Il Parere n. 31/2006 del Consiglio di Stato

Nel corso dell’Adunanza del 30 gennaio 2006, la Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato ha rilasciato il parere sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, (Codice dell’amministrazione digitale).

Particolarmente rilevanti le osservazioni della Sezione consultiva sulla dibattuta azionabilità, prevista dal nuovo secondo comma dell’art. 3 CAD, del diritto di cittadini e imprese di richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni.

I Giudici romani, infatti, ribaltano le conclusioni del Dip. Innovazione e Tecnologie, affermando che la nuova previsione del decreto correttivo non convince laddove riserva le controversie aventi ad oggetto tale diritto alla Giurisdizione Ordinaria: “la giurisdizione – si legge nel parere – deve appartenere al giudice amministrativo, giudice «naturale» della pubblica amministrazione. L’esercizio del potere organizzatorio della pubblica amministrazione, per costante orientamento, è esercizio di poteri autoritativi. Pertanto a fronte dell’azione della P.A. come «autorità» non si possono ordinariamente scorgere diritti soggettivi in senso proprio, se non per quanto riguarda i limiti esterni del potere, ma solo interessi legittimi. Se ne deduce che appare più coerente con i principi della materia l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo.”.

Da un punto di vista sostanziale, poi, il Consiglio di Stato solleva ancora una volta le perplessità già esternate negli ultimi mesi dalla dottrina più attenta a queste tematiche: il limite oggettivo della disposizione che prevede il diritto all’uso delle tecnologie – e, di conseguenza, la sua azionabilità – solo con riferimento alle comunicazioni con l’amministrazione, e non “all’intero spettro dei rapporti tra cittadino-impresa e amministrazione a partire dall’avvio del procedimento, passando per i momenti partecipativi, fino all’accesso agli atti”.

Lo schema di decreto correttivo è stato approvato in via preliminare dal Consiglio del Ministri il 2 dicembre 2005, ed è passato al vaglio della Conferenza unificata il 26 gennaio. Prima della definitiva deliberazione – ancora del Consiglio dei Ministri – dovranno esprimersi il Dipartimento per la Funzione Pubblica, il Garante per la protezione dei dati personali nonchè le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Nei link correlati, il documento ufficialmente licenziato dal Consiglio di Stato.

Qui di seguito il testo integrale del parere.


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Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza del 30 gennaio 2006

N. della Sezione: 31/2006

OGGETTO: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE – Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, (Codice dell’amministrazione digitale).

La Sezione

Vista la relazione trasmessa con nota prot. 1019/MIT/GAB del 12 dicembre

2005, con la quale il Ministro per l’innovazione e le tecnologie ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo indicato in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Cons. Mario Luigi Torsello;

Ritenuto quanto esposto dall’Amministrazione riferente;

PREMESSO

1. Il Ministro per l’innovazione e le tecnologie ha trasmesso uno schema di provvedimento normativo recante modifiche (rectius: correzioni) ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale (d’ora in poi: Codice), di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, emanato ai sensi dell’articolo 10 della legge delega 29 luglio 2003, n. 229, recante interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione.

Lo schema è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella seduta del 2 dicembre 2005.

L’intento perseguito – riferisce l’Amministrazione – è quello di apportare alcune variazioni al Codice, che è entrato in vigore il 1° gennaio 2006, tenendo presente gli approfondimenti svolti nel frattempo, dando ulteriore applicazione a quanto esposto dal Consiglio di Stato (parere della Sezione consultiva per gli atti normativi 7 febbraio 2005, n. 11995/04) sullo schema di decreto legislativo n. 82/2005, nonché considerando quanto emerso dall’intenso dibattito dottrinale cui ha dato luogo l’emanazione del Codice medesimo.

In particolare, l’Amministrazione intende dare una più completa realizzazione ai principi e criteri direttivi di cui al comma 1 dell’art. 10 della legge delega n. 229/2003, tentando nel contempo di eliminare incertezze o dubbi interpretativi emersi in dottrina o posti dai più diretti destinatari del Codice.

In merito, risulta che sia stato chiesto il parere della Conferenza unificata ma, alla data dell’Adunanza, esso non è stato ancora formalmente reso.

Non risulta neanche trasmesso il parere del Dipartimento della funzione pubblica, cui pure fa cenno la nota di trasmissione dello schema di decreto legislativo in oggetto del 12 dicembre 2005 del Capo di gabinetto del Ministro per l’innovazione e le tecnologie.

La relazione illustrativa segnala le principali novità introdotte, che verranno esaminate singulatim, secondo quanto si dirà.


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Documento senza titolo

CONSIDERATO

2. In primo luogo – riferisce l’Amministrazione – è
stata recepita l’osservazione espressa dal Consiglio di Stato nel citato
parere, di un testo più completo e leggibile sull’argomento centrale
della disciplina, quello dell’amministrazione digitale, che ricomprenda
anche la normativa sul Sistema pubblico di connettività.

Questa Sezione, nel precedente parere, aveva evidenziato che una delle
caratteristiche del Codice deve essere quella della sua esaustività
e sistematicità, quantomeno in relazione agli strumenti portanti dell’innovazione
digitale nelle pubbliche amministrazioni.

Orbene, in questa sede occorre ribadire che, pur se l’idea della
codificazione è mutata e dal modello illuministico si è passati
alla costruzione di micro-sistemi legislativi, è comunque coessenziale
all’idea medesima la necessità di raccogliere le leggi di settore
al fine di garantire l’unità e la coerenza complessiva della
disciplina (Adunanza generale, 25 ottobre 2004, n. 10548/04).

Il che evoca, in ogni caso, il principio della esaustività e sistematicità
del testo, nonché della sua stabilità cioè della tendenziale
intangibilità.

Solo se completo ed esaustivo, infatti, un testo normativo può
assurgere alla qualificazione di Codice in senso proprio; altrimenti può
perdere la sua stessa ragion d’essere.

2.1 In questa prospettiva, si deve prendere atto che l’osservazione
di questo Consiglio, di cui al parere del febbraio scorso, è stata parzialmente
recepita.
E’ vero, infatti, che l’attuale testo prevede, all’articolo
22, l’introduzione di un nuovo Capo VIII nel decreto legislativo n. 82/2005,
riguardante la disciplina del Sistema pubblico di connettività e della
rete internazionale della pubblica amministrazione.
E’ vero anche, però, che medio tempore, sono intervenute altre
disposizioni che, in qualche caso, contraddicono il Codice.
A titolo d’esempio, l’art. 1, comma 51, della legge 23 dicembre
2005, n. 266, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato” (legge finanziaria 2006) si pone in contrasto con il Codice
nella parte in cui prevede che un concessionario di pubblico servizio (postale)
– e non un pubblico ufficiale – abbia la facoltà di dematerializzare
i documenti cartacei attestanti i pagamenti in conto corrente.
Tale disposizione pertanto, opportunamente modificata, va collocata all’interno
nel Codice, anche in ossequio al criterio della legge-delega secondo cui vanno
apportate, a fini di coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la
coerenza logica e sistematica della normativa in materia.

3. L’Amministrazione ritiene inoltre che, dalle integrazioni
apportate, conseguirebbe un rafforzamento della portata precettiva del Codice.
Sul punto questa Sezione aveva evidenziato la necessità di accompagnare,
alle enunciazioni di principio, disposizioni che non rimettessero l’attuazione
dei principi codicistici esclusivamente alla volontà delle singole amministrazioni.
Era stato anche sottolineato che la norma di delega, alla lett. b) del comma
1 dell’art. 10, consentiva di innovare la legislazione vigente per “garantire
la più ampia disponibilità di servizi resi per via telematica”
dalle P.A. e “di assicurare ai cittadini e alle imprese l’accesso
a tali servizi”.
Da qui la necessità che il Codice non si limitasse a ribadire tali finalità,
ma dovesse darne concreta ed effettiva attuazione.

