Il Consiglio di Stato ha esitato favorevolmente il Codice dei
Contratti Pubblici approvato in via preliminare dal Governo, suggerendo nel
contempo una serie di correttivi:
1) Per i contratti sopra soglia, la scelta del legislatore statale di non
utilizzare gli spazi di discrezionalità lasciati dalle direttive offre alle
Regioni un residuo margine di intervento, con la precisazione che “tale
margine non può essere utilizzato per introdurre
misure di attenuazione della concorrenza – come avverrebbe, ad esempio,
ampliando le ipotesi di trattativa privata”.
2) Non è possibile
l’esercizio decentrato di potestà normative con riferimento agli ambiti
appartenenti al cd. “nucleo essenziale del Codice”, vale a dire la
qualificazione e selezione dei concorrenti, i criteri di aggiudicazione,
il subappalto e la vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una autorità indipendente.
3) Quanto ai contratti al di sotto della soglia comunitaria, è pacifica l’applicabilità alle
Regioni dei principi desumibili dalla normativa nazionale di recepimento
della disciplina comunitaria, là dove: impongono la gara,
fissano l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo,
limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione
dell’obbligo sanzioni civili e forme di responsabilità.
4) I profili relativi alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti
attengono alla materia contrattuale del diritto civile e all’autonomia privata,
e dunque alla materia “ordinamento civile”, oggetto di legislazione
esclusiva statale; anche se nell’ambito dell’esecuzione
dei contratti possono venire in rilievo profili di organizzazione amministrativa
e di contabilità, per i quali lo Stato non ha legislazione esclusiva, se
non per le amministrazioni statali.
5) Occorre introdurre nel Codice la clausola di cedevolezza, indicando
altresì
le parti del Codice “cedevoli” e
di quelle che invece vincolano l’esercizio della potestà normativa regionale,
perché attinenti
ad ambiti di legislazione esclusiva dello Stato o perché costituenti principi
fondamentali in materia di legislazione concorrente.
6) La potestà regolamentare può essere esercitata dallo Stato
per dare esecuzione ed attuazione all’intero Codice con riferimento ai pubblici
lavori, servizi e forniture “statali”, mentre con riferimento a quelli di interesse
regionale essa può essere esercitata limitatamente a quei profili ricadenti
nell’ambito
della legislazione esclusiva dello Stato.
L’elencazione degli aspetti da disciplinare tramite regolamento,
contenuta nello schema di Codice, può invece indurre
a
ritenere
che
il
legislatore
delegato abbia voluto rimettere alla potestà regolamentare dello Stato i profili
ivi individuati, per i quali non risulta invece possibile incidere con regolamento
sulle competenze regionali.
L’applicabilità del regolamento deve dunque essere limitata, con
riferimento alle Regioni, ai casi di carenza della preesistente normativa
regionale o perché mai approvata o perché abrogata per effetto del suo contrasto
con i principi fondamentali recati dalla legge n. 109 del 1994 senza successivo
adeguamento della normativa regionale.
7) Ad avviso della Sezione, si pongono fuori del perimetro della delega,
– per quanto riguarda la disciplina dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, l’art. 6, comma 7, lett. m), in materia di composizione delle controversie;
– in materia di affidamento di servizi e lavori “in house”, l’art. 1, comma
2, e l’art. 32, comma 3;
– in materia di giurisdizione, l’art. 244 ed i primi due commi dell’art. 245;
l’art. 111 (Garanzie che devono prestare i progettisti) dove si pongono obblighi
nuovi
a carico dei professionisti che incidono sulle stesse modalità di esercizio
dell’attività professionale; l’art. 118-bis (Attività che non costituiscono
subappalto), nella parte in cui estende ad ipotesi non previste norme di prevenzione
della criminalità mafiosa
che sono comunque di stretta interpretazione; gli artt. 122 (Disciplina specifica
per i contratti di lavori pubblici sotto soglia), 123 (Procedura ristretta
semplificata per gli appalti di lavori), 124 (Appalti
di servizi e forniture sotto soglia), 125 (Lavori, servizi e forniture in economia),
144 (Procedura di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni
di lavoro pubblici): articoli questi che recano numerose disposizioni fuori
delega, connesse in particolare alla tecnica dell’aumento degli importi.
8) Non trova alcuna giustificazione ed appare, anzi, in contrasto con
il principio generale di semplificazione la previsione che meccanicamente
reintroduce,
a livello di fonte legislativa (e non di regolamento), la pubblicazione degli
avvisi e dei bandi sui quotidiani. In via generale sarebbe comunque necessario
attuare, in questa sede, la previsione di cui all’art. 24 della legge n. 340 del 2000, disponendo l’abolizione
della pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta Ufficiale e la loro pubblicazione
su
un unico sito informatico, che dovrebbe essere individuato dallo stesso Codice.
9) Meriterebbe di trovare soluzione la problematica della possibilità dell’eventuale
riconvocazione della commissione, nella stessa od in diversa composizione,
dopo l’annullamento
del provvedimento di aggiudicazione, tematica che ben
potrebbe disciplinarsi in modo puntuale di fronte ad una delega di tale ampiezza,
al fine di dare certezza all’attività di rinnovazione delle valutazioni o,
comunque, all’esecuzione dei giudicati d’annullamento.
10) Nei concorsi di progettazione, si suggerisce di ricalcare più puntualmente
il testo della direttiva, che impone l’anonimato solo fino all’adozione dell’eventuale
parere sui punti che vanno chiariti. Diversamente, se la commissione deve
rispettare l’anonimato “fino alla conclusione
dei lavori” non potrebbe poi instaurare il previsto dialogo con i concorrenti.
11) E’ previsto che con i regolamenti
vengano disciplinate le
garanzie dovute dai progettisti negli appalti di servizi e forniture. La norma
pone obblighi nuovi a carico dei professionisti incidendo sulle modalità di
esplicazione dell’attività, pertanto -pur opportuna- appare di dubbia
compatibilità con
i limiti della delega.
12) Il riordino normativo
dovrebbe meglio specificare gli oneri a carico
delle
parti, in caso di cessione dei crediti derivanti dal contratto, in ordine alla
forma della comunicazione.
13) L’individuazione dei requisiti di idoneità morale, capacità tecnico-professionale
ed economico-finanziaria degli operatori economici negli appalti di servizi
e forniture sotto soglia non andrebbero affidati
al regolamento, ma disciplinati con norma primaria.
14) Sui tempi di entrata in vigore del Codice, in presenza di
direttive obbligatorie il cui termine per il recepimento è già scaduto il
31 gennaio
2006, dovrà applicarsi
solo l’ordinaria
vacatio legis, senza alcun differimento ulteriore.
– – – –
Consiglio di Stato
Sezione consultiva per gli atti normativi
Adunanza del 6 febbraio 2006
N. Sezione 355/06
OGGETTO:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Schema di decreto legislativo
recante il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”,
ai sensi dell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
La Sezione,
Visto lo schema di decreto legislativo recante il “Codice dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture”, ai sensi dell’art. 25 della legge
18 aprile 2005, n. 62, trasmesso con nota della Presidenza del Consiglio dei
Ministri prot. n. 355/06 del 17 gennaio 2006,
pervenuta il 27 gennaio 2006, sul quale si richiede il parere del Consiglio
di Stato;
Esaminati gli atti e uditi i relatori ed estensori, Presidenti Coraggio, Giovannini,
Trotta, Cossu, Barberio Corsetti e Consiglieri Piacentini, Torsello, Millemaggi
Cogliani, Carbone, de Cesare, Fera, D’Agostino, Marchitiello, Pozzi,
Anastasi, Marra, Salemi, Leoni, Meschino, Saltelli, Chieppa, Montedoro, De
Ioanna, Roxas, Corradino, Nocilla, De Felice;
PREMESSO e CONSIDERATO:
Parte prima – Considerazioni generali
1. Lo schema di decreto legislativo in esame sottopone al parere del Consiglio
di Stato il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”,
in attuazione della delega contenuta nell’art. 25 della legge 18 aprile
2005, n. 62 (legge comunitaria 2004).
La norma, al comma 1, delega il Governo a recepire nel nostro ordinamento le
direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE, entrambe del 31 marzo 2004, recanti
rispettivamente il coordinamento delle “procedure di appalto degli enti
erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto
e servizi postali” (i cd. “ex settori esclusi”) e il “coordinamento
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture
e di servizi”.
1.1. Le modalità di adozione del decreto legislativo (o
dei decreti legislativi) di cui all’art. 25 sono quelle generali fissate dall’art.
1 della stessa legge comunitaria per tutti i decreti di recepimento, in analogia
con quanto avvenuto per le leggi comunitarie degli anni precedenti.
Esso prevede, in particolare:
– un termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge n.
62 del 2005 per l’adozione dei decreti legislativi (comma 1 dell’art.
1);
– l’applicazione dell’art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400,
su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le
politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente
per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia,
dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione
all’oggetto della direttiva (comma 2);
– i pareri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con un
termine di quaranta giorni, prorogabile di novanta giorni in casi specifici
(comma 3);
– l’obbligo, per gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione
di alcune direttive comunitarie (tra cui le nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE recepite
dal presente schema), di essere corredati della relazione tecnica di cui all’art.
11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, su cui si esprimono anche
le Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo
può non conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza
di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmettendo
alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione,
per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari
(comma 4);
– la possibilità per il Governo di emanare, entro diciotto mesi dalla
data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni
integrative e correttive, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi
fissati dalla legge delega, nonché con la medesima procedura (comma
5);
– l’applicazione dell’art. 117, quinto comma, della Costituzione,
in conseguenza del quale “i decreti legislativi devono recare l’esplicita
indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi
contenute” (comma 6).
1.2. Venendo alla specifica delega contenuta
nell’art. 25, già la definizione del suo oggetto presenta
rilevanti peculiarità.
Il comma 1, infatti, prevede che il Governo possa adottare uno o più decreti
legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento” delle
predette direttive.
La formula è ben più ampia di quella prevista, in via generale,
dalla stessa legge comunitaria, che parla di adozione di “decreti legislativi
recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli
elenchi di cui agli allegati A e B”, formula questa, del comma 1 dell’art.
1, riprodotta in tutte le specifiche norme di delega della legge in esame,
con la sola variazione lessicale che, talvolta, l’espressione “per
dare attuazione” viene sostituita dall’espressione “per il
recepimento”.
Va aggiunto che la più ampia portata della delega dell’art. 25 è ulteriormente
sottolineata dal riferimento (contenuto nella lett. a del comma 1), ad un “unico
testo”, terminologia che pur nella sua atecnicità (ci si tornerà in
seguito) chiarisce che non ci si intende limitare ad una mera raccolta di norme
preesistenti, sia pure coordinate con le direttive: è l’intero
settore degli appalti – ma soltanto questo – che deve trovare in questa sede
la sua disciplina unitaria e coordinata.
Tale peculiarità, rispetto all’ordinario recepimento di direttive
comunitarie, ha comportato la necessità di formulare quattro principi
e criteri direttivi dettati, per il solo recepimento delle direttive sugli
appalti, dallo stesso comma 1 dell’art. 25, criteri che se da una parte
condizionano l’intervento del legislatore delegato, dall’altro
ne definiscono la portata innovativa.
La specialità della delega dell’art. 25 appare ancor più marcata
ove la si confronti con le altre. Difatti, l’art. 5 della stessa legge
n. 62 del 2005, che prevede “il riordino normativo nelle materie interessate
dalle direttive comunitarie”, delega il Governo ad adottare, con le stesse
modalità di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 1 ed entro lo stesso
termine di diciotto mesi, “testi unici delle disposizioni dettate in
attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie,
al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse
materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione
e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa”.
Risulta evidente, al confronto, la portata sostanziale della delega dell’art.
25 rispetto al mero coordinamento formale delle altre fattispecie.
1.3. Ferme le potenzialità innovative della delega, le linee direttrici
dell’intervento, e quindi i suoi limiti, vanno evidentemente individuati
nei criteri dettati dalla norma.
Il primo deriva direttamente dalla necessità di adeguare l’ordinamento
italiano ad una consistente riforma dell’ordinamento comunitario (lett.
a). La direttiva n. 2004/18, in particolare, si sostituisce a tre precedenti
direttive, che distinguevano i settori dei lavori, dei servizi e delle forniture,
e costruisce un procedimento unitario di appalto in luogo dei tre diversi procedimenti
precedenti.
