito all’applicabilità delle regole di concorrenza alla loro professione sia in tema di prezzo delle prestazioni che di promozione delle stesse.

69. Con riguardo alle iniziative intraprese in relazione alla regolamentazione di fonte statale, nel biennio considerato, le segnalazioni e i pareri formulati dall’Autorità, nonostante siano stati trasmessi con estrema sollecitudine (vale a dire, prima che le disposizioni oggetto di considerazioni fossero approvate in via definitiva), non hanno sortito gli effetti auspicati. Sotto questo profilo, appare, pertanto, singolare che a fronte delle aperture mostrate dalla gran parte degli organismi rappresentativi dei professionisti in termini di disponibilità a modificare le regole in molti casi ritenute obsolete, il legislatore, invece, continui a tutelare posizioni conservative. In altri termini, tale scenario di maggiore modernità non può non essere raccolto dal legislatore per arrivare a definire una riforma delle professioni veramente coerente con il contesto nazionale e internazionale – con il quale tutti gli operatori interessati, professionisti e operatori economici, devono confrontarsi – che abbia, in particolare, ad oggetto un profondo ripensamento dei vigenti sistemi tariffari e di talune riserve di attività. In tale ambito, l’unica importante eccezione da segnalare riguarda lo schema di decreto in tema di pubblicità sanitaria tramite Internet. Al riguardo, la circostanza che in quell’occasione i rilievi dell’Autorità abbiano portato il Governo ad accogliere previsioni decisamente evolutive per il settore sanitario – e, quindi, a condividere talune esigenze di apertura al mercato anche di tale settore – dovrebbe indurre ad una riflessione sul possibile coinvolgimento dell’Autorità medesima nelle iniziative di riforma delle professioni.

70. Si ritiene, in altri termini, che la riforma delle professioni – oggi divenuta mprocrastinabile anche in ragione dei molteplici solleciti che provengono dall’Unione europea e da altri organismi internazionali – dovrebbe essere perseguita contemplando una effettiva partecipazione dell’Autorità. L’esperienza degli ultimi due anni dimostra che detta partecipazione non può rimanere circoscritta all’iniziativa dell’Autorità allorché esercita i poteri di cui agli articoli 21 e 22 della legge 287/90 (i quali, anche ove esercitati con la massima sollecitudine, si esplicano inevitabilmente rispetto ad articolati già predisposti) e debba invece comportare il coinvolgimento dell’Autorità nelle fasi che precedono la formazione delle proposte, unitamente ai rappresentanti dei professionisti e delle associazioni dei consumatori. In pratica, l’Autorità dovrebbe potersi confrontare direttamente con gli operatori del settore interessato, anche sulla scorta dell’esperienza di quei Paesi europei, che, come rilevato dalla Commissione Europea nella Comunicazione dello scorso settembre, hanno avviato processi di riforma lavorando congiuntamente con le autorità antitrust nazionali.

71. Come più volte evidenziato, l’Autorità è convinta che il processo di riforma del settore in esame richieda uno sforzo in termini di dialogo da parte di tutti i soggetti interessati. La presente relazione dimostra che tale dialogo è stato ampiamente perseguito dall’Autorità nel corso degli ultimi due anni. Si deve, tuttavia, rilevare che, laddove l’attività di confronto svolta non dovesse condurre a risultati soddisfacenti, l’Autorità potrà valutare la possibilità di utilizzare, nelle ipotesi di lesione della concorrenza, i poteri di intervento istruttori che la legge le riconosce. Come già in precedenza rilevato, infatti, i codici deontologici sono deliberazioni di associazioni di imprese, ergo intese ai sensi del diritto antitrust. La Commissione Europea ha più volte sollecitato le autorità antitrust nazionali ad applicare il diritto comunitario alle violazioni della concorrenza che si registrano nel settore. Da tale ambito di applicabilità non sono esenti le tariffe dei professionisti, anche ove previste da fonti legislative; il primato del diritto comunitario impone, infatti, anche alle autorità antitrust nazionali, la disapplicazione (per effetto del combinato disposto degli art. 3, 10 e 81 del Trattato CE) delle norme interne che pregiudicano l’effetto utile delle norme comunitarie antitrust35. Sotto questo profilo, l’Autorità ritiene che la sentenza Arduino potrebbe non costituire un ostacolo all’applicazione del principio del primato del diritto comunitario, atteso che con quella pronuncia i giudici comunitari non ne hanno verificato la derogabilità attraverso l’accertamento dell’effettiva funzionalità dei sistemi tariffari al perseguimento di pubblici interessi.

Redazione

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