3.1 A ben vedere le indicazioni della Sezione trovavano
il loro fondamento nella valutazione complessiva dell’esperienza dell’informatica
pubblica nel nostro Paese fin dall’inizio degli anni ’90.
Il presupposto di fondo di tale valutazione, entrato ormai nella consapevolezza
comune, è che la diffusione dell’informatica e della telematica
(Information and Communication Technology-ICT) può radicalmente modificare
l’assetto dei pubblici poteri e l’esercizio dei compiti da essi
assolti.
L’informatica pubblica può cioè dare un enorme apporto al
complessivo ammodernamento delle Amministrazioni e all’evoluzione dei
rapporti tra cittadino ed istituzioni, e può indirizzarle verso modalità
di esercizio delle competenze realmente efficienti, efficaci e trasparenti.
Tale considerazione è tanto più vera alla luce dei mutati assetti
costituzionali: l’ICT, in tale nuovo quadro, può divenire essenziale
strumento di raccordo tra i vari livelli di governo e mezzo fondamentale di
attuazione del principio di sussidiarietà.
In questa chiave l’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59,
introdusse il principio – all’epoca profondamente innovativo nel
contesto mondiale – di generale rilevanza e validità dell’attività
giuridica in forma elettronica. Gli atti della pubblica amministrazione e i
negozi privati emanati e stipulati mediante l’utilizzo di sistemi informatici
e telematici, sono dunque validi e rilevanti a prescindere dalla loro trasposizione
sul supporto cartaceo.
E nella medesima direzione si sono sviluppate le iniziative normative successive.
Oggi, dunque, nell’era della completa integrazione dei sistemi basati sull’elaborazione
automatica delle informazioni e della diffusione della rete Internet, il supporto
informatico non è più un semplice strumento tecnico ma diviene,
dal punto di vista organizzativo, risorsa strategica dell’agire pubblico.

D’altro canto, dal punto di vista strettamente giuridico, esso è
uno dei modi – il più moderno -in cui si esprime l’azione amministrativa;
è la sua stessa forma non separabile dal contenuto, e dunque è
esplicazione diretta di competenze pubbliche.
In questo senso mantiene ancora validità la considerazione secondo cui,
allorché la gestione dell’insieme dei flussi informativi e, in particolare,
documentali, viene affidata alla tecnologia informatica e telematica, questa
non si presenta più quale mero strumento tecnico di automazione delle
attività di ufficio (office automation) ma come vera e propria risorsa
strategica, necessaria per la migliore efficacia delle politiche della singola
amministrazione.

3.2 Il punto è però che, pur in presenza
di un panorama normativo all’avanguardia, sono mancate, nel corso di questi
anni, quelle azioni collaterali – ma evidentemente essenziali – che fanno
sì che un complesso di disposizioni così innovativo e di così
ampio respiro sia effettivamente e concretamente attuato.
Anche il Codice (e le sue attuali correzioni e integrazioni) sembra non affrontare
realmente il problema della fattibilità, in senso tecnico, del corpus
normativo, cioè dell’attuabilità concreta ed effettiva delle
disposizioni, sia con riferimento alla valutazione preventiva dell’impatto
sull’organizzazione delle amministrazioni (cd. impatto interno), sia con
riguardo ai cittadini e alle imprese (cd. impatto esterno).
La questione in realtà è più ampia – e non riguarda certo
solo il Codice- e, con tutta evidenza, si traduce nella mancanza di un’approfondita
e meditata Analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR) o se si vuole,
più in generale – sfiorando aspetti di paradosso – di una effettività
delle disposizioni che disciplinano tale istituto (art. 5 della legge 8 marzo
1999, n. 50; direttive del Presidente del Consiglio dei ministri 27 marzo 2000
e 21 settembre 2001, e via di seguito, fino a giungere al recentissimo decreto-legge
10 gennaio 2006, n. 4, in attesa di conversione).
Certamente, tale analisi, nel caso in esame, presenta aspetti di notevole complessità,
considerato che si tratta di mutamenti per molti versi epocali dell’Amministrazione
tradizionalmente intesa.
Ma, proprio per questo, tale adempimento era tanto più necessario, anche
riflettendo sulla circostanza che, nel corso di questi anni, non sempre le pubbliche
amministrazioni hanno reagito positivamente alla spinta verso il cambiamento
e l’esperienza recente sembra dimostrare che alla rapidità della produzione
normativa non è seguita un’altrettanto celere capacità delle
strutture di assecondare il processo di ammodernamento.
E’ stato più volte constatato come le amministrazioni hanno evidenziato
difficoltà nella definizione, avvio e realizzazione di progetti di informatizzazione
capaci di ottenere miglioramenti dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese
e troppo spesso i processi elettronici hanno affiancato quelli cartacei invece
di sostituirli, con l’effetto che, talvolta, le procedure amministrative
sono diventate addirittura più complesse.

3.3 In effetti, per rendere concrete le innovative disposizioni
del Codice, occorre, prima di tutto, una profonda innovazione nei cd. processi
organizzativi, in grado di conciliare i tempi e i modi dell’agire amministrativo
con l’integrazione informatica e telematica, superando la frattura tra
innovazione tecnologica e innovazione amministrativa.
Se la scelta informatica non è solo strumento tecnologico, una possibile
soluzione – sperimentata con successo in altri Paesi avanzati –
è quella di promuovere, secondo un approccio aziendalistico, la cd. reingegnerizzazione
dei processi di servizio (Business Process Reengineering-BPR) partendo dalla
missione e dalle strategie e agendo contemporaneamente e globalmente su tutte
le altre componenti del processo di servizio (flusso, organizzazione, personale,
logistica, informazioni trattate; si veda, al riguardo, “La reingegnerizzazione
dei processi”, in www.cnipa.gov.it.), pur, ovviamente, nella consapevolezza
della peculiarità dell’organizzazione pubblica, astretta, per dettato
costituzionale, dal principio di legalità.
Non sia tratta quindi, come è evidente, solo di rimodulare la “forma”
del procedimento amministrativo ma anche di ripensare la realtà organizzativa
– intesa in una dimensione olistica – in cui esso si cala e le possibili
interazioni con il dato normativo.
In questo senso, sostanzialmente, si era espresso anche il parere della Camera
dei deputati sullo schema di Codice del 23 febbraio 2005 (lett. a) del parere).

Così come anche il Presidente della Repubblica, con un messaggio inviato
al Ministro riferente in data 9 febbraio 2005, ha sottolineato che occorrono
“procedure e comportamenti della Pubblica Amministrazione finalizzati
alla razionalizzazione dei processi”.
Nella medesima direzione, del resto, si muovono anche le “Linee guida
del Governo per lo sviluppo della Società dell’informazione nella
legislatura” (parte II, n. 5): dalla premessa che l’organizzazione
pubblica è composta da un insieme di elementi (cultura, struttura, processi
tecnologici, risorse umane e norme) si prospettano una serie articolata di interventi
su tutte le componenti dell’Amministrazione, evidenziando, in particolare,
la necessità della collaborazione del Dipartimento della funzione pubblica.
Ecco perché, nel precedente parere della Sezione, era stata più
volte richiesta una stretta sinergia tra Dipartimento per l’innovazione
e le tecnologie e Funzione pubblica (punti 4.1, 5.2, 8.2, 10.2 del parere).

Ma dalla relazione illustrativa non risulta che tale Dipartimento abbia fornito
il proprio essenziale contributo all’iniziativa normativa.
Certo l’art. 15 del Codice (Digitalizzazione e riorganizzazione), soprattutto
al comma 2, sembra muoversi in questa nuova prospettiva (“……le
pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare
i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la
modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze
da parte dei cittadini e delle imprese……”).
Ma si tratta di una previsione – come altre – di mero auspicio, priva
di qualsiasi forza precettiva e destinata presumibilmente ad essere disattesa.
Analoghe caratteristiche pare assumere anche la direttiva del Ministro riferente
del 4 gennaio 2005, nella parte in cui prevede (punto 2, La seconda fase della
digitalizzazione della P.A. Nuovi principi) che “le amministrazioni, nel
programmare i loro interventi di digitalizzazione, dovranno segnalare al Dipartimento
della funzione pubblica e al Ministro per l’innovazione e le tecnologie,
sia le opportunità/necessità di semplificazione dei procedimenti
amministrativi e delle regolamentazioni interne sia i fabbisogni di nuove competenze,
ai fini dell’adozione degli interventi conseguenti”.