Il criterio va letto unitamente all’oggetto stesso della delega (“quadro
normativo finalizzato al recepimento delle direttive …”) e in tal modo
emerge come criterio cardine. Se il legislatore precedente, infatti, utilizzando
i margini di discrezionalità lasciati dalla disciplina comunitaria,
aveva compiuto alcune scelte (si pensi alle soluzioni della legge n. 109 del
1994 sull’appalto integrato e sul criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa), alla stregua di valori e problemi diversi da quello
della concorrenza, il legislatore delegante si concentra sul recepimento delle
nuove direttive.
Fino a che punto ne risulti condizionato l’impianto della riforma si
vedrà meglio in seguito, analizzando i vincoli insiti nelle direttive;
non sembra dubbio comunque che ne risulta giustificata la possibilità di
introdurre modifiche sostanziali all’assetto previgente.
I margini di discrezionalità nell’innovazione della disciplina
previgente risultano peraltro ridotti dalla necessità di adeguare l’ordinamento
nazionale, anche per profili non direttamente disciplinati dalle direttive
nn. 17 e 18, alla generale evoluzione dell’ordinamento comunitario sulla
materia, come “integrato” dalla giurisprudenza, spesso pretoria,
della Corte di Giustizia. In tal senso, ad avviso di questa Sezione, il principio
contenuto nella lett. d) dell’art. 25, comma 1, sulla necessità di
adeguarsi alla sentenza C-247/02, assume un valore non tassativo, ma anzi espansivo,
poiché indicativo della necessità di tenere presente l’intero
tessuto ordinamentale comunitario in cui si sono inscritte le due direttive
de quibus. E in primo luogo di rispettare gli ambiti di discrezionalità delle
stazioni appaltanti (in particolare, ma non soltanto, in materia di criteri
di scelta) quale garanzia di una concorrenza selettiva fondata sulla qualità dell’offerta
(amplius, paragrafo 2).
Un’ulteriore conferma interpretativa di quanto esposto deriva dall’obbligo
del “rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell’Unione
europea” di cui alla lett. a) della norma di delega. Tale rispetto va
inteso non soltanto in senso limitativo degli interventi da evitare, poiché in
contrasto con i principi del Trattato, ma anche in senso impositivo degli interventi
da introdurre per la “definizione di un quadro normativo finalizzato
al recepimento delle direttive” che sia coerente con i principi medesimi,
come interpretati (e talvolta “costruiti”) dalla giurisprudenza
della Corte di Lussemburgo.
1.4. Il criterio di cui alla lett. b) risponde ad un’esigenza tipica
dell’ordinamento nazionale.
Esso attiene alla generale esigenza di “semplificazione” delle
procedure amministrative nazionali.
In ordine a tale profilo è opportuno un approfondimento che ne definisca
anzitutto il significato e quindi la portata. Si osserva al riguardo che se
pure la norma delegante non è contenuta in una delle recenti “leggi
annuali di semplificazione” (la legge n. 229 del 2003 – legge di
semplificazione 2001 – e la legge n. 246 del 2005 – legge di semplificazione
per il 2005) essa si inserisce, anche per gli espressi richiami letterali,
nel processo di cui tali leggi costituiscono la più recente evoluzione.
La legge n. 229 del 2003, in particolare, ha segnato l’avvio di una nuova
fase in materia di semplificazione e riordino (ora denominato “riassetto”)
normativo dopo quella dei cd. “testi unici misti” di cui all’ormai
abrogato art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (soppresso dall’art.
23, comma 3, della legge n. 229 del 2003).
Con il parere n. 2/04 del 25 ottobre 2004 (sul “Codice della proprietà industriale”),
al quale si rinvia per gli ampi approfondimenti sulla questione, l’Adunanza
Generale del Consiglio di Stato ha operato una ricognizione sul significato
attuale del concetto di “semplificazione”, su cui fanno perno tutti
gli interventi succedutisi da oltre dieci anni (quelli di riordino, codificazione
o riassetto; quelli delle “leggi annuali” di recente emanate e
anche quello qui in esame). In quella sede si è rilevato come si tratti
di un concetto che è andato evolvendosi notevolmente negli anni, secondo
un processo che risulta identificabile dalla prassi internazionale, dall’uso
legislativo corrente e dalle esigenze segnalate, anche di recente, da parte
delle associazioni rappresentative delle categorie produttive e dei consumatori.
Nell’esperienza internazionale l’approccio al tema della qualità della
normazione è determinato, nella sua genesi, dalle esigenze di un mercato
in evoluzione, in cui le contrapposte spinte alla deregolazione, per favorire
l’ingresso degli operatori economici, e alla “iperregolamentazione”,
con funzioni di disciplina della concorrenza e di protezione di interessi di
natura diversa (ambiente, salute, sicurezza), hanno trovato il loro momento
di composizione nella ricerca della “giusta dose” di regolazione
e della buona qualità della normazione.
L’evoluzione è coerente con l’analogo processo in sede comunitaria,
che di recente ha ricevuto una forte accelerazione da parte delle istituzioni
europee (la tematica in quella sede è nota come better regulation: cfr.,
in particolare, l’importante comunicazione della Commissione europea
al Consiglio e al Parlamento europeo COM(2005) 97 del 16 marzo 2005, dal titolo “Better
Regulation for Growth and Jobs in the European Union” e le conclusioni
del Consiglio europeo del dicembre 2005, che nonostante la natura squisitamente
politica del documento dedicano al tema un significativo spazio).
A tale accezione si è, progressivamente, avvicinata anche l’esperienza
italiana, evolvendo da un concetto più risalente di “semplificazione” limitato
al mero snellimento di singoli procedimenti amministrativi e dell’organizzazione
degli uffici pubblici.
Tuttavia, con riferimento più specifico alla finalità di semplificazione
in esame, occorre delimitare l’ambito di innovazione sull’ordinamento
vigente che essa autorizza, tenendo presente che si tratta non di un generale
ed ampio indirizzo di politica legislativa bensì di un criterio di delega
che, in mancanza di più specifiche indicazioni, esige una lettura, se
non riduttiva, certo più tradizionale (anche di questo limite si riscontreranno
gli effetti nel prosieguo).
Quanto all’ambito oggettivo del criterio, occorre individuare il significato
della dizione – per la verità non chiarissima – “procedure
di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie”.
Essa può avere due significati alternativi, a seconda che:
– si intenda la locuzione “procedure di affidamento” in senso più restrittivo,
come riferita alle (sole) procedure nel loro complesso; da ciò conseguirebbe
l’applicabilità della lett. b) della delega (con il connesso potere
di semplificazione) alle (sole) procedure cd. sotto soglia, poiché esse
sole non sono coperte dalla disciplina comunitaria. Questa è l’interpretazione
seguita dalla relazione ministeriale (che però non pone espressamente
la questione e quindi non offre alcun conforto motivazionale);
– si intenda la suddetta locuzione in senso più ampio e generale, esteso
alle “parti di procedure” oltre che alle procedure nel loro complesso
e, quindi, in generale, alle “disposizioni sull’affidamento” non
derivanti direttamente dalla disciplina comunitaria. In questa accezione, la
lett. b) sarebbe applicabile, ad esempio, anche alle norme di legge nazionale
introdotte in aggiunta alla disciplina comunitaria per gli affidamenti sopra
soglia, che in tale ottica sono senz’altro “disposizioni sull’affidamento” “non
direttamente applicative” del regime comunitario.
La Sezione ritiene questa seconda interpretazione:
– più plausibile alla stregua del dettato legislativo, che altrimenti
avrebbe operato un riferimento espresso alle procedure sotto soglia;
– più rispondente allo spirito della delega, che altrimenti risulterebbe
contraddittoriamente limitativa, nei criteri, rispetto alla “definizione
del quadro normativo” di cui al suo oggetto, in cui tale “quadro” riguarda,
evidentemente, soprattutto il regime sopra soglia;
– più coerente con la stessa ratio della riforma comunitaria e dell’evoluzione
dei principi del Trattato, tutti volti alla semplificazione degli affidamenti
sopra soglia;
– più rispettosa dei continui sforzi delle Istituzioni europee di contenere,
per quanto possibile, le addizioni introdotte dagli Stati Membri in sede di
recepimento delle direttive (il fenomeno del cd. goldplating), che ritardano
ed ostacolano il processo di armonizzazione normativa imposto dal Trattato
e che rischiano di introdurre, di fatto, ostacoli alla effettività del
mercato unico.
1.5. Della generale politica di qualità “sostanziale” della
normazione costituisce parte integrante, come si è visto, quella di
riduzione e riordino delle stesse da un punto di vista giuridico/formale.
Il
che conduce al profilo della “codificazione” della materia degli
appalti, termine ripreso di recente, dopo anni (e per la prima volta anche
nel titolo), dalla legge n. 229 del 2003 e ulteriormente sviluppato dalla legge
n. 246 del 2005.
L’intervento in oggetto, anche se si pone al di fuori del processo di
codificazione (o di riassetto) avviato da queste leggi, reca infatti la denominazione
di “Codice dei contratti pubblici …” e come tale va sistematicamente
analizzato.
Il citato parere dell’Adunanza generale n. 2/04 ha rilevato che, se il
modello illuministico della codificazione è sicuramente scomparso, l’esigenza
di raccogliere organicamente le norme di settore si fa sempre più pressante:
tale esigenza ha consentito, negli ultimi anni, un ritorno del concetto di
codificazione, anche se ovviamente sotto forme diverse. Come questo Consiglio
di Stato ha già avuto modo di approfondire, cambia, infatti, l’idea
di codificazione: essa si accompagna al raggiungimento di equilibri provvisori,
orientati a raccogliere le numerose leggi speciali di settore (spesso anche
di origine comunitaria, come nel caso di specie), in modo da conferire alla
raccolta una portata sistematica, orientandola ad idee regolative capaci di
garantire l’unità e la coerenza complessiva della disciplina.
A questa codificazione “di nuova generazione” appartiene il Codice
degli appalti in esame, la cui qualificazione in tal senso, pur in mancanza
di una previsione testuale in sede di delega, appare coerente con le finalità complessive
della delega stessa.
Lo strumento giuridico adoperato per tutti gli interventi di questo processo – ivi
compreso quello in esame – è il decreto legislativo, ma utilizzato
soprattutto per le potenzialità di riforma sostanziale della disciplina
primaria. Se infatti l’obiettivo comune sia ai precedenti testi unici
misti di riordino che agli attuali decreti legislativi di “codificazione” è certamente
quello della “riorganizzazione” delle fonti di regolazione e una
drastica riduzione del loro numero, la differenza tra testi unici e codici
consiste, oltre che nell’abbandono del livello regolamentare, nella portata
legislativa innovativa dei secondi. Non si tratta, quindi, di codici à droit
constant come nell’ordinamento francese (che pure con questo sistema,
più celere poiché evita di affrontare difficili riforme sostanziali,
ha già codificato oltre il 50% delle fonti del proprio ordinamento),
ma di veri e propri codici che disciplinano ex novo la materia.
In conclusione, la Sezione è dell’avviso che nel caso di specie – nonostante
qualche possibile incertezza letterale e sulla dizione, del tutto atecnica,
di “unico testo”, di cui alla lett. a) dell’art. 25, comma
1 della delega – si sia in presenza non di un “testo unico”,
sia pure innovativo, ma di un decreto legislativo che codifichi la materia,
recando gli interventi di riforma resi necessari dai criteri sostanziali di
delega di cui all’art. 25, e in primo luogo il recepimento delle direttive
comunitarie.
2. Sulla base delle considerazioni svolte al punto precedente
va affrontato il tema delle relazioni con la normativa preesistente.
Come è infatti noto, il testo originario della legge quadro sui lavori
pubblici n. 109 del 1994 aveva ritenuto di dettare discipline parzialmente
differenti da quella comunitaria, prevedendo la rigida separazione tra attività di
progettazione ed attività di esecuzione dei lavori, la limitazione del
ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
della trattativa privata e della introduzione delle varianti, l’abolizione
dell’istituto della revisione dei prezzi ed altre ancora, che costituivano
i punti maggiormente qualificanti di quella riforma.
E’ altrettanto noto che riguardo a tali previsioni si pose il problema
della loro conformità alla direttiva allora vigente (n. 89/440/CEE poi
trasfusa nella direttiva n. 37/1993/CEE), ma la Corte costituzionale, con sentenza
7 novembre 1995, n. 482, ritenne infondate le questioni di costituzionalità sollevate
dalle Regioni in relazione alle procedure di scelta del contraente ed ai criteri
di aggiudicazione previsti dalla legge n. 109 del 1994, rilevando come le disposizioni
della legge, aventi ad oggetto metodi di selezione del contraente anche più rigorosi
rispetto alle direttive comunitarie, fossero costituzionalmente legittime,
anche in relazione al riparto di competenze normative fra Stato e Regioni,
perché dirette ad assicurare in modo ancor più esteso la concorrenza.
