Corte Costituzionale 29 del 2006

Corte Costituzionale

Sentenza 1 febbraio 2006 numero 29

(presidente Bile, relatore Quaranta)

(…)

Appare opportuno, in via preliminare, richiamare, sia pure in sintesi,
la disciplina statale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica,
con
particolare riguardo al regime giuridico delle procedure per l’affidamento
della gestione delle reti, nonché per l’affidamento della gestione del
servizio.

La disciplina in questione è contenuta nel Titolo V del d.lgs.
n. 267 del 2000 e, in particolare, nell’art. 113 che ha subìto, nel
corso del tempo, varie modificazioni per effetto dell’art. 35 della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), dell’art. 14, comma
1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire
lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito,
con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, nonché dell’art.
4, comma 234, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

Proprio l’art. 14, comma 1, del citato decreto-legge n. 269 del
2003, secondo cui le disposizioni dell’art. 113, sulle modalità di gestione
ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, «concernono
la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline
di settore», è stato sottoposto al vaglio di costituzionalità.

E questa Corte, con la sentenza n. 272 del 2004, ha affermato che tale
disposizione si può sostanzialmente ritenere «una norma-principio della materia,
alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni
in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso
cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato
sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi
nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L’accoglimento
di questa interpretazione comporta, da un lato, che l’indicato titolo di legittimazione
statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che
disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici
locali di “rilevanza economica” e dall’altro lato che solo le predette
disposizioni non possono essere derogate da norme regionali».

La Corte ha ritenuto, altresì, che «alle stesse finalità garantistiche
della concorrenza appare ispirata anche la disciplina transitoria, che, in
modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle concessioni già assentite
in relazione all’effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e al tipo
di società affidataria del servizio».

In conclusione, pertanto, alla potestà legislativa esclusiva dello
Stato nella materia “tutela della concorrenza”, devono essere ricondotte
le disposizioni statali di principio contenute nell’art. 113 del d.lgs. n.
267 del 2000, in quanto le medesime, pur incidendo sulla materia dei servizi
pubblici locali, che appartiene alla competenza residuale delle Regioni, disciplinano
l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, di rilevanza economica,
secondo un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato.

Orbene, il richiamato art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, nel testo
risultante dalle varie modifiche subìte nel tempo, delinea una complessa
disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica che risulta caratterizzata,
in linea generale:

– dalla separazione tra la proprietà di reti, impianti ed altre
dotazioni patrimoniali, riservata all’ente locale (o trasferita da quest’ultimo
a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile),
e la gestione del servizio pubblico;

– da un tendenziale accorpamento della gestione delle reti all’erogazione
del servizio pubblico locale, prevedendosi la tipizzazione, ad opera della
normativa di settore, dei casi in cui le suddette attività possono,
invece, essere eccezionalmente disgiunte.

In detto sistema, quindi, si possono distinguere tre aspetti nella regolamentazione
dei servizi pubblici locali, che possono essere così individuati:

– proprietà di reti, impianti e dotazioni patrimoniali;

– gestione della rete;

– erogazione del servizio.

Dall’esame del contenuto del citato art. 113, in combinato disposto con altre
norme nel medesimo articolo richiamate, sono desumibili, i seguenti principi:

– la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali spetta agli enti locali (art. 113, comma 2), che possono conferirla
però – come si è precisato – a società a capitale
interamente pubblico (art. 113, comma 13);

– le discipline di settore possono stabilire i casi in cui l’attività di
gestione delle reti e degli impianti può essere separata dalla erogazione
del servizio (art. 113, comma 3); qualora sia stata prevista detta separazione,
per la gestione gli enti locali si avvalgono, con affidamento diretto, delle
società proprietarie delle reti, di società a capitale interamente
pubblico costituite allo scopo, oppure, mediante procedure di evidenza pubblica,
di imprese idonee (art. 113, commi 13 e 4);