3.4 Particolarmente delicato è anche il profilo
della fattibilità delle norme sotto l’aspetto finanziario, fattibilità
non tanto intesa nel senso tradizionale di copertura finanziaria appalesata
delle singole disposizioni ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, quanto,
piuttosto, sotto il profilo della necessità di risorse indispensabili
affinché la realtà organizzativa – sotto tutti i profili
– su cui tali norme sono destinate ad operare, sia predisposta a recepirle ed
attuarle.
Al riguardo, pertanto, non può non ribadirsi quanto rilevato nel precedente
parere (punto 5.1). Permane nel Codice il problema della concreta fattibilità
delle innovazioni, in assenza di contestuale previsione di risorse aggiuntive
e di copertura finanziaria.
Si vedano, in questo senso, anche i pareri della Conferenza unificata del 20
gennaio 2005 e 13 gennaio 2005, secondo cui, tra l’altro, “qualsiasi
intervento di riassetto normativo in materia comunque non è sufficiente
se contestualmente non vengono definiti impegni economici e investimenti che
dovrebbero trovare copertura nelle leggi finanziarie per dare continuità
ai piani di azione per l’e-government italiani ed europei”.
Permane altresì (punto 7 del parere precedente) la necessità che
vengano definiti i necessari programmi di sperimentazione, di formazione e di
graduale messa a regime delle innovazioni annunciate.
Inutile, ovviamente, sottolineare l’importanza decisiva che assume soprattutto
il tema della formazione delle risorse umane.

3.4.1 Più in generale, mentre l’Amministrazione
ha seguito l’indicazione di questa Sezione diretta a stabilire un congruo
termine per l’entrata in vigore del Codice, si prende atto che, in tale
amplissimo lasso temporale, non risulta che siano state poste in essere tutte
le iniziative necessarie per disporre delle risorse umane e finanziarie necessarie
per l’effettiva realizzazione della riforma e per raggiungere le finalità
della delega (punti 4.1 e 4.2 del precedente parere).

3.5 Per quanto concerne il ruolo dell’autorità
politica e della dirigenza in tale processo di ammodernamento, con il decreto
correttivo ed integrativo, oggi all’esame, è stato modificato l’art.
12 del Codice, riguardante “Norme generali per l’uso delle tecnologie
dell’informazione e delle comunicazioni nell’azione amministrativa”, richiamando
espressamente, nel promuovere l’attuazione delle disposizioni, la responsabilità
politica degli organi di governo ex art. 14, comma 1, del decreto legislativo
n. 165/2001.
Al riguardo, va ribadita la centralità della figura dirigenziale nel
raggiungimento degli obiettivi sopra detti: il ruolo del dirigente appare decisivo
per sollecitare un atteggiamento di disponibilità all’uso delle tecnologie
informatiche che le faccia cogliere in tutte le loro positive potenzialità
e non come dei lacci imposti a chi deve utilizzarle.
Del resto ciò è anche riconosciuto dalla recente direttiva del
Ministro riferente del 4 gennaio 2005 (Linee guida in materia di digitalizzazione
dell’ amministrazione, punto 4).
In tale prospettiva, il decreto correttivo appare troppo tenue e quasi meramente
ottativo, là dove prevede che gli organi di governo, nell’esercizio
delle funzioni di indirizzo politico ed in particolare nell’emanazione
delle direttive generali per l’attività amministrativa, promuovano
l’attuazione delle disposizioni del Codice.
Occorre prevedere quindi una norma più incisiva, modulata sull’analoga
disposizione contenuta nella legge 9 gennaio 2004, n. 4 – Disposizioni per favorire
l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici – il cui art. 9 prevede
che “L’inosservanza delle disposizioni della presente legge comporta
responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare ai sensi
degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ferme
restando le eventuali responsabilità penali e civili previste dalle norme
vigenti.”.

3.6 Sempre sotto l’essenziale profilo della fattibilità
delle disposizioni, va segnalato il delicato problema dell’assolvimento
degli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici.
Appare difatti evidente che la disciplina normativa di tale materia è
propedeutica all’effettiva funzionalità del sistema. E, d’altro
canto, proprio la mancata tempestiva emanazione della disciplina ne ha impedito,
ad oggi, la piena operatività.
La materia è comunque attualmente regolata dal decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze 23 gennaio 2004 (Modalità di assolvimento degli obblighi
fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione in diversi
tipi di supporto), peraltro emanato con sensibile ritardo rispetto alla disciplina
sostanziale che risale al d.P.R. n. 513/1997.
In particolare, l’art. 7 di tale decreto prevede che l’imposta di bollo
sui documenti informatici sia corrisposta mediante versamento nei modi di cui
al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237, e che l’interessato presenti all’Ufficio
delle entrate competente una comunicazione contenente l’indicazione del numero
presuntivo degli atti, dei documenti e dei registri che potranno essere emessi
o utilizzati durante l’anno, nonché l’importo e gli estremi dell’avvenuto
pagamento dell’imposta.
Appare evidente, al riguardo, che l’assolvimento dell’imposta di bollo
solo per una serie di atti in via presuntiva appare un sistema alquanto macchinoso
ed inutilizzabile dal comune cittadino, il quale normalmente non conosce in
anticipo il numero di atti informatici che invierà all’Amministrazione.
Occorrerà pertanto che l’attuazione dell’art. 21, comma 5,
del Codice (“Gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed
alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto sono assolti secondo le modalità
definite con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze,
sentito il Ministro delegato per l’innovazione e le tecnologie”) avvenga
al più presto, individuando modalità attuative quanto più
è possibile semplici e sicure.
Al riguardo è inutile rammentare che, da tempo, è possibile l’assolvimento
immediato on line degli obblighi fiscali (Unico on line sul sito della stessa
Amministrazione finanziaria, mediante conti correnti postali intestati alle
Tesorerie sul sito delle Poste italiane, mediante modelli F24 elettronici sui
siti degli istituti bancari che hanno sistemi di home banking).
Non sussiste, pertanto, nessun ostacolo tecnico per consentire il pagamento
anche di piccole somme direttamente al momento dell’invio dell’atto informatico,
ad es. con carta di credito o con la cd. moneta elettronica.

3.7 Ancora nella prospettiva di attribuire effetti giuridici
più espliciti a talune disposizioni, che potevano apparire come mere
dichiarazioni di intenti, l’Amministrazione ha recepito l’indicazione
della Sezione, che aveva suggerito l’espressa previsione della possibilità
del ricorso da parte dei cittadini ed imprese agli ordinari strumenti di tutela
giurisdizionale, in caso di inerzia o di inadempimento alla nuova disciplina.
Al riguardo è stato integrato l’art. 3 del Codice, prevedendo che
le controversie concernenti l’esercizio del diritto di richiedere ed ottenere
l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le amministrazioni,
siano devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

