Il Consiglio di Stato spiega la sanzione contro TI (115 milioni di euro)

Il Consiglio di Stato ha depositato la sentenza definitiva nel giudizio proposto
da Telecom Italia contro l’Antitrust, avverso la sanzione pecuniaria di 152
milioni di euro, irrogata per abuso di posizione dominante.

Come si ricorderà. il Tar Lazio, in primo grado, aveva accolto le
ragioni di Telecom e, respingendo le difese presentate dagli altri operatori
di telecomunicazione (Fastweb, Wind, Albacom, Tiscali), dalle associazioni
di categoria (AIIP e Assoproviders) e dalle associazioni di consumatori (Cittadini
Europei), aveva ritenuto di annullare la sanzione.

I Giudici d’appello hanno invece deciso di confermare sostanzialmente la
sanzione “miliardaria” a carico di Telecom, riducendo l’importo da 152 milioni
di euro a 115 milioni, sempre di euro.

Il Consiglio di Stato afferma, tra l’altro, che:

“Per posizione dominante di un’impresa su un dato
mercato, s’intende la possibilità da un lato di tenere comportamenti
indipendenti, svincolati da quelli degli altri operatori concorrenti, senza
con ciò subire
pregiudizi, e dall’altro di ostacolare una concorrenza effettiva.

I parametri in base ai quali va espresso il giudizio di non replicabilità da
parte dei concorrenti dell’offerta fatta agli utenti finali da parte
dell’operatore dominante nel settore delle telecomunicazioni
(Telecom
Italia), contenuti nella delibera 152/2002 dell’AGCom, sono stati scelti
nell’ambito di una pluralità di parametri economici, con una
valutazione di carattere opinabile, che rientra nella scelta amministrativa
discrezionale, sicché essi, purché non siano viziati da travisamento
o illogicità, non possono essere sostituiti con diversi parametri
proposti dalla parte.

Le clausole di scontistica fidelizzante, di esclusiva, di penalizzazione
in caso di mancato raggiungimento di determinate soglie di consumo, di adeguamento
a migliori condizioni fatte da altri operatori, se offerte da un imprenditore
in posizione dominante sul mercato, con il preciso obiettivo di conservazione
e recupero di quote di mercato, sono abusive in quanto volte ad ostacolare
l’ingresso di concorrenti sul mercato (abuso di impedimento), anche
ove, in ipotesi, non siano svantaggiose per i clienti.

Correttamente l’abuso di posizione dominante viene
considerato <<molto grave>> avuto riguardo alla <> che
grava sull’operatore dominante, alla sistematicità e reiterazione
delle condotte abusive, alla consapevole sottrazione al controllo dell’Autorità di
regolamentazione, al comprovato intento anticoncorrenziale perseguito nei confronti
dei concorrenti, al raggiungimento dello scopo, alla recidiva e alla cessazione
delle condotte solo a seguito di una pluralità di procedimenti sanzionatori”.
(1)

In definitiva, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto legittima la
sanzione
irrogata
dall’Antitrust
a
Telecom
Italia:

“… a) nelle parti in cui individua il mercato rilevante e la posizione
dominante di TI;

b) nella parte in cui ritiene che TI abbia abusato della sua posizione dominante
nei contratti <> con la GCA, mediante clausole
contrattuali escludenti;

c) nella parte in cui ritiene abusive le clausole contrattuali inserite nelle
offerte standard all’utenza business privata;

d) nella parte in cui ritiene che sia in relazione ai contratti con la GCA
privata, sia in relazione all’offerta Consip, sia le condizioni tecniche
che le condizioni economiche delle offerte di TI non sono replicabili da parte
degli OLO;

e) nella parte in cui ritiene che le clausole escludenti e le offerte non
replicabili costituiscono due distinti abusi di posizione dominante;

f) nella parte in cui, al fine della quantificazione della sanzione, ritiene
molto gravi le condotte abusive, applica la recidiva e ritiene gli impegni
futuri proconcorrenziali assunti da TI non rilevanti come circostanza attenuante
…”.

Di seguito, il testo integrale della sentenza.

– – – –

Consiglio di Stato, sezione VI

Sentenza 10 marzo 2006 n.
1271/2006

(presidente Schinaia, estensore De Nictolis)

sui ricorsi in appello:

1) n. 5622/2005 proposto dall’Autorità Garante della concorrenza
e del mercato, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia,
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Piero d’Amelio, Andrea Guarino, Bernardino Libonati,
Claudio Tesauro, Alberto Toffoletto, ed elettivamente domiciliata presso lo
studio dell’avv. D’Amelio, in Roma, via della Vite, n. 7,

appellata e appellante incidentale in via autonoma (appello incidentale notificato,
oltre che all’appellante principale e alle parti evocate con l’appello
principale, anche all’Autorità garante per le comunicazioni);

e nei confronti delle seguenti parti cointeressate all’accoglimento
dell’appello principale

Wind Telecomunicazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Santa Maria, Gian Michele Roberti,
Claudio Biscaretti di Ruffia, Beniamino Caravita di Toritto, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via di Porta Pinciana,
n. 6, anche appellante incidentale in adesione all’appello principale
(appello incidentale notificato, oltre che all’appellante principale
e alle parti evocate con l’appello principale, anche all’Autorità garante
per le comunicazioni);

Fastweb s.p.a. (già e.Biscom s.p.a.), in persona del legale rappresentante
in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Libertini e Renzo Ristuccia,
ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,
via E. Quirino Visconti, n. 20, anche appellante incidentale in adesione all’appello
principale;