– il conferimento della titolarità del servizio pubblico, per
l’erogazione dello stesso, è affidato (art. 113, comma 5):

a) a società di capitali individuate mediante l’espletamento di
gare ad evidenza pubblica;

b) a società di capitale misto pubblico/privato, nelle quali il
socio privato sia scelto attraverso gare ad evidenza pubblica;

c) a società a capitale interamente pubblico, a condizione che gli
enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulle società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi
la parte più importante della propria attività con l’ente o gli
enti pubblici che la controllano;

– le società che in Italia o all’estero gestiscono a qualsiasi
titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di
una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi, nonché le
società controllate o collegate alle medesime ovvero i soggetti titolari
della gestione delle reti (quando sia disgiunta dall’erogazione del servizio)
non possono partecipare alle gare ad evidenza pubblica per l’affidamento della
gestione del servizio pubblico di cui al comma 5 (art. 113, comma 6);

– il divieto da ultimo richiamato opera per entrambe le categorie
di soggetti ivi indicate soltanto a partire dal 1° gennaio 2007, a meno
che non si tratti «dell’espletamento delle prime gare aventi ad oggetto
i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa» (comma
15-quater, aggiunto all’art. 113 dall’art. 4, comma 234, della legge n. 350
del 2003)”.

(…)

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di
legittimità costituzionale di diverse disposizioni della legge della
Regione Abruzzo 5 agosto 2004, n. 23 (Norme sui servizi pubblici locali a rilevanza
economica), che disciplinano le modalità di affidamento della gestione
dei servizi pubblici locali a rilevanza economica alle società a capitale
interamente pubblico o a capitale misto pubblico/privato, nonché il
regime giuridico delle medesime.

La citata legge regionale, secondo quanto disposto dall’art. 2, regola il
servizio di gestione dei rifiuti urbani, il servizio idrico integrato, nonché i
servizi di trasporto pubblico locale, come specificati, tutti qualificati «a
rilevanza economica».

In particolare, il ricorrente impugna l’art. 4, comma 4, l’art. 7, comma 4,
lettere b), d), f) e g), nonché l’art. 7, comma 1, lettera b), della
legge regionale, prospettando la violazione dell’art. 3, dell’art. 117, primo
comma – anche in relazione agli articoli da 52 a 66 (ora artt. da 43 a 55)
del Trattato istitutivo dell’Unione europea -, secondo comma, lettere e), l)
e p), e terzo comma, della Costituzione.

2.— In via preliminare deve essere dichiarata inammissibile – ai
sensi degli artt. 25, 31 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dell’art.
23, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – la
costituzione in giudizio della Regione Abruzzo.

La procura speciale alle liti, apposta a margine dell’atto di costituzione,
infatti, è stata rilasciata dal Presidente della Giunta regionale, per
la rappresentanza e la difesa della Regione, nel giudizio di costituzionalità della
legge reg. 5 agosto 2004, n. 22 (la cui rubrica reca “Nuove disposizioni
in materia di politiche di sostegno all’economia ittica”), e non della
legge reg. 5 agosto 2004, n. 23.

Il difetto di una valida procura alle liti, rende, quindi, tamquam non esset
l’attività processuale svolta dalla difesa regionale.

3.— Le censure proposte devono essere esaminate, in primo luogo, con
riferimento alle disposizioni contenute negli artt. 4, comma 4, e 7, comma
4, lettera b), che violerebbero la competenza legislativa esclusiva dello Stato
nella materia “tutela della concorrenza”, quale desumibile dalla
disciplina dettata dall’art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nonché l’art.
3 della Costituzione, «negando l’esigenza di una disciplina transitoria
riconosciuta invece dalla legge statale».

In particolare, l’art. 4, comma 4, della legge regionale impugnata stabilisce
che le società a capitale interamente pubblico – alle quali gli
enti locali abbiano conferito la proprietà delle reti, degli impianti,
delle dotazioni patrimoniali e dei beni essenziali all’espletamento di un servizio
pubblico locale – nonché le società controllate e collegate
con le medesime, non sono ammesse a partecipare alle gare (ad evidenza pubblica)
indette per la scelta del soggetto gestore del servizio, ovvero per la scelta
del socio privato delle società a capitale misto, gare disciplinate
dall’art. 113, comma 5, del citato d.lgs. n. 267 del 2000.