3.7.1 Orbene, sembra che l’Amministrazione intenda
attribuire al “diritto” (di richiedere ed ottenere l’uso delle
tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le amministrazioni) la consistenza
di una posizione giuridica soggettiva tutelata in sé, ancorché
priva di immediati contenuti sostanziali e ciò al commendevole fine di
incentivare – con il supporto giurisdizionale – tali modalità
di comunicazione.
La costruzione non appare in contrasto con i principi della materia, dal momento
che, come è noto, l’ordinamento amministrativo conosce altre situazioni
soggettive in cui è attribuita tutela ad una posizione che può
apparire priva di contenuti direttamente sostanziali. Si pensi (almeno secondo
un’impostazione) al diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Sembra però alla Sezione che la giurisdizione debba appartenere al giudice
amministrativo, giudice “naturale” della pubblica amministrazione.
E’ possibile che l’Amministrazione sia stata indotta alla diversa
soluzione dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004, in
materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
In effetti, però, in tale sentenza la Corte ha ritenuto che le materie
per le quali il legislatore ordinario può prevedere l’attribuzione
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle relative controversie
debbano essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione
generale di legittimità, nel senso che “devono partecipare della
loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la P.A.
agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela
al cittadino davanti al giudice amministrativo”.
Ma l’esercizio del potere organizzatorio della pubblica amministrazione
– per costante orientamento – è esercizio di poteri autoritativi.
Pertanto – proprio seguendo l’iter argomentativo della Corte – a
fronte dell’azione della P.A. come “autorità” non si
possono ordinariamente scorgere diritti soggettivi in senso proprio, se non
per quanto riguarda i limiti esterni del potere, ma solo interessi legittimi.
Se ne deduce che appare più coerente con i principi della materia l’attribuzione
della giurisdizione al giudice amministrativo.
Tale soluzione sembra anche confermata dalla nuova formulazione dell’art.
3, comma 1.
Al di là di quanto si dirà infra su tale novellazione (punto 4.2),
la disposizione, così modificata, prevede che tale “diritto”
possa essere esercitato anche nei confronti delle amministrazioni regionali
e locali “nei limiti delle risorse tecnologiche disponibili”.
Con il che si conferma che la situazione soggettiva tutelata non è un
diritto soggettivo in senso proprio, poiché tale situazione non è
tutelata nella sua pienezza allorché non vi siano le necessarie risorse.
Né, ovviamente, sarebbe costituzionalmente consentito differenziare la
situazione soggettiva in relazione alla diversa amministrazione (statale o meno)
cui il cittadino o l’impresa chiede l’uso delle tecnologie.

3.7.2 E’ appena il caso di segnalare che l’individuazione
del giudice competente riverbererà i suoi effetti anche sull’interpretazione
di altre disposizioni già presenti nel sistema, quali quelle contenute
nell’art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 4, (Disposizioni per favorire
l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici) che prevede, al
comma 1, che “La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona
ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi
quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici.”,
e , al comma 2, secondo cui “È tutelato e garantito, in particolare,
il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione
e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in
ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione”.

3.8 Rimangono ancora irrisolte le rilevanti problematiche
esposte nel precedente parere connesse alla necessità di misure concrete
per limitare il fenomeno del cd. digital divide, cioè di azioni che favoriscano
coloro che non sono in possesso degli strumenti e delle conoscenze necessarie
per utilizzare le tecnologie dell’informazione.
Pur prendendo atto della recente emanazione della citata legge 9 gennaio 2004,
n. 4 – Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti
informatici, si ribadisce che – più in generale – esiste la concreta
possibilità che un rilevante numero di cittadini possa risultare escluso
dal passaggio ad un’amministrazione esclusivamente digitale.
Sotto tale profilo, la disposizione di cui all’art. 9 del Codice (Alfabetizzazione
informatica dei cittadini), secondo cui “Lo Stato promuove iniziative
volte a favorire l’alfabetizzazione informatica dei cittadini con particolare
riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l’utilizzo
dei servizi telematici delle pubbliche amministrazioni”, introdotta all’esito
del precedente parere di questa Sezione, appare, ancora una volta, una mera
previsione programmatica e di principio.
E analogamente – sotto altro versante – meramente programmatica è
la disposizione di cui all’art. 14, comma 3, ultima parte, del Codice
secondo cui “Lo Stato, …previene il divario tecnologico tra amministrazioni
di diversa dimensione e collocazione territoriale”.
Pertanto, a tal fine, si ripete che occorrono specifiche e concrete iniziative
che richiedono una adeguata copertura finanziaria e amministrativa.

4. Nel precedente parere era stata evidenziata la necessità
che il Codice, pur nell’opportuna centralizzazione di alcuni profili della
disciplina, tenesse in maggiore considerazione le esigenze di raccordo con le
reti regionali e locali integrando – sul modello del Sistema pubblico
di connettività – a livello statale, la disciplina generale del
procedimento amministrativo come disciplina generale valevole anche per le Regioni
ma consentendo anche ai sistemi informatici pubblici regionali e locali di svilupparsi
e migliorare le prestazioni, nella compatibilità con l’intero sistema
ma nel rispetto dell’autonomia.
In questa prospettiva la Sezione aveva ritenuto che il Codice sembrava prescindere,
nella sostanza, dal ruolo delle Regioni e delle autonomie locali (soprattutto
dei comuni), che costituiscono invece il livello principale sul quale agire
per una effettiva erogazione on line dei servizi pubblici – quantomeno
di quelli prioritari – a cittadini ed imprese.
Inoltre la Sezione, condividendo le osservazioni del parere della Conferenza
unificata del 20 gennaio 2005, riteneva di raccomandare l’istituzione
di un’“Agenzia nazionale federata” per l’e-government.
Con il decreto attualmente all’esame, il Governo – come si legge nella
relazione illustrativa – ha ritenuto di ampliare anche alle amministrazioni
regionali e locali l’ambito di applicazione del disposto di cui all’art.
3 del decreto legislativo n. 82 del 2005, che prevede il diritto dei cittadini
e delle imprese all’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni.

4.1 Come è noto, sulla questione del riparto delle
competenze tra lo Stato e le Regioni in materia, è intervenuta recentemente
la Corte costituzionale con alcune decisioni.
Con la sentenza n. 17 del 2004 la Corte ha definito il coordinamento informativo
statistico ed informatico come una tipica ipotesi di coordinamento tecnico,
finalizzato ad assicurare “una comunanza di linguaggi, di procedure e
di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi
informatici della pubblica amministrazione”.
Con la successiva sentenza n. 31 del 2005, la Corte ha poi chiarito che il coordinamento
tecnico può ricomprendere anche profili della legislazione relativi ai
seguenti aspetti: a) garantire l’interoperabilità e la cooperazione
applicativa tra pubbliche amministrazioni; b) assicurare una migliore efficacia
della spesa informatica e telematica; c) generare significativi risparmi eliminando
duplicazioni e inefficienze, promuovendo le migliori pratiche e favorendo il
riuso; d) indirizzare gli investimenti nelle tecnologie informatiche e telematiche,
secondo una coordinata e integrata strategia.
Si vedano anche le sentenze n. 307/2004, n. 50/2005 e n. 271/2005.
Certamente tale impostazione della Corte appare diretta conseguenza del (nuovo)
dettato costituzionale.
Ma è altrettanto vero che occorre considerare lo stretto collegamento
esistente tra scelte informatiche e scelte organizzative – come sopra
si è detto – e che pertanto una scelta (pur di coordinamento) informatica
non è mai finalisticamente neutra sotto un profilo organizzativo, a meno
di non voler ridurre – secondo una visione ormai abbandonata – essa scelta ad
una mera e semplice automazione di base, che affianca ma non sostituisce le
modalità tradizionali dell’azione dell’amministrazione.
Del resto, secondo l’iter argomentativo della stessa Corte, se il coordinamento
è necessario per “garantire l’interoperabilità e la
cooperazione applicativa tra pubbliche amministrazioni”, esso presuppone
(come si dirà al punto 8.1) oltre alle norme tecniche ed alle risorse
tecnologiche, anche una profonda modifica nei processi interni.
In sostanza, non può separarsi il coordinamento informatico dall’organizzazione
amministrativa delle Regioni e delle autonomie territoriali.
Ma se ciò è vero, allora non può non ribadirsi l’impossibilità
di prescindere dal ruolo delle Regioni e delle autonomie locali, che costituiscono
il principale vettore per la trasmissione dei pubblici servizi al cittadino
e alle imprese, risultando indispensabile il loro coinvolgimento nelle strategie
generali e il loro diretto apporto per raggiungere un livello omogeneo di sviluppo
nell’offerta di servizi (art. 117, quarto comma, art. 117, sesto comma,
art. 118 Cost.).
Sotto tale profilo si prende atto delle modifiche apportate, dopo il precedente
parere, all’attuale art. 14 del Codice, il cui comma 2 delinea un ruolo
più significativo della Conferenza unificata, prevedendo che “Lo
Stato, le Regioni e le autonomie locali promuovono le intese e gli accordi e
adottano, attraverso la Conferenza unificata, gli indirizzi utili per realizzare
un processo di digitalizzazione dell’azione amministrativa coordinato e condiviso
e per l’individuazione delle regole tecniche…”.
Si tratta, però, pur sempre, di soluzioni meramente procedimentali e
pertanto, di per sé, inevitabilmente episodiche, laddove la complessità
e la rilevanza della materia sembrano richiedere stabili soluzioni organizzative.
Da questo punto di vista è stato rilevato che “L’attuazione
dell’e-government nel contesto di una profonda riorganizzazione dell’Amministrazione
pubblica in senso federale, richiede necessariamente un’intensa ed efficace
cooperazione tra tutte le diverse tipologie di amministrazione pubblica. Tale
cooperazione per essere efficace non deve limitarsi al livello della concertazione
politica ma deve trasferirsi nei processi di attuazione e di gestione mediante
la costituzione di specifiche strutture amministrative condivise” (v.
il documento, approvato dalla Conferenza unificata il 24 luglio 2003, “L’e-government
per un federalismo efficiente” del Comitato tecnico della Commissione
permanente per l’innovazione e le tecnologie costituita tra i Presidenti
delle regioni e il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, in www.innovazione.gov.it).

