Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del D.L. 168/2004 (“decreto taglia-spese”), che fissava limiti, sia per le Regioni che per gli Enti Locali, alle spese per studi e incarichi di consulenza, per missioni all’estero, relazioni pubbliche e convegni, nonché per l’acquisto di beni e servizi.
Le disposizioni dichiarate illegittime non fissano limiti generali al disavanzo o alla spesa corrente, ma stabiliscono limiti alle spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, alle spese per missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché alle spese per l’acquisto di beni e servizi; “vincoli che, riguardando singole voci di spesa, non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma comportano una inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa”.
La Corte si sofferma in sentenza sui limiti del potere del legislatore statale di prevedere vincoli ai bilanci delle Regioni e degli Enti locali.
In particolare, viene ribadito il principio per cui le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’art. 119 Cost.
Il legislatore statale può dunque legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti), purchè ciò avvenga con “disciplina di principio”, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari (cfr. sentenza n. 36 del 2004; n. 376 del 2003 e nn. 4 e 390 del 2004).
Perchè detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali debbono in definitiva avere ad oggetto o l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un “limite complessivo”, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (sentenza n. 36 del 2004).
La previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può dunque essere considerata un “principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica”, perché in realtà pone un precetto “specifico e puntuale” sull’entità della spesa e si risolve perciò in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (sent. n. 390 del 2004).
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Corte Costituzionale
Sentenza 14 novembre 2005 n. 417
(presidente Marini, relatore Gallo)
Ritenuto in fatto>
1. – Con ricorso notificato il 10 settembre 2004 (n. 89 del 2004) e depositato il 17 successivo, la Regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 5, 9, 10, 11, e dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), per la violazione degli articoli 3, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché dell’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e del principio di leale collaborazione.
La Regione prospetta tre motivi di censura.
Con il primo si lamenta che i commi 9, 10 e 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, non limitandosi ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di spesa, ma specificando ed elencando le tipologie delle spese che gli enti territoriali devono contenere nell’ambito di previste percentuali, violano l’autonomia finanziaria di bilancio e di spesa garantita dall’art. 119 e dall’art. 117, terzo comma, Cost. Secondo la Regione, in particolare, dovrebbe spettare allo Stato la sola competenza legislativa concorrente, limitata alla fissazione dei princípi fondamentali in materia di «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», restando esclusa da tale competenza l’individuazione di «puntuali modalità di contenimento della spesa». Una tale previsione di dettaglio non sarebbe giustificabile neanche sotto il profilo del generale contenimento della spesa pubblica per l’attuazione degli obblighi comunitari, perché tale contenimento si potrebbe realizzare con la semplice fissazione delle percentuali generali di risparmio.
Sempre secondo la Regione, i commi 9, 10 e 11 impugnati inciderebbero negativamente anche sulla sua competenza in tema di organizzazione amministrativa e sulla sua competenza legislativa ex art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Per la ricorrente, infatti, la lesione della sfera di autonomia si verificherebbe non solo attraverso interventi diretti di disciplina del settore di competenza, ma anche attraverso la sottrazione o limitazione delle risorse finanziarie essenziali. Sotto il profilo della dedotta violazione del principio di leale collaborazione, infine, la Regione lamenta che lo Stato non ha «effettuato le scelte attraverso una intesa con le regioni, affinché queste contribuissero a far emergere, in base alle differenti esigenze e problematiche locali, tutto quanto utile e necessario per operare il contenimento della spesa».
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli articoli 100, 114, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dell’art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e del principio di leale collaborazione, da parte del comma 5 dell’art. 1 del decreto-legge citato. Tale comma, insieme con alcuni periodi dei successivi commi 9, 10, 11, introdurrebbe una illegittima disciplina del controllo degli atti della Regione e degli enti locali. Secondo la Regione, la materia dei controlli sarebbe estranea alla competenza statale, essendo riservata alla potestà legislativa regionale ed a quella regolamentare degli enti locali, come confermato dalla struttura del nuovo impianto costituzionale, successivo alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, con l’eliminazione, ad opera dell’art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001, dei controlli di legittimità e di merito sugli atti delle Regioni e degli enti locali, precedentemente previsti dagli abrogati articoli 125, primo comma, e 130 Cost. Un ulteriore profilo di illegittimità delle norme censurate consisterebbe nella loro irragionevolezza, determinata dall’“interferenza” che esse creano tra controllo di gestione e accertamenti della Corte dei conti. Tale “interferenza” sarebbe idonea, secondo la Regione, «ad alterare la effettività e l’efficacia del controllo di gestione stesso».
La ricorrente deduce, con il terzo motivo, la violazione degli articoli 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché la violazione del principio di leale collaborazione da parte dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, il quale modifica, confermandone l’impostazione di fondo, l’art. 3 della legge n. 350 del 2003, già impugnato dalla stessa Regione in altro procedimento. Infatti, sempre a detta della Regione, la normativa censurata ribadirebbe, in violazione dell’art. 119 Cost., la preesistente e già contestata individuazione unilaterale, da parte dello Stato, di concetti dotati di rilevanza costituzionale, quali quelli di “indebitamento” e “investimento”, e non si inserirebbe in un’organica disciplina del sistema finanziario regionale tale da garantire un reale autofinanziamento in attuazione del citato art. 119 Cost. La Regione evidenzia, infatti, che la previsione di cui al sesto comma dello stesso art. 119, secondo la quale le Regioni «possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento», costituisce parte integrante del nuovo sistema della finanza pubblica, che non ha ancora trovato attuazione. La Regione lamenta anche la violazione dell’art. 117 Cost., perché la disciplina censurata, ove pure rientrasse nella materia di competenza legislativa concorrente della «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non presenterebbe «le caratteristiche di princìpi fondamentali alla cui fissazione si dovrebbe limitare la legge statale». La Regione lamenta, infine, quale violazione del principio di leale collaborazione, il fatto che la disciplina statale sarebbe stata posta in essere senza la partecipazione degli enti locali.
2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso, «salva eventuale non procedibilità del terzo motivo di esso». Sostiene preliminarmente l’Avvocatura che le modifiche apportate dalla legge di conversione al decreto-legge n. 168 del 2004 sono da considerarsi nel complesso scarsamente rilevanti, con l’esclusione di quella del comma 11 dell’art. 1.
Con riferimento al primo motivo del ricorso, l’Avvocatura deduce che il taglio della spesa pubblica di Regioni ed enti locali sarebbe stato disposto dalla legislazione statale – «nel contesto di una complessa manovra – per ottemperare a pressanti richieste di immediato e rapido riequilibrio dei conti pubblici della Repubblica italiana (nel suo complesso) avanzate dall’Unione europea». In tale quadro, e anche in conseguenza dell’introduzione della moneta unica europea, la normativa impugnata dovrebbe essere ricondotta in prevalenza alle materie, di competenza legislativa esclusiva statale, dei “rapporti dello Stato con l’Unione europea” e della “moneta […] e mercati finanziari” (art. 117, secondo comma, lettere a ed e, Cost.). A detta dell’Avvocatura, comunque, l’individuazione, con la normativa impugnata, delle voci di spesa sulle quali operare i tagli sarebbe rispettosa dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali «posto che più inibente sarebbe stata l’alternativa della fissazione di una percentuale unica di risparmio da applicarsi sull’insieme delle voci di spesa». Sotto altro profilo, l’intesa con le Regioni nell’ambito del procedimento normativo – la cui mancanza è oggetto di specifica doglianza della ricorrente – sarebbe poi priva di fondamento costituzionale e comunque incompatibile con la necessità di un rapido intervento di disciplina della materia.
Con riferimento al secondo motivo del ricorso, l’Avvocatura sostiene che le comunicazioni agli organi di vigilanza e controllo disposte dall’art. 1, commi 5, 9 e 10, del decreto-legge n. 168 del 2004 non sono in contrasto con la Costituzione, trattandosi di comunicazioni aventi per destinatari organi già esistenti e interni a ciascun ente. Il collegamento tra tali organi e la Corte dei conti in sede di controllo di gestione sarebbe in ogni caso già previsto dall’art. 7, commi 2 e 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), dall’art. 3, commi da 4 a 8, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) e dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (Riordino e potenziamento dei meccanismi di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59).
3. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2004 (n. 93 del 2004) e depositato il 2 ottobre successivo, la Regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 5, 9, 10, 11, e dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, per la violazione degli articoli 3, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, dell’art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e del principio di leale collaborazione. La Regione propone le censure già prospettate con il ricorso n. 89 del 2004, evidenziando come in sede di conversione sia stato sostanzialmente confermato l’impianto complessivo del decreto-legge citato, con alcune marginali modifiche a singole disposizioni e, in particolare, con l’aggiunta, al comma 11 dell’art. 1, della previsione secondo cui la riduzione di spesa del 10% non si applica «per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell’anno 2003 e sino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al patto di stabilità interno» per le spese impegnate.
4. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ribadendo le argomentazioni e le conclusioni già esposte nella memoria di costituzione con riferimento al ricorso n. 89 del 2004.
5. – Con ricorso notificato il 22 settembre 2004 (n. 91 del 2004) e depositato il 30 successivo, la Regione Toscana, su proposta del Consiglio della autonomie locali, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per la violazione degli articoli 114, 117, 118 e 119, «anche in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione». La Regione deduce che la norma censurata pone, al di fuori di una riforma organica e strutturale, un nuovo limite di spesa, così violando l’autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni e agli enti locali. Al riguardo, sostiene di essere legittimata a ricorrere a tutela dell’autonomia degli enti locali, perché, in base al sistema creato dal nuovo art. 118 Cost., essa potrebbe allocare funzioni amministrative a questi ultimi e, inoltre, la sua autonomia sarebbe condizionata dalla loro efficienza.
La Regione prospetta tre motivi di censura.
Con il primo motivo, lamenta che la norma denunciata disciplina «in modo dettagliato ed autoapplicativo, le categorie di spesa sulle quali gli enti devono operare» nella materia del «coordinamento della finanza pubblica», nella quale spetterebbe invece allo Stato la sola determinazione dei princìpi fondamentali. Né, a detta della Regione, si potrebbe ricondurre la disciplina contenuta nel comma in questione alla materia «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane», di potestà legislativa esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. Un ulteriore profilo di contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost. sarebbe rappresentato, infine, dal fatto che la fissazione di limiti di spesa per gli enti locali renderebbe ad essi concretamente impossibile l’esercizio delle funzioni allocate dalla Regione.
Con il secondo motivo, la Regione si duole che la norma censurata, in violazione degli articoli 114 e 119 Cost., non si limita a porre obiettivi finanziari di contenimento della spesa pubblica, ma individua, invece, le specifiche categorie di spesa sulle quali gli enti devono operare, «senza possibilità di effettuare diverse ed autonome scelte all’interno dei propri bilanci e senza poter tener conto delle funzioni – proprie, fondamentali o altrimenti attribuite – cui dette spese sono correlate». Ad avviso della ricorrente, una tale previsione, oltre a ledere l’autonomia finanziaria regionale, si porrebbe anche in contrasto, con l’art. 114, primo e secondo comma, Cost., che sancisce l’equiordinazione dei diversi enti che compongono la Repubblica, perché attraverso la fissazione di specifici vincoli di spesa non consentirebbe «agli enti territoriali il regolare svolgimento delle azioni programmate».
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta che la norma impugnata, adottata con decreto-legge del luglio 2004, imporrebbe alle regioni e agli enti locali di applicare il nuovo limite di spesa già nel 2004, non tenendo conto della programmazione economica impostata per l’anno in corso, e violando così l’autonomia politica e finanziaria di regioni ed enti locali, anche in relazione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione. La fissazione di parametri uguali per tutti i destinatari determinerebbe altresì una violazione del principio di ragionevolezza, sia per l’eccessiva rigidità dei vincoli posti, in relazione alle diversità delle realtà locali, sia perché si terrebbe conto non dell’entità del bilancio o delle quote non ancora impegnate, ma della media della spesa pregressa. Inoltre, la norma impugnata fisserebbe arbitrariamente come parametro temporale per valutare il rispetto del patto di stabilità interno la data intermedia del 30 giugno 2004. Sotto altro profilo, la ricorrente lamenta che la norma censurata consentirebbe, in violazione dell’art. 97 Cost., di superare, in casi eccezionali, il limite di spesa del 10% solo per le missioni all’estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni, ma non anche per altre categorie di spesa che potrebbero essere più attinenti agli obiettivi da perseguire attraverso l’azione amministrativa.
6. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso. L’Avvocatura premette che l’interesse al ricorso va riferito agli enti locali e non alla Regione e che in ogni caso la norma impugnata ha avuto un ambito di applicazione di soli cinque mesi, legato ad esigenze non strutturali di necessità e urgenza. Nel merito, l’Avvocatura sostiene che il taglio della spesa pubblica di Regioni ed enti locali sarebbe stato disposto dalla legislazione statale –nel contesto di una complessa manovra – «per ottemperare a pressanti richieste di immediato e rapido riequilibrio dei conti pubblici della Repubblica italiana (nel suo complesso) avanzate dall’Unione europea».
In relazione al primo motivo del ricorso, la difesa erariale in primo luogo sostiene che la normativa impugnata dovrebbe essere ricondotta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, alle materie, di competenza legislativa esclusiva statale, dei “rapporti dello Stato con l’Unione europea” e della “moneta […] e mercati finanziari” (art. 117, secondo comma, lettere a ed e, Cost.); in secondo luogo, osserva che «la fissazione di limiti differenziati “ente per ente” sarebbe incompatibile con la natura generale e di principio» che i limiti stessi dovrebbero avere a detta della Regione. In relazione al secondo motivo del ricorso, l’Avvocatura rileva che la scelta delle categorie di spesa sulle quali operare i tagli sarebbe conseguente all’impossibilità di comprimere le spese fisse (quali interessi, stipendi, canoni). In relazione al terzo motivo, la difesa erariale replica che sul piano costituzionale non esisterebbe alcuna limitazione né per le manovre finanziarie che operino, come quella di cui alla normativa impugnata, in corso di esercizio, né per le eventuali eccezioni ai prefissati limiti di spesa.
7. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2004 (n. 94 del 2004) e depositato il 5 ottobre successivo, la Regione autonoma Valle d’Aosta ha proposto questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 4, e 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004.
La Regione autonoma propone quattro motivi di censura.
Con il primo motivo, deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per violazione dell’art. 2, primo comma, lettere a) e b), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), e per violazione degli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost.
Secondo la ricorrente, la norma denunciata, la quale modifica l’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000), inciderebbe con previsioni di dettaglio sulle procedure di acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, perché imporrebbe la scelta obbligata tra le convenzioni di cui all’art. 26, comma 1, della citata legge n. 488 del 1999 e l’assunzione dei parametri di prezzo-qualità in esse convenuti come limiti massimi per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse e perché imporrebbe, altresì, una disciplina dell’organizzazione dei controlli interni agli enti territoriali. Sul piano dei parametri statutari, la norma censurata violerebbe, pertanto, la potestà legislativa regionale nelle materie dell’ «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell’«ordinamento degli enti locali» e interferirebbe con l’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative. Più in generale, la norma impugnata limiterebbe l’autonomia di spesa della Regione autonoma, tutelata anche a norma dell’art. 119, primo comma, Cost., e violerebbe l’art. 117, quarto comma, Cost., incidendo sulla materia degli appalti pubblici di servizi e forniture, da ritenersi attribuita alla potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto riconducibile al sistema contabile regionale.