L’art. 7, comma 4, lettera b), a sua volta, vieta alle società a capitale
interamente pubblico di cui al precedente comma 1, lettera c), in quanto già affidatarie
dirette della gestione (anche integrata) di un servizio pubblico locale a rilevanza
economica, di partecipare alle gare ad evidenza pubblica indette per la scelta
del soggetto cui conferire la gestione dei servizi.

4.— Il ricorrente si duole, in sostanza, che la legge regionale avrebbe
introdotto limitazioni non previste, o con una non consentita efficacia immediata,
rispetto alla disciplina statale, in ordine alla partecipazione delle società costituite
da enti pubblici, a capitale interamente pubblico, alle gare di cui innanzi,
nella ipotesi in cui le medesime:

a) siano proprietarie di reti, impianti e dotazioni patrimoniali (divieto
assoluto in ragione del richiamo all’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del
2000);

b) siano già affidatarie della gestione di servizi pubblici locali
(divieto relativo in ragione dell’art. 7, comma 1, lettera c, della medesima
legge reg. n. 23 del 2004).

Il primo divieto (art. 4, comma 4) non sarebbe previsto dalla normativa statale
dettata dal citato d.lgs., mentre il secondo (art. 7, comma 4, lettera b),
potrebbe essere ricondotto alla previsione dell’art. 113, comma 6, dello stesso
d.lgs., la quale però, in ragione del successivo comma 15-quater, opererà soltanto
a partire dal 1° gennaio 2007.

5.— Ciò precisato, appare opportuno, in via preliminare, richiamare,
sia pure in sintesi, la disciplina statale dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, con particolare riguardo al regime giuridico delle procedure per
l’affidamento della gestione delle reti, nonché per l’affidamento della
gestione del servizio.

6.— La disciplina in questione è contenuta nel Titolo V del d.lgs.
n. 267 del 2000 e, in particolare, nell’art. 113 che ha subìto, nel
corso del tempo, varie modificazioni per effetto dell’art. 35 della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), dell’art. 14, comma
1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire
lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito,
con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, nonché dell’art.
4, comma 234, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

7.— Proprio l’art. 14, comma 1, del citato decreto-legge n. 269 del
2003, secondo cui le disposizioni dell’art. 113, sulle modalità di gestione
ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, «concernono
la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline
di settore», è stato sottoposto al vaglio di costituzionalità.

E questa Corte, con la sentenza n. 272 del 2004, ha affermato che tale disposizione
si può sostanzialmente ritenere «una norma-principio della materia,
alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni
in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso
cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato
sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi
nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L’accoglimento
di questa interpretazione comporta, da un lato, che l’indicato titolo di legittimazione
statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che
disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici
locali di “rilevanza economica” e dall’altro lato che solo le predette
disposizioni non possono essere derogate da norme regionali».

La Corte ha ritenuto, altresì, che «alle stesse finalità garantistiche
della concorrenza appare ispirata anche la disciplina transitoria, che, in
modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle concessioni già assentite
in relazione all’effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e al tipo
di società affidataria del servizio».

In conclusione, pertanto, alla potestà legislativa esclusiva dello
Stato nella materia “tutela della concorrenza”, devono essere ricondotte
le disposizioni statali di principio contenute nell’art. 113 del d.lgs. n.
267 del 2000, in quanto le medesime, pur incidendo sulla materia dei servizi
pubblici locali, che appartiene alla competenza residuale delle Regioni, disciplinano
l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, di rilevanza economica,
secondo un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato.