Albacom s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Rino Caiazzo e Giovanni Pesce, ed elettivamente domiciliata
presso il loro studio, in Roma, via XX Settembre n. 1;

Colt Telecom s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Rino Caiazzo e Giovanni Pesce, ed elettivamente domiciliata
presso il loro studio, in Roma, via XX Settembre n. 1;

Tiscali s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Rino Caiazzo e Giovanni Pesce, ed elettivamente domiciliata
presso il loro studio, in Roma, via XX Settembre n. 1;

Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Paolo Stella Richter e Gustavo Olivieri, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del primo in Roma, viale G. Mazzini, n. 11;

Associazione Assoproviders Indipendenti – Assoprovider, in persona del
legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato
Carlo Sarzana di S. Ippolito, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio,
in Roma, via Cesare Beccaria, n. 16;

Associazione Italiana Internet Providers, in persona del legale rappresentante
in carica, non costituita in appello;

Associazione Nazionale cittadini europei, in persona del legale rappresentante
in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmelo Giurdanella e Guido
Scorza ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo,
in Roma, via Di Monte Giordano, n. 36;

nonché, a seguito di integrazione del contraddittorio, nei confronti

dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona
del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso i cui uffici per legge domicilia, in Roma, via
dei Portoghesi, n. 12;

e con l’intervento in appello

dell’Associazione dei consumatori per una società dell’informazione
aperta, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa
dagli avvocati Carmelo Giurdanella e Guido Scorza ed elettivamente domiciliata
presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Di Monte Giordano, n.
36;

2) n. 7206/2005 proposto da Albacom s.p.a., Colt Telecom s.p.a., Tiscali s.p.a.,
in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentate e
difese dagli avvocati Rino Caiazzo e Giovanni Pesce, ed elettivamente domiciliate
presso il loro studio, in Roma, via XX Settembre n. 1;

contro

Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, non
costituita;

e nei confronti delle seguenti parti cointeressate all’accoglimento
dell’appello principale

Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Paolo Stella Richter e Gustavo Olivieri, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del primo in Roma, viale G. Mazzini, n. 11;

Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale
rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale
dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, via dei Portoghesi, n.
12;

Fastweb s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita;

Wind s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita;

Associazione Assoproviders Indipendenti – Assoprovider, in persona del
legale rappresentante in carica, non costituita;

nonché nei confronti di

Autorità garante per le comunicazioni, in persona del legale rappresentante
in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,
presso i cui uffici per legge domicilia, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Commissione UE, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita;

con l’intervento ad adiuvandum

a sostegno di entrambi gli appelli principali, del CODACONS, in persona del
legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato
Carlo Rienzi, ed elettivamente domiciliato presso l’ufficio legale nazionale
del Codacons, in Roma, viale Mazzini, n. 73;

entrambi per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio – Roma, sez. I, 11 maggio 2005,
n. 3655, resa tra le parti.

Visti i due appelli con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Albacom s.p.a., Colt Telecom
s.p.a., Tiscali s.p.a., Associazione Assoproviders Indipendenti – Assoprovider
nell’appello n. 5622/2005;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Consip s.p.a. sia nell’appello
5622/2005 che nell’appello 7206/2005;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’AGCM nell’appello
n. 7206/2005;

visto l’appello incidentale autonomo di Telecom Italia s.p.a. nel giudizio
n. 5622/2005;

visti gli appelli incidentali in adesione all’appello principale n.
5622/2005 proposti da Wind s.p.a., Fastweb s.p.a.;

vista l’ordinanza della Sezione 7 dicembre 2005, n. 6992 e gli atti
depositati in esecuzione della stessa, e, in particolare, gli atti di integrazione
del contraddittorio;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visto l’atto di intervento ad adiuvandum del Codacons, depositato in
data 9 febbraio 2006;

visto l’atto di costituzione in entrambi gli appelli dell’Autorità garante
delle comunicazioni, in data 10 febbraio 2006;

visti tutti gli atti della causa;

relatore alla pubblica udienza del 10 febbraio 2006 il consigliere Rosanna
De Nictolis e uditi:

– l’avvocato dello Stato Danilo del Gaizo per l’Autorità garante
della concorrenza e del mercato e per l’Autorità garante delle
comunicazioni;

– gli avvocati Caiazzo e Pesce per le società appellanti principali
Albacom, Colt Telecom e Tiscali;

– gli avvocati Caravita di Toritto, Roberti e Santa Maria per la società appellante
incidentale Wind;

– gli avvocati Libertini e Ristuccia per la società appellante incidentale
Fastweb;

– gli avvocati Olivieri e Stella Richter per l’interveniente Consip;

– gli avvocati Giurdanella e Scorza per l’interveniente Associazione
nazionale cittadini europei;

– gli avvocati Libonati, Tesauro, Guarino, D’Amelio e Toffoletto per
l’appellante incidentale Telecom Italia;

ritenuto e considerato quanto segue
.

