Corte di Cassazione
Circolare del 17 gennaio 2006 n. 47/06/SG
Tutela della privacy e oscuramento dei dati identificativi delle sentenze
(…)
1. – Il Codice in materia di protezione dei dati personali (art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) fa espressamente salvo quanto previsto dalle disposizioni dei codici di procedura concernenti la redazione, il contenuto e la pubblicazione di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado; esso interviene soltanto a disciplinare il momento della diffusione della sentenza o del provvedimento giurisdizionale per finalità di informatica giuridica.
2. – La possibilità di rendere in forma anonima i dati personali contenuti in una sentenza si ha quindi soltanto al momento della sua riproduzione in qualsiasi forma per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica.
3. – L’art. 52 definisce i casi nei quali è garantito il diritto all’anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati.
Il sistema si articola su due livelli.
3.1. – Il primo livello affida all’intervento del giudice l’anonimizzazione delle generalità e di altri dati identificativi.
Sussistendo motivi legittimi che andranno esplicitati, l’interessato (non solo, quindi, la parte del giudizio) può chiedere, mediante istanza scritta depositata nella cancelleria o segreteria dell’autorità procedente prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sull’originale della sentenza o del provvedimento sia apposta, a cura della cancelleria o segreteria, un’annotazione volta a precludere, appunto in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.
Su tale istanza provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l’autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento.
La medesima autorità può disporre d’ufficio l’anonimizzazione a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.
Il diritto dell’interessato a chiedere che eventuali riproduzioni del provvedimento avvengano con l’esclusione delle sue generalità deve essere funzionalmente agganciato alla presenza di motivi legittimi.
3.2. – In altri casi – e siamo al secondo livello di tutela – l’anonimizzazione dei dati identificativi avviene in forza di un preventivo apprezzamento del legislatore.
Infatti il comma 5 dell’art. 52:
– da un lato fa ricognitivamente salvo quanto previsto dall’art. 734-bis del codice penale relativamente al divieto di divulgazione delle generalità delle persone offese da atti di violenza sessuale senza il consenso di costoro;
– dall’altro prevede che, in caso di diffusione di decisioni giudiziarie, occorre omettere in ogni caso, anche in mancanza della predetta annotazione, “le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone”.
4. – L’art. 52 del Codice si occupa anche delle modalità operative attraverso le quali avviene l’anonimizzazione dei dati identificativi degli interessati.
4.1. – Ove la tutela della privacy sia affidata ad un intervento, su richiesta o d’ufficio, del giudice (sono i casi dei commi 1 e 2), questi dispone che sia apposta a cura della cancelleria o segreteria, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un’annotazione volta a precludere l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi in caso di riproduzione della decisione in qualsiasi forma per finalità di informazione giuridica.
Il testo del decreto legislativo prevede anche l’espressione esatta da adottare per tale annotazione, comprensiva del riferimento esplicito agli estremi dell’art. 52 del Codice; precisa inoltre (al comma 4) che “in caso di diffusione anche da parte di terzi di sentenze o di altri provvedimenti recanti l’annotazione …, o delle relative massime giuridiche, è omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell’interessato”.
4.2. – Là dove (ed è l’ipotesi del comma 5) la tutela dei dati identificativi è ex lege, il dovere di anonimizzare i dati sensibili identificativi del soggetto, allorchè si proceda alla diffusione del provvedimento giurisdizionale (o della relativa massima), sorge “in ogni caso, anche in mancanza dell’annotazione di cui al comma 2”.
Tuttavia ciò non toglie che, ancorchè non necessaria, l’annotazione disposta dal giudice sia comunque opportuna, soprattutto quando – ed è il caso della nostra Corte di cassazione – le decisioni sono rese accessibili attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale dell’autorità giudiziaria.
In mancanza di annotazione da parte del giudice, infatti, si costringerebbe il personale che immette la decisione nella rete Internet di verificare ogni volta (risolvendo i nodi interpretativi di cui sopra) se la sentenza o il provvedimento giurisdizionale riguardi un procedimento concernente minori o, ancora, un procedimento in materia di rapporti di famiglia.
5. – L’anonimizzazione, che si attua attraverso l’apposizione dell’annotazione “In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di”, non incide sulla pubblicazione dell’originale della sentenza (o di altro provvedimento del giudice), che deve essere completo di tutti i dati identificativi delle parti. Non sembra pertanto possibile redigere il testo del provvedimento con le iniziali anzichè con le complete generalità.
6. – Il rimedio dell’anonimato opera soltanto in caso di successiva divulgazione della sentenza per finalità di informazione giuridica: non riguarda, pertanto, l’invio della sentenza all’Ufficio del registro per la registrazione.
7. – Il rilascio di copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale in favore di un soggetto diverso dalla parte del relativo procedimento e non titolare di uno specifico interesse processuale non è, già, un’attività di diffusione della decisione, e non soggiace, perciò, alla disciplina di cautela prevista dall’art. 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali. Tuttavia, nel rilasciare copia della sentenza, il cancelliere può far firmare a chi la riceve una ricevuta con l’avvertenza relativa alla presenza, nel testo della sentenza, dell’annotazione sulle cautele da osservarsi in caso di successiva divulgazione.
Il primo presidente
Nicola Marvulli