8.— Orbene, il richiamato art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, nel testo
risultante dalle varie modifiche subìte nel tempo, delinea una complessa
disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica che risulta caratterizzata,
in linea generale:

– dalla separazione tra la proprietà di reti, impianti ed altre
dotazioni patrimoniali, riservata all’ente locale (o trasferita da quest’ultimo
a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile),
e la gestione del servizio pubblico;

– da un tendenziale accorpamento della gestione delle reti all’erogazione
del servizio pubblico locale, prevedendosi la tipizzazione, ad opera della
normativa di settore, dei casi in cui le suddette attività possono,
invece, essere eccezionalmente disgiunte.

In detto sistema, quindi, si possono distinguere tre aspetti nella regolamentazione
dei servizi pubblici locali, che possono essere così individuati:

– proprietà di reti, impianti e dotazioni patrimoniali;

– gestione della rete;

– erogazione del servizio.

Dall’esame del contenuto del citato art. 113, in combinato disposto con altre
norme nel medesimo articolo richiamate, sono desumibili, i seguenti principi:

– la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali spetta agli enti locali (art. 113, comma 2), che possono conferirla
però – come si è precisato – a società a capitale
interamente pubblico (art. 113, comma 13);

– le discipline di settore possono stabilire i casi in cui l’attività di
gestione delle reti e degli impianti può essere separata dalla erogazione
del servizio (art. 113, comma 3); qualora sia stata prevista detta separazione,
per la gestione gli enti locali si avvalgono, con affidamento diretto, delle
società proprietarie delle reti, di società a capitale interamente
pubblico costituite allo scopo, oppure, mediante procedure di evidenza pubblica,
di imprese idonee (art. 113, commi 13 e 4);

– il conferimento della titolarità del servizio pubblico, per
l’erogazione dello stesso, è affidato (art. 113, comma 5):

a) a società di capitali individuate mediante l’espletamento di gare
ad evidenza pubblica;

b) a società di capitale misto pubblico/privato, nelle quali il socio
privato sia scelto attraverso gare ad evidenza pubblica;

c) a società a capitale interamente pubblico, a condizione che gli
enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulle società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi
la parte più importante della propria attività con l’ente o gli
enti pubblici che la controllano;

– le società che in Italia o all’estero gestiscono a qualsiasi
titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di
una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi, nonché le
società controllate o collegate alle medesime ovvero i soggetti titolari
della gestione delle reti (quando sia disgiunta dall’erogazione del servizio)
non possono partecipare alle gare ad evidenza pubblica per l’affidamento della
gestione del servizio pubblico di cui al comma 5 (art. 113, comma 6);

– il divieto da ultimo richiamato opera per entrambe le categorie di
soggetti ivi indicate soltanto a partire dal 1° gennaio 2007, a meno che
non si tratti «dell’espletamento delle prime gare aventi ad oggetto i
servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa» (comma
15-quater, aggiunto all’art. 113 dall’art. 4, comma 234, della legge n. 350
del 2003).

9.— Orbene, lo scrutinio di legittimità costituzionale, in ordine
alle disposizioni della legge regionale ora oggetto di censure da parte dello
Stato, deve essere condotto alla luce del suddetto quadro normativo statale,
che – come si è sopra visto – trova la sua fonte nel parametro
costituzionale dell’art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione,
al quale ha fatto fondamentalmente riferimento, nel suo ricorso, il Presidente
del Consiglio dei ministri.

10.— Ciò chiarito, deve essere, innanzitutto, esaminata la questione
di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente con riferimento
all’art. 4, comma 4, della legge regionale impugnata.

Tale questione non è fondata.

La disposizione regionale oggetto di impugnazione esclude che le società a
capitale interamente pubblico, cui sia stata conferita dagli enti locali la
proprietà di reti, impianti e dotazioni patrimoniali, destinati all’esercizio
dei servizi pubblici, possano partecipare alle gare ad evidenza pubblica indette
per la scelta del soggetto gestore del servizio o del socio privato delle società a
capitale misto pubblico/privato.