FATTO E DIRITTO

1. Gli abusi contestati dall’Autorità e il contenuto della sentenza
di primo grado.

1.1. Con il ricorso di primo grado Telecom Italia s.p.a., (d’ora innanzi
TI) ha impugnato il provvedimento 16 novembre 2004, notificato il successivo
giorno 19, emesso a conclusione del procedimento A351, con il quale l’Autorità garante
della concorrenza e del mercato (d’ora innanzi AGCM) ha accertato, in
relazione al periodo 2001 – 2002 – 2003:

a) che le condotte poste in essere da TI nei mercati rilevanti dei servizi
finali all’utenza aziendale, consistenti nell’applicare condizioni
contrattuali contenenti clausole di esclusiva, penalizzazioni per il mancato
raggiungimento degli obiettivi di spesa e clausole equivalenti quanto agli
effetti a clausole inglesi, costituiscono violazioni molto gravi dell’art.
3, lett. b), l. 10 ottobre 1990, n. 287;

b) che le condotte poste in essere da TI nella formulazione alla clientela
aziendale di condizioni economiche e tecniche non replicabili dai concorrenti,
configurabili come pratiche discriminatorie sui mercati rilevanti dei servizi
intermedi, consistenti nell’applicare ai propri concorrenti condizioni
economiche e tecniche peggiorative rispetto a quelle praticate alle proprie
divisioni commerciali, costituiscono violazioni molto gravi dell’art.
3, lett. b) e lett. c), l. n. 287/1990;

e ha disposto:

c) che TI ponga immediatamente termine ai comportamenti distorsivi della concorrenza
di cui alle precedenti lettere a) e b), dando comunicazione all’Autorità delle
misure adottate per la cessazione delle infrazioni entro 90 giorni dalla notificazione
del provvedimento;

d) che, in ragione della gravità dei comportamenti tenuti, per le infrazioni
di cui alla lettera a), a TI è applicata una sanzione amministrativa
pecuniaria nella misura di 76 milioni di euro;

e) che, in ragione della gravità dei comportamenti tenuti, per le infrazioni
di cui alla lettera b), a TI è applicata una sanzione amministrativa
pecuniaria nella misura di 76 milioni di euro.

Sempre con il ricorso di primo grado TI ha chiesto anche l’annullamento
di tutti gli atti collegati e connessi, presupposti e conseguenti ed in particolare,
per quanto di ragione, del parere espresso dall’Autorità garante
per le comunicazioni (d’ora innanzi AGCom) sulla proposta di provvedimento
finale dell’AGCM (parere 12 novembre 2004, n. U2832/04) nonché,
sempre per quanto di ragione, della deliberazione n. 152/02/CONS dell’AGCom.

1.2. Con la sentenza in epigrafe il ricorso è stato accolto in parte.

In sintesi, il T.a.r. ha ritenuto:

– illegittime le affermazioni del provvedimento impugnato circa l’obbligo
di TI di presentare solo offerte disaggregate, e circa l’impossibilità per
TI di stipulare contratti personalizzati con singoli clienti (pagg. 55 – 61
della sentenza);

– illegittima, sotto il profilo della insufficiente istruttoria, la ricostruzione
operata dall’AGCM in relazione al primo dei due abusi contestati, relativo
alle clausole escludenti nei contratti con la grande clientela affari (GCA),
essendo mancata una corretta contestualizzazione della nozione di <> alle circostanze fattuali (pagg. 78 – 84
della sentenza);

– illegittima, sotto il profilo del difetto di motivazione e della insufficiente
istruttoria, la tesi dell’AGCM circa il carattere escludente delle clausole
contrattuali inserite nei contratti standard con l’utenza affari privata
diversa dalla GCA, trattandosi di clausole approvate dall’AGCom; sul
punto, l’AGCM si sarebbe immotivatamente discostata dal parere dell’AGCom
(pag. 85 della sentenza);

– parzialmente illegittima la ricostruzione operata dall’AGCM in relazione
al secondo dei due abusi contestati (l’offerta non replicabile), in particolare
in relazione ai criteri impiegati dall’Autorità medesima per ritenere
non replicabile l’offerta economica di TI nei contratti con la grande
clientela affari privata, diversi dai contratti in cui l’offerta economica
coincideva con quella Consip (pagg. 86 – 92 della sentenza); mentre,
ad avviso del T.a.r., sarebbe legittima la ricostruzione dell’Autorità in
relazione al carattere non replicabile dell’offerta economica di TI quanto
alla gara Consip, e al carattere non replicabile delle offerte alla GCA laddove
contenevano le stesse condizioni economiche dell’offerta Consip;

– illegittima la ricostruzione operata dall’Autorità in relazione
alla configurazione di due abusi distinti anziché di un unico abuso
(pag. 97 della sentenza);

– illegittima la misura complessiva della sanzione di 152 milioni di euro,
sia sotto il profilo dell’unicità dell’abuso, sia sotto
il profilo del difetto di motivazione in ordine alla gravità dell’abuso
(pag. 96 della sentenza) sia sotto il profilo della mancata considerazione
degli impegni proconcorrenziali assunti da Telecom per il futuro (pagg. 93 – 95,
e pag. 97 della sentenza).

1.3. Contro tale sentenza hanno proposto due distinti appelli principali
l’AGCM, da un lato, e le società Albacom, Colt Telecom e Tiscali,
dall’altro lato.

Nell’appello principale proposto dall’AGCM hanno spiegato due
distinti appelli incidentali, in adesione all’appello principale, le
società Wind e Fastweb.

Sempre in relazione all’appello principale proposto dall’AGCM,
TI ha proposto appello incidentale autonomo, in relazione ai capi della sentenza
di primo grado ad essa sfavorevoli.