4.2 In assenza di elementi da parte della relazione illustrativa
al decreto legislativo in esame, è presumibile che l’Amministrazione
abbia ritenuto che una possibile sede di composizione degli interessi dello
Stato, delle Regioni e delle altre autonomie territoriali possa essere costituita
anche dalla Commissione di coordinamento del Sistema pubblico di connettività,
di cui al decreto legislativo n. 42 del 28 febbraio 2005, traslato nell’attuale
Codice.
In questo senso si veda il parere della Camera dei deputati sullo schema di
Codice del 23 febbraio 2005.
Tale soluzione, però, non appare pienamente idonea allo scopo, poiché
la Commissione è preposta esclusivamente agli indirizzi strategici del
Sistema pubblico di connettività (art. 79, comma 1, del nuovo testo del
Codice).
Pertanto, la strettissima connessione tra profilo informatico e profilo organizzativo,
per quanto sopra detto, ripropone ed impone – ad avviso della Sezione – la necessità
che venga istituito un organismo, di alto profilo e con caratteristiche non
solo tecniche, quale sede stabile di raccordo e, soprattutto, di decisione,
delle iniziative dello Stato, delle Regioni e delle autonomie locali, ovvero
che tale sede venga individuata in uno degli organismi già esistenti
nel panorama istituzionale.

4.3 In questa prospettiva potrebbe giustificarsi l’ampliamento
soggettivo della previsione di cui all’art. 3 (Diritto all’uso delle tecnologie)
anche alle amministrazioni regionali e locali nonché quella di cui all’art.
54 (Contenuto dei siti delle pubbliche amministrazioni).
Anzi, su questa linea, appare limitativo condizionare l’applicabilità
della disposizione di cui all’art. 3 nei confronti delle Regioni –
atteso il ruolo e il rilievo che esse hanno assunto – alla circostanza che sussistano
“risorse tecnologiche disponibili”.
Appare più opportuno riservare, invece, tale condizione alle amministrazioni
locali che, come è noto, hanno dimensioni, rilievo e disponibilità
finanziarie minori e diversificate.
Qualche perplessità suscita, inoltre, l’ulteriore limite oggettivo
della disposizione, sempre dell’art. 3, che prevede l’azionabilità
del diritto all’uso delle tecnologie nei soli aspetti concernenti la comunicazione
e non, in una visione più ampia, all’intero spettro dei rapporti
tra cittadino-impresa e amministrazione a partire dall’avvio del procedimento,
passando per i momenti partecipativi, fino all’accesso agli atti.

5. Il Dipartimento riferente ha poi apportato talune modifiche
agli articoli 20 e 21 del Codice, che disciplinano il “documento informatico”,
fissando – secondo quanto si legge nella relazione – i requisiti che soddisfano
le disposizioni di legge, che impongono la forma scritta, come requisito di
validità dell’atto, chiarendo nel contempo quali tipologie di documento
informatico soddisfano le disposizioni dell’ordinamento che impongono
la forma scritta quale modalità specifica di assolvimento di obblighi
di natura essenzialmente informativa.
Anche sotto il profilo della efficacia probatoria del documento informatico,
di cui all’articolo 21 del Codice, si sono volute introdurre alcune modifiche.
Per quanto riguarda l’efficacia probatoria del documento informatico,
sottoscritto con firma digitale o con altra firma qualificata, si è voluto
mantenere il richiamo all’articolo 2702 del codice civile, puntualizzando
al comma 2, la previsione di riconducibilità dell’utilizzo del
dispositivo di firma allo stesso, salvo che questi dia la prova contraria.