Dalla formulazione della disposizione in esame e, in particolare, dalla specificazione
degli ulteriori compiti e poteri che le società a capitale totalitario
pubblico possono esercitare (tra i quali può essere compreso anche quello
di espletare le gare per la scelta del soggetto affidatario dell’erogazione
del servizio, ex art. 113, comma 13) si desume che il legislatore statale non
ha specificamente previsto la possibilità per le suddette società di
partecipare alle gare per l’affidamento della gestione del servizio; né,
per converso, ha escluso in modo espresso tale possibilità.

In tale situazione, versandosi pur sempre in materia riservata alla competenza
residuale delle Regioni, nel silenzio della legislazione statale al riguardo,
può ritenersi ammissibile che queste ultime, esercitando la loro discrezionalità legislativa,
integrino la disciplina dettata dallo Stato, prevedendo il divieto per le società proprietarie
delle reti di partecipare alle gare in questione. D’altronde, siffatta determinazione
si presenta anche coerente con il principio d’ordine generale, pure se derogabile,
che postula la separazione tra soggetti proprietari delle reti e soggetti erogatori
del servizio.

Si deve, pertanto, escludere che sussista il denunciato contrasto tra la disposizione
regionale impugnata (art. 4, comma 4) e le norme contenute nell’art. 113 del
d.lgs. n. 267 del 2000.

11.— Va esaminata ora la questione relativa all’art. 7, comma 4, lettera
b), della stessa legge regionale.

La questione è fondata nei termini che seguono.

La norma impugnata, nel vietare alle società a capitale interamente
pubblico, già affidatarie in via diretta della gestione di un servizio
pubblico, di partecipare alle gare ad evidenza pubblica per la scelta del soggetto
gestore del servizio, contrasta con le disposizioni contenute nell’art. 113
(segnatamente nel comma 15-quater) del d.lgs. n. 267 del 2000 e, dunque, con
il parametro costituzionale dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione.

Occorre ricordare, in proposito, che questa Corte (sentenza n. 272 del 2004)
ha ritenuto che, allo scopo di salvaguardare le esigenze della concorrenza,
operano non solo le disposizioni previste a regime sulle modalità di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, ma anche le relative
disposizioni aventi carattere soltanto transitorio.

La previsione contenuta nel comma 6 dell’art. 113, cui si riconnette l’impugnata
norma regionale, nel disporre il divieto di partecipare alle gare di cui al
precedente comma 5, tende a garantire la più ampia libertà di
concorrenza nell’ambito di rapporti – come quelli relativi al regime
delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi – di
rilevante incidenza sul mercato (cfr. la citata sentenza n. 272 del 2004).
Ma proprio una corretta attuazione del nuovo regime di divieti ha richiesto,
ragionevolmente, come disposto dal legislatore statale con il comma 15-quater
del medesimo art. 113, una disciplina transitoria per consentire un complessivo
riequilibrio e un progressivo adeguamento del “mercato”. Ciò comporta
che la mancata previsione, nella legge regionale, di un analogo regime transitorio,
che definisca le modalità temporali di efficacia del divieto in esame, è idonea
ad arrecare un vulnus all’indicato parametro costituzionale.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7,
comma 4, lettera b), della legge impugnata, per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il
divieto ivi contemplato si applica a decorrere dal 1° gennaio 2007, salvo
nei casi in cui si tratti dell’espletamento delle prime gare aventi ad oggetto
i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa.

Resta assorbito l’ulteriore profilo di illegittimità costituzionale
prospettato dal ricorrente con riguardo all’art. 3 della Costituzione.

12.— Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, altresì,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera b), della
legge in esame, che stabilisce un limite minimo (40 per cento del capitale
sociale) per la partecipazione azionaria del socio privato, da scegliere con
procedura di evidenza pubblica, della società mista cui può essere
conferita la titolarità della gestione del servizio pubblico di rilevanza
economica. Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la norma contrasta con l’art.
113, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 267 del 2000, violando sia la competenza
statale riguardo alla determinazione dei principi fondamentali per il coordinamento
della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, della Costituzione), sia la
competenza esclusiva statale nella materia “tutela della concorrenza” (art.
117, secondo comma, lettera e, della Costituzione). La disposizione in esame
lederebbe, altresì, l’art. 3 della Costituzione.

