Il requisito dell’attivita’ lavorativa

Consiglio di Stato, VI sezione

Ordinanza del 15 novembre 2005 n. 6364

(presidente Varrone, estensore Caringella)

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Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza riportata in calce, rimette all’Adunanza Plenaria, la questione interpretativa dell’art. 1 del D.L. n. 195/2002, convertito in legge n. 222/2002.

La norma prevede, al fine di legalizzare il lavoro irregolare di cittadini extracomunitari, che “chiunque, nell’esercizio di un’attività di impresa sia in forma individuale che societaria, ha occupato, nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del presente decreto, alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari in posizione irregolare, può denunciare, entro la data dell’11 novembre 2002, la sussistenza del rapporto di lavoro alla Prefettura”.

Secondo l’orientamento prevalente nei T.A.R., in base alla superiore previsione normativa, sono regolarizzabili i lavoratori che abbiano comunque prestato la loro opera nel corso del trimestre indicato, ancorché non continuativamente (cfr, fra tutte, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n. 148/2004; Tar Veneto, n. 264/2004; Tar Lombardia, Brescia, n. 43/2005).

Secondo la IV Sezione del Consiglio di Stato, invece, il legislatore, nel prevedere la concessione del permesso di soggiorno in sanatoria ai cittadini extracomunitari occupati nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della legge, ha voluto richiedere l’effettività dell’occupazione per l’intero periodo di riferimento (Cons. Stato, IV, n. 5085/04; n. 5088/04; n. 1712/05).

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(…)

Fatto

Con provvedimento n. 7968/S.P: del 24/6/2003 il Prefetto della provincia di Pescara respingeva la domanda di regolarizzazione e di rilascio del conseguente permesso di soggiorno al cittadino extracomunitario M.B.B., presentata ai sensi del D.L. 9 settembre 2002, n. 195, convertito in legge 9 ottobre 2002, n. 222.

La documentazione in atti consente di acclarare che il diniego era dovuto all’insussistenza del rapporto di lavoro nell’intero trimestre antecedente la data di entrata in vigore del D.L., avendo la cittadina extracomunitaria in parola intrapreso l’attività di lavoro solo alla fine del precedente mese di giugno.

Con l’impugnata sentenza il Tar ha respinto il ricorso aderendo all’indirizzo giurisprudenziale che richiede il possesso del requisito dato dalla prestazione continuativa di attività lavorativa nel trimestre antecedente all’entrata in vigore della normativa di che trattasi.

Con il ricorso in appello in epigrafe l’originaria ricorrente contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum.

Resiste l’amministrazione intimata.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito da una unica questione:

l’interpretazione dell’art. 1 del D. L. n. 195/2002, convertito in legge n. 222/2002, che prevede, al fine di legalizzare il lavoro irregolare di cittadini extracomunitari, che “chiunque, nell’esercizio di un’attività di impresa sia in forma individuale che societaria, ha occupato, nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del presente decreto, alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari in posizione irregolare, può denunciare, entro la data dell’11 novembre 2002, la sussistenza del rapporto di lavoro alla Prefettura”.

Tale disposizione è stata introdotta con decreto legge in maniera da estendere la procedura di regolarizzazione, inizialmente prevista per il solo lavoro domestico dall’art. 33 della legge n. 189/2002, a tutti i tipi di attività lavorativa.

La data di entrata in vigore delle due disposizioni è stata la stessa e ciò ha consentito di rendere omogenee le scadenze temporali previste per le due procedure.

Così come gli stessi sono stati i requisiti per la regolarizzazione e tra questi l’occupazione nei tre mesi antecedenti l’entrata in vigore delle due disposizioni (10 settembre 2002 sia per la legge n. 189/02 sia per il D.L. n. 195/02).

Proprio con riguardo a tale requisito è sorto un contrasto giurisprudenziale.

Secondo l’orientamento prevalente nei T.A.R., il requisito dell’avere occupato, “nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del decreto, alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari”, va inteso – proprio perché l’uso della preposizione “nei” (diversamente dalla preposizione “per”) non presuppone la necessaria vigenza del rapporto di lavoro per tutto l’indicato periodo temporale, ma soltanto la sua esistenza in seno ad esso – nel senso che sono regolarizzabili i lavoratori che abbiano comunque prestato la loro opera nel corso del trimestre indicato, ancorché non continuativamente (cfr, fra tutte, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n. 148/2004;Tar Veneto, n. 264/2004; Tar Lombardia, Brescia, n. 43/2005).