5.1 Su tale ultimo punto la Sezione rileva che la direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 1999/93/CE, recepita nell’ordinamento
interno dal d.lgs. n. 10/2002, oggi interamente sostituito dalle disposizioni
del Codice è – com’è noto – ispirata ai principi
della neutralità tecnologica e della parità di trattamento, detto
anche principio di “non discriminazione”, tra documento informatico
e documento su supporto cartaceo.
Da un lato, pertanto, tutte le disposizioni della direttiva sono ispirate al
principio che vieta al legislatore nazionale di condizionare (anche indirettamente,
attraverso il riferimento a standard tecnologici adottati da specifici prodotti)
la libera circolazione dei prodotti e dei servizi utilizzabili per le firme
elettroniche; dall’altro, la direttiva impone agli Stati membri di provvedere
affinché le firme elettroniche avanzate, basate su un certificato qualificato
e create mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura “…posseggano
i requisiti legali di una firma in relazione ai dati in forma elettronica così
come una firma autografa li possiede per dati cartacei” e “siano
ammesse come prova in giudizio”, nonché “…una firma
elettronica non sia considerata legalmente inefficace e inammissibile come prova
in giudizio unicamente a causa del fatto che è in forma elettronica,
non basata su un certificato qualificato o non basata su un certificato qualificato
rilasciato da un prestatore di servizi di certificazione accreditato, ovvero
non creata da un dispositivo per la creazione di una firma sicura” (articolo
5, comma 2).
Nell’ordinamento italiano, la firma elettronica avanzata, descritta nella
direttiva comunitaria coincide, sul piano tecnico e giuridico, col sistema di
firma digitale basata su un sistema crittografico a chiave pubblica descritto
nel Codice.
La direttiva comunitaria, in sostanza, impone agli Stati membri di equiparare
alla sottoscrizione autografa, quanto agli effetti probatori, una firma elettronica
avanzata, basata su un certificato qualificato e generata con un dispositivo
sicuro e di non escludere la rilevanza giuridica di una firma elettronica per
il solo fatto che essa non può essere apposta su un documento cartaceo.
La direttiva non prevede, dunque, che le firme elettroniche possano conferire
al documento informatico una efficacia probatoria maggiore di quella che assume,
nel processo, una scrittura privata munita di sottoscrizione autografa.
Il testo risultante dalle modifiche introdotte dal decreto integrativo –
invece – rafforza, particolarmente sotto il profilo probatorio, il valore
legale del documento informatico sottoscritto con firma digitale a scapito del
documento formato sul tradizionale supporto cartaceo.
Le norme del decreto legislativo (che sono soprattutto norme di recepimento,
nella specifica materia, delle disposizioni comunitarie) non sembrano recepire
correttamente il diritto comunitario nel diritto interno e, soprattutto, sembrano
alterare il sistema delle prove nel processo civile.
Com’è noto, nell’intento di non stravolgere il delicato equilibrio
del sistema delle prove documentali del processo civile, collaudato da secoli
di cultura giuridica, l’articolo 4 del d.P.R. n. 513 del 1997 attribuiva
al documento informatico, sottoscritto con firma digitale, “L’efficacia
di scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 del codice civile”, semplicemente
equiparando al documento scritto, sottoscritto con firma autografa, il documento
scritto su supporto informatico sottoscritto con firma digitale.
In altri termini, come dalla sottoscrizione autografa si ricava la presunzione
di legge, sino a prova contraria, del consenso del firmatario sul contenuto
del documento, così dalla sottoscrizione del documento informatico, mediante
la firma digitale, l’ordinamento dovrebbe trarre le medesime presunzioni
legali, identificando nell’autore della firma digitale l’autore
del documento informatico a cui attribuire gli effetti dell’atto.
Nel testo del decreto correttivo, invece, la parità di condizioni è
soltanto apparente, poiché l’efficacia probatoria della scrittura
informatica è rafforzata dalla maggiore difficoltà del disconoscimento
giudiziale della firma (artt. 214 e ss. c.p.c.)
Sostenere che l’uso dello strumento di firma “si presume riconducibile
al titolare” e che soddisfa “comunque” il requisito della
forma scritta, anche nei casi previsti, sotto pena di nullità, dall’articolo
1350 c.c., equivale, in sostanza, ad introdurre nell’ordinamento una presunzione
di riconoscimento della provenienza del documento simile a quella prevista dall’art.
2703 c.c. per gli atti formati dal pubblico ufficiale (la firma, per così
dire, “si ha per riconosciuta” anche se essa non è stata
apposta davanti al pubblico ufficiale).
Pertanto, mentre colui contro il quale viene esibita in giudizio una falsa scrittura
cartacea può limitarsi a disconoscere la propria firma dando luogo alla
speciale procedura di verificazione prevista dagli artt. 214 e ss. c.p.c. (nella
quale è colui che intende utilizzare la scrittura che deve provarne la
autenticità), la parte processuale, contro la quale viene esibita in
giudizio una falsa scrittura formata su supporto informatico, oltre a disconoscere
la propria firma deve anche fornire le prove della sua falsità, con un’inversione
dell’onere probatorio che appare ingiustificato.
Si consideri, inoltre, che mentre le prove di una falsa sottoscrizione autografa
consistono, di norma, nella produzione di scritture di comparazione, provenienti
da atti sottoscritti, ad esempio, in presenza del pubblico ufficiale che li
ha autenticati (atti che possono trovarsi nella piena disponibilità della
parte, che può, così, tempestivamente esibirli al giudice), nell’ipotesi
della firma digitale il reperimento delle prove della falsità della firma
costituisce attività più complessa, rendendo ingiustamente oneroso
l’esercizio del diritto di difesa da parte del soggetto che lamenta un
tentativo di illecita locupletazione ai suoi danni.
Nei casi in cui la falsità consista nell’uso abusivo dello strumento
di firma, ad esempio, potrebbe rendersi necessario identificare il calcolatore
che è stato utilizzato per formare il documento, la chiave privata utilizzata
per apporre la firma, il percorso seguito dal documento trasmesso per via telematica,
la validità del certificato emesso dal soggetto certificatore ed altre
simili attività. Ciò non significa, evidentemente, che il disconoscimento
della firma digitale sia impossibile, bensì che tale attività
implica il ricorso a tecniche d’istruzione differenti (ad esempio: il
perito grafico sarà sostituito da un perito informatico).
In ogni caso: la diversa natura delle indagini istruttorie per l’accertamento
della autenticità del documento certamente non giustifica l’inversione
dell’onere della prova a danno di colui che può essere vittima
di una macchinazione (né una sostanziale elusione degli obblighi imposti
dalla direttiva del 1999).
In conclusione, il documento informatico, munito di firma digitale, sembra porsi,
per effetto dell’inversione dell’onere della prova in tema di disconoscimento,
come una sorta di tertium genus tra la scrittura privata e l’atto pubblico,
avendo in giudizio la stessa efficacia probatoria di una scrittura privata munita
di sottoscrizione legalmente riconosciuta, ed essendo, in realtà, in
nulla diverso da una scrittura privata munita di sottoscrizione non autenticata.
Le disposizioni che il decreto legislativo intende modificare – peraltro
– devono, per non eccedere i limiti della delega legislativa (art. 76
Cost.) limitarsi al recepimento nell’ordinamento interno della direttiva
1999/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, secondo i criteri indicati
dall’articolo 2 della legge di delega n. 422 del 2000, e precisamente,
osservando gli specifici principi e criteri direttivi “stabiliti nella
direttiva da attuare”, ed introducendo solo le modifiche o integrazioni
necessarie per evitare “disarmonie con le discipline vigenti per i singoli
settori interessati dalla normativa da attuare” (art. 2, lett. b).
E’ ben vero che anche l’attuale testo dell’art. 21 prevede
l’inversione dell’onere della prova ai fini del disconoscimento
della firma, ma imporre soltanto al titolare dello strumento di firma (in questo
senso, la modifica dell’espressione “sia fornita la prova”
con “dia la prova”) significa rafforzare ulteriormente, nel senso
suindicato, la disparità di trattamento tra la scrittura cartacea e la
scrittura informatica.
La disposizione in esame, pertanto, deve essere correlativamente modificata.

5.2 Ad ogni modo non risulta che sia stato accolto l’invito
– formulato con il precedente parere – affinché, sulla delicata
questione, esprima il proprio motivato avviso il Ministero della giustizia (punto
5.2 del parere).
La Sezione, attesa la rilevanza della questione, ribadisce la necessità
di un espresso pronunciamento di tale Ministero.

6. Sono state poi introdotte alcune modifiche volte a rendere
più chiare le vigenti disposizioni in tema di firma digitale, certificato
qualificato, obblighi del titolare della firma e del certificatore superando
alcune criticità interpretative evidenziate dai rappresentanti delle
categorie interessate e dirette destinatarie delle norme.
Al riguardo la Sezione non ha particolari osservazioni da formulare.

7. In merito alla sottoscrizione di documenti informatici
aventi rilevanza esterna la norma di cui all’art. 34 prevede, per le pubbliche
amministrazioni, la possibilità di svolgere direttamente l’attività
di rilascio di certificati qualificati, accreditandosi preventivamente; tale
attività, tuttavia, può essere svolta esclusivamente nei confronti
dei propri organi od uffici, nonché di categorie di terzi, pubblici o
privati, ma esclusivamente nei confronti dell’amministrazione certificante;
la modifica introdotta esclude espressamente da questa limitazione i certificati
rilasciati da collegi ed ordini professionali e loro organi, nei confronti degli
iscritti dei rispettivi albi, così chiarendo delle possibili ambiguità
interpretative cui poteva dare luogo il vecchio testo.
Anche su tali modifiche la Sezione non ha particolari osservazioni da formulare.

8. L’Amministrazione ha poi ritenuto opportuno integrare
e rafforzare la portata dell’attuale articolo 41, integrandolo con tre
commi che prevedono una disciplina di carattere generale del c.d. fascicolo
informatico.
In esso trovano applicazione le regole che presiedono alla disciplina del protocollo
informatico, nonché del Sistema pubblico di connettività, necessarie
per la realizzazione della “interoperabilità”, ossia dei
servizi idonei a favorire lo scambio dei dati e delle informazioni all’interno
delle pubbliche amministrazioni e tra queste ed i cittadini e la c.d. “cooperazione
applicativa”, che consente l’interazione tra i sistemi informatici
delle pubbliche amministrazioni per consentire l’integrazione delle informazioni
e dei procedimenti amministrativi.
Il fascicolo informatico, pur essendo nella sua costituzione e gestione curato
dall’amministrazione titolare del procedimento, ha il pregio – riferisce
l’Amministrazione – di essere consultabile ed alimentabile da parte di
tutte le amministrazioni che intervengono nel procedimento.
Esso è costituito e gestito in modo da consentire l’esercizio in
via telematica dei diritti di cui alla legge n. 241 del 1990.
L’intervento di integrazione al Codice vigente – riferisce sempre
l’Amministrazione – vuole rispettare la normativa sostanziale di
cui alla legge 241 del 1990, non derogando alla stessa, ma operando in modo
da consentirne la realizzazione telematica per conseguire una maggiore efficienza
nelle attività delle pubbliche amministrazioni, nei loro rapporti interni
e tra queste ed i privati.
Si ritiene, così, di avviare il cammino normativo nella direzione auspicata
dal Consiglio di Stato nel precedente parere verso “un’opera di
riordino che ripensi a livello informatico la disciplina sostanziale, nelle
sedi sistematicamente proprie”.