1.4. La Sezione, con ordinanza 7 dicembre 2005, n. 6992, ha:

– disposto la riunione dei due appelli principali;

– ordinato la notifica dell’appello principale dell’AGCM e dell’appello
incidentale di Fastweb nei confronti dell’AGCom;

– ordinato alle parti il deposito dei provvedimenti impugnati in prime cure
e di tutti i pertinenti documenti istruttori;

– ordinato alla segreteria della Sezione, di acquisire presso il T.a.r. del
Lazio tutti i documenti non ancora trasmessi.

Il T.a.r. del Lazio ha trasmesso voluminosa documentazione in date 10 dicembre
2005, 16 dicembre 2005, 1 febbraio 2006.

L’AGCM ha depositato l’atto di integrazione del contraddittorio
e documenti in data 21 gennaio 2006.

Fastweb ha depositato l’atto di integrazione del contraddittorio e
documenti in date 11 gennaio 2006 e 2 febbraio 2006.

Wind ha depositato documenti in data 16 gennaio 2006.

In data 9 febbraio 2006 ha proposto intervento ad adiuvandum degli appelli
principali il Codacons.

In data 10 febbraio 2006 si è costituita in udienza l’Autorità garante
delle comunicazioni, tramite l’Avvocatura dello Stato, dichiarando a
verbale di aderire in toto all’appello principale dell’Autorità garante
della concorrenza e del mercato.

Eseguiti i disposti adempimenti istruttori, la causa è passata in
decisione all’udienza odierna.

2. L’articolazione interna degli abusi contestati a TI.

Al fine di una migliore comprensione dei fatti di causa, il Collegio ritiene
di dover schematizzare come segue gli abusi contestati dall’AGCM a TI.

Sono stati contestati due abusi, entrambi pluristrutturati.

L’abuso sub a) del provvedimento dell’AGCM si articola in due
segmenti:

– le clausole escludenti contenute nei contratti personalizzati con la GCA
(grande clientela affari);

– le clausole escludenti contenute nei contratti standard con la restante
utenza business privata.

L’abuso sub b) del provvedimento dell’AGCM si articola in quattro
segmenti:

– le condizioni economiche non replicabili nei contratti con la GCA;

– le condizioni tecniche non replicabili nei contratti con la GCA;

– le condizioni economiche non replicabili nella gara Consip;

– le condizioni tecniche non replicabili nella gara Consip.

TI costituisce l’operatore dominante nel settore delle comunicazioni
telefoniche (incumbent).

I concorrenti di TI costituiscono gli OLO (other licensed operators).

I servizi di interconnessione costituiscono servizi all’ingrosso (wholesale)
che TI fornisce agli OLO e alle proprie divisioni commerciali.

I servizi al dettaglio (retail) sono i servizi che gli OLO e TI offrono agli
utenti finali.

L’OIR (offerta di interconnessione di riferimento) è il prezzo
che gli OLO pagano a TI per l’acquisto dei servizi di interconnessione.

La GCA (grande clientela affari) è l’utenza business privata
(o utenza non residenziale) di grandi dimensioni.

3. L’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’AGCM
e degli appelli degli OLO, sollevata da TI; l’eccezione di inammissibilità del
ricorso di TI sollevata dal Codacons.

3.1. Va anzitutto esaminata l’eccezione di rito sollevata da TI con
la memoria depositata per l’udienza del 22 novembre 2005, articolata
nelle pagg. da 1 a 58, e nelle pagg. da 95 a 98 (in particolare pag. 97, par.
8.5.) della memoria medesima.

In relazione a tutti gli appelli (principali e incidentali, ovviamente diversi
dall’appello di TI), TI ritiene che gli stessi sarebbero inammissibili
perché non avrebbero censurato tutte le statuizioni della sentenza di
primo grado su cui c’è soccombenza.

3.2. In sintesi, non sarebbero state impugnate le seguenti statuizioni della
sentenza, su cui, ad avviso di TI, le altre parti sarebbero soccombenti:

– statuizioni sulla definizione del mercato rilevante e della posizione dominante;

– statuizioni sulla <> delle norme rispetto
ai fatti;

– statuizioni sugli elementi di fatto specifici da cui si desumerebbe che
TI non ha commesso abuso di posizione dominante nei contratti con la GCA;

– statuizioni sul difetto di istruttoria e motivazione del provvedimento dell’AGCM
laddove afferma la non replicabilità delle offerte di TI alla GCA;

– statuizioni sulla unicità dell’abuso di TI;

– statuizioni sulla gravità dell’abuso di TI.

3.3. Le censure di inammissibilità sono infondate.

3.3.1. E’ principio consolidato che l’appello deve criticare
tutti i capi di sentenza su cui l’appellante è soccombente, pena:

– il passaggio in giudicato dei capi di sentenza non impugnati;

– e, talora, l’inammissibilità dell’intero appello, ove
i capi di sentenza non impugnati siano il presupposto logico necessario di
quelli impugnati, sicché l’impugnazione parziale non gioverebbe
alle ragioni del ricorrente (Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 1999, n. 930; Cons.
Stato, sez. VI, 13 settembre 1996, n. 1204; Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno
1998, n. 991).

Essendo l’inammissibilità dell’appello per incompletezza
dell’impugnazione una gravissima sanzione, la stessa va applicata con
estremo rigore, utilizzando come criterio orientatore quello della soccombenza
effettiva e dell’effettivo interesse a rimuoverla. Solo dove la soccombenza
emerga con chiarezza e dove con altrettanta chiarezza emerga la mancata impugnazione,
si può giungere ad affermare l’inammissibilità dell’appello.