La competenza legislativa sarebbe cioè dello Stato per quanto concerne la contabilità, l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; sarebbe invece regionale, per quanto concerne la contabilità, l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici dipendenti dalla Regione, «oltre che, in linea di principio, degli altri enti pubblici non nazionali». Tale ripartizione sarebbe desumibile, a contrario, dall’attribuzione alla competenza esclusiva dello Stato della materia del solo «sistema contabile dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e dall’omesso riferimento dell’art. 117 Cost. alla materia dell’ordinamento amministrativo. Sempre secondo la Regione autonoma, anche in base alla giurisprudenza di questa Corte, la disciplina degli acquisti di beni e servizi non potrebbe essere in ogni caso ricondotta all’ambito dei princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, né alla materia della tutela della concorrenza, né infine alla materia dell’ordinamento civile. In conclusione, la ricorrente osserva che, per la parte in cui la disciplina denunciata «dovesse essere ritenuta espressiva di princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, risulterebbe comunque lesiva della sfera di attribuzioni definita dall’art. 2, comma 1, lettere a) e b), dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, […] che non prevede il limite dei princìpi fondamentali nelle materie assegnate alla potestà legislativa primaria della regione, né, dopo la revisione del Titolo V Cost., in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali».
La Regione autonoma deduce, quale secondo motivo di censura, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per violazione degli articoli 2, primo comma, lettera a), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale e delle norme di attuazione di cui all’art. 11 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta), e agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 431 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d’Aosta in materia di finanze regionali e comunali). Espone la ricorrente che l’art. 3, comma 1, de quo contiene disposizioni di dettaglio dirette a regolare la materia dell’indebitamento delle Regioni, modificando e integrando unilateralmente l’ordinamento finanziario della Regione Valle d’Aosta. Tale disposizione prevede, in particolare, che l’articolo 3 della legge n. 350 del 2003, dopo il comma 21, è inserito il comma 21-bis, a norma del quale, «in deroga a quanto stabilito dal comma 18, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono ricorrere all’indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati» entro i limiti ivi indicati.
La Regione autonoma ritiene che la normativa in questione, «quantunque apparentemente preordinata a prevedere, solo per le regioni e le province autonome, ipotesi del ricorso all’indebitamento ulteriori rispetto a quelle consentite (anche agli enti locali ed agli altri enti menzionati al comma 16) dal richiamato comma 18», sia in effetti limitativa della sua autonomia finanziaria, perché volta a disciplinare le modalità del ricorso all’indebitamento per finanziamenti a privati nelle due ipotesi, temporalmente limitate, contemplate al citato comma 21-bis: «a) impegni assunti al 31 dicembre 2003, al netto di quelli già coperti con maggiori entrate o minori spese, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate, finanziati con ricorso all’indebitamento e risultanti da apposito prospetto da allegare alla legge di assestamento del bilancio 2004; b) impegni assunti nel corso dell’anno 2004, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate e risultanti dalla elencazione effettuata nei prospetti dei mutui autorizzati alla data di approvazione della legge di bilancio per l’anno 2004, con esclusione di qualsiasi variazione in aumento che dovesse essere apportata successivamente».
La ricorrente lamenta inoltre che la norma censurata avrebbe illegittimamente introdotto, con l’aggiunta del comma 21-ter all’art. 3 della legge n. 350 del 2003, un controllo sulla Regione affidato all’istituto che finanzia i contributi agli investimenti a privati. Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di una invasione della sua sfera di attribuzioni, «come definite, in particolare, dall’art. 2, lettera a), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione Valle d’Aosta potestà legislativa primaria in materia di ordinamento – anche contabile, evidentemente – degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione, nonché dall’art. 3, lettera f), che attribuisce alla Regione una potestà legislativa in materia di finanze regionali, che non può risultare meno ampia rispetto a quella spettante alle regioni ordinarie a norma degli articoli 117 e 119 Cost., applicabili alla Regione Valle d’Aosta nei termini di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001».
Secondo la stessa ricorrente, inoltre, le norme censurate violerebbero anche le disposizioni di attuazione statutaria di cui all’art. 11 della legge n. 690 del 1981, il quale al primo comma stabilisce che «la Regione Valle d’Aosta può assumere mutui ed emettere obbligazioni, per un importo annuale non superiore alle entrate ordinarie, esclusivamente al fine di provvedere a spese di investimento, nonché al fine di assumere partecipazioni in società finanziarie regionali alle quali partecipino anche altri enti pubblici ed il cui oggetto rientri nelle materie di cui agli articoli 2 e 3 dello statuto speciale od in quelle delegate ai sensi dell’articolo 4 dello statuto stesso»; esse violerebbero, inoltre, l’art. 2 del decreto legislativo n. 431 del 1989, che richiama il citato art. 11, stabilendo che «la Cassa depositi e prestiti, la Direzione generale degli istituti di previdenza amministrati dal Ministero del tesoro e l’Istituto per il credito sportivo possono concedere mutui alla regione per il finanziamento delle spese di cui all’articolo 11 della legge 26 novembre 1981, numero 690». Sussisterebbe anche la violazione del disposto dell’art. 6, comma 1, del citato decreto legislativo n. 431 del 1989, in forza del quale, ad avviso della Regione autonoma, lo Stato potrebbe intervenire, in materia di «finanze regionali e comunali», solamente con disposizioni di principio e non con disposizioni di dettaglio. Più in generale, la previsione del censurato art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 1994 non potrebbe essere ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del risparmio e mercati finanziari, perché, in forza dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione non potrebbe limitare le prerogative derivanti per le Regioni a statuto speciale dal quadro statutario e dalle norme di attuazione.
La ricorrente deduce, quale terzo motivo di censura, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, per violazione degli articoli 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta) e 48-bis dello statuto speciale: la normativa denunciata avrebbe disciplinato una materia oggetto di norme di attuazione statutaria senza seguire il particolare procedimento per l’approvazione e la modifica delle norme di attuazione, previsto e regolato dall’art. 48-bis e dall’ art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994. Sempre in relazione all’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004, la Regione autonoma deduce, quale quarto motivo di censura, la violazione degli articoli 2, primo comma, lettera b), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale e la violazione delle norme di attuazione di cui all’art. 11 della legge n. 690 del 1981 e all’art. 6 del decreto legislativo n. 431 del 1989, con particolare riferimento all’autonomia finanziaria degli enti locali.
La ricorrente lamenta che la disciplina censurata fisserebbe, senza le deroghe previste per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, limiti all’indebitamento degli enti locali, violando così anche l’art. 2, primo comma, lettera b), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali, e la disposizione di attuazione statutaria di cui all’art. 6, comma 1, del decreto legislativo n. 431 del 1989, a norma del quale «spetta alla regione emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti degli enti locali della Valle d’Aosta e delle loro aziende, nel rispetto dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato in materia di contabilità degli enti locali, nonché delle disposizioni relative alla normalizzazione e al coordinamento dei conti pubblici di cui al titolo IV della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e al decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 421». Sotto tale aspetto, l’illegittimità costituzionale della normativa denunciata consisterebbe nella sua ingerenza nel settore della finanza locale, già disciplinato dalla legislazione regionale in conformità allo statuto speciale e alle relative norme di attuazione. La Regione autonoma richiama a tale proposito la legge regionale 16 dicembre 1997, n. 40, recante «Norme in materia di contabilità e di controlli sugli atti degli enti locali. Modificazioni alla legge regionale 20 novembre 1995, n. 48 (Interventi regionali in materia di finanza locale) e alla legge regionale 23 agosto 1993, n. 73 (Disciplina dei controlli sugli atti degli enti locali)», e l’art. 44 del regolamento 3 febbraio 1999, n. 1 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali della Valle d’Aosta), in tema di indebitamento da parte degli enti locali.
8. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso. Le argomentazioni della difesa erariale si concentrano sul primo motivo di ricorso, relativo all’estensione alla Regione autonoma Valle d’Aosta dell’ambito di applicazione dell’art. 26, comma 3, della legge n. 488 del 1999.