Successivamente i principi in questione hanno subìto taluni temperamenti,
ma l’impianto generale è rimasto sostanzialmente invariato.
Orbene, non vi è dubbio che il “Codice” comporti una significativa
evoluzione rispetto al passato. Ma il vincolo derivante dal recepimento delle
direttive europee, combinato con quello degli arresti della Corte di Giustizia,
riduce in misura consistente la possibilità per il legislatore delegato
di seguire la strada a suo tempo percorsa dalla legge n. 109 del 1994, in particolare,
a proposito dei casi più significativi di scostamento rispetto alla
disciplina previgente: l’appalto integrato e l’offerta economicamente
più vantaggiosa.
Giova ricordare, a proposito del primo, il nono considerando della direttiva
medesima, il quale evidenzia l’opportunità che siano le stesse
amministrazioni aggiudicatrici a “…prevedere sia l’aggiudicazione
separata che l’aggiudicazione congiunta di appalti per l’esecuzione
e la progettazione dei lavori…”, demandando al livello legislativo
la sola fissazione dei criteri qualitativi ed economici sui quali le relative
decisioni debbono basarsi.
A sua volta la sentenza della Corte di giustizia 7 ottobre 2004, in causa “Sintesi
s.p.a.” – la cui particolare incidenza ai presenti fini interpretativi
deriva dall’essere espressamente indicata tra i criteri di delega ex
art. 25, comma 1, lett. d) della legge n. 62 del 2005 – delinea, sia
pure sinteticamente, un modello di amministrazione capace di motivare le scelte
dei metodi di gara, considerando le peculiarità delle diverse situazioni
di fatto e dotata della tecnicità necessaria per attuare una propria “politica” degli
appalti. E si tratta – anche questo è stato già rilevato al par.
1.3. – di un principio dalle forti capacità espansive.
A ciò si aggiunga che anche il criterio della “semplificazione”,
come delineato in precedenza nei suoi contenuti e nel suo ambito di applicazione,
costituisce un ulteriore incentivo a ridurre i “lacci” per le stazioni
appaltanti permettendo loro – in piena coerenza con la logica comunitaria –
di utilizzare al meglio le possibilità offerte dal mercato.
Non può peraltro sottacersi che dal nuovo quadro normativo possono derivare
nuovamente gli inconvenienti, cui le limitazioni della legge n. 109 del 1994
avevano inteso porre riparo, inconvenienti che, sebbene non ritenuti meritevoli
di considerazione dalla Corte di giustizia (nel corso del giudizio “Sintesi
s.p.a.”, conclusosi con la citata sentenza C-247/02, l’Italia si
era difesa adducendo tale esigenza), non possono essere sottovalutati anche
nell’attuale contesto amministrativo e sociale.
Appare quindi quantomai
necessaria l’adozione di idonei strumenti di garanzia, e in questa ottica,
in particolare, va valutato positivamente e va valorizzato il criterio di delega
di cui alla lett. c), volto ad assicurare la generalizzazione e il potenziamento
della vigilanza in tutti i settori interessati dalle direttive in capo all’Autorità per
i lavori pubblici.
Non vi è dubbio che il ruolo di questa istituzione,
lungi dal potersi ritenere confliggente con il sistema delle autonomie, deve
considerarsi il necessario punto di riferimento e di raccordo del sistema stesso.
3. Questione di ordine generale è anche quella del riparto di
competenze normative tra Stato e Regioni nella materia.
I contratti della p.a. e i pubblici lavori, servizi o forniture non sono nominati
dal nuovo art. 117 della Costituzione, ma ciò non implica che essi siano
oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto, come
rilevato dalla Corte costituzionale con riferimento ai lavori pubblici, “si
tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia,
ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono
essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello
Stato ovvero a potestà legislative concorrenti” (Corte cost. n.
303/2003).
Il loro inquadramento nel nuovo assetto costituzionale non è quindi
agevole per due ragioni: da un lato tale disciplina ha carattere trasversale
e rientra, nei suoi molteplici aspetti, in altre materie elencate nel nuovo
art. 117 ed attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato o alla legislazione
concorrente Stato – Regioni; sotto altro profilo, si deve distinguere
tra i contratti stipulati da amministrazioni o enti statali e i contratti di
interesse regionale.
Se è pacifico che il legislatore statale è titolare di potestà legislativa
esclusiva con riguardo ai pubblici lavori, forniture e servizi “statali”, è da
definire l’ambito della competenza statale in relazione ad
alcune materie nominate dall’art. 117, comma 2, della Costituzione: “tutela della
concorrenza”, “ordinamento civile” e “giurisdizione
e norme processuali; giustizia amministrativa”.
La prima materia, “trasversale”, della tutela della concorrenza è quella
che pone i problemi più delicati.
La Corte costituzionale ha precisato che la tutela della concorrenza costituisce
una competenza trasversale, che coinvolge più ambiti materiali e si
caratterizza per la natura funzionale (individuando, più che degli oggetti,
delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale
deve essere esercitata) e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale
anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale (Corte cost.
n. 14 e n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006).
La Corte ha anche precisato che
tale materia abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato
e la sua inclusione nella lett. e) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione,
evidenzia l’intendimento del legislatore costituzionale di unificare in capo
allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero
Paese e sono idonei ad incidere sull’equilibrio economico generale, come avviene
per gli aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,
di seguito individuati quale nucleo principale del Codice.
Non vi è dubbio, dunque, che la tutela della concorrenza incida anche
nel settore in esame, ma la sua stessa trasversalità comporta che essa
si inserisca nelle altre materie senza consumarne, per definizione, tutto l’ambito,
cosicché rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica
nei cui confronti resta fermo il normale riparto di competenze.
E’ quanto avviene anche nel caso in esame, in cui, accanto ai profili
della concorrenza, sussistono profili non marginali organizzativi, procedurali,
economici e di altro tipo, tra i quali la progettazione dei lavori servizi
e forniture, la direzione dei lavori servizi e forniture, il collaudo, i compiti
e i requisiti del responsabile del procedimento.
Anche per questi aspetti – e a maggior ragione – vale l’affermazione
della Corte costituzionale che non si tratta di materie: essi a seconda dell’oggetto
possono rientrare (oltre che nella competenza esclusiva dello Stato) sia nella
competenza concorrente che in quella esclusiva delle Regioni. Nel primo caso
l’attività legislativa regionale rimane soggetta ai principi fondamentali
desumibili dal codice; nel secondo, invece, fatta salva la possibile rilevanza
di vincoli diversi (si pensi alla trasparenza e in generale ai principi della
legge sul procedimento amministrativo) la legislazione regionale può esprimersi
liberamente.
Quanto agli aspetti relativi alla qualificazione e selezione dei concorrenti,
alle procedure di gara, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto e alla
vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una Autorità indipendente,
si tratta del nucleo principale del contenuto del Codice in esame, in cui non
vi è dubbio che la concorrenza giochi un ruolo preponderante, ma è da
verificare se ciononostante sia possibile un intervento normativo regionale.
Per i contratti sopra soglia, la scelta del legislatore statale di non utilizzare
gli spazi di discrezionalità lasciati dalle direttive offre alle Regioni
un residuo margine di intervento.
Con la precisazione che tale margine non
può essere utilizzato per introdurre misure di attenuazione della concorrenza – come avverrebbe, ad esempio, ampliando le ipotesi di trattativa privata –
ma consente solo un intervento diretto ad una applicazione più ampia
del principio nel senso indicato dalla sentenza n. 482/95 della Corte costituzionale
– già citata – che ha riconosciuto la legittimità della legge
n. 109 del 1994 proprio perché diretta ad assicurare in modo più esteso
la concorrenza.
A ciò si aggiunga che la tutela della concorrenza si intreccia con il
valore unificante della disciplina comunitaria, che mira anche a garantire
agli operatori economici analoghe modalità, trasparenti e non discriminatorie,
di aggiudicazione degli appalti, come riconosciuto, per altro settore, dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 336 del 2005, nella parte in cui evidenzia
che gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle
modalità di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, possono
di fatto richiedere una particolare articolazione del rapporto “norme
di principio – norme di dettaglio”, nel senso di un più incisivo
intervento del legislatore statale.
In concreto, tali considerazioni inducono a ritenere che non sia possibile
l’esercizio decentrato di potestà normative con riferimento ai
seguenti ambiti appartenenti a quello che si è definito il nucleo essenziale
del Codice:
–
la qualificazione e selezione dei concorrenti,
– i criteri di aggiudicazione, il subappalto,
– la vigilanza sul mercato degli
appalti affidata ad una autorità indipendente.
Al contrario, per altri aspetti, sempre appartenenti a tale nucleo e in particolare
per le procedure di gara, deve riconoscersi la sussistenza di una competenza
normativa delle Regioni, nei sensi e nei limiti indicati in precedenza; e ciò alla
stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la norma
statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata
rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima
compressione dell’autonomia regionale (Corte cost., n. 272/2004, relativa alle
gare per i servizi pubblici locali).
Quanto ai contratti al di sotto della soglia comunitaria, compete allo Stato
la fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parità di
trattamento e non discriminazione, senza che però ricorra l’esigenza
(di derivazione comunitaria) di estendere il grado di uniformità alla
disciplina di dettaglio.
Quale sia poi l’ambito di tali principi vincolanti per le Regioni è stato
chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, che, proprio con riferimento
agli acquisti sotto soglia di beni e servizi, ha riconosciuto la legittimità dell’applicabilità alle
Regioni dei soli principi desumibili dalla normativa nazionale di recepimento
della disciplina comunitaria, là dove:
– impongono la gara,
– fissano l’ambito
soggettivo ed oggettivo di tale obbligo,
–
limitano il ricorso alla trattativa
privata e collegano alla violazione dell’obbligo sanzioni civili e forme di
responsabilità
(Corte cost., n. 345 del 2004, in cui viene fatta una
distinzione tra le norme di principio in una materia trasversale quale la tutela
della concorrenza e i principi fondamentali nei casi di legislazione concorrente).
Rimangono le altre riserve di competenza statale: ordinamento e giurisdizione.
I profili relativi alla stipulazione e all’esecuzione
dei contratti attengono alla materia contrattuale del diritto civile e all’autonomia privata,
e dunque alla materia “ordinamento civile”, sempre oggetto
di legislazione esclusiva statale; va tuttavia chiarito che anche nell’ambito dell’esecuzione
dei contratti possono venire in rilievo profili di organizzazione amministrativa
e di contabilità, per i quali lo Stato ha legislazione esclusiva solo
per le amministrazioni statali, ma non per le Regioni.
La disciplina del contenzioso rientra invece nella materia della “giurisdizione
e norme processuali; … ; giustizia amministrativa” di cui alla lett.
l) dell’art. 117, comma 2, della Costituzione (impregiudicata la verifica
di compatibilità con la delega).
3.2. Altri aspetti disciplinati dal Codice rientrano invece senz’altro
in materie di legislazione concorrente Stato – Regioni, come,
in particolare, i profili inerenti:
– la localizzazione delle opere pubbliche,
– la programmazione
dei lavori pubblici,
– l’approvazione dei progetti a fini urbanistici ed
espropriativi, attinenti alla materia
– “governo del territorio” o
quelli connessi con la
– “ tutela e sicurezza del lavoro” e
la
– “ valorizzazione
dei beni culturali e ambientali”.
Inoltre per alcune tipologie di opere è anche prevista espressamente
la legislazione concorrente Stato – Regioni, come ad esempio per:
– “porti
e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; … produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”
(come del resto è chiara
l’appartenenza allo Stato della legislazione esclusiva per lavori, servizi
e forniture, che indipendentemente dall’amministrazione che li esegue
riguardino, ad esempio, “difesa … ; sicurezza dello Stato”, “ordine
pubblico e sicurezza”, “dogane, protezione dei confini nazionali”).
Nei confronti di tale competenza, come è noto, è riservata allo
Stato la formulazione di principi fondamentali e in proposito si osserva che
il riassetto della disciplina, previsto nella delega, risponde anche all’esigenza
di una semplificazione normativa e tale semplificazione deve contribuire a
garantire il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale
fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di dubbi
e problematiche, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento
della Corte costituzionale.
Come già rilevato da questa Sezione, non sembra dunque rispondere al
suddetto principio di certezza del diritto demandare totalmente all’interprete
l’individuazione dei principi fondamentali di una materia di legislazione
concorrente (Cons. Stato, Sez. atti norm., 31 gennaio 2005 e 4 aprile 2005,
n. 11996/04).
3.3. La stessa esigenza di chiarezza va tenuta presente nel dare attuazione
al criterio dell’art. 1, comma 6, della legge delega.