3.3.2. Al fine di individuare la soccombenza, occorre distinguere i capi,
i punti e i passaggi della sentenza.

I capi sono le parti della sentenza relative a ciascun motivo di ricorso
(o talora a un gruppo di motivi): nella parte conclusiva del capo la sentenza
indica (o dovrebbe indicare) con chiarezza e in via di sintesi se il motivo è accolto
o respinto, in tutto o in parte.

I punti sono le articolazioni interne del capo, in cui si affrontano i singoli
profili del motivo di ricorso e che possono dare luogo a specifica soccombenza.

I passaggi sono argomenti, di fatto, di diritto o di pura logica, non essenziali
nell’economia complessiva del capo di sentenza.

Premessa tale distinzione tra capi, punti e passaggi della sentenza, si deve
affermare che l’appello deve investire tutti i capi che si pronunciano
su specifici motivi e investire altresì i singoli punti se da un attento
esame si possa desumere che in relazione ad essi c’è una specifica
soccombenza.

L’appello non è invece tenuto a investire i passaggi della sentenza
che:

– costituiscano affermazioni che, senza accogliere o respingere un motivo
specifico di ricorso, richiamano o preannunciano (esplicitamente o implicitamente)
altri capi di sentenza che affrontino specificamente un dato motivo di ricorso;

– costituiscano affermazioni in diritto fatte per completezza, ma che non
sono specificamente applicate al caso deciso;

– costituiscano affermazioni avulse dagli specifici motivi di ricorso affrontati
nel capo di sentenza.

In conclusione, la sinteticità del gravame non va confusa con la mancanza
o incompletezza del medesimo.

Non è indispensabile che l’appello si spinga ad una analiticità tale
da censurare singole affermazioni della sentenza, vale a dire singoli punti
o passaggi, essendo ammissibile un appello che confuti sinteticamente il nucleo
essenziale dei capi o punti di sentenza su cui c’è soccombenza
effettiva. Pertanto, è ammissibile un appello che non censuri punti
e passaggi della sentenza gravata su cui non c’è soccombenza effettiva
e dunque manchi l’interesse all’impugnazione.

3.3.3. Nel caso specifico, l’eccezione di inammissibilità si
incentra non su capi di sentenza, ma su punti e passaggi in relazione ai quali
ad avviso del Collegio non vi è una specifica soccombenza degli appellanti
principali e incidentali.

3.3.4. In particolare, le affermazioni della sentenza sulla definizione del
mercato rilevante e sulla posizione di dominanza di TI, non possono essere
interpretate nel senso preteso da TI, e cioè nel senso che la GCA costituirebbe
un mercato rilevante a sé, sul quale TI non è in posizione dominante.
Al contrario, la sentenza, pur ritenendo che l’AGCM avrebbe meglio dovuto
considerare le peculiarità della domanda della GCA, non si è spinta
ad affermare che questa desse luogo ad un mercato a sé, né ad
escludere che TI fosse in posizione di dominanza, ma ha solo escluso che TI
avesse abusato della sua posizione dominante.

Dirimente è la considerazione che la sentenza, nell’ambito del
capo in cui esamina specificamente il motivo di ricorso con cui si lamentava
l’errata definizione del mercato rilevante, afferma che, nonostante le
peculiarità della domanda della GCA rispetto alla più ampia domanda
dell’utenza business, <> (pag.
46), e conclude espressamente nel senso del rigetto del motivo di ricorso: <> (pag. 48).

Avendo il T.a.r. respinto il motivo del ricorso di TI sulla definizione del
mercato rilevante, sul punto non c’è nessuna soccombenza reale
e specifica delle controparti di TI.

3.3.5. Quanto, poi, al motivo con cui in prime cure TI aveva lamentato l’errata
attribuzione a TI medesima di una posizione dominante, il T.a.r. del pari lo
respinge in toto: <> (pag. 48).

In relazione sia alla definizione del mercato rilevante che della posizione
dominante, il T.a.r., nel medesimo capo in cui accoglie le censure di TI in
relazione al preteso abuso mediante clausole contrattuali escludenti, ribadisce
che la particolare configurazione della negoziazione tra TI e la GCA <> (pag.
53): in altre parole, secondo il T.a.r. manca l’<> di
posizione dominante, ma resta tuttavia ferma la correttezza della ricostruzione
operata dall’AGCM sia del mercato rilevante che della posizione dominante.

Pertanto, non c’è alcuna soccombenza degli appellanti principali
e incidentali sul punto, e dunque non occorreva una specifica impugnazione.

Solo per completezza il Collegio osserva che, comunque, l’appello dell’AGCM
non ha mancato di sottolineare la contraddittorietà della sentenza laddove
prima ritiene legittima la definizione del mercato rilevante e della posizione
dominante di TI e poi afferma che le peculiarità della GCA imporrebbero
una separata considerazione di tale segmento del mercato dell’utenza
business (pagg. 24 – 25).

3.3.6. Quanto alla asserita mancata impugnazione dei punti della sentenza
in cui si afferma che l’AGCM è tenuta a contestualizzare le norme,
si tratta di punti su cui non c’è soccombenza.

Invero il T.a.r. non ha fatto altro che richiamare la giurisprudenza amministrativa
circa l’iter attraverso cui si snoda il sindacato dell’AGCM (pag.
39). Ma tale iter è stato seguito dall’AGCM, e non vi è contrasto
tra le parti circa la necessità di seguire tale iter, sicché non
vi è soccombenza specifica.

