Secondo uno studio dell’Università di Clarkson (Nebraska) gli scanner di impronte digitali nel novanta per cento dei casi non riescono a distinguere un dito vero da un dito riprodotto con della plastilina.
Se la notizia dovesse essere confermata da altri studi sarebbe un duro colpo per lo sviluppo dei sistemi biometrici di autenticazione. I sistemi biometrici ricorrono, ai fini dell’identificazione e autenticazione, a caratteristiche fisiche uniche di ciascun individuo come il colore dell’iride, le impronte digitali o il riconoscimento della voce.
Negli Stati Uniti gli apparati biometrici sonodiffusi ormai ovunque: scuole, ospedali, banche, istituzioni statali o federali. E’, quindi, di fondamentale importanza verificare il livello di sicurezza offerto dalla biometria.
Normalmente gli scanner di impronte digitali sono costituiti da un sensore ottico che cattura l’immagine dell’impronta digitale e la invia a un computer. I ricercatori dell’Università di Clarkson, utilizzando le stesse sostanze cui si ricorre negli studi dentistici, hanno realizzato dei calchi delle dita e successivamente hanno riprodotto le impronte digitali con della plastilina.
Lo studio, finanziato tra gli altri dalla National Science Foundation (NSF) e dal Dipartimento della Difesa, fornisce anche una soluzione al problema; i ricercatori hanno, infatti, elaborato una speciale formula matematica che consente ai computer di accertare che vi sia traspirazione nelle dita scannerizzate.
Tuttavia, anche utilizzando questo algoritmo, nel dieci per cento dei casi gli apparati biometrici sono stati ugualmente ingannati.
(17 dicembre 2005)