Di recente, con alcune sentenze succintamente motivate la IV Sezione del Consiglio di Stato ha aderito alla tesi opposta, secondo cui il legislatore, nel prevedere la concessione del permesso di soggiorno in sanatoria ai cittadini extracomunitari occupati nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della legge, ha voluto richiedere l’effettività dell’occupazione per l’intero periodo di riferimento (Cons. Stato, IV, n. 5085/04; n. 5088/04; n. 1712/05).

Secondo questa Sezione le due norme possono essere interpretate in maniera diversa dall’orientamento cui ha aderito la IV Sezione e al fine di evitare contrasti giurisprudenziali si ritiene opportuno rimettere la questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

La IV Sezione ha fondato le sue decisioni sulle seguenti considerazioni:

– l’art. 33 della legge 30.7. 2002 n. 189 – nel momento in cui prevede la concessione del permesso di soggiorno in sanatoria ai cittadini extracomunitari occupati nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della legge – postula una effettività dell’occupazione per l’intero periodo di riferimento e dunque, necessariamente, la presenza continuativa del lavoratore in Italia;

– ciò appare del tutto ragionevole in quanto la norma è finalizzata alla sanatoria di rapporti di lavoro già realmente in atto al momento dell’entrata in vigore della legge e non ad incentivare una incontrollata e successiva stipula di contratti con stranieri non muniti di permesso di soggiorno, la quale comporterebbe tra l’altro lo scardinamento di un sistema basato invece sulla predeterminazione delle quote di ingresso dei cittadini extracomunitari.

Si osserva come il tenore letterale della norma non è idoneo a sostenere tale interpretazione, in quanto il legislatore si è limitato a prevedere l’occupazione del lavoratore extracomunitario nei tre mesi antecedenti l’entrata in vigore delle norme, senza utilizzare termini chiaramente indicativi della necessità dell’occupazione per l’interio periodo (quali, ad esempio, “nei tre mesi continuativi”, o “ininterrottamente nei tre mesi antecedenti” o “in tutto il periodo dei tre mesi antecedenti”).

La formulazione della norma è tale da considerare il periodo dei tre mesi come mero riferimento nel quale un periodo di lavoro, di qualsiasi durata, può essersi svolto.

La ratio della norma è proprio quella evidenziata nei citati precedenti della IV Sezione: la “sanatoria di rapporti di lavoro già realmente in atto al momento dell’entrata in vigore della legge senza incentivare una incontrollata e successiva stipula di contratti con stranieri non muniti di permesso di soggiorno”.

Tuttavia, la regolarizzazione dei rapporti in atto è possibile anche aderendo alla tesi secondo cui il rapporto in atto al momento della domanda può anche essere iniziato nel corso del trimestre di riferimento, senza che ciò comporti alcun rischio di incontrollata stipula di contratti e dello scardinamento di un sistema basato sulla predeterminazione delle quote di ingresso dei cittadini extracomunitari.

Infatti, deve essere tenuto presente che il sistema delle quote di ingresso riguarda la procedura “a regime” per il rilascio del permesso di soggiorno e non un procedimento di carattere eccezionale, introdotto al fine di far emergere tutti i lavoratori extracomunitari irregolari senza alcun limite quantitativo ma con l’unica finalità di regolarizzare chi è già in Italia ed ha un lavoro che gli consente il rilascio del premesso di soggiorno.

Inoltre, deve anche essere considerato che la disposizione applicabile al caso in esame è entrata in vigore con decreto legge il giorno successivo alla sua pubblicazione in gazzetta ufficiale e non ha quindi consentito un ingresso incontrollato di cittadini extracomunitari al solo fine di costituire in modo artificioso ed ex post i requisiti per poter beneficiare della regolarizzazione (ovviamente, l’interpretazione non restrittiva della norma riguarda un aspetto diverso da quello della prova dell’effettivo inizio dell’occupazione in data antecedente l’entrata in vigore delle norme).

Va aggiunto che alcun elemento decisivo può essere tratto dalla diversa disposizione con cui ai fini della ricevibilità della dichiarazione si richiede per il lavoro domestico “l’attestato di pagamento di un contributo forfetario, pari all’importo trimestrale corrispondente al rapporto di lavoro dichiarato, senza aggravio di ulteriori somme a titolo di penali ed interessi” (art. 33, comma 3, lett. a) della legge n. 189/02) e per gli altri lavoratori “l’attestato di pagamento di un contributo forfetario pari a 700 euro per ciascun lavoratore” (art. 1, comma 3, lett. b), del D.L. n. 195/02).