Ad avviso dell’Avvocatura, la norma in questione porrebbe alle amministrazioni due alternative per ottenere la fornitura di beni e servizi: ricorrere alle convenzioni disciplinate dal comma 1 dell’art. 26 citato, o utilizzare i parametri di prezzo-qualità previsti da tali convenzioni come limiti massimi. Non sussisterebbe, pertanto, alcuna violazione dell’autonomia regionale, in quanto la prima alternativa sarebbe facoltativa; mentre la seconda lascerebbe intatta la possibilità di scegliere i contraenti, seppure con i limiti di spesa stabiliti per evitare sprechi di risorse pubbliche. L’Avvocatura contesta poi la ricostruzione sistematica proposta dalla controparte, secondo cui la normativa denunciata sarebbe riconducibile alla materia dell’ordinamento degli uffici regionali e locali, in quanto tale ambito materiale dovrebbe ritenersi limitato alle regole di organizzazione. La difesa erariale osserva, in conclusione, che la normativa impugnata dovrebbe essere ricondotta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, alle materie, di competenza legislativa esclusiva statale, dei “rapporti dello Stato con l’Unione europea” e della “moneta […] e mercati finanziari”.
9. – Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2004 (n. 96 del 2004) e depositato il 7 ottobre successivo, la Regione Marche ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 9, 10 e 11, e 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, per la violazione degli articoli 3, 117, terzo comma, e 119 Cost.
La Regione propone due motivi di censura.
Con il primo motivo, deduce l’illegittimità costituzionale dei commi 9, 10, 11 dell’art. 1, del citato decreto-legge, lamentando che essi prevedrebbero, in violazione dell’autonomia finanziaria sancita dall’art. 119 Cost., un’esaustiva disciplina di limitazione di specifiche categorie di spesa di Regioni ed enti locali. Ad avviso della ricorrente, il legislatore statale, con tali disposizioni vincolanti e dettagliate, violerebbe anche il riparto di competenze di cui all’art. 117, terzo comma Cost., dal momento che spetterebbe allo Stato, in sede di legislazione concorrente, la sola determinazione dei princìpi fondamentali in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. In particolare, il comma 9 dell’art. 1 sarebbe illegittimo per la parte in cui vincola Regioni ed enti locali in relazione alle spese «per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione»; il comma 10 sarebbe in contrasto con il citato art. 119, perché comprimerebbe ulteriormente l’autonomia finanziaria degli enti, consentendo – in casi eccezionali e con un particolare procedimento – il superamento dei limiti di spesa solo per le missioni all’estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni (che per la circolare n. 31 del 3 agosto 2004 del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, «sono da considerare quali spese per funzionamento per consumi intermedi (SEC ’95 – classificazione economica dei capitoli di spesa – allegato 2)»), ma non per altre categorie attinenti agli obiettivi strategici degli enti.
La ricorrente lamenta, inoltre, che i denunciati commi 9, 10, 11 si riferiscono all’esercizio finanziario dell’anno 2004, senza tenere conto della natura e della struttura delle entrate dei singoli enti e incidendo sulla programmazione in atto. Con riferimento poi al solo comma 11, la ricorrente si duole del fatto che esso imporrebbe una riduzione della spesa, privando gli enti territoriali di un autonomo spazio decisionale e applicando il parametro rigido del 10% a tutti gli enti indiscriminatamente, senza tenere conto delle loro effettive disponibilità finanziarie né dell’andamento delle entrate e delle spese, in violazione dell’art. 3 Cost. Un’analoga violazione dell’art. 3 Cost., deriverebbe, infine, dal vincolo previsto dall’ultimo periodo del comma 11, introdotto in sede di conversione («per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell’anno 2003 e fino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al Patto di stabilità interno, la riduzione del 10 per cento non si applica con riferimento alle spese che siano già state impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto»), che si aggiungerebbe a quelli previsti dal patto di stabilità interno, comportando una doppia penalizzazione a carico degli enti più virtuosi.
La Regione deduce come secondo motivo di censura l’illegittimità dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, per violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost., in quanto detta norma, pur ammettendo l’indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati, concederebbe la facoltà di ricorrervi in via transitoria e subordinatamente a condizioni precise e dettagliate. Secondo la Regione, sotto l’aspetto definitorio, l’art. 119, ultimo comma, Cost., nel porre l’obbligo di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, avrebbe fatto riferimento al concetto generale di spese di investimento presente nell’ordinamento della contabilità dello Stato, intendendole come le «spese in conto capitale (o di investimento)» di cui all’art. 3, comma 2, della legge 1° marzo 1964, n. 62 (Modificazioni al regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, per quanto concerne il bilancio dello Stato, e norme relative ai bilanci degli Enti pubblici); la parte in conto capitale – come precisato dall’art. 6, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio) – comprenderebbe poi le partite attinenti agli investimenti «diretti» ed «indiretti».
Ad avviso della ricorrente, pertanto, il principio costituzionale di cui all’art. 119, ultimo comma, Cost. non potrebbe essere fissato nei suoi aspetti applicativi direttamente dalla legge statale, perché ciò porterebbe ad escludere la possibilità di una “definizione” da parte del legislatore regionale. Per parte sua, lo Stato potrebbe solamente imporre all’autonomia finanziaria regionale limiti posti a tutela della finanza pubblica nel suo complesso e non limiti posti a tutela della finanza statale in senso stretto; e dovrebbe fare ciò nel quadro di una disciplina organica, che determini contestualmente i princìpi generali del coordinamento. La ricorrente osserva, infine, che la compressione dell’autonomia finanziaria regionale sarebbe evidente per la parte in cui la norma impugnata prevede una restrizione per il finanziamento, mediante indebitamento, «degli investimenti riferiti ai trasferimenti in conto capitale a favore di privati», producendo quindi, in assenza di qualsiasi previo meccanismo di coordinamento o di intesa, «un’alterazione consistente degli equilibri dei bilanci regionali», dovuta al fatto che, «dati i ristretti margini di autofinanziamento delle regioni, la quasi totalità delle spese regionali di investimento sono, infatti, finanziate con l’indebitamento».
10. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza delle questioni prospettate nel ricorso «(salva eventuale non procedibilità del primo motivo di esso)», con argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nella memoria di costituzione con riferimento al ricorso n. 89 del 2004.
11. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica con riferimento ai ricorsi n. 89 e 93 del 2004 proposti dalla Regione Campania, l’Avvocatura dello Stato richiama la sentenza di questa Corte n. 425 del 2004, in conseguenza della quale risulterebbe inammissibile o comunque infondata la questione relativa all’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004. Con riguardo alle censure relative ai commi 9, 10 e 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, l’Avvocatura sostiene: che i limiti di spesa da essi previsti si applicherebbero a tutte le amministrazioni pubbliche, compreso lo Stato, per il solo esercizio 2004, ormai concluso; che tali limiti sarebbero giustificati dalla «straordinaria necessità ed urgenza di adottare interventi correttivi dell’andamento della spesa pubblica, al fine di conseguire un immediato contenimento delle spese, in attuazione dell’impegno assunto dal governo in sede ECOFIN»; che le autonomie territoriali avrebbero beneficiato di un trattamento privilegiato, avendo subíto riduzioni della spesa del 10% anziché del 15%, calcolate, per gli incarichi di cui al censurato comma 9 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, sul triennio 2001-2003 anziché sul biennio 2001-2002, e non applicabili agli enti che abbiano rispettato il patto di stabilità interno. L’Avvocatura ribadisce, in conclusione, che lo Stato avrebbe fissato, con le norme censurate, princìpi fondamentali «ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica».
12. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura dello Stato ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del ricorso n. 91 del 2004, proposto dalla Regione Toscana, già formulata nel primo atto difensivo, «poiché la demolizione del solo comma 11 renderebbe applicabili senza attenuazioni i precedenti commi 9 e 10». Quale secondo profilo di inammissibilità, l’Avvocatura evidenzia che il ricorso «appare volto a proteggere la “sfera di autonomia” degli enti locali, e non quella della Regione ricorrente». Quale terzo profilo di inammissibilità, l’Avvocatura osserva che la Regione «ipotizza una pronuncia additiva (“per le altre categorie di spesa”), che non pare consentita». Nel merito, insiste nelle argomentazioni già svolte nella memoria di costituzione.