Tale criterio recepisce il principio, già affermato, con riferimento
al potere regolamentare, da questo Consiglio di Stato in sede consultiva, secondo
cui per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite
alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, in caso
di inadempimento da parte delle Regioni, lo Stato può intervenire adottando
una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita alla scadenza
dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti
delle sole Regioni inadempienti (Cons. Stato, Ad. Gen., n. 2/2002, 25 febbraio
2002).
Non risulta che il criterio sia stato seguito in sede di predisposizione del
Codice, verosimilmente nel presupposto – non condiviso dalla Sezione, per quanto
detto innanzi – che l’intero corpo delle direttive da recepire riguardi
solo profili riservati alla legislazione esclusiva dello Stato.
Si pone dunque l’esigenza dell’introduzione della clausola di cedevolezza e dell’indicazione delle parti del Codice “cedevoli” e di
quelle che invece vincolano l’esercizio della potestà normativa
regionale, perché attinenti ad ambiti di legislazione esclusiva dello
Stato o perché costituenti principi fondamentali in materia di legislazione
concorrente.
3.4. Per quanto riguarda le Province autonome di Trento e Bolzano non può essere
prevista la clausola di cedevolezza, in quanto come ribadito più volte
dalla Corte costituzionale, alle due Province autonome non si applica l’art.
10 della legge n. 62 del 1953, ma l’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266
(Norme di attuazione dello statuto speciale), secondo cui il sopravvenire di
nuove norme statali comportanti vincoli di adeguamento della legislazione provinciale
non produce abrogazione delle leggi provinciali preesistenti in contrasto con
i nuovi vincoli, ma solo un obbligo di adeguamento, la cui mancata realizzazione
può essere fatta valere dal Governo con apposito ricorso contro le leggi
provinciali non adeguate (Corte cost., n. 302/2003).
Il criterio di delega di cui al citato art. 1, comma 6, della legge n. 62 del
2005, pur facendo riferimento anche alle Province autonome, deve essere interpretato
in modo costituzionalmente orientato alla luce dello speciale meccanismo previsto
dalle norme di attuazione dello statuto speciale per l’adeguamento della
normativa delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Resta comunque ferma l’applicabilità alle due Province autonome
delle disposizioni del Codice relative a materie di legislazione esclusiva
statale, in quanto anche l’attribuzione allo Stato della legislazione
esclusiva in materie trasversali, quali la tutela della concorrenza, non ha
costituito una sopravvenuta limitazione a forme di autonomia più ampie,
riconosciute alle due Province e a queste quindi inapplicabile ai sensi dell’art.
10 delle legge costituzionale n. 3 del 2001; al contrario, anche prima dell’entrata
in vigore della riforma del titolo V, la concorrenza costituiva materia riservata
alla legislazione dello Stato, come si ricava anche dalla sentenza n. 482/95
della Corte costituzionale.
Sulla base di tali considerazioni la Sezione ritiene necessario riformulare
l’art. 4 dello schema secondo quanto suggerito nella parte seconda del
presente parere, relativa ai singoli articoli.
3.5 L’appartenenza delle singole disposizioni ad uno o ad altro ambito
assume rilievo anche con riferimento all’esercizio dei poteri regolamentari,
che, come è noto, lo Stato ha conservato solo nelle materie attribuite
alla sua legislazione esclusiva.
Tale potestà regolamentare può essere esercitata dallo Stato
per dare esecuzione ed attuazione all’intero Codice con riferimento ai
pubblici lavori, servizi e forniture “statali”, mentre con riferimento
a quelli di interesse regionale essa può essere esercitata limitatamente
a quei profili ricadenti nell’ambito della legislazione esclusiva dello
Stato, già indicati in precedenza. Difatti, sia prima che dopo l’entrata
in vigore della riforma del titolo V, la Corte costituzionale ha in più occasioni
limitato l’esercizio del potere regolamentare dello Stato proprio nella
materia dei lavori pubblici (sentenze n. 482/95, n. 302/03, n. 303/03).
Al contrario, l’elencazione degli aspetti da disciplinare tramite regolamento,
contenuta nel comma 4 dell’art. 5 del Codice, può indurre a ritenere
che il legislatore delegato abbia voluto rimettere alla potestà regolamentare
dello Stato quei profili già individuati, per i quali non risulta invece
possibile incidere con regolamento sulle competenze regionali.
Al fine di evitare ulteriori incertezze appare opportuno precisare nel testo
(cfr., infra, le osservazioni relative all’art. 5 dello schema) che il
regolamento debba espressamente prevedere la sua applicabilità ai lavori
pubblici statali e l’indicazione delle disposizioni applicabili alle
Regioni, in quanto esecutive o attuative di disposizioni del Codice rientranti
in materie di legislazione esclusiva dello Stato.
Conseguentemente la disposizione transitoria di cui all’art. 253, comma
3, deve essere interpretata alla luce dei principi ricavabili dalle richiamate
sentenze.
Con esse la Corte costituzionale ha peraltro ritenuto legittima la
disposizione di cui all’art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 544 del 1999, secondo
cui, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, le Regioni, anche a
statuto speciale, applicano le disposizioni del regolamento (previgenti alla
riforma del titolo V) fino a quando non avranno adeguato la propria legislazione
ai principi desumibili dalla legge (Corte cost., n. 302/2003, che ha però escluso
tale conclusione per le Province autonome di Trento e Bolzano, come già chiarito
oltre).
Pertanto l’applicabilità del regolamento deve essere limitata,
con riferimento alle Regioni, ai casi di carenza della preesistente normativa
regionale o perché mai approvata o perché abrogata per effetto
del suo contrasto con i principi fondamentali recati dalla legge n. 109 del
1994 senza successivo adeguamento della normativa regionale.
3.6. In conclusione non può non rilevarsi che in tale situazione si
possono determinare interferenze tra le competenze legislative statali e regionali,
per la cui composizione la Costituzione non prevede espressamente un criterio;
la Corte costituzionale, con specifico riferimento alle ipotesi di interferenza
tra disposizioni rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune
allo Stato ed altre alle Regioni, ha richiamato il principio di leale collaborazione,
che per la sua elasticità consente di avere riguardo alle peculiarità delle
singole situazioni, nonché quello della prevalenza, qualora appaia evidente
l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia
piuttosto che ad altre (Corte cost. n. 370/2003 e n. 50/2005).
In questa prospettiva si richiama l’attenzione del Governo, in questo
settore in cui il riparto di competenze tra Stato e Regioni è altamente
problematico, sulla particolare importanza del parere della Conferenza
unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, reso in data 9 febbraio
2006 e pervenuto nel corso dell’elaborazione del presente parere.
Se è evidente,
infatti, che un parere favorevole della Conferenza unificata non possa ritenersi
risolutivo per il superamento di eventuali problemi di costituzionalità,
così come un parere negativo non è ostativo all’ulteriore
corso del presente decreto, tuttavia è emersa l’esigenza di un
più effettivo coinvolgimento delle Regioni nel processo formativo della
normativa statale, soprattutto in quei casi in cui tale coinvolgimento non
sia avvenuto mediante un percorso condiviso durante la fase di predisposizione
del testo normativo.
Tale esigenza è stata tenuta presente dalla Sezione, che ha avuto modo
di valutare attentamente le osservazioni delle Regioni, pervenendo anche
alla conclusione della fondatezza di alcune di esse.
4. La preventiva ricostruzione delle potenzialità di innovazione normativa
espresse dalla soluzione scelta del legislatore delegante e l’inserimento
di queste potenzialità nel nuovo assetto sistemico dei poteri legislativi
e regolamentari stabilito dal Titolo V della Costituzione consentono – come
si dirà analiticamente nel seguito, esaminando le singole disposizioni
rilevanti – di enucleare quelle norme che appaiono non coerenti e/o eccedenti
rispetto a detti criteri ricostruttivi.
In via preliminare, in ordine al complesso e delicato tema del riparto di competenze
tra Stato, Regioni e Province autonome si fa rinvio alla nuova formulazione
che la Sezione propone per l’art. 4, mentre, con riferimento ad una più chiara
intestazione del potere regolamentare, si rinvia alle modifiche che vengono
proposte per l’art. 5.
Messo a punto il riparto di competenze, appare utile segnalare sin da ora quelle
soluzioni che, ad avviso della Sezione, si pongono fuori del perimetro
della delega:
a) in quanto investono ambiti di innovazione normativa del tutto esterna a
tale perimetro: si tratta infatti di innovazioni che affrontano profili di
organizzazione istituzionale e nessi interpretativi che hanno bisogno di un
esplicito scrutinio legislativo in ordine all’assetto che si intende
dare agli interessi coinvolti.
Al riguardo si segnalano in particolare:
– per quanto riguarda la disciplina dell’Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici, l’art. 6, comma 7, lett. m), in materia di composizione
delle controversie;
– in materia di affidamento di servizi e lavori “in house”, l’art.
1, comma 2, e l’art. 32, comma 3;
– in materia di giurisdizione, l’art. 244 ed i primi due commi dell’art.
245;
b) in quanto non riconducibili ad una ragionevole estensione interpretativa
del significato che nell’ordinamento giuridico può essere assegnato
all’ambito della semplificazione, nella misura in cui questo topos dell’attuale
fase di riassetto del nostro ordinamento può operare; si tratta infatti
di soluzioni che presentano una valenza sostanziale non riconducibile entro
parametri che riflettono intenti di semplificazioni del procedimento, anche
sotto lo specifico profilo della riduzione dei tempi:
art. 111 (Garanzie che devono prestare i progettisti) dove si pongono obblighi
nuovi a carico dei professionisti che incidono sulle stesse modalità di
esercizio dell’attività professionale;
art. 118-bis (Attività che non costituiscono subappalto), nella parte
in cui estende ad ipotesi non previste norme di prevenzione della criminalità mafiosa
che sono comunque di stretta interpretazione;
artt. 122 (Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia),
123 (Procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori), 124 (Appalti
di servizi e forniture sotto soglia), 125 (Lavori, servizi e forniture in economia),
144 (Procedura di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni
di lavoro pubblici): articoli questi che recano numerose disposizioni fuori
delega, connesse in particolare alla tecnica dell’aumento degli importi,
e che non appaiono giustificate dalla finalità di semplificazione, sia
pure nella sua accezione più ampia.
Parte seconda – Esame degli articoli
Si può passare all’esame delle singole disposizioni dello schema
di Codice, limitatamente a quelle che richiedono osservazioni, anche di carattere
formale.
Si richiama comunque l’attenzione sulla necessità di un’accurata
opera di drafting per adeguare il testo alla circolare della Presidenza del
Consiglio dei Ministri 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92.
Premesse
Nelle premesse, il riferimento agli articoli delle direttive che prevedono
l’attuazione da parte degli Stati membri è invertito: vanno
menzionati l’art. 71 della direttiva n. 2004/17 e l’art. 80 della
direttiva n. 2004/18; inoltre deve essere indicato il parere del Consiglio
di Stato reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi e non dall’Adunanza
generale, come attualmente riportato.
Art. 1 (Oggetto)
La disposizione contiene al comma 1 l’effettiva indicazione dell’oggetto
della disciplina e al comma 2 una disposizione sulla scelta del socio delle
società miste, la cui collocazione nel primo articolo del Codice non
trova alcuna giustificazione. Si suggerisce quindi di eliminare tale secondo
comma, valutando se inserirlo in altra parte del Codice.
Al riguardo, si osserva che la scelta di non includere nel Codice le disposizioni
relative all’affidamento in house dei servizi pubblici locali (artt.
113, 113-bis e 116 del d.lgs. n. 267 del 2000, da interpretare alla luce delle
restrittive indicazioni della Corte di Giustizia) dovrebbe coerentemente condurre
anche ad escludere dal Codice le disposizioni relative alla scelta del socio
nelle società miste, tenuto conto anche dell’osservazione relativa
all’art. 32, comma 3.
Tale mancata inclusione in alcun modo inciderebbe, comunque, sul generale
principio secondo cui la scelta deve avvenire con procedure di evidenza pubblica
(principio
peraltro codificato nelle richiamate disposizioni del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali).
Si suggerisce inoltre di semplificare il comma 1 dell’art. 1 nel seguente
modo: “Il presente Codice disciplina l’attività contrattuale
delle amministrazioni aggiudicatrici e degli altri enti o soggetti aggiudicatori
avente per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”.
Art. 3 (Definizioni)
Al comma 33 va eliminato l’inciso “utilizzata per semplificare
il testo”.
Art. 4 (Competenze legislative di Stato e Regioni)
In applicazione dei principi indicati al punto 3 della prima parte del presente
parere, si richiede all’amministrazione di modificare l’art.
4 del Codice nei seguenti termini.
“
Art. 4 – Competenze legislative di Stato, Regioni e Province autonome.