Solo in una delle due norme, peraltro non applicabile al caso di specie, il contributo è commisurato all’importo trimestrale, ma con l’espressa qualificazione del carattere forfetario del contributo; il che esclude la rilevanza al fine dell’interpretazione del termine “nei tre mesi” utilizzato nelle norme in esame.

In relazione alla fattispecie in esame, il contributo, sempre definito forfettario, è addirittura del tutto sganciato dal trimestre e quantificato in 700 euro direttamente dal legislatore.

Premesso che non appare ragionevole giungere a interpretazioni diverse in presenza di due norme chiaramente dirette a introdurre i medesimi requisiti, anche temporali, per la regolarizzazione, deve ritenersi che dalla disposizione relativa al pagamento del contributo non possano trarsi elementi a favore della tesi restrittiva secondo cui il lavoratore deve essere stato occupato per l’intero trimestre di riferimento.

La ratio delle due disposizioni è quella di consentire l’emersione di tutti i lavoratori extracomunitari, che già all’entrata in vigore della legge fossero occupati con un rapporto destinato a diventare stabile e regolare dopo il completamento della procedura di regolarizzazione.

Ciò che rileva è quindi il solo inizio del rapporto prima dell’entrata in vigore della legge, anche per un periodo inferiore al trimestre, e soprattutto la sussistenza dei presupposti per rendere stabile il rapporto successivamente all’entrata in vigore della legge.

Se il legislatore avesse utilizzato l’espressione “occupato prima dell’entrata in vigore della legge”, la regolarizzazione sarebbe stata in tal modo estesa anche a rapporti intrattenuti nel passato e “riesumati” al solo fine di beneficiare della sanatoria; mentre con il termine “nei tre mesi” si è voluto fare riferimento a chi al momento dell’entrata in vigore delle norme aveva un rapporto, anche se per un periodo più breve del trimestre, realmente in atto in relazione al quale vi era la concreta volontà delle parti di stipulare un contratto regolare e stabile.

Entrambe le disposizioni richiedevano l’impegno del datore di lavoro a stipulare il contratto di soggiorno al momento della convocazione presso gli uffici della Prefettura ed è in tale momento che l’amministrazione ha avuto la possibilità di verificare l’effettiva stabilità del rapporto (le convocazioni sono poi avvenute a rilevante distanza di tempo dalla presentazione delle domande e ciò ha consentito una effettiva verifica del requisito della stabilità del rapporto).

L’interpretazione restrittiva condurrebbe a penalizzare di fatto solo i cittadini extracomunitari, che essendo entrati regolarmente in Italia dopo il 10 giugno 2002 (per motivi di turismo o per altri motivi, diversi ovviamente da quelli di lavoro) hanno avuto apposto sul passaporto il timbro di ingresso, come avvenuto nel caso in esame, recante una data successiva al 10 giugno ed anteriore al 10 settembre (senza considerare le ipotesi in cui i lavoratori sono usciti
temporaneamente dall’Italia per un breve periodo proprio nel corso del trimestre, senza un’interruzione definitiva del rapporto di lavoro).

Tali lavoratori, anche se occupati prima dell’entrata in vigore della legge e con un rapporto stabile secondo quanto detto in precedenza, non potrebbero beneficiare della regolarizzazione con evidente disparità di trattamento rispetto a chi, entrato in modo del tutto clandestino in Italia, ha poi potuto ottenere la sanatoria senza alcuna possibilità di verifica effettiva della sua data di ingresso, se antecedente o successiva al 10 giugno 2002.

Va infine precisato che ogni tentativo di utilizzazione fraudolenta della procedura di regolarizzazione è scongiurato non già dall’interpretazione del termine “nei tre mesi” nell’uno o nell’altro senso, ma da una seria verifica dell’effettiva instaurazione e stabilizzazione del rapporto di lavoro (ad esempio, anche attraverso controllo informatizzati ed incrociati che facciano emergere casi di pluralità di domande presentate dallo stesso datore di lavoro con il mero intento di beneficiare della sanatoria con dissimulazione di un rapporto fittizio o sorto proprio per finalità meramente regolarizzatorie).

2. In conclusione, attesa la rilevanza della questione ed al fine di evitare contrasti giurisprudenziali, la controversia va deferita all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, rimette il ricorso indicato in epigrafe all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Redazione

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