8.1 In effetti il fascicolo informatico costituisce un
ulteriore passo verso la realizzazione dei fondamentali obiettivi di interconnessione
e interoperabilità e di cooperazione applicativa con i quali si vuole
raggiungere il risultato di far interagire il cittadino e l’impresa con
una pubblica amministrazione unitaria, che funzioni come centro di erogazione
di servizi e prestazioni, e che sia dotata, allo scopo, di un sistema informativo
integrato ed omogeneo.
Vale la pena di rammentare che, fin dallo studio di fattibilità della
Rete unitaria delle pubbliche amministrazioni (1996) le principali macro-funzionalità
di rete vennero identificate nell’interconnessione (interconnection) –
che rende tecnicamente possibile il colloquio, lo scambio di dati tra diversi
sistemi informativi, attraverso apparati di telecomunicazione, determinando
così la capacità di ricevere e spedire messaggi, nell’interoperabilità
(interworking) – la possibilità di due o più sistemi di capirsi
e di svolgere insieme un lavoro in comune, una volta che gli stessi siano tra
loro collegati cioè interconnessi (ad es.: il trasferimento di file,
la posta elettronica e l’accesso a banche dati remote) – e infine, quale
obiettivo finale della complessa realizzazione, nella cooperazione applicativa,
intesa come capacità delle applicazioni informatiche di una amministrazione
di fare uso dei servizi applicativi messi a disposizione da altre amministrazioni.

Attualmente, dopo aver compiutamente realizzato la fase dell’interconnessione
e della piena interoperabilità, tutti gli sforzi tecnologici, organizzativi
e finanziari sono rivolti alla completa e omogenea (sul territorio) realizzazione
della fase della cooperazione applicativa. In tale obiettivo risiede, difatti,
la ragione ultima della progettazione della Rete unitaria (e della sua evoluzione
nel Sistema pubblico di connettività): un sistema telematico in grado
di far interagire tra di loro le amministrazioni (a tutti i livelli di autonomia
e di governo) in modo da erogare servizi (amministrativi e prestazionali) ai
cittadini e alle imprese. Non certo e non solo un sistema telematico in grado
di veicolare messaggi di posta elettronica e traffico web.
E su questa strada l’impegno è particolarmente complesso, soprattutto
se si tende ad una cooperazione applicativa diffusa ed omogenea sul territorio
nazionale. Prospettiva questa che rende ancor più evidente la necessità
di un forte coordinamento dei vari livelli di autonomia.
In questo modo, inoltre, il sistema informativo diverrà integrabile nel
contesto europeo, così da poter interoperare con i sistemi informativi
delle pubbliche amministrazioni degli altri Paesi membri.
L’integrazione dei sistemi informativi della pubblica amministrazione,
sia centrale che locale, appare quindi come fattore prioritario per ogni intervento
nel settore, al fine del conseguimento degli obiettivi di miglioramento dei
servizi al cittadino e di contenimento dei costi.
E ciò in stretta correlazione con quanto previsto dall’art. 2,
comma 2, del d.lgs n. 42 del 2005 – art. 73 del Codice, come integrato
dal decreto legislativo in esame – che definisce il Sistema pubblico di
connettività come “l’insieme di infrastrutture tecnologiche e di
regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la diffusione
del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie
per assicurare l’interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione
applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la
sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia
e l’autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione”.

8.2 Rimangono, però, tutti i dubbi sulla fattibilità
concreta delle nuove disposizioni.
Si ribadisce che, affinché le amministrazioni pubbliche possano interagire
efficacemente e presentarsi all’esterno come un unico soggetto, occorre,
oltre alle norme ed alle risorse tecnologiche necessarie, anche una profonda
modifica nei processi organizzativi e decisionali interni.
Si richiede inoltre, con tutta evidenza, una forte azione di Governo per il
presidio e il coordinamento del complesso delle iniziative; ciò in una
visione nuova dell’informatica pubblica, cui viene attribuito il ruolo
effettivo di strumento e motore dell’azione di modernizzazione della pubblica
amministrazione.
Il che è tanto più necessario ove si consideri che il fascicolo
informatico – per sua essenza – presuppone il coinvolgimento di
diversi uffici o di diverse amministrazioni.
In questa prospettiva uno dei nodi fondamentali sarà proprio il rapporto
tra e-government e autonomia, anche costituzionalmente garantita, delle pubbliche
amministrazioni.
Occorrerà quindi – pur nella consapevolezza che la Rete, naturaliter,
agisce verso l’integrazione e non verso la separazione tra gli uffici
– modificare la cultura delle amministrazioni e vincere le inevitabili resistenze
verso la cooperazione applicativa. Compito indubbiamente non agevole.
Anche in questa prospettiva appare necessaria l’individuazione dell’organismo
di cui si è detto supra (punto 4.2).

8.3 Proprio sotto il profilo della reale attuazione delle
norme, permane, più in generale, la pressante esigenza di coordinamento
del settore con riferimento alle iniziative propedeutiche alla concreta accessibilità
ai servizi delle pubbliche amministrazioni.
Si pensi all’art. 64 del Codice (Modalità di accesso ai servizi
erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni), secondo cui “La carta
d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi costituiscono
strumenti per l’accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni
per i quali sia necessaria l’autenticazione informatica”.
Infatti, da più parti sono stati evidenziati i costi e le difficoltà
di attuazione del progetto della Carta d’identità elettronica –
che, come è noto, investe anche competenze dei Comuni – nonché
l’arduo discrimen con la Carta nazionale dei servizi e, da ultimo, almeno
per alcuni versi, con la Tessera sanitaria.
Ciò senza contare che anche la regione Lombardia ha realizzato un progetto
denominato “Carta regionale di servizi”.
Il tema è stato anche oggetto di dibattito in occasione dell’approvazione
della recente legge finanziaria, senza però giungere ad esiti significativi.
Appare quindi alla Sezione indispensabile e urgente un’azione chiarificatrice
e razionalizzatrice in materia, sia con riferimento alle inutili duplicazioni
e ai costi per l’Erario sia, soprattutto, per le incertezze che tale frammentazione
di iniziative suscita nei confronti dei cittadini e delle imprese.
Un quadro organizzativo e normativo certo, chiaro ed univoco in materia appare
– con tutta evidenza – la conditio sine qua non per una reale attuazione
delle iniziative di e-government.

9. Riferisce inoltre l’Amministrazione che è
stata ricondotta la realizzazione con strumenti informatici dell’INA (Istituto
nazionale delle anagrafi) alle regole tecniche concernenti il Sistema pubblico
di connettività nel rispetto delle quali l’Amministrazione dell’interno
definisce le regole di sicurezza per l’accesso e la gestione delle informazioni
anagrafiche.
Quanto alla questione generale della definizione delle regole tecniche, è
appena il caso di rammentare che con il decreto legislativo 12 febbraio 1993,
n. 39, è stata istituita l’Autorità per l’informatica
nella pubblica amministrazione (AIPA) quale organismo cui sono state attribuite
le funzioni di coordinamento previste dalla lett. mm), comma 1 dell’art.
2 della legge n. 421 del 1992.
Anche a seguito delle modifiche normative intervenute nel 1996 (art. 42 della
legge 31 dicembre 1996, n. 675) e nel 2003 (art. 176 del decreto legislativo
30 giugno 2003, n. 196, con il quale l’AIPA è stata trasformata
in Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione,
CNIPA), stante la vigenza dell’impianto complessivo del decreto legislativo
n. 39 del 1993 – interamente applicabile al CNIPA – debbono ritenersi permanere
in capo al CNIPA stesso le funzioni (aventi natura tecnica) di coordinamento
delle iniziative e di pianificazione degli investimenti in materia di automazione
di cui alla legge di delega n. 421 del 1992.
L’entrata in vigore del Codice non ha modificato le competenze del CNIPA
in materia di definizione degli standard tecnici, di alta consulenza informatica
e di coordinamento degli investimenti in materia di automazione, anche ai fini
della garanzia dell’interconnessione dei sistemi informatici pubblici.