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la
potestà normativa
nelle materie oggetto del presente Codice nel rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza
esclusiva dello Stato.
2. Relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa
nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente Codice,
in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione
dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, attività di progettazione
di lavori servizi e forniture, direzione di lavori servizi e forniture, collaudo,
compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro.
3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto dell’articolo
117, comma secondo, lettere e) ed l) della Costituzione, non possono prevedere
una disciplina diversa da quella del presente Codice in relazione: alla qualificazione
e selezione dei concorrenti, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto, ai
poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, alla stipulazione
e all’esecuzione dei contratti ad eccezione dei profili di organizzazione
amministrativa e di contabilità, nonché al contenzioso; devono
altresì attenersi ai principi in materia di concorrenza previsti dal
presente codice in tema di procedure di gara e di contratti sotto soglia comunitaria.
4. Nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva,
le disposizioni del presente Codice si applicano alle Regioni nelle quali
non sia ancora in vigore la normativa di attuazione e perdono comunque efficacia
a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione
adottata
da ciascuna regione.
5. Le Province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione
secondo le disposizioni contenute nello Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige e nelle relative norme di attuazione”.
Non è invece necessario introdurre la clausola di efficacia differita
alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa
comunitaria, prevista nell’art. 1, comma 6, della legge n. 62 del 2005,
in quanto il termine è scaduto lo scorso 31 gennaio per entrambe le
direttive da recepire.
Art. 5 (Regolamento e capitolati)
Sempre in applicazione dei già menzionati principi, va modificato il
comma 1, prevedendo che “Lo Stato detta con regolamento la disciplina
esecutiva ed attuativa del presente Codice in relazione ai contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente
agli aspetti di cui all’articolo 4, comma 3, in relazione ai contratti
di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato”.
Va altresì aggiunto un ulteriore comma, il quale preveda che “Il
regolamento indica quali disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni
rientranti ai sensi dell’art. 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale
esclusiva, siano applicabili anche alle Regioni e Province autonome”.
Il regolamento non potrà invece prevedere disposizioni che, al di fuori
di tali ambiti, si applichino a Regioni e Province autonome con il carattere
della cedevolezza, essendo in tal caso lo Stato totalmente privo della potestà regolamentare
e non sussistendo esigenze di recepimento in via suppletiva delle direttive
comunitarie (esigenze già soddisfatte con il Codice in esame).
L’art. 5 contiene anche alcune disposizioni sui capitolati, prevedendo
che i capitolati menzionati nel bando o nell’invito costituiscono parte
integrante del contratto e che anche il capitolato generale dei lavori delle
amministrazioni aggiudicatrici statali, menzionato nel bando o nell’invito,
costituisce parte integrante del contratto.
Viene in tal modo attribuita natura
contrattuale al capitolato, che deve essere menzionato nel bando o nell’invito
per costituire parte integrante del contratto. Si prende atto di tale scelta,
che rientra tra quelle consentite in sede di esercizio della delega.
Non vi è alcuna limitazione dei poteri regionali, in quanto il comma
8 rende puramente facoltativa la possibilità di richiamare il capitolato
generale dei lavori pubblici da parte delle stazioni appaltanti diverse dalle
amministrazioni aggiudicatrici statali.
Al comma 8, lett. n), vanno soppresse le parole “o alle categorie” e “prevalenti” va
messo al singolare, per ragioni di coordinamento con l’art. 118.
Artt. 6 (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture), 7 (Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture) e 8 (Disposizioni in materia di organizzazione e di personale
dell’Autorità e norme finanziarie)
Tali disposizioni riguardano l’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture.
La possibilità di istituire una autorità indipendente è prevista
dall’art. 81.2 delle direttiva n. 2004/18 e dall’art. 72.2 della
direttiva n. 2004/17. In attuazione dell’espresso criterio di delega
di cui all’art. 25, comma 1, lett. c) della legge n. 62 del 2005 alla
già istituita Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sono
stati affidati compiti di vigilanza anche nei settori delle forniture e dei
servizi.
In conformità al criterio della legge delega relativo all’indipendenza
funzionale e alla autonomia organizzativa, nonché alla sopravvenuta
disciplina, con cui è stata riconosciuta all’Autorità anche
l’autonomia finanziaria (art. 1, commi 65 e 67, della legge n. 266 del
2005), il Codice ha previsto una estensione dei poteri regolamentari dell’Autorità e
una semplificazione della sua struttura, non più irrigidita in schemi
predeterminati dal legislatore ma affidata a forme e metodi di auto-organizzazione.
Deve essere in primo luogo chiarito che l’estensione delle competenze
dell’Autorità va verificata sotto il profilo del rispetto dei
criteri di delega e non si pone in alcun modo in contrasto con le prerogative
delle Regioni. Infatti, con la sentenza n. 482 del 1995 la Corte costituzionale,
nel respingere i ricorsi delle Regioni che denunciavano la violazione di competenze
ad esse costituzionalmente riservate, derivante dall’istituzione dell’Autorità per
la vigilanza sui lavori pubblici, ha evidenziato che l’istituzione dell’Autorità per
la vigilanza sui lavori pubblici ha rappresentato uno dei cardini della riforma
della materia, valorizzando l’esercizio della funzione di vigilanza e garanzia
idonea a garantire una conoscenza completa ed integrata del settore dei lavori
pubblici, unitaria a livello nazionale.
La Corte ha aggiunto che le attribuzioni dell’Autorità non sostituiscono
né surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo,
ma esprimono una funzione di garanzia, strumentale rispetto alla conoscenza
ed alla vigilanza nel complessivo settore dei lavori pubblici e in relazione
alla quale l’obbligo per le amministrazioni di comunicare all’Autorità determinate
informazioni è espressione del dovere di cooperazione tra Stato, Regioni
e Province autonome, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale
(sentenze nn. 29 del 1995 e 412 del 1994).
Tali principi sono ovviamente validi anche per l’estensione delle competenze
attribuite all’Autorità, che si aggiungono, e non si sostituiscono,
alle eventuali ulteriori competenze in tema di controllo e vigilanza previste
in sede regionale.
Ciò premesso, deve ritenersi che l’ampliamento dei poteri di vigilanza
anche ai contratti di lavori, servizi e forniture, cui non sono applicabili
direttamente le direttive da recepire, non si pone in contrasto con la legge
delega, che prevede espressamente l’attribuzione all’Autorità di “compiti
di vigilanza nei settori oggetto della presente disciplina”, intendendosi
per questa la disciplina del Codice e non solo quella di recepimento delle
direttive.
Con riferimento agli altri specifici compiti dell’Autorità, elencati
dall’art. 6, comma 7, si osserva che il potere di formulare al Governo
proposte in ordine alle modifiche occorrenti in relazione alla legislazione
che disciplina i contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, pur non
essendo attualmente previsto, corrisponde a quelle generali funzioni meramente
ausiliarie, tipiche delle autorità indipendenti e che rientrano nei
compiti di vigilanza del settore.
Anche il potere di vigilanza sul sistema di qualificazione, esteso alla possibilità di
annullare, in caso di constatata inerzia degli organismi di attestazione, le
attestazioni rilasciate in difetto dei presupposti stabiliti dalle norme vigenti,
nonché di sospendere, in via cautelare, dette attestazioni (art. 6,
comma 7, lett. m) è stato riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo
cui l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, in caso di inerzia
della SOA, ricorrendone i presupposti e nel rispetto delle garanzie di partecipazione
delle imprese interessate, ha il potere di intervenire in via diretta ad adottare
l’atto omesso dalla SOA, anche mediante annullamento delle attestazioni di
qualificazione dalla stessa rilasciate (Cons. Stato, VI Sez., n. 991/2004).
La lett. n) dello stesso comma 7 prevede che l’Autorità svolga,
su iniziativa delle parti, attività di composizione delle controversie
insorte tra stazioni appaltanti ed operatori economici durante le procedure
di gara, in tempi ristretti e comunque non superiori a venti giorni e che le
modalità di svolgimento del procedimento siano individuate con regolamento
dell’Autorità.
Pur comprendendo la ratio che giustifica una tale disposizione, tendente ad
introdurre un meccanismo precontenzioso, del tutto facoltativo e finalizzato
alla deflazione del contenzioso, si osserva che si tratta dell’attribuzione
all’Autorità di una funzione para-contenziosa, non prevista nei
criteri fissati dalla legge delega.
Né si può sostenere che l’attribuzione
di tale funzioni derivi dalle direttive comunitarie, che si limitano a prevedere
che gli Stati membri “assicurano l’applicazione delle direttive
tramite meccanismi efficaci, accessibili e trasparenti” e a richiamare
la direttiva ricorsi n. 89/665/CEE, che però non prevede l’attribuzione
di una tale funzione ad una autorità indipendente.
Si ritiene pertanto che la norma debba essere eliminata, in quanto l’attribuzione
di una funzione del tutto nuova e para-contenziosa ad una autorità indipendente
richiede un espresso intervento del legislatore e non è consentita in
questa sede dal descritto contenuto della legge delega.
L’autonomia organizzativa, oggi riconosciuta all’Autorità,
consente invece la semplificazione della sua struttura (attuata attraverso
l’eliminazione del riferimento alla Segreteria tecnica e al Servizio
ispettivo), il mantenimento del solo Osservatorio previsto dall’art.
7 e articolato in sezioni regionali nonché l’espressa attribuzione
del potere regolamentare per disciplinare l’organizzazione dell’Autorità.
L’art. 8 attribuisce all’Autorità un potere regolamentare
anche per disciplinare il proprio funzionamento, l’esercizio della funzione
di vigilanza e del potere sanzionatorio.
Al riguardo, questa Sezione ha già avuto occasione di sottolineare che
l’attribuzione di poteri normativi alle autorità indipendenti
deve ormai ritenersi compatibile con il nostro sistema ordinamentale; in special
modo, per quanto concerne i poteri di auto-organizzazione (Cons. Stato, Sez.
atti norm., 14 febbraio 2005, n. 11603/04; parere reso sul Codice delle assicurazioni).
Alle considerazioni già espresse dalla Sezione, deve essere aggiunto
che l’esercizio di poteri normativi da parte di autorità indipendenti
pone problematiche particolari quando tali poteri siano destinati ad incidere
sulle posizioni dei privati, come in questo caso per la disciplina dell’esercizio
dei poteri di vigilanza e sanzionatori. In tali ipotesi, l’esercizio
di poteri regolatori da parte di autorità poste al di fuori della tradizionale
tripartizione dei poteri del circuito di responsabilità delineato dall’art.
95 della Costituzione è giustificato anche in base all’esistenza
di un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione
dei soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture
rappresentative. Il rischio di una caduta del valore della legalità sostanziale
deve essere compensato, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale,
sotto forma di garanzie del contraddittorio.
A tal fine, l’Autorità da un lato dovrà prevedere idonee
garanzie partecipative in sede di approvazione dei propri regolamenti e dall’altro
dovrà dotarsi di sistemi di consultazione preventiva, volta a raccogliere
il contributo informativo e valutativo dei soggetti vigilati (il rapporto tra
consultazione e qualità della regolazione è sottolineato anche,
a livello comunitario, dal Protocollo n. 7 al Trattato di Amsterdam, in quanto
una regolamentazione negoziata e concordata ha maggiori probabilità di
essere accettata e quindi applicata).
Sulla base di tali considerazioni, si consiglia di aggiungere all’art.
8, comma 1 il seguente periodo: “Al fine di migliorare la qualità della
normazione e dei propri atti generali l’Autorità utilizza metodi
di consultazione preventiva, consistenti nel dare preventivamente notizia del
progetto di atto e nel consentire agli interessati di far pervenire le proprie
osservazioni, da valutare motivatamente.”.
Al fine di evitare vuoti normativi si suggerisce, inoltre, di inserire una
norma transitoria, la quale preveda che, fino all’entrata in vigore del
regolamento di cui all’art. 8, comma 4, si applichino le disposizioni
di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 554 del 1999.
Con riguardo all’organico e al trattamento economico del personale dell’Autorità,
si segnala che rispetto all’originario testo dell’art. 8 sono pervenute
le osservazioni del Ministero dell’economia e delle finanze, il quale
ha subordinato il suo assenso alla modifica dell’art. 8 nei termini indicati
in una allegata riformulazione dello stesso, che prevede l’eliminazione
del potere di determinare il trattamento giuridico ed economico del personale,
nonché di quello di avvalersi di personale assunto con contratto a tempo
determinato e di esperti; è stato anche soppresso il riferimento, sempre
per il personale, all’art. 11, comma 2, della legge n. 287 del 1990.
Il Ministero ha segnalato che tali disposizioni costituirebbero un chiaro eccesso
di delega per l’insorgere di maggiori costi a carico della finanza pubblica.