13.— La questione non è fondata.

Occorre rilevare come l’art. 113, comma 5, lettera b), nell’individuare tra
i possibili soggetti, cui conferire direttamente la gestione del servizio pubblico
locale, le società a capitale misto pubblico/privato, non stabilisca
alcun limite percentuale, né massimo né minimo, alla partecipazione
al capitale sociale da parte del socio privato, limitandosi soltanto a richiedere
che detto socio sia scelto con le procedure dell’evidenza pubblica. La mancanza
di una qualsiasi previsione statale in merito alla consistenza del capitale
privato nell’ambito della compagine sociale consente al legislatore regionale,
nell’esercizio della sua discrezionalità, di stabilire quote minimali
di partecipazione. Né può ritenersi che la specificazione operata
dalla norma impugnata possa considerarsi intrinsecamente irragionevole: la
previsione di un siffatto limite, al di là delle sue implicazioni sul
piano della concorrenza, risponde, infatti, all’esigenza di evitare che partecipazioni
minime o addirittura simboliche si possano risolvere in una elusione delle
modalità complessive di conferimento della gestione del servizio pubblico
locale.

14.— Ulteriore questione di legittimità costituzionale è stata
proposta nei confronti dell’art. 7, comma 4, lettera d), della medesima legge
regionale, che vieta alle società a capitale interamente pubblico, alle
quali sia affidato in via diretta la gestione di un servizio pubblico locale,
il conferimento di incarichi professionali, di collaborazione e di qualsiasi
altro genere in favore di persone e/o di società legate da rapporti
di dipendenza e/o di collaborazione con l’ente o gli enti titolari del capitale
sociale, in quanto tali obbligati all’esercizio del controllo di cui al precedente
comma 1, lettera c).

Deduce la difesa dello Stato che, poiché si può ricondurre alla
trasgressione del divieto la nullità dell’atto costitutivo del rapporto
vietato, si profila un’invasione della competenza nella materia “ordinamento
civile”, la quale spetta in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

La norma, inoltre, verrebbe a configurare una incompatibilità nell’esercizio
della professione, che attiene ugualmente al piano dell’ordinamento civile.
Può, inoltre, profilarsi, ad avviso del ricorrente, un contrasto con
i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi
di cui agli artt. da 52 a 66 (ora artt. da 43 a 55) del Trattato istitutivo
dell’Unione europea, con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma,
della Costituzione.

15.— La questione non è fondata.

Le censure, dedotte con riferimento alla competenza legislativa statale esclusiva
nella materia “ordinamento civile”, non possono accogliersi, in
quanto la prospettata nullità del contratto d’opera professionale è meramente
ipotetica, né è prevista dalla norma impugnata. D’altronde, le
conseguenze della stipulazione del contratto de quo, come vietato, dovranno
essere eventualmente verificate in sede di giudizio davanti alla competente
autorità giudiziaria ordinaria. Neppure può ritenersi che si
versi in una ipotesi di non consentite limitazioni all’esercizio di attività professionali,
giacché non vi è alcun divieto imposto al professionista in quanto
tale, ma alla società, sulla quale ricadono le conseguenze della violazione
del divieto.

Inammissibile deve, invece, considerarsi il profilo della censura relativo
alla dedotta violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, per
contrasto con i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione
dei servizi (ora articoli da 43 a 55, già articoli da 52 a 66, del Trattato
dell’Unione europea), in quanto trattasi di profilo sfornito di elementi minimi
argomentativi (cfr., ex multis, sentenza n. 176 del 2004 e ordinanza n. 23
del 2005).