Né, peraltro, sembra incidere su tali competenze la disposizione del
citato art. 176 del decreto legislativo n. 196 del 2003 nella parte in cui prevede
che il CNIPA operi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri “per
l’attuazione delle politiche del Ministro per l’innovazione e le
tecnologie”.
Tale previsione, infatti, essendo integrata dall’attribuzione all’organismo
in parola di “autonomia tecnica, funzionale, amministrativa, contabile
e finanziaria” e di “indipendenza di giudizio”, sembra, abbia
voluto, da una parte, prevedere i poteri di indirizzo politico in capo al Ministro
per l’innovazione e le tecnologie e, dall’altra, mantenere ferme
le funzioni, di natura squisitamente tecnica, di quell’“apposito
organismo” di cui alla lettera mm) della legge n. 421 del 1992.
Si ritiene, pertanto, che tutte le disposizioni contenute nel Codice e nello
schema di decreto legislativo in esame che prevedono l’adozione, da parte
del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di regole tecniche, debbano
essere integrate dall’espressa previsione di un previo parere obbligatorio
del CNIPA sugli schemi di decreto di approvazione delle stesse.
Solo in tal modo sarà possibile lucrare la pluriennale esperienza tecnica
acquisita dall’AIPA prima e dal CNIPA poi nell’esercizio delle funzioni
di coordinamento tecnico dell’informatica pubblica nel nostro Paese e
corroborare il provvedimento dell’organo di direzione politica con il
necessario esame del competente organo di alta consulenza tecnica.

10. Con specifico riferimento alle singole disposizioni
va inoltre segnalato quanto segue.

10.1 All’art. 1, comma 1, lett. b) del Codice, che
attualmente recita: “autenticazione informatica: la validazione dell’insieme
di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne distinguono
l’identità nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie
al fine di garantire la sicurezza dell’accesso”, sono soppresse le parole
“al fine di garantire la sicurezza dell’accesso”.
La relazione illustrativa spiega che in tal modo si intende evitare il possibile
insorgere di equivoci tra la finalità essenziale dell’autenticazione
informatica, che è quella della validazione dell’identificazione
informatica effettuata attraverso opportune tecnologie e l’altra finalità
consistente nel garantire la sicurezza dell’accesso.
La modifica suscita qualche perplessità in quanto non va esclusa, in
termini assoluti, una relazione tra i sistemi di accesso e di identificazione
degli utenti in rete e la sicurezza dei medesimi sistemi; è preferibile
prevedere la garanzia dell’accesso come una delle possibili finalità
dell’operazione di autenticazione informatica, mantenendo l’espressione
ed inserendo, a tal fine, dopo le parole “opportune tecnologie”,
la parola “anche”.
In questa sede preme rilevare che per “autenticazione informatica”
si intende un complesso di procedure informatiche volte a identificare (in senso
tecnico) un utente di un sistema informativo o di una rete (ad esempio, mediante
l’associazione di un “nome utente” ed una password), con esclusione
di qualsivoglia finalità di sottoscrizione documentale e, quindi, di
firma elettronica in senso proprio.
Nel testo opportunamente modificato (cfr. lett. q) delle definizioni) del Codice
l’autenticazione informatica viene ora riferita alle operazioni di identificazione
degli utenti telematici nei rapporti con le p.a. effettuate, ad esempio, attraverso
la Carta d’identità elettronica e la Carta nazionale dei servizi
(art. 64) ed, in negativo, alla fruibilità dei dati pubblici contenuti
nei siti delle pubbliche amministrazioni (art. 53, comma 3).

10.2 All’art. 1, comma 1, lett. q) del Codice, che
attualmente recita: “firma elettronica: l’insieme dei dati in forma elettronica,
allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici,
utilizzati come metodo di autenticazione informatica”, sono soppresse
le parole “, utilizzati come metodo di autenticazione informatica”.
Con tale modifica presumibilmente l’Amministrazione ha inteso chiarire
la portata definitoria dell’espressione “firma elettronica”,
espungendo il riferimento all’autenticazione, così come definita
alla lettera b), che, nel testo originario, finiva per collegare la nozione
di sottoscrizione elettronica all’operazione di riconoscimento di un soggetto
nella rete o in un sistema informativo.
Pur convenendo sull’opportunità di tale scissione semantica, e
confermando che non vi può essere alcun rapporto tra la sottoscrizione
di un documento e l’accesso ad un sistema informatico con relativa identificazione
(in senso tecnico-informatico) dell’utente del medesimo sistema, si rileva
che, così come è formulata, la definizione non individua alcun
metodo di sottoscrizione elettronica in senso stretto, dato che descrive unicamente
una mera operazione di associazione di dati ad altri dati (allegazione ovvero
connessione).
Quanto detto va considerato alla luce del successivo art. 21, comma 1, secondo
cui il documento informatico sottoscritto con mera firma elettronica ha una
sua efficacia probatoria, sia pur limitata, la cui valutazione resta affidata
al giudice, in base alle caratteristiche di qualità e sicurezza della
tecnologia di volta in volta utilizzata per firmare elettronicamente.

10.3 Infine:
– all’art. 5 del decreto correttivo e integrativo, che all’articolo
17 del Codice inserisce il comma 2, modificare l’espressione “ad
istituire” con quella “di istituire”;
all’art. 9, comma 4, del decreto correttivo e integrativo, che modifica
la lettera b) del comma 3 dell’art. 28 del Codice, modificare le parole
“ed ai poteri” con quella “dai poteri”;
– all’art. 12, comma 1, del decreto correttivo e integrativo, che al comma
1, lettera a) dell’articolo 34, del Codice, dopo le parole “sono
privi di ogni effetto” aggiunge le parole “comunque ad esclusione
di quelli rilasciati da collegi e ordini professionali e relativi organi agli
iscritti nei rispettivi albi e registri”, appare opportuno eliminare l’avverbio
“comunque”;
– all’art. 17, comma 2, del decreto correttivo e integrativo, che integra
l’art. 54, comma 4 del Codice, l’aggiunta appare da un lato pleonastica,
poiché si riferisce alla pubblicità costitutiva già prevista
espressamente dall’ordinamento, dall’altro lato utilizza un istituto
(quello, appunto, della pubblicità costitutiva) di derivazione giurisprudenziale
e dottrinale e non normativa in senso proprio; anche sul punto, comunque, occorre
l’espresso avviso del Ministero della giustizia;
– all’art. 22 del decreto correttivo e integrativo, là dove introduce
l’art. 73 (Sistema pubblico di connettività) l’espressione
“è definito e disciplinato il sistema pubblico di connettività”
deve essere sostituita con “il presente Capo definisce e disciplina il
sistema pubblico di connettività”;
– all’art. 22 del decreto correttivo e integrativo, là dove introduce
l’art. 80 (Composizione della Commissione di coordinamento del sistema
pubblico di connettività), si prende atto dell’incremento del numero
dei componenti, pur dovendo evidenziare le possibili difficoltà nella
organizzazione e gestione di tale organo. Si rileva, inoltre, la sostanziale
inutilità del comma 3 del medesimo articolo (La Commissione è
convocata dal Presidente e si riunisce almeno quattro volte l’anno) nonché
dell’art. 79, comma 3, primo periodo (Le decisioni della Commissione sono
assunte a maggioranza semplice o qualificata dei componenti in relazione all’argomento
in esame.);
– all’art. 22 del decreto correttivo e integrativo, là dove introduce
l’art. 84 (Migrazione della Rete unitaria della pubblica amministrazione),
al primo comma, si continua a prevedere il termine di sei mesi per i piani di
migrazione verso il SPC da parte delle Amministrazioni. Al riguardo valuterà
l’Amministrazione riferente se tale termine sia attuale, visto che esso
era previsto dal decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 42 e, pertanto, risulta
scaduto. Analoghe considerazioni valgono per il termine di cui all’art.
84, comma 2, pur non essendo tale termine ancora scaduto.

P.Q.M.

Nelle suesposte considerazioni è il parere.
Per estratto dal Verbale

Il Segretario della Sezione
(Licia Grassucci)

Visto
Il Presidente della Sezione
(Livia Barberio Corsetti)


Redazione

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