La soccombenza sussiste solo in relazione al capo di sentenza in cui il T.a.r.,
nell’accogliere il ricorso di TI relativamente al primo dei due abusi
contestati (le clausole contrattuali escludenti nei contratti con l’utenza
business privata) afferma che <<è mancata una corretta contestualizzazione della nozione indeterminata di “abuso di posizione dominante” alle circostanze fattuali>> (pag. 84).

Ma su tale capo di sentenza vi è specifica impugnazione dell’AGCM
(e delle altre controparti di TI), nel mentre va ribadito che l’AGCM
non era tenuta ad impugnare le affermazioni di puro diritto contenute a pag.
39 della sentenza.

3.3.7. Quanto agli elementi specifici da cui il T.a.r. desume che TI non
avrebbe abusato della sua posizione dominante in relazione ai contratti con
la GCA, il T.A.R. sul punto recepisce gli argomenti del ricorso di primo grado
di TI.

Secondo il T.a.r. gli elementi specifici che farebbero escludere l’abuso
di TI sarebbero:

– le grandi dimensioni delle imprese ascrivibili alla GCA;

– l’imponente volume d’affari;

– la richiesta di servizi integrati;

– l’utilizzo di consulenti specializzati per la predisposizione delle
condizioni contrattuali;

– le procedure complesse per la selezione dell’operatore di telecomunicazioni;

– il rilevante potere negoziale della GCA (pagg. 51 – 52 – 53
e pagg. da 77 a 84 della sentenza).

La lettura dell’appello principale dell’AGCM evidenzia come tutti
questi punti della sentenza sono stati ampiamente criticati (da pag. 16 a pag.
32).

Si confuta anzitutto, in generale, che la peculiarità dei rapporti
con la GCA incida sull’abuso (pagg. 16 – 17, pag. 24).

Si confuta, poi, in dettaglio, la rilevanza, ai fini di escludere l’abuso
di TI:

– delle grandi dimensioni delle imprese e del volume di affari dei singoli
contratti;

– della richiesta di servizi integrati, che si assume spesso smentita in fatto
dalla contraria risultanza istruttoria della diffusione delle domande multifornitore
(pagg. 18 – 19);

– del rilevante potere negoziale della GCA (pagg. 20, 23, 24, 25, 26, 29);

– delle peculiarità degli strumenti negoziali, quali: predisposizione
del contenuto contrattuale da parte della GCA (pag. 17, 25, 27); procedure
complesse per la selezione del fornitore (pag. 27 e 28) e utilizzo di consulenti
specializzati, spesso con formule di partenariato (pagg. 27 e 28).

3.3.8. Quanto alla asserita incompleta impugnazione del capo di sentenza
che ritiene viziato da difetto di istruttoria e motivazione il provvedimento
dell’AGCM laddove considera non replicabili le offerte di TI alla GCA,
in sintesi TI sostiene che l’appello dell’AGCM:

– da un lato avrebbe attribuito alla sentenza affermazioni che la sentenza
non ha fatto;

– dall’altro lato non avrebbe specificamente contestato le affermazioni
della sentenza secondo cui il test di replicabilità andava condotto
tenendo conto degli effettivi costi di interconnessione che sopporta un OLO
efficiente, non necessariamente coincidenti con l’OIR, tutte le volte
in cui in concreto risulti che l’OLO dispone di una propria infrastruttura
di rete e dunque non ha necessità di connettersi alla rete di TI.

Sul primo punto, il Collegio ritiene che non ci sia alcuna inammissibilità di
un appello che attribuisce ad una sentenza affermazioni che questa non ha fatto,
semmai si tratta di questione di non pertinenza e dunque di infondatezza dell’appello
medesimo.

Sul secondo punto, il Collegio osserva che l’appello di TI in relazione
alla questione dei parametri del test di replicabilità muove da un aspetto
pregiudiziale che, ove fondato, travolgerebbe l’intero ragionamento del
T.a.r., e di qui la non necessità di confutazione specifica degli argomenti
della sentenza.

Infatti secondo l’appellante AGCM, il provvedimento dell’AGCM
avrebbe affermato che le offerte di TI alla GCA si collocano non già al
di sotto dell’OIR, bensì addirittura al di sotto dei costi regolatori
(che sono inferiori all’OIR).

Se così fosse, le offerte di TI non supererebbero il primo dei due
tests di prezzo indicati nell’allegato E della delibera n. 152/2002 dell’AGCom
(cioè il test di profittabilità per TI), e dunque sarebbero offerte
sottocosto, non profittabili per la stessa TI, e come tali precluse dalla citata
delibera n. 152/2002.

Secondo il ragionamento dell’appellante AGCM, se risulta dimostrato
che le offerte di TI alla GCA non superano il test di profittabilità,
non sarebbe necessario accertare che le stesse non superano il test di replicabilità.

E’ perfettamente logico che, con siffatta impostazione, l’appellante
AGCM non ha necessità di attaccare il capo di sentenza relativo ai parametri
del test di replicabilità, perché si ritiene, a monte, non necessario
tale test.

Non vi è dunque alcun profilo di inammissibilità dell’appello
dell’AGCM, ma vi è solo questione circa la fondatezza o infondatezza
del motivo.