13. – Nella memoria per l’udienza depositata con riferimento al ricorso n. 94 del 2004, proposto dalla Regione Valle d’Aosta, l’Avvocatura dello Stato richiama la sentenza di questa Corte n. 425 del 2004, in conseguenza della quale risulterebbe inammissibile o comunque infondata la questione relativa all’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, evidenziando, in ogni caso, che la ricorrente non ha formulato specifici motivi di doglianza sulla disposizione in questione. In ordine alle censure rivolte al comma 4 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, l’Avvocatura richiama quanto già osservato nel primo scritto difensivo e «solo in estremo subordine» fa presente che «le disposizioni in esame vanno ad inserirsi nella legge 23 dicembre 1999, n. 488, con conseguente applicabilità della clausola di salvaguardia in essa contenuta».
14. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica con riferimento al ric. n. 96 del 2004, l’Avvocatura dello Stato ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 425 del 2004, in conseguenza della quale risulterebbe inammissibile o comunque infondata la questione relativa all’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004. Ad avviso dell’Avvocatura, la sentenza in questione riconoscerebbe che la nozione di spese di investimento adottata dalla legge n. 350 del 2003 – poi ripresa in via transitoria dal censurato art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, il quale conterrebbe una norma di favore per le Regioni – «appare […] estensiva rispetto ad un significato strettamente contabile».
La doglianza della Regione Marche dovrebbe allora essere ritenuta inammissibile, sia perché rivolta contro una norma che fissa deroghe ai limiti di spesa fissati dalla legge n. 350 del 2003, sia perché non formulata con argomenti che riguardino specificamente il citato art. 3, comma 1. Con riferimento alle censure relative ai commi 9, 10, 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, l’Avvocatura svolge considerazioni sostanzialmente identiche a quelle contenute nella memoria per l’udienza nel procedimento relativo ai ricorsi n. 89 e 93 del 2004, proposti dalla Regione Campania.
15. – Con memoria per l’udienza, la Regione Toscana, nel ricorso n. 91 del 2004, replica alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo il quale, in primo luogo, non sarebbe ravvisabile un interesse della Regione all’impugnativa del comma 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, perché esso conterrebbe una norma di favore, «in deroga ai più severi commi 9 e 10», e, in secondo luogo, la legittimità costituzionale della disposizione in questione sarebbe giustificata dalla sua transitorietà, in relazione all’urgenza di rispettare il patto di stabilità.
Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene che il comma 11 in questione avrebbe per oggetto le spese per l’acquisto di beni e servizi, non previste dai due commi precedenti: sussisterebbe pertanto l’interesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma. Sotto il secondo profilo, la ricorrente ribadisce sostanzialmente quanto già esposto nel ricorso, evidenziando che la norma censurata avrebbe provocato gravi limitazioni all’azione della Regione e degli enti locali, in modo generalizzato e indifferenziato, rendendo necessari «tagli consistenti alle voci di spesa preventivate […] in settori vitali, quali l’istruzione, il welfare, la polizia municipale».
16. – Con memoria per l’udienza, la Regione Valle d’Aosta, nel ricorso n. 94 del 2004, replica alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione dello Stato, ribadendo in primo luogo le argomentazioni e le censure relative all’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004. Precisa, sul punto, di avere espressamente censurato – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale – anche le norme relative alla disciplina dei controlli interni e di gestione.
Quanto alla censura relativa all’art. 3, comma 1, del citato decreto-legge n. 168 del 2004, la ricorrente osserva che, a seguito della sentenza n. 425 del 2004, la quale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi da 16 a 21 dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003, è venuto meno l’interesse al ricorso con riferimento al comma 21-bis. L’interesse permane invece, ad avviso della ricorrente, in relazione al comma 21-ter, in forza di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle già proposte nel ricorso.
17. – Con memoria per l’udienza, la Regione Marche, nel ricorso n. 96 del 2004, replica alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione dello Stato, ribadendo in primo luogo l’ammissibilità delle censure relative all’art. 1, commi 9, 10 e 11, del decreto-legge n. 168 del 2004. Sottolinea la ricorrente che le norme in questione incidono su tutte le materie di competenza regionale, perché attengono al coordinamento finanziario, che deve essere considerato, «più che una materia, una funzione che, a livello nazionale, e quanto alla finanza pubblica nel suo complesso, spetta allo Stato». Ne consegue, sempre ad avviso della ricorrente, l’irrilevanza del fatto se le norme in questione incidano su materie di competenza regionale.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Regione sostiene che la sentenza n. 425 del 2004, che ha affermato la competenza del legislatore statale quanto alle definizioni di indebitamento e investimento, «non ha escluso la possibilità di censurare la definizione di un principio di coordinamento finanziario, quale quello impugnato, secondo un criterio di ragionevolezza». In particolare, la deroga apportata dalla norma censurata all’elencazione delle tipologie degli investimenti di cui all’art. 18 della legge n. 350 del 2003 risulterebbe «irragionevole per la parte in cui reitera un limite nella definizione dell’indebitamento, per “finanziare contributi agli investimenti a privati”»; limite che sarebbe stato ritenuto corretto da questa Corte solo in quanto disposto in via transitoria e in quanto specificamente funzionale alle esigenze di riequilibrio finanziario.
Considerato in diritto
1. – Con i ricorsi in via principale nn. 89 e 93 (proposti dalla Regione Campania), 91 (proposto dalla Regione Toscana), 94 (proposto dalla Regione Valle d’Aosta), 96 (proposto dalla Regione Marche), del 2004, sono stati censurati l’art. 1, commi 4, 5, 9, 10, 11, e l’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica).
È opportuno suddividere le proposte questioni in quattro gruppi, corrispondenti alle norme od agli insiemi omogenei di norme censurati, e procedere, quindi, al distinto esame di ciascuno di tali gruppi.
1.1. – Un primo gruppo di questioni concerne l’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, denunciato dalla Regione Valle d’Aosta in riferimento a parametri sia costituzionali sia statutari.
1.1.1. – Per quanto concerne i parametri costituzionali, la ricorrente lamenta il contrasto della norma censurata con gli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost. La stessa si duole del fatto che la norma denunciata – la quale modifica l’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000) e deve considerarsi applicabile anche alle Regioni a statuto speciale – incida con previsioni di dettaglio sulle procedure di acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, perché impone sia «la scelta obbligata tra le convenzioni di cui all’art. 26, comma 1, della legge n. 488 del 1999 e l’assunzione dei parametri di prezzo-qualità in esse convenuti come limiti massimi per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse», sia «l’ulteriore […] disciplina di dettaglio, concernente anche l’organizzazione dei controlli interni».
Sempre secondo la Regione autonoma, la disciplina degli acquisti di beni e servizi non può essere ricondotta all’ambito dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, la cui determinazione è riservata alla legislazione dello Stato dall’art. 117, terzo comma, Cost. In ogni caso si potrebbe trattare, al più, di princìpi “fondamentali”, privi pertanto di forza vincolante nei confronti della Regione Valle d’Aosta, e non di princìpi dell’ordinamento o di norme fondamentali di riforma ai sensi dell’art. 2 dello statuto. Non sarebbe neanche possibile, secondo la ricorrente, ricondurre la disciplina de qua alla materia della tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), o a quella dell’ordinamento civile, di cui alla lettera l) dello stesso articolo. Sempre per la ricorrente, il divieto assoluto di provvedere all’acquisizione dei beni e dei servizi necessari al di fuori delle convenzioni quadro definite dalla s.p.a. CONSIP o in deroga alle condizioni in esse stabilite per l’acquisto di beni e servizi comparabili limiterebbe l’autonomia di spesa di quest’ultima, tutelata anche a norma dell’art. 119, primo comma, Cost.