Al riguardo, si osserva che effettivamente uno dei criteri della delega è quello
dell’assenza di nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Tuttavia,
il nuovo sistema di auto-finanziamento, introdotto dal citato art. 1, comma
67, della legge n. 266 del 2005, esclude che l’ampliamento delle competenze
o della struttura dell’Autorità possa gravare sulla finanza statale,
essendo invece posto a carico del mercato vigilato. Lo stesso stanziamento
di 3,5 milioni di euro è stato previsto da tale disposizione a titolo
di anticipazione, che l’Autorità dovrà restituire all’entrata
del bilancio dello Stato entro il 31 dicembre 2006. Il problema non è quindi
quello di impedire maggiori oneri a carico dello Stato, non più ipotizzabili
con l’entrata in vigore del nuovo sistema di finanziamento, ma di evitare
che le contribuzioni a carico dei soggetti vigilati, anche se contenute nei
limiti percentuali fissati in relazione al valore complessivo del mercato di
competenza, possano gravare in modo eccessivo e sproporzionato su tale mercato,
determinando un aumento del costo degli appalti, destinato a riflettersi in
modo indiretto sulle finanze pubbliche.
Pertanto, ferme le indiscutibili esigenze di potenziamento delle strutture
dell’Autorità in coerenza con le nuove funzioni attribuite, valuti
il Governo se il complesso delle disposizioni in questione, comportando un
consistente aumento delle esigenze finanziarie dell’Autorità,
non debba essere riconsiderato e ridotto, nelle parti indicate dal Ministero
dell’economia, in una prospettiva di contenimento degli oneri a carico
della collettività
Si ritiene superflua la disposizione di cui all’art. 6, comma 6, che
fa salve le competenze delle altre Autorità amministrative indipendenti.
Si suggerisce di invertire la collocazione dei due primi commi dell’art.
7.
Valuti, infine, l’amministrazione se conservare il testo della lett.
o) del comma 7 dell’art. 6, che attualmente rinvia all’art. 1,
comma 67, della legge n. 266 del 2005, o se riportare all’interno del
testo il contenuto di tale norma, introdotta dall’ultima finanziaria
(sia con riferimento ai nuovi compiti che all’autonomia riconosciuta).
Art. 9 (Sportello dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture)
Si tratta di una soluzione che, pur non essendo prevista nelle direttive,
ne potrebbe costituire una indiretta attuazione sotto il profilo della possibilità di
utilizzo dello strumento dello sportello unico, diffuso in Italia in diversi
settori, al fine di ottimizzare la diffusione delle informazioni relative
alle procedure di gara. Si rileva che i compiti dello Sportello unico non
sembrano sovrapporsi a quelli degli osservatori regionali e che comunque
non vi è alcuna lesione delle competenze regionali, trattandosi di
istituto facoltativo.
Art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento)
E’ condivisibile la scelta di semplificare ed unificare la procedura,
attraverso l’introduzione di una netta distinzione tra la fase di scelta
del contraente, che culmina nell’aggiudicazione, quale atto unilaterale
dell’amministrazione, e la stipulazione del contratto.
Viene così superata la disciplina di cui al r.d. n. 2440 del 1923 che
ha comportato diversi problemi interpretativi.
Il comma 10 dell’art. 11 prevede che il contratto non può comunque
essere stipulato prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati
del provvedimento di aggiudicazione; ciò in relazione ad una procedura
di infrazione contro l’Italia proprio per la mancata previsione di tale
termine.
Valuterà l’amministrazione se le contestazioni mosse in sede comunitaria
consentono, o meno, l’inserimento di una clausola di deroga al citato
art. 11, comma 10, nel senso di prevedere che il divieto di stipulare il contratto
prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento
di aggiudicazione operi salvo motivate ragioni di particolare urgenza che non
consentono all’amministrazione di attendere il decorso del predetto termine
(ciò al fine di rendere meno rigido il divieto nei soli casi di estrema
urgenza di procedere).
In tal caso, il divieto andrebbe comunque mantenuto fermo, senza deroghe, per
le infrastrutture strategiche (essendo stata generalizzata la regola nel Codice, è stata
conseguentemente eliminata dall’art. 246, che riproduce l’art.
14 del d.lgs. n. 190 del 2002).
Infine, si osserva che l’art. 11 non si occupa della questione della
sorte del contratto a seguito dell’annullamento giurisdizionale o in
via di autotutela dell’atto di aggiudicazione. Trattandosi di questione
su cui non vi è ancora sufficiente chiarezza in giurisprudenza e dottrina,
tale scelta può essere condivisa, anche se si deve tenere presente che
proprio nel parere motivato relativo alla già menzionata procedura di
infrazione la Commissione europea ha fatto presente che la tesi del travolgimento
del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione va
certamente nella direzione di una tutela più efficace, ma non può considerarsi
un dato acquisito dell’ordinamento giuridico italiano in presenza di
una giurisprudenza non consolidata e in assenza di una norma espressa e vincolante
di carattere generale.
Art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento)
Si consiglia di rendere più snello il testo, accorpando le disposizioni
in un unico comma e valutando la possibilità di inserirlo nel precedente
art. 11.
Quanto al comma 4, esso appare eccessivamente generico (la disciplina antimafia è già fatta
salva nell’art. 247): si consiglia quindi di valutare se mantenerlo o
meno.
Art. 14 (Contratti misti)
La norma nel disciplinare i contratti misti recepisce correttamente le direttive,
optando per un criterio qualitativo al fine di individuare la disciplina
applicabile ed utilizzando il criterio quantitativo solo quale criterio esegetico
per determinare quale sia la prestazione principale, ferma restando la prevalenza
del criterio qualitativo quando una delle prestazioni sia meramente accessoria
rispetto alle altre.
Si consiglia di semplificare la formulazione del comma 3 eliminando l’inciso “e
conseguentemente un contratto pubblico è considerato “appalto
pubblico di lavori” o “concessione di lavori pubblici”, che
appare superfluo rispetto alla ratio della norma.
Art. 16 (Contratti relativi alla produzione e al commercio di armi, munizioni
e materiale bellico)
Si segnala che l’art. 10 della direttiva n. 2004/18 prevede che essa
si applichi agli appalti pubblici aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici
nel settore della difesa, fatto salvo l’art. 296 del Trattato. Tale norma,
al par. 1, lett. b), stabilisce che ogni Stato membro può adottare le
misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della
propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi,
munizioni e materiale bellico e che tali misure non devono alterare le condizioni
di concorrenza nel mercato comune per quanto riguarda i prodotti che non siano
destinati a fini specificamente militari. Viene aggiunto che il Consiglio,
deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può apportare
modificazioni all’elenco, stabilito il 15 aprile 1958, dei prodotti cui si
applicano le disposizioni del paragrafo 1, lett. b).
In conformità a tali disposizioni l’art. 4 del d.lgs. n. 358 del
1992 ha escluso dall’applicazione del decreto “le forniture riguardanti,
nel settore della difesa, la fabbricazione o il commercio di armi, munizioni
e materiale bellico di cui all’elenco deliberato dal Consiglio delle Comunità europee
ai sensi dell’art. 223, paragrafo 2, del Trattato; tale esclusione non riguarda
i prodotti che non sono destinati a fini specificamente militari”. L’art.
16 del Codice esclude invece tutte le forniture di armi, munizioni e materiale
bellico senza fare più riferimento all’elenco deliberato dal Consiglio.
Occorre
quindi che tale riferimento venga ripristinato senza modificare il citato art.
4 del d.lgs. n. 358 del 1992.
Si consiglia inoltre di eliminare dal comma 2 dello stesso art. 14 il riferimento
alle direttive del Ministero della difesa, che non hanno carattere normativo.
Art. 26 (Contratti di sponsorizzazione)
L’art. 26 disciplina i contratti di sponsorizzazione, prevedendo che
quando i lavori, i servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura
o a spese dello sponsor, si applicano soltanto le disposizioni in materia di
requisiti soggettivi dei progettisti e degli esecutori del contratto.
La norma riproduce, con estensione ai servizi e alle forniture, l’art.
2, comma 6, della legge n. 109 del 1994, che esclude dal proprio ambito di
applicazione i contratti di sponsorizzazione, imponendo la sola applicazione
delle norme in tema di qualificazione (con riferimento agli appalti di lavori
pubblici concernenti i beni culturali, l’art. 2 del d.lgs. n. 30 del
2004 contiene analoga disposizione).
L’espressa previsione dell’utilizzo da parte della p.a. di contratti
di sponsorizzazione, accordi di collaborazione e convenzioni con soggetti privati,
prevista dall’art. 119 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dall’art. 43
della legge n. 449 del 1997, non esclude la necessità di fare ricorso
a procedure aperte e trasparenti per individuare il soggetto con cui stipulare
il contratto di sponsorizzazione.
La realizzazione o acquisizione di lavori, servizi e forniture a spese di uno
sponsor arreca un vantaggio all’amministrazione, ma attribuisce anche
un beneficio allo sponsor, che ha un ritorno indiretto, in termini di immagine
o altro, dall’operazione.
Per tali ragioni può sussistere l’esigenza che anche la possibilità di
diventare sponsor della p.a. venga aperta in modo trasparente a più aspiranti.
Il problema non è risolto dal successivo art. 27, che introduce principi
di trasparenza anche per i contratti esclusi, in quanto si potrebbe sostenere
che l’invito ad almeno cinque concorrenti previsto dall’art. 27
possa essere ritenuto non compatibile con l’oggetto del contratto di
sponsorizzazione.
Per tali ragioni si consiglia di esplicitare la necessità di un confronto
tra gli eventuali aspiranti sponsor. Difatti, proprio in relazione ad un tipico
servizio, quale quello di tesoreria, si è formata una giurisprudenza
che ha ammesso l’inclusione di formule di sponsorizzazione o assimilabili,
grazie alle quali l’amministrazione non corrisponde alcun corrispettivo
per lo svolgimento del servizio, senza però derogare all’obbligo
di procedere con gara alla scelta del contraente (Cons. Stato, Ad. Plen., n.
6/2002; VI Sez., n. 6073/2001).
Art. 28 (Importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria
e revisione periodica delle soglie)
Nell’indicazione dei testi richiamati, viene citato il regolamento (CE)
1874/2004, successivamente modificato. Al riguardo sembra opportuno (se detta
indicazione sarà mantenuta) specificare che il richiamo si intende fatto
anche alle successive modificazioni, atteso che al detto regolamento (CE) 1874/2004 è subentrato,
a decorrere dal 1° gennaio 2006, il regolamento (CE) 2083/2005. Inoltre,
nella rubrica andrebbero soppresse le parole “e revisione periodica delle
soglie”, la cui disciplina, come indicato dalla stessa relazione, è contenuta
nell’art. 248.
Art. 29 (Metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici)
Al comma 6, il concetto contenuto nella disposizione non è del tutto
perspicuo.
Art. 30 (Concessione di servizi)
Al comma 5, l’obbligo del soggetto titolare di diritti speciali o esclusivi
circa il rispetto del principio di non discriminazione dovrebbe essere esteso
ai servizi ed ai lavori, oltre che alle forniture, qualora ovviamente i relativi
affidamenti non soggiacciano alle norme del Codice in esame.
Si rileva una certa contraddizione nella relazione.
In essa si afferma che
la concessione di servizi si distingue dall’appalto di servizi in quanto
il servizio non è prestato a favore di un’amministrazione aggiudicatrice,
bensì della collettività.
In realtà l’art. 3, comma
10, definisce gli appalti pubblici di servizi come i contratti aventi per oggetto
la prestazione dei servizi di cui all’allegato II. In tale allegato sono
compresi servizi da svolgere sia a favore di una amministrazione aggiudicatrice
che a favore della collettività. A sua volta, il comma 12 definisce
la concessione di servizi come il contratto che presenta le stesse caratteristiche
di un appalto di servizi. Ciò fa sorgere perplessità sull’opportunità di
inserimento, nel Codice, di una norma definitoria attesa la problematicità del
quadro giuridico comunitario e nazionale (si pensi al riparto di giurisdizione).
Art. 32 (Amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori)
Al comma 1, lett. g), la previsione del titolare del permesso di costruire
quale soggetto tenuto a seguire la disciplina del Codice, è conseguenza
della sentenza della Corte di giustizia 12 luglio 2001 (proc. C-399/98).
In consonanza con tale sentenza sembrerebbe opportuno fare riferimento, nella
norma, ad entrambe le ipotesi alternative previste nel caso in cui detto
soggetto proceda alla realizzazione delle opere a scomputo del contributo
di urbanizzazione – e cioè:
a) alla loro realizzazione mediante
appalto a terzi, ovvero
b) al ricorso all’istituto del promotore delineato
dal testo in esame – consentendogli la scelta fra le stesse.