3.3.9. Quanto alla asserita mancata impugnazione dei punti della decisione
del T.a.r. in cui si afferma che l’abuso è unico, si deve osservare
che nella sentenza del T.a.r. la questione della unicità o duplicità dell’abuso
viene espressamente affrontata solo nella parte dedicata alla sanzione, ed
in questa parte il T.a.r. afferma, a pag. 97, che l’abuso era unico.

In altri punti della sentenza, laddove si parla di strategia unitaria delle
condotte di TI, non si affronta specificamente la questione dell’unicità o
dualità di abusi.

In realtà, molti dei passaggi della sentenza richiamati da TI, si
limitano a parlare di <> nel riportare il contenuto
del provvedimento impugnato (v. pag. 28) ovvero il contenuto dei motivi di
ricorso: non vi è dunque alcuna presa di posizione del T.a.r. sulla
unicità o pluralità di abuso, ma solo l’esposizione in
fatto del contenuto del provvedimento e dei motivi di ricorso.

E’ perciò di tutta evidenza che in relazione a tali passaggi
della sentenza non vi è alcuna soccombenza, e che la soccombenza sussiste
solo in relazione al capo di cui a pag. 97. Tale capo è specificamente
impugnato dall’appello principale dell’AGCM (pagg. 47 – 48,
par. 5.4.).

3.3.10. Quanto alla asserita mancata impugnazione del punto di sentenza in
cui si esclude la gravità dell’illecito perché non vi sarebbe
una esclusiva responsabilità di TI, attesa la collaborazione della GCA
alla predisposizione delle clausole contrattuali ritenute abusive, si tratta
di un punto che è strettamente correlato al capo di sentenza in cui
il T.a.r. esclude che TI abbia abusato della sua posizione dominante in relazione
ai contratti con la GCA.

Tale capo di sentenza assume un ruolo di principalità e di presupposto
necessario rispetto alla valutazione di gravità dell’abuso. Pertanto,
laddove gli appelli contestano il capo principale e presupposto, sostenendo
che TI è responsabile delle clausole contrattuali nei contratti con
la GCA, ciò è sufficiente per contestare anche la consequenziale
affermazione della sentenza: infatti, ove cadesse il capo principale e presupposto,
cadrebbe in via automatica e consequenziale anche il punto sulla non gravità dell’illecito.

3.3.11. Si deve infine osservare che il superamento, da parte dell’appello
principale dell’AGCM, di tutte le eccezioni di inammissibilità sollevate
da TI, esonera il Collegio dall’esame delle analoghe eccezioni sollevate
in relazione agli appelli degli OLO. Infatti, anche ove taluno di tali appelli
dovesse essere dichiarato inammissibile, in tutto o in parte, non ne risulterebbe
modificata la materia del contendere in appello, attesa la completezza e ammissibilità dell’appello
principale, che impedisce il passaggio in giudicato di singoli capi o punti
della sentenza di primo grado (asseritamente) favorevoli a TI.

In definitiva, una volta ritenuto pienamente ammissibile l’appello
principale dell’AGCM, viene meno l’interesse di TI alla declaratoria
di inammissibilità degli altri appelli.

Solo per completezza il Collegio osserva che la eventuale inammissibilità degli
appelli degli OLO in relazione a specifici capi di sentenza, non comporterebbe
comunque la inammissibilità integrale di detti appelli.

E’ infatti evidente che, data la pluralità di condotte abusive
contestate a TI, le parti del provvedimento dell’AGCM sono scindibili,
e scindibili sono i capi della sentenza del T.a.r.

Sicché, anche se in ipotesi gli appelli fossero inammissibili in relazione
a singoli capi scindibili (v. p. es. l’appello di Wind che non impugna
il capo di sentenza che ha ritenuto illegittimo il provvedimento laddove considera
abusive le clausole contrattuali delle offerte standard autorizzate dall’AGCom),
permarrebbe l’interesse in relazione ai restanti capi di sentenza.

3.3.12. E’ infine infondata l’eccezione di inammissibilità del
ricorso di TI, sollevata dal Codacons nell’atto di intervento depositato
il giorno prima dell’udienza.

Tale eccezione può essere esaminata, perché le controparti
hanno implicitamente accettato il contraddittorio, non avendo chiesto termini
a difesa, nonostante il deposito dell’atto di intervento solo un giorno
prima dell’udienza odierna.

Osserva il Codacons che il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere notificato
ad essa associazione.

L’eccezione è infondata.

I singoli consumatori e le loro associazioni non sono parti necessarie nel
procedimento che si svolge davanti all’AGCM (sicché non hanno
titolo a ricevere avviso di avvio del procedimento, salvo il loro intervento
spontaneo), e conseguentemente non sono parti necessarie nel successivo giudizio
avverso il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità antitrust
(Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 1996, n. 1792).

Nel caso specifico, poi, il Codacons non è neppure intervenuto nel
procedimento amministrativo davanti all’AGCM, sicché non costituiva
controinteressato individuato o agevolmente individuabile, e pertanto ad esso
non andava notificato il ricorso di TI.

4. Ordine di esame delle questioni in appello.

Passando all’esame del merito, il Collegio osserva che, formando la
sentenza oggetto sia di appelli principali (dell’AGCM e di Albacom +
2), che di appello incidentale autonomo (di TI), rivivono tutti i motivi del
ricorso di primo grado.

E’ pertanto opportuno esaminare detti motivi, e, in relazione agli
stessi, le statuizioni della sentenza gravata e i motivi degli appelli principali
e incidentali.