1.1.2. – Per quanto concerne i parametri statutari, la ricorrente denuncia il contrasto con l’articolo 2, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), che le attribuisce una competenza legislativa esclusiva nelle materie dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell’«ordinamento degli enti locali», e con il successivo art. 4, che le attribuisce le corrispondenti funzioni amministrative.
1.2. – Un secondo gruppo di questioni riguarda l’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 168 del 2004, nonché, seppure marginalmente, le norme dei successivi commi 9, 10 e 11 che prevedono obblighi di informazione e controlli con riferimento all’osservanza dei vincoli di spesa posti dagli stessi commi. Tali disposizioni sono censurate dalla Regione Campania in riferimento agli articoli 3, 100, 114, 117 e 118 della Costituzione, all’art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché al principio di leale collaborazione.
Secondo la ricorrente, le disposizioni denunciate introdurrebbero una disciplina del controllo degli atti della Regione e degli enti locali, in violazione della Costituzione, perché la materia dei controlli sarebbe estranea alla sfera di competenza statale, essendo riservata alla potestà legislativa regionale ed a quella regolamentare degli enti locali, in base alla disciplina risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Un ulteriore profilo di illegittimità delle norme censurate consisterebbe nella loro irragionevolezza, determinata dall’“interferenza” che esse creano tra controllo di gestione e accertamenti della Corte dei conti. Tale “interferenza” sarebbe idonea, secondo la Regione, «ad alterare la effettività e l’efficacia del controllo di gestione stesso».
1.3. – Un terzo gruppo di questioni riguarda i commi 9, 10, 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, dei quali le Regioni Campania, Marche e Toscana (quest’ultima per il solo comma 11) fanno valere il contrasto con gli articoli 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione. Affermano le ricorrenti che le norme denunciate non si limitano ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di spesa, ma specificano ed elencano le tipologie di spesa che gli enti territoriali devono contenere nell’ambito di percentuali fissate. I vincoli introdotti da dette disposizioni riguardano le spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni e le spese per l’acquisto di beni e servizi. Ne conseguirebbe l’illegittimità delle norme censurate, sotto un duplice profilo.
1.3.1. – Sotto un primo profilo, secondo le ricorrenti, spetta alla legislazione concorrente dello Stato la sola determinazione dei princìpi fondamentali nella materia della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e non anche la fissazione di norme di dettaglio, la quale non sarebbe giustificabile neanche sotto il profilo del contenimento della spesa pubblica da realizzarsi, invece, con la semplice fissazione di percentuali generali di risparmio.
Le stesse ricorrenti denunciano anche la violazione dell’art. 3 della Costituzione, sia perché i limiti posti dalla legge statale riguarderebbero tutti gli enti indiscriminatamente, senza alcuna considerazione della loro specifica situazione finanziaria, sia perché le norme denunciate garantirebbero agevolazioni collegate al rispetto del patto di stabilità, ma fisserebbero in modo arbitrario la data intermedia del 30 giugno 2004 quale termine di riferimento per valutare l’effettivo rispetto di tale patto. Sussisterebbe, poi, anche una violazione del principio di leale collaborazione, perché lo Stato non avrebbe effettuato le scelte attraverso una intesa con le regioni. La Regione Toscana lamenta, infine, che la norma censurata consenta, in violazione dell’art. 97 Cost., di superare il limite di spesa del 10%, in casi eccezionali, solo per le missioni all’estero, le spese di rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni, ma non anche per altre categorie di spesa che potrebbero essere «più attinenti agli obiettivi degli enti stessi».
1.3.2. – Sotto un secondo profilo, le ricorrenti sostengono che le limitazioni di carattere finanziario incidono negativamente sulle loro competenze in tema di organizzazione amministrativa, nonché sulle competenze legislative loro attribuite dall’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
1.4. – Un quarto gruppo di questioni riguarda l’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, che inserisce nell’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) i commi 21-bis e 21-ter. La censura è proposta dalla Regione Campania – la quale denuncia anche l’art. 3, commi da 16 a 21, della stessa legge n. 350 del 2003 – e dalla Regione Marche, in riferimento agli articoli 117 (terzo e quarto comma, in particolare), 118, 119 Cost. e al principio di leale collaborazione, nonché dalla Regione Valle d’Aosta, in riferimento a parametri statutari, e cioè agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), 3, primo comma, lettera f), e 48-bis del citato statuto speciale; all’art. 11 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta); agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 431 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d’Aosta in materia di finanze regionali e comunali); all’art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta).
1.4.1. – Quanto alle censure riferite ai parametri costituzionali, le Regioni Campania e Marche osservano che la norma di cui all’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, pur ammettendo in generale il ricorso all’indebitamento per finanziare contributi agli investimenti a privati, lo consente, però, solo in via transitoria e subordinatamente a precise e dettagliate condizioni. Secondo le ricorrenti, l’art. 119, ultimo comma, Cost., nel porre l’obbligo di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, si riferisce al concetto generale di spese di investimento presente nell’ordinamento della contabilità dello Stato, intendendo tali le spese in conto capitale, con la conseguenza dell’illegittimità costituzionale della denunciata normativa statale, che utilizza una diversa nozione di spese di investimento. Le Regioni lamentano anche la violazione dell’art. 117 Cost., in quanto la disciplina censurata non porrebbe princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. La Regione Campania lamenta, infine, che la disciplina statale, pur rientrando in una materia di competenza concorrente, è stata posta in essere escludendo qualsiasi partecipazione degli enti locali, in violazione del principio di leale collaborazione.
1.4.2. – Quanto al prospettato contrasto con i parametri statutari, la Regione Valle d’Aosta deduce che l’art. 3, comma 1, de quo contiene disposizioni di dettaglio dirette a regolare la materia dell’indebitamento, in violazione dell’autonomia finanziaria regionale. La ricorrente sostiene altresì che la norma censurata, nel prevedere un controllo sulla Regione affidato all’istituto finanziatore e nel consentire finanziamenti destinati a privati solo se compresi nei prospetti di cui al comma 21-bis, lede la potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento, anche contabile, degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione, e in materia di finanze regionali.
La ricorrente lamenta poi che le norme denunciate introdurrebbero – in modo dettagliato e in violazione degli altri parametri statutari evocati – limitazioni, modalità e controlli, per mutui, obbligazioni e partecipazioni societarie.
Secondo la ricorrente, la normativa denunciata avrebbe inoltre disciplinato una materia oggetto di norme di attuazione statutaria, senza seguire il particolare procedimento per l’approvazione e la modifica delle norme di attuazione dello statuto speciale, previsto e regolato dall’art. 48-bis e dall’ art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994. La Regione autonoma lamenta infine che la disciplina censurata lede la competenza legislativa riservatale dalle norme di attuazione statutaria in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti degli enti locali e delle loro aziende.
2. – Considerata la parziale identità delle norme censurate e delle questioni prospettate, i giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi.
3. – Va preliminarmente rilevato che le ricorrenti sono legittimate a denunciare la legge statale per la violazione di competenze degli enti locali. La Corte ha infatti ritenuto sussistente in via generale una tale legittimazione in capo alle Regioni, perché «la stretta connessione, in particolare […] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenza n. 196 del 2004).
4. – Passando ad esaminare distintamente i sopra indicati gruppi di questioni, occorre valutare in primo luogo le censure proposte dalla Regione Valle d’Aosta in tema di procedure di acquisto di beni e servizi, e riguardanti l’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost. e agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), e 4 dello statuto speciale.
4.1. – La denunciata disposizione sostituisce il comma 3 dell’articolo 26 della legge n. 488 del 1999 con i commi 3 e 3-bis. Il nuovo comma 3 attribuisce alle amministrazioni pubbliche – ivi compresi le Regioni e gli enti locali – la facoltà di scegliere fra il ricorso alle convenzioni stipulate, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 26, dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (anche con l’ausilio di società di consulenza specializzate) e, in alternativa, l’utilizzazione dei parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi comparabili. Il nuovo comma 3-bis, a sua volta, fissa l’obbligo di trasmissione alle strutture e agli uffici interni preposti al controllo di gestione dei provvedimenti con cui le amministrazioni pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e servizi.