La norma impugnata trova, in realtà, la sua esclusiva giustificazione
nella esigenza di evitare che si determinino situazioni di conflitto di interessi
tra controllori e controllati e di garantire, fin dove possibile, trasparenza
nei rapporti tra società incaricate della gestione dei servizi in questione
ed enti pubblici titolari del capitale sociale.

16.— Con la successiva censura il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale
dell’art. 7, comma 4, lettera f), della legge regionale in esame, in quanto
la stessa, nel prevedere che le società a capitale interamente pubblico,
affidatarie del servizio pubblico, sono obbligate al rispetto delle procedure
di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale
dipendente, pone a carico di società private obblighi e oneri non previsti
per l’instaurazione dei rapporti di lavoro nel settore privato ed invade quindi
la competenza esclusiva statale nella materia “ordinamento civile” (art.
117, secondo comma, lettera l, della Costituzione).

17.— La questione non è fondata.

La disposizione in esame non è volta a porre limitazioni alla capacità di
agire delle persone giuridiche private, bensì a dare applicazione al
principio di cui all’art. 97 della Costituzione rispetto ad una società che,
per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata,
può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici.

D’altronde, questa Corte, sulla base della distinzione tra privatizzazione
formale e privatizzazione sostanziale, e dunque con riferimento al suindicato
principio, ha riconosciuto la legittimità della sottoposizione al controllo
della Corte dei conti degli enti pubblici trasformati in società per
azioni a capitale totalmente pubblico (sentenza n. 466 del 1993).

18.— Infine, con il ricorso viene impugnato l’art. 7, comma 4, lettera
g), della legge regionale, che, nel prevedere l’ineleggibilità a sindaco,
presidente della Provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale
dei Comuni e delle Province titolari del capitale sociale delle società affidatarie
della gestione del servizio pubblico, per i legali rappresentanti ed i componenti
degli organi esecutivi delle società medesime, invaderebbe la competenza
esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione,
in materia di organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province
e Città metropolitane.

19.— La questione è fondata.

L’impugnata norma regionale, disciplinando un caso di ineleggibilità a
cariche elettive in enti locali territoriali, invade la competenza legislativa
esclusiva dello Stato nella materia “organi di governo” di Comuni,
Province e Città metropolitane, prevista dall’art. 117, secondo comma,
lettera p), della Costituzione. Né rileva che, in parte, la disposizione
impugnata coincide con quanto previsto dalla legislazione statale negli artt.
60, 61 e 63 del d.lgs. n. 267 del 2000, dal momento che, vertendosi in materia
riservata in modo esclusivo allo Stato, la Regione non è legittimata
ad adottare nella materia stessa alcuna disciplina, ancorché in parte
coincidente con quella statale.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7,
comma 4, lettera g), della legge della Regione Abruzzo n. 23 del 2004.

P.Q.M.

dichiara inammissibile la costituzione in giudizio della Regione Abruzzo;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, lettera
b), della legge della Regione Abruzzo 5 agosto 2004, n. 23 (Norme sui servizi
pubblici locali a rilevanza economica), nella parte in cui non prevede che
il divieto ivi previsto si applica a decorrere dal 1° gennaio 2007, salvo
nei casi in cui si tratti dell’espletamento delle prime gare aventi ad oggetto
i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, lettera
g), della medesima legge regionale;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
4, comma 4, della medesima legge regionale, proposta dal Presidente del Consiglio
dei ministri, in relazione agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
7, comma 1, lettera b), della medesima legge regionale, proposta dal Presidente
del Consiglio dei ministri, in relazione agli artt. 3 e 117, secondo comma,
lettera e), e terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
7, comma 4, lettera d), proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri,
in riferimento all’art. 117, primo comma – anche in relazione agli articoli
da 52 a 66 (ora artt. da 43 a 55) del Trattato dell’Unione europea -, e secondo
comma, lettera l), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
7, comma 4, lettera f), della medesima legge regionale, proposta dal Presidente
del Consiglio dei ministri, in relazione all’ art. 117, secondo comma, lettera
l), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Redazione

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