Devono invece ritenersi inammissibili le prospettazioni contenute nelle memorie
depositate in appello, laddove rivolte a introdurre nuovi temi di indagine
non dedotti nel ricorso di primo grado e negli atti di appello.

I motivi del ricorso di primo grado saranno esaminati secondo il seguente
ordine:

– profili di ordine generale, in rito e in merito, che, se accolti, comporterebbero
l’annullamento integrale del provvedimento;

– profili di ordine specifico, relativi a singoli capi del provvedimento;
l’esame di questi ultimi profili sarà preceduto dalla delimitazione
della materia del contendere.

A profili di ordine generale in rito attengono il primo e il quattordicesimo
motivo del ricorso di primo grado, rispettivamente:

– l’omessa partecipazione al procedimento davanti all’AGCM delle
imprese costituenti la GCA;

– l’asserita incompetenza dell’AGCM.

A profili di ordine generale in merito attengono il secondo, il tredicesimo,
il terzo, il quarto (esclusa l’ultima parte), il quinto motivo del ricorso
di primo grado, rispettivamente:

– la disciplina applicabile attesa la successione di leggi nel tempo (2° e
13°);

– la delimitazione del mercato rilevante (3°);

– la posizione dominante (4° e 5°).

A profili relativi a singoli capi del provvedimento impugnato attengono il
6°, 7°, 8°, 9°, 10°, 11°, 12°, 15° motivo del
ricorso di primo grado, rispettivamente:

– l’asserita replicabilità delle condizioni economiche delle
offerte (6°, 8°, 10°);

– la possibilità di presentare offerte unitarie e non disaggregate
(7°);

– la possibilità di presentare offerte personalizzate (9°);

– le clausole escludenti nei contratti con l’utenza business privata
(11°);

– gli impegni proconcorrenziali di TI (12°);

– le sanzioni (15°).

5. La questione della partecipazione della GCA al procedimento davanti
all’AGCM.

5.1. Con il primo motivo del ricorso di primo grado, riproposto con il primo
motivo dell’appello incidentale di TI, si era dedotta la violazione degli
artt. 14, l. n. 287/1990, 6 e 7, d.P.R. n. 217/1998, 7 e 9, l. 7 agosto 1990,
n. 241, sotto il profilo che al procedimento davanti all’AGCM avrebbero
dovuto partecipare anche le quarantaquattro imprese clienti di TI, i cui contratti
prevedevano, secondo la contestazione dell’AGCM, prezzi inferiori ai
costi regolatori, sconti al raggiungimento di particolari soglie di traffico,
e l’obbligo di TI di adeguamento alla migliore offerta (clausola assimilabile
alla c.d. clausola inglese).

Secondo la tesi di TI, riproposta in appello, le clausole previste nei contratti
con tali imprese, costituenti la GCA, sarebbero per esse vantaggiose, sicché il
provvedimento inibitorio dell’AGCM comporterebbe per le imprese un pregiudizio.

Ne conseguirebbe che illegittimamente non sarebbe stata consentita la partecipazione
di tali imprese al procedimento, mediante invio ad esse di avviso di avvio
ai sensi dell’art. 7, l. n. 241/1990.

5.2. Il T.a.r. ha disatteso la censura osservando che:

– l’avviso di avvio del procedimento andrebbe dato solo ai soggetti
diretti destinatari dei provvedimenti sanzionatori dell’AGCM, e non anche
ai clienti dei soggetti sanzionati;

– non sarebbe pertinente il richiamo dell’art. 7, l. n. 241/1990, in
quanto la disciplina generale sul procedimento amministrativo sarebbe derogata
dalla disciplina speciale dettata per il procedimento davanti all’AGCM;

– sarebbero manifestamente infondate le censure di legittimità costituzionale
dell’art. 14, l. n. 287/1990, apparendo ragionevole che l’apertura
dell’istruttoria da parte dell’AGCM sia notificata solo ai soggetti
destinatari dei provvedimenti sanzionatori.

5.3. L’appellante incidentale TI critica tale capo di sentenza, osservando
che:

– i clienti appartenenti alla GCA, che si avvantaggerebbero dei contratti
censurati dall’AGCM, erano in concreto individuati;

– ai sensi dell’art. 7, l. n. 241/1990, l’avviso di avvio del
procedimento andrebbe dato non solo alle parti necessarie, ma anche a coloro
che dal provvedimento finale subiscono effetti pregiudizievoli, specifici e
diretti;

– l’art. 14, l. n. 287/1990 non sarebbe esaustivo del novero dei soggetti
che partecipano al procedimento davanti all’AGCM, dovendo essere completato
con l’applicazione dell’art. 7, l. n. 241/1990.

5.4. La censura è infondata.

La partecipazione al procedimento spetta, ex art. 7, l. n. 241/1990:

– ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato
a produrre effetti diretti;

– ai soggetti diversi dai diretti destinatari del provvedimento finale, nei
cui confronti quest’ultimo può produrre un pregiudizio (i. c.d.
controinteressati).

Si deve trattare in ogni caso di soggetti su cui il provvedimento incide
in via diretta e non semplicemente in via riflessa e derivata.

Da un lato, gli utenti ascrivibili alla GCA, non sono i destinatari diretti
delle misure sanzionatorie dell’Autorità, che si rivolgono esclusivamente
nei confronti di TI, e dunque non sono parti necessarie del procedimento.

Dall’altro lato non risulta dimostrato, contrariamente a quanto sostiene
TI, che la GCA subirebbe un pregiudizio specifico, in conseguenza

Redazione

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