Per la Regione Valle d’Aosta, tali previsioni, in quanto di mero dettaglio, non sarebbero riconducibili né a princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica né a princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico e neppure a norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, e in ogni caso si porrebbero in contrasto con le norme statutarie attributive di competenze legislative e amministrative nelle materie dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell’«ordinamento degli enti locali».
4.2. – Le questioni non sono fondate.
Alle norme denunciate va infatti riconosciuta, contrariamente all’assunto delle ricorrenti, la natura di princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, come questa Corte, con la sentenza n. 36 del 2004, ha già avuto modo di precisare riguardo ad una fattispecie analoga, sia pure in occasione di un giudizio vertente su altre disposizioni di legge. Questa Corte ha infatti affermato al riguardo che «non può contestarsi la legittimità costituzionale della norma che consente agli enti autonomi di aderire alle convenzioni statali, trattandosi di previsione meramente facoltizzante. Ma anche l’obbligo imposto di adottare i prezzi delle convenzioni come base d’asta al ribasso per gli acquisti effettuati autonomamente, pur realizzando un’ingerenza non poco penetrante nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa, non supera i limiti di un principio di coordinamento adottato entro l’ambito della discrezionalità del legislatore statale».
Secondo la medesima sentenza, anche le norme che fissano l’obbligo di trasmissione agli organi interni di revisione contabile delle delibere di acquisto in via autonoma vanno ricondotte agli stessi princípi fondamentali di coordinamento, in ragione del loro «carattere strumentale» rispetto al suddetto obbligo di adottare i parametri previsti da dette convenzioni. Non sussiste neppure il contrasto dell’impugnata disciplina con le norme statutarie che attribuiscono alla Regione Valle d’Aosta la potestà legislativa esclusiva e le correlative funzioni amministrative nelle materie dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione» e dell’«ordinamento degli enti locali» (articoli 2, primo comma, lettere a e b, e 4 dello statuto speciale). Neanche le attività dirette all’acquisto di beni o servizi da parte delle amministrazioni sono infatti riconducibili a tali materie, dovendo esse considerarsi al più strumentali al funzionamento di detti uffici ed enti.
5. – La Regione Campania censura l’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 168 del 2004, sia nel testo originario, sia nell’identico testo successivo alla conversione ad opera della legge n. 191 del 2004, in riferimento agli articoli 3, 100, 114, 117 e 118 della Costituzione, all’art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e al principio di leale collaborazione fra Stato e Regione.
5.1. – La disposizione impugnata inserisce, dopo l’articolo 198 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), l’art. 198-bis, secondo il quale «nell’àmbito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto dall’articolo 198, anche alla Corte dei conti». Per la Regione Campania, tale norma attiene alla materia dei controlli sugli enti locali, riservata alla potestà legislativa regionale ed a quella regolamentare degli enti locali stessi e crea, in ogni caso, un’irragionevole interferenza fra controllo interno di gestione e accertamenti della Corte dei conti.
5.2. – Va preliminarmente osservato che le censure rivolte al testo originario della denunciata disposizione del decreto-legge n. 168 del 2004 debbono ritenersi assorbite in quelle rivolte alla corrispondente disposizione risultante dalla conversione in legge, data l’identità testuale delle due disposizioni.
5.3. – Le questioni non sono fondate.
Nel merito, va premesso che la disposizione introdotta nel testo unico sugli enti locali dall’impugnato articolo 1, comma 5, si limita a porre, a carico delle strutture operative interne degli enti locali, l’obbligo di comunicare alla Corte dei conti il referto relativo al controllo di gestione, e pertanto non regola la funzione di controllo della Corte dei conti sui risultati del predetto controllo di gestione interno. Non viene quindi in rilievo, ai fini della decisione, la legittimità del sistema dei controlli della Corte dei conti – disciplinato da norme diverse da quella impugnata, e in particolare dall’art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e dall’art. 3, comma 8, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) – ma solo la legittimità della previsione dell’obbligo di comunicare ad un organo statale il referto del controllo interno di gestione e, dunque, i dati relativi alla situazione finanziaria degli enti locali.
Secondo questa Corte (sentenze n. 376 del 2003 e n. 35 del 2005), un tale obbligo non è di per sé idoneo a pregiudicare l’autonomia delle regioni e degli enti locali, in quanto esso deve essere considerato «espressione di un coordinamento meramente informativo» (v. anche, per il periodo precedente alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, le sentenze n. 279 del 1992, n. 412 del 1994, n. 421 del 1998). Del resto, questa Corte ha costantemente affermato la legittimità costituzionale delle norme che disciplinano gli obblighi di trasmissione di dati finalizzati a consentire il funzionamento del sistema dei controlli sulla finanza di regioni ed enti locali, riconducendole ai princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, con funzione regolatrice della cosiddetta “finanza pubblica allargata”, allo scopo di assicurare il rispetto del patto di stabilità (cfr. le sentenze n. 376 del 2003, n. 4 del 2004, n. 35 del 2005, n. 64 del 2005).
A tale finalità dell’azione di coordinamento finanziario consegue che «a livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia», ma altresì la determinazione di norme puntuali, quali quelle relative alla disciplina degli obblighi di invio di informazioni sulla situazione finanziaria dalle regioni e dagli enti locali alla Corte dei conti. La fissazione di dette norme da parte del legislatore statale è diretta, infatti, a realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario – che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali – (v. sentenze n. 376 del 2003 e n. 35 del 2005) e, proprio perché viene «incontro alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno», è idonea a realizzare l’ulteriore finalità del buon andamento delle pubbliche amministrazioni (sentenza n. 64 del 2005). Pertanto, va escluso che la norma impugnata, determinando un puntuale obbligo di comunicazione di dati a carico degli enti locali, si ponga in contrasto con gli evocati parametri costituzionali.
Da quanto sopra discende il corollario che non sussiste neppure la denunciata irragionevole interferenza fra controllo interno di gestione e accertamenti della Corte dei conti, lamentata dalla Regione Campania, perché proprio la finalità del coordinamento finanziario giustifica il raccordo tra i due tipi di controllo, operato dalla norma censurata attraverso la fissazione dell’obbligo di comunicazione alla Corte dei conti dell’esito del controllo interno, realizzando così quella finalità collaborativa cui fa espresso riferimento l’art. 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003.
6. – Le Regioni Campania e Marche censurano i commi 9, 10, 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, la Regione Toscana il solo comma 11 dello stesso art. 1 del decreto-legge, per contrasto con gli articoli 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione. La Regione Campania censura tali commi sia nella formulazione originaria del decreto-legge, sia nel testo risultante dalla modifica apportata dalla legge di conversione, la quale ha aggiunto un ultimo periodo al comma 11.
6.1. – I commi impugnati introducono puntuali vincoli, che riguardano le spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché le spese per l’acquisto di beni e servizi.
In particolare, il comma 9 limita, per l’anno 2004, la spesa di Regioni ed enti locali, relativa a «studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione»; prevede che «l’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente, deve essere adeguatamente motivato» e limitato ai soli casi previsti dalla legge o all’ipotesi di eventi straordinari, previa comunicazione – a pena di illecito disciplinare e conseguente responsabilità erariale – agli organi di controllo ed agli organi di revisione di ciascun ente; stabilisce che le pubbliche amministrazioni adottano le direttive – comunicate in via preventiva alla Corte dei conti – conseguenti all’applicazione dei suddetti vincoli di spesa, «nell’esercizio dei diritti dell’azionista nei confronti delle società di capitali a totale partecipazione pubblica».