Al comma 3, la norma, concernente l’affidamento di servizi e lavori cd.
in house, pone anzitutto un problema di astratta compatibilità con la
sentenza della Corte di giustizia CE 11 gennaio 2005 “Stadt Halle”,
che ha affermato la necessaria osservanza delle procedure di affidamento degli
appalti pubblici previste dalla direttiva n. 92/50 e successive modificazioni,
dettata in materia di servizi, anche nelle ipotesi in cui un’amministrazione
aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso con una società,
da essa giuridicamente distinta, nella quale detiene una partecipazione.
Riguardo poi alla previsione di applicazione della norma nell’ambito
specifico della materia dei lavori pubblici, è da osservare come essa
faccia venire meno il c.d. divieto di in house providing finora vigente in
detta materia, consentendo anche per questi appalti di ricorrere agli affidamenti
diretti alle società miste alle condizioni ivi previste.
Ora, sul piano
della opportunità, rimesso alla valutazione del Governo, dovrebbero
essere attentamente valutati gli effetti pratici della disposizione, soprattutto
in relazione all’impatto sulla concorrenza ed al rischio di creazione
di mercati “riservati” dei lavori pubblici.
Sul piano poi più strettamente
giuridico, va segnalato che la norma, mentre, come si è detto, innova
espressamente ed incisivamente la disciplina finora vigente, non trova nel
contempo corrispondenza in una previsione della direttiva comunitaria. Si pone,
pertanto, il problema della sua conformità alla delega, apparendo dubbio
che essa possa legittimarsi in virtù del richiamo al mero “coordinamento” di
cui alla lett. a) dell’art. 25 della legge n. 62 del 2005, o che in tale
norma possa ravvisarsi una portata di semplificazione.
In ogni caso, ove si intenda mantenere la previsione, sul presupposto di una
portata ampia della legge delega, che in ogni caso chiama il Governo alla definizione
di un nuovo quadro giuridico per il recepimento, dovrebbe risultare chiaro
che la gara per la scelta del socio è stata svolta in vista proprio
della realizzazione dell’opera pubblica o del servizio che successivamente
si affida senza gara, con menzione delle caratteristiche dell’opera e
del servizio nel bando della gara celebrata per la scelta del socio.
Ciò al
fine di assicurare che il mercato sia stato messo in grado di conoscere la
serie di atti che vengono poi posti in essere con l’affidamento diretto.
Art. 36 (Consorzi stabili)
Si deve rilevare che il comma 1 prevede la figura del consorzio stabile
come diretta ad operare nel settore dei contratti pubblici in generale, mentre
le restanti disposizioni dell’articolo si riferiscono in modo quasi
esclusivo al settore lavori. È vero al riguardo che dalla relazione
si evince che questa dovrebbe essere la ratio della disposizione, ma, a parte
l’opportunità – in tal caso – di segnalare tale
intenzione sin dal comma 1, si osserva che la figura del consorzio stabile
può essere utilizzata anche nel settore delle forniture e dei servizi.
Art. 37 (Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti)
Si osserva che il comma 1 contiene quattro capoversi. Appare necessario, per
ragioni di tecnica legislativa, scindere le quattro previsioni in tre distinti
commi.
Quanto al comma 6, sembra opportuno, alla fine della disposizione, aggiungere
una clausola di salvezza, inserendo l’espressione “qualora non
sia diversamente disposto” o, come forse sarebbe meglio, “salvo
quanto disposto ai commi 15 e 16”.
Art. 38 (Requisiti di ordine generale)
Nella formulazione della disposizione occorre tenere conto del recente
decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. In particolare, si segnala che la
procedura
di amministrazione controllata è stata soppressa dall’art. 147,
comma 2, del citato decreto. Per quanto concerne poi il comma 1, lett. c),
si ritiene che, nella elencazione dei reati che possono portare all’esclusione
dalla gara, sia necessario indicare, in primo luogo, i reati previsti dal
Codice penale italiano e, successivamente, quelli indicati dalla direttiva
comunitaria.
Art. 40 (Qualificazione per eseguire lavori pubblici)
La qualificazione delle imprese partecipanti alle gare costituisce uno
degli aspetti più delicati del sistema, che ha manifestato nei controlli
il suo punto debole. E’ dunque positiva – come si è già rilevato
riguardo agli artt. 6, 7, 8 e 9 – la maggiore incisività dell’attività di
vigilanza dell’Autorità dei lavori pubblici.
Rimane la difficoltà di accertare l’effettiva indipendenza degli
organismi di attestazione (SOA) e, pertanto, va reinserita l’affermazione
del principio secondo cui l’attività di attestazione deve essere
esercitata nel “rispetto del principio di indipendenza di giudizio” e
garantendo “l’assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario
che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori”.
Meritevole di modifica va anche considerata l’attuale impossibilità di
graduare le sanzioni nei confronti delle SOA che si rendono colpevoli di irregolarità procedimentali
o di vere e proprie illegittimità nel rilascio delle attestazioni. Allo
stato, le due ipotesi sono sanzionate con la revoca dell’autorizzazione,
il che porta, sia pure in casi-limite, a non sanzionare mere irregolarità che
peraltro, se ripetute, sono comunque indizio di un funzionamento non ottimale
di un organismo che dovrebbe assicurare la presenza sul mercato di imprese
sane.
Art. 41 (Capacità economica e finanziaria dei fornitori e dei prestatori
di servizi)
Si segnala che al comma 4, probabilmente per un refuso, al posto della parola “intermediari” si
trova la parola “funzionari”.
Art. 49 (Avvalimento)
In relazione al comma 1, l’avvalimento è previsto dalle direttive
comunitarie e pertanto, in questa sede, non appare possibile contestare la
legittimità del suo inserimento nell’ordinamento giuridico italiano,
pur potendosi a ragione prevedere un effetto dirompente nei confronti delle
piccole e medie imprese edili.
In ogni caso, tra i limiti che la relazione afferma di voler porre per evitare
manovre elusive e turbative di gara dovrebbe prevedersi che, una volta avvenuta
l’aggiudicazione all’impresa ausiliata, dell’avvalimento
sia data comunicazione alla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici
e che esso sia debitamente pubblicizzato, anche in vista dei suoi possibili
riflessi sulle gare successive.
A proposito, poi, della previsione dell’avvalimento nella ipotesi di
particolari attrezzature possedute da un ristretto ambito di imprese di cui
al comma 8-bis, sembra opportuno eliminare l’inciso “sino ad un
massimo indicato nel bando stesso”, in quanto in tal modo si darebbe
la possibilità all’impresa che possiede le attrezzature in questione
di influire sulla gara concedendo l’attrezzatura all’uno piuttosto
che all’altro dei concorrenti.
Art. 53 (Tipologia e oggetto dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)
Il comma 1 prevede che i lavori pubblici possano essere realizzati esclusivamente
mediante contratti di appalto o concessione, come definiti nell’art.
3.
La relazione afferma che siffatta prescrizione è idonea a porre un punto
fermo sulla questione della idoneità ad acquisire opere pubbliche mediante
vendita o locazione di cosa futura, o leasing immobiliare.
Non si comprende
se una simile affermazione sia diretta a sancire l’impossibilità di
utilizzare i contratti da ultimo citati. Se così fosse, la stessa relazione
sarebbe in contraddizione con se stessa, laddove – immediatamente dopo – afferma
che l’appalto può comprendere l’esecuzione con qualsiasi
mezzo dell’opera, e pertanto – sembra – con qualsiasi strumento
contrattuale, quindi anche con la vendita di cosa futura o il leasing immobiliare.
Al riguardo si deve comunque osservare che una limitazione del genere precluderebbe
la possibilità di ricorrere ai richiamati contratti, quando situazioni
particolari lo richiedano (si pensi all’opera da eseguire su un’area
precisamente individuata, non sostituibile in alcun modo, di proprietà di
un’impresa costruttrice: secondo la relazione si dovrebbe procedere dapprima
ad espropriare l’area e successivamente ad indire la gara, con irragionevole
aumento di tempi e di costi).
Il comma 2 consente alle stazioni appaltanti di avvalersi – “tenendo
conto delle esigenze, delle strutture organizzative e dei mezzi economici” a
propria disposizione – delle figure sia dell’appalto di sola esecuzione
dei lavori, sia dell’appalto di progettazione ed esecuzione dei lavori
(c.d. appalto integrato). In questo secondo caso è loro dato commettere,
sempre sulla base del delineato presupposto, unitamente all’esecuzione
dei lavori, o la progettazione esecutiva ovvero quella definitiva ed esecutiva.
Si è già osservato nella parte generale che si tratta di una
delle norme maggiormente innovative della disciplina attualmente vigente, ma
si è anche detto che essa è coerente con la disciplina europea
e con la delega.
In aggiunta alle osservazioni formulate nella parte generale si può osservare,
in ordine alla delibera a contrarre che disponga l’appalto integrato,
che potrebbe richiedersi con maggiore incisività una analitica motivazione
atta a dar conto delle ragioni economiche, tecniche ed organizzative circa
la determinazione assunta, con miglioramento della trasparenza delle scelte
di base normalmente effettuate all’atto di impostare le gare pubbliche.
Art. 56 (Procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara)
Al comma 1, l’aggettivo “inaccettabili”, riferito alle offerte,
appare impreciso anche se – da una lettura letterale del contesto della
norma – sembra riferito alla sola ipotesi del dialogo competitivo.
Art. 57 (Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara)
Si richiamano le considerazioni innanzi svolte a proposito dell’art.
53, comma 2, che presenta problematiche di carattere generale simili.
Art. 58 (Dialogo competitivo)
Il dialogo competitivo sembra rappresentare uno strumento interessante ai
fini dell’esecuzione delle opere pubbliche
Il meccanismo sembra peraltro ancora da affinare.
Art. 62 (Numero minimo dei candidati da invitare nelle procedure ristrette,
negoziate e nel dialogo competitivo – Forcella)
Si rileva che, nel recepimento dell’istituto del c.d. numero minimo,
la scelta del Governo è stata nel senso di indicare nel bando di gara
i criteri e le norme, obiettivi e non discriminatori, che si intendono applicare
nonché il numero minimo dei candidati che si intendono invitare.
Si inserisce la specificazione che si deve trattare di criteri e norme “pertinenti
all’oggetto del contratto”.
Tale specificazione non è nel testo della direttiva e si segnala che
apparentemente essa potrebbe comportare una limitazione eccessiva della discrezionalità amministrativa
e del buon andamento dell’azione amministrativa. Sembrerebbe, pertanto,
preferibile fissare le possibilità di scelta dell’amministrazione
(relative alla individuazione dei candidati da invitare) con riguardo a determinate
caratteristiche – indicate in modo trasparente ed oggettivo – anche
dei soggetti e non solo dell’oggetto del contratto.
Invero, la pertinenza all’oggetto del contratto dei criteri e delle norme
limitative della partecipazione non sembra poter escludere qualche rilevanza
di limitazioni soggettive che trovino ragione in peculiari caratteri dell’oggetto
del contratto e delle prestazioni. Del resto, proprio per questo motivo, l’art.
44 della direttiva prevede che le amministrazioni possano richiedere livelli
minimi di capacità per un determinato appalto, connessi e proporzionati
all’oggetto del contratto.
Quanto poi al numero massimo di candidati, si ritiene che esso possa essere
stabilito senza riguardo alle stesse ragioni oggettive, ma debba allora tenersi
conto delle esigenze di efficienza della procedura.
Valuti il Governo, quindi, l’opportunità della riformulazione
dell’inciso “pertinenti all’oggetto del contratto”,
inserendo il riferimento ai livelli minimi di capacità di cui all’art.
44, comma 2, che gli offerenti devono possedere, nonché parametrando
l’istituto della forcella (ossia la fissazione del numero massimo dei
candidati) ad esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa.
Art. 66 (Modalità di pubblicazione degli avvisi e dei bandi)
Non trova alcuna giustificazione ed appare, anzi, in contrasto con il principio
generale di semplificazione la previsione che meccanicamente reintroduce,
a livello di fonte legislativa (e non di regolamento), la pubblicazione degli
avvisi e dei bandi sui quotidiani.
Essa suscita, inoltre, perplessità anche sotto il profilo dell’incremento
dei costi e va pertanto espunta dal testo. Peraltro, anche la contestuale pubblicazione
sul sito informatico dell’Osservatorio presso l’Autorità e
su quello previsto dal d.m. n. 20 del 2001 (a cui le Regioni contribuiscono
senza apparenti aggravi di costo per gli utenti) appare un appesantimento non
del tutto comprensibile. In via generale sarebbe comunque necessario attuare,
in questa sede, la previsione di cui all’art. 24 della legge n. 340 del
2000, disponendo l’abolizione della pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta
Ufficiale e la loro pubblicazione su un unico sito informatico, che dovrebbe
essere individuato dallo stesso Codice.