Il comma 10 limita poi, sempre per l’anno 2004, la spesa di regioni ed enti locali per missioni all’estero e rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni; prevede che gli atti e i contratti posti in essere in violazione del limite fissato «costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale»; stabilisce che gli organi di controllo e gli organi di revisione di ciascun ente vigilano sulla corretta applicazione del limite di spesa, consentendone, per casi eccezionali, il superamento. Il comma 11 prevede, anch’esso per l’anno 2004, un limite alla spesa di regioni ed enti locali per l’acquisto di beni e servizi, con l’esclusione di quella dipendente dalla prestazione di servizi collegati a diritti soggettivi dell’utente; prevede, inoltre, che tale riduzione si applica anche alla spesa per missioni all’estero e per il funzionamento di uffici all’estero, nonché alle spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni ed alla spesa per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione; richiama le norme dei due commi precedenti relative alla responsabilità disciplinare ed erariale e agli obblighi di comunicazione e controlli; prevede infine che, «per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell’anno 2003 e fino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al Patto di stabilità interno, la riduzione del 10 per cento non si applica con riferimento alle spese che siano già state impegnate».
Le ricorrenti lamentano che le norme in questione non si limitano a fissare l’entità massima del disavanzo o del complesso della spesa corrente di Regioni ed enti locali, ma specificano ed elencano le singole tipologie delle spese che gli enti territoriali devono contenere nell’ambito delle percentuali previste dalle stesse norme. Sotto un primo profilo, tali vincoli non sarebbero riconducibili a princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sarebbero pertanto lesivi dell’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali. Sotto un secondo profilo, i vincoli in questione inciderebbero negativamente sulla generalità delle loro competenze legislative e amministrative. Nell’ambito dei citati commi, la Regione Campania censura, anche se marginalmente, le norme che fissano obblighi di informazione e trasmissione di dati o disciplinano controlli. Tali norme non sono dettagliatamente indicate dalla ricorrente, la quale propone in relazione ad esse le medesime censure rivolte al comma 5 dello stesso articolo.
6.2. – Analogamente a quanto già rilevato a proposito delle questioni relative all’art. 1, comma 5, proposte dalla Regione Campania, va in via preliminare osservato che le censure rivolte al testo originario delle denunciate disposizioni del decreto-legge n. 168 del 2004 debbono ritenersi assorbite in quelle rivolte alla corrispondente disposizione risultante dalla conversione in legge, data l’identità testuale delle disposizioni che fissano i vincoli. La legge di conversione, infatti, si è limitata ad apportare una correzione formale al comma 10 e ad introdurre nel comma 11 dell’art. 1 un ultimo periodo, nel quale si prevede un’eccezione all’applicabilità del vincolo di spesa posto dal comma stesso.
6.3. – Le questioni sono fondate.
Va qui ribadito il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’art. 119 Cost. Secondo tale giurisprudenza, il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti), ma solo, con «disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari» (sentenza n. 36 del 2004; v. anche le sentenze n. 376 del 2003 e nn. 4 e 390 del 2004). Perchè detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 36 del 2004).
Questa Corte ha recentemente riaffermato tale principio, osservando che la previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perché pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri […] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sent. n. 390 del 2004). Nella specie, le disposizioni censurate non fissano limiti generali al disavanzo o alla spesa corrente, ma stabiliscono limiti alle spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, alle spese per missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché alle spese per l’acquisto di beni e servizi; vincoli che, riguardando singole voci di spesa, non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma comportano una inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa.
Deve dunque essere dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme in questione, per contrasto con gli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost.
6.4. – Dalla dichiarazione di incostituzionalità dei suddetti vincoli di spesa consegue l’incostituzionalità delle altre norme dei commi 9, 10, 11 censurati, le quali presuppongono tali vincoli (prevedendo eccezioni alla loro applicabilità), o sono strumentali rispetto ad essi (disciplinando adempimenti consequenziali, controlli, obblighi di motivazione o informazione, o prevedendo fattispecie di responsabilità disciplinare ed erariale per la loro violazione).
6.5. – In conclusione, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli interi commi 9, 10, 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, per contrasto con gli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, restando assorbito ogni altro profilo di incostituzionalità dedotto dalle ricorrenti.
7. – Le Regioni Campania e Marche censurano il comma 1 dell’art. 3 del decreto-legge n. 168 del 2004, che inserisce nell’art. 3 della legge n. 350 del 2003 i commi 21-bis e 21-ter, per contrasto con gli articoli 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione. La Regione Campania censura tale comma sia nel testo originario del decreto-legge, sia nel testo convertito, del tutto identico. La Regione Valle d’Aosta censura la stessa norma del decreto legge convertito, in riferimento a parametri statutari e cioè: agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), 3, primo comma, lettera f), e 48-bis dello statuto speciale; all’art. 11 della legge n. 690 del 1981; agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo n. 431 del 1989; all’art. 1 del decreto legislativo n. 320 del 1994.
7.1. – In particolare il comma 21-bis stabilisce che, in deroga al precedente comma 18 – il quale definisce i diversi tipi di investimenti ai fini dell’art. 119, sesto comma, Cost. – le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono indebitarsi per finanziare contributi agli investimenti a privati entro i limiti fissati dalle lettere a) e b) dello stesso comma. Il comma 21-ter consente il finanziamento dei soli contributi agli investimenti a privati che soddisfino le condizioni richieste dalle lettere a) e b) del precedente comma. Le ricorrenti fanno derivare l’illegittimità costituzionale delle norme denunciate dall’illegittimità dei commi da 16 a 21 dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003, in quanto questi ultimi conterrebbero una definizione delle diverse tipologie di indebitamento e investimento in contrasto con il principio di cui all’art. 119, sesto comma, Cost.
7.2. – Va preliminarmente osservato che, come per le doglianze concernenti i commi 5, 9, 10, 11 dell’art. 1 del decreto-legge n. 168 del 2004, le censure rivolte dalla Regione Campania al testo originario dell’art. 3, comma 1, del citato decreto-legge debbono ritenersi assorbite in quelle rivolte alla corrispondente disposizione risultante dalla conversione in legge, data l’identità testuale di tali disposizioni.
7.3. – Le questioni sono inammissibili.
Le tre Regioni ricorrenti si limitano ad appuntare le proprie doglianze sugli elenchi dei tipi di indebitamento e investimento, contenuti nei commi 17 e 18 dell’art. 3 della citata legge n. 350 del 2003: le Regioni Campania e Marche sostengono che tali elenchi non costituiscono princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e si pongono comunque in contrasto con le definizioni generali già presenti nell’ordinamento della contabilità dello Stato, cui avrebbe fatto implicito riferimento l’art. 119, sesto comma, Cost.; la Regione Valle d’Aosta lamenta invece la violazione di parametri statutari. Le ricorrenti omettono, però, di formulare specifici motivi di censura proprio riguardo alla norma del comma 1 dell’art. 3 oggetto di denuncia, la quale amplia il novero degli investimenti ricomprendendovi anche «contributi agli investimenti a privati» e si configura così come norma di favore per le Regioni rispetto al sistema delineato dai commi da 16 a 21 dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003. In conseguenza di tale carenza di specifici motivi, la questione di costituzionalità del comma 1 dell’art. 3 del decreto-legge n. 168 del 2004 deve essere dichiarata inammissibile.
P.Q.M.
La Corte Costituzionale riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 9, 10, 11, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, nella parte in cui si riferisce alle Regioni e agli enti locali;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione Campania e dalla Regione Marche, in relazione agli articoli 117, terzo e quarto comma, 118, 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione autonoma Valle d’Aosta, in relazione agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), 3, primo comma, lettera f), e 48-bis della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta); all’art. 11 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta); agli articoli 2 e 6 del decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 431 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Valle d’Aosta in materia di finanze regionali e comunali); all’art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta), con il ricorso in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione autonoma Valle d’Aosta, in relazione agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, della Costituzione e agli articoli 2, primo comma, lettere a) e b), e 4 della legge costituzionale n. 4 del 1948 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), con il ricorso in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004, sollevate dalla Regione Campania, in relazione agli articoli 3, 100, 114, 117 e 118 della Costituzione, all’articolo 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi in epigrafe.