Art. 68 (Specifiche tecniche)
Si suggerisce di esplicitare nel testo l’applicabilità della norma
agli appalti sotto soglia, menzionata nella relazione.
Art. 69 (Condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte
nel bando o nell’invito)
La norma disciplina condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte
nel bando o nell’invito, attraverso la sostanziale trasposizione del
testo delle direttive (artt. 26 della direttiva n. 18, e 38 della direttiva
n. 17 le quali, sul punto, non hanno precedenti nella normativa comunitaria)
integrandolo con riferimento ai principi del Trattato di parità di trattamento,
non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.
Peraltro va rilevato che la norma (comunitaria come nazionale) è intrinsecamente
ambigua, poiché le peculiari condizioni di esecuzione possono incidere
sulle condizioni di concorrenzialità del mercato, in modo tale da discriminare
o pregiudicare alcune categorie di imprenditori, così determinando un’incompatibilità delle
previsioni del bando o dell’invito con il diritto comunitario.
A fini di certezza del diritto si potrebbe prevedere che l’Autorità indipendente
del settore svolga un ruolo consultivo o di controllo sulla legittimità dei
bandi e degli inviti che abbiano inserito condizioni particolari di esecuzione,
rispetto alle quali possano sorgere dubbi di compatibilità comunitaria.
Art. 70 (Termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione
delle offerte)
La norma appare non perfettamente coordinata con il comma 11 che prevede, in
attuazione dell’art. 38, comma 8, della direttiva citata, i termini minimi
da rispettare in via eccezionale in caso di impossibilità di rispettare
i termini minimi ordinari nelle procedure ristrette (disciplinate dai commi
3 e 4) e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara (già disciplinate
dal comma 5).
Si rileva in particolare che alcun termine minimo è previsto per la
ricezione delle offerte nel caso dell’impossibilità di rispettare
i termini minimi ordinari di cui al comma 5, con riferimento alle procedure
negoziate non precedute da pubblicazione di bando di gara ed al dialogo competitivo
(pure disciplinate dal comma 5). Sicché per tali procedure andrebbe
quantomeno precisato che, per quanto possibile, l’amministrazione dovrà rispettare
la clausola generale di cui allo stesso art. 70, comma 1.
Art. 73 (Forma e contenuto delle domande di partecipazione)
L’art. 73, che introduce una nuova disciplina sulla forma e sul contenuto
delle domande di partecipazione, non ha un corrispondente nelle direttive e
nel diritto nazionale previgente. La relazione al testo specifica di avere
ritenuto opportuno introdurre una norma generale su forma e contenuto delle
domande di partecipazione, codificando alcuni principi che costituiscono diritto
vivente.
Per il suo contenuto la disciplina potrebbe trovare sede più appropriata
nel regolamento, essendo comunque ovvio che, anche se elevata al livello legislativo,
non è vincolante per le Regioni.
Art. 81 (Criteri per la scelta dell’offerta migliore)
La delega, all’art. 25, comma 1, lett. d), contiene un esplicito conferimento
di potere al Governo, volto all’adeguamento della normativa alla sentenza
della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella
causa C-247/02, per cui la norma in esame costituisce puntuale attuazione del
criterio direttivo di delega menzionato.
La disposizione del Codice ha rimesso la scelta tra i criteri di aggiudicazione
all’amministrazione, che dovrà orientarsi secondo un parametro
di adeguatezza alle caratteristiche dell’oggetto del contratto.
Rileva la Sezione che – al di là della precisa definizione della
nozione di oggetto del contratto ai fini della esegesi della norma in esame – sarebbe
preferibile non limitare il parametro del potere dell’amministrazione
in relazione al solo oggetto del contratto, potendo la valutazione amministrativa
valorizzare la natura del contratto ed ogni sua caratteristica peculiare; in
caso contrario, il testo corre il rischio di ridurre, nel diritto vivente,
la portata innovativa della citata sentenza della Corte, volta ad ampliare
la scelta del metodo di aggiudicazione.
Art. 83 (Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa)
Al comma 5 è citato un decreto abrogato, il d.P.C.M. n. 116 del 1997:
pertanto va soppresso il relativo riferimento e “compatibili” va
messo al singolare.
Art. 84 (Commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa)
La norma detta, in conformità al diritto nazionale previgente, ma generalizzandone
la portata, la disciplina della commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione
con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rimettendo
il resto alla naturale sede regolamentare.
Rimane comunque fermo che la materia
per sua natura rientra nella competenza esclusiva delle Regioni.
Si segnala, inoltre, che meriterebbe di trovare soluzione, nell’ambito
del vasto riordino delle fonti posto in essere, la problematica della possibilità dell’eventuale
riconvocazione della commissione, nella stessa od in diversa composizione,
dopo l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, tematica che
di recente è stata discussa nella giurisprudenza del Consiglio di Stato
con alterne pronunce e che ben potrebbe disciplinarsi in modo puntuale di fronte
ad una delega di tale ampiezza, al fine di dare certezza all’attività di
rinnovazione delle valutazioni o, comunque, all’esecuzione dei giudicati
d’annullamento (cfr. sulla tematica C.d.S., VI Sez., 1° ottobre 2004,
n. 6457; C.d.S., IV Sez., 30 giugno 2004, n. 4834; C.d.S., V Sez., 31 gennaio
2002, n. 340).
Art. 90 (Progettazione interna ed esterna, livelli di progettazione)
Al comma 1, lett. h), viene indicato, al termine dell’alinea, l’art.
235, comma 7, che non esiste nel testo proposto. Trattasi di evidente refuso.
Il riferimento potrebbe essere all’art. 35, comma 7, che infatti tratta
di consorzi stabili.
Art. 92 (Corrispettivi e incentivi per la progettazione)
In sede tecnica, la Conferenza unificata ha rilevato che nel testo della
norma mancherebbe il riferimento ai minimi tariffari previsti dall’ultimo
decreto ministeriale: il rilievo peraltro non tiene conto che nell’art.
253 (Norme transitorie), al comma 17, si stabilisce che fino all’emanazione
del decreto di cui all’art. 92, comma, 2, continua ad applicarsi quanto
previsto nel decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001.
Art. 95 (Verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di
progetto preliminare)
Si segnala, nell’ambito del comma 2 (riproduttivo dell’omologo
comma 2 del testo originario), la soppressione della parte relativa alla previsione
di spesa per il 2006 e 2007. La relazione unica agli artt. 95 e 96 chiarisce
che non si è ritenuto
di riproporre le disposizioni in tema di regime transitorio e di copertura
finanziaria in quanto il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri. Al
comma 4 – ove si tratta delle integrazioni istruttorie – sembra preferibile
mantenere l’avverbio originario “puntualmente”, ora sostituito
con “fedelmente”.
Art. 96 (Procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico)
E’ opportuno inserire nell’articolo una disposizione riproduttiva
del testo dell’art 2-quinquies del d.l., il quale disciplina, mediante
rinvio, gli adempimenti delle Regioni e delle Province autonome in tema di
verifica preventiva dell’interesse archeologico per le opere di loro
competenza.
In effetti, nella relazione unica agli artt. 95 e 96 si fa riferimento all’art.
2-quinquies, mentre le norme ora riprodotte sono solo quelle degli artt. 2-ter
e 2-quater del d.l. n. 63 del 2005. Per rendere più agevole l’esame
del testo, si segnala che, nella relazione, la specificazione relativa alla
mancata riproposizione delle disposizioni in tema di regime transitorio va
puntualizzata, registrando la collocazione nelle norme transitorie (art. 253,
comma 19) del comma 8 dell’art. 2-ter del d.l. n. 63 cit.
Art. 98 (Effetti dell’approvazione dei progetti ai fini urbanistici
ed espropriativi)
Occorre verificare se l’art. 14, comma 13, della legge n. 109 del 1994
(“L’approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione
aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza dei lavori”) avesse sempre valore meramente ricognitivo del disposto
di altre normative specifiche o non piuttosto, sia pure in ipotesi marginali,
portata costitutiva.In questo caso, l’abrogazione della legge quadro comporta che la norma
di chiusura successivamente introdotta nella legge non fa più parte
delle “norme vigenti” tenute ferme dall’art. 98, con perdita
dell’effetto costitutivo (dichiarazione di pubblica utilità implicita).
Il secondo comma riproduce l’art. 38-bis della legge n. 109 del 1994,
la cui rubrica originaria recava “Deroghe in situazioni di emergenza
ambientale”. Nel testo attuale, il riferimento alla deroga viene omesso
e la disposizione assume, così, un carattere a regime.
Al riguardo si segnala che la Corte costituzionale – giudicando della
legittimità del d.P.R. n. 447 del 1996 in tema di insediamento di attività produttive
mediante variante semplificata – con sentenza n. 206 del 2001 ha in sostanza
reintrodotto l’obbligo dell’assenso regionale alla variante, prima
non previsto, onde recuperare il ruolo fondamentale che spetta alla regione
(oltre che al comune) nell’ambito del giusto procedimento in materia
urbanistica.
Art. 99 (Ambito di applicazione e oggetto)
Al comma 2, le parole “il presente titolo” vanno sostituite con
le seguenti: “la presente sezione”.
Art. 100 (Concorsi di progettazione esclusi)
Il rinvio al comma 11 dell’art. 219 sembra frutto di un refuso, in quanto
tale comma non esiste.
Art. 101 (Disposizioni generali sulla partecipazione ai concorsi di progettazione)
Al comma 2, per una più agevole lettura, l’inciso”per i
lavori” potrebbe essere collocato, anziché all’inizio del
comma, dopo le parole “concorsi di progettazione”, nella stessa
riga.
Art. 102 (Bandi e avvisi)
Il comma 3 è sostanzialmente riproduttivo della disposizione di cui
all’art. 66, comma 15 alla quale quindi sarebbe sufficiente fare rinvio.
Tuttavia, ove si volesse mantenere in forma estesa la disposizione, questa
andrebbe comunque corretta sostituendo l’inciso “in conformità ai
commi che precedono” con il seguente: “secondo le modalità di
cui ai commi che precedono”.
Art. 103 (Redazione e modalità di pubblicazione dei bandi e degli avvisi
relativi ai concorsi di progettazione)
Nella relazione è erroneamente indicato come fonte l’art. 71 della
direttiva, anziché l’art. 70.
Art. 105 (Selezione dei concorrenti)
Per garantire il rispetto della effettiva concorrenza, postulato dall’art.
72 della direttiva, in caso di limitata partecipazione viene previsto un
numero minimo di dieci concorrenti: si tratta di una scelta di carattere discrezionale,
che appare comunque coerente con la sistematica del Codice.
Art. 107 (Decisioni della commissione giudicatrice)
L’articolo recepisce l’art. 74 della direttiva n. 18 con talune
modifiche non sostanziali (inversione dei commi 3 e 4 dell’art. 74; sostituzione
delle parole “sino al parere o alla decisione della commissione aggiudicatrice” con
le altre “sino alla conclusione dei lavori”) che sembrano però introdurre
un profilo di illogicità del testo proposto.
Infatti, se la commissione deve rispettare l’anonimato “fino alla
conclusione dei lavori” non può instaurare un dialogo con i concorrenti.
Si suggerisce pertanto di ricalcare più puntualmente il testo della
direttiva, che infatti impone l’anonimato solo fino all’adozione
dell’eventuale parere sui punti che vanno chiariti.
Art. 108 (Concorso di idee)
La disposizione in esame riprende la disciplina dettata dall’art. 57
del d.P.R. n. 554 del 1999, apportandovi condivisibili modifiche.
In particolare, al comma 2 la parola “tempo” (“il tempo di
presentazione della proposta”) è stata sostituita dalla più appropriata
parola “termine”, mentre il comma 4 sottolinea la necessità,
peraltro indiscussa pur a fronte del dubbio testo del d.P.R., che il “congruo
premio per l’idea migliore” sia predeterminato nel bando di gara.
Va sottolineato tuttavia che al comma 3, secondo periodo (“Per i lavori,
nel bando non possono essere richiesti elaborati di livello superiore a quelli
richiesti per il progetto preliminare”) le parole “per i lavori” sono
aggiunte, così determinandosi una possibile restrizione dell’area
di operatività della norma rispetto all’omologa previsione del
regolamento: si tratta di modifica, pur compatibile con il criterio di semplificazione
di cui alla legge delega, che appare di dubbia opportunità.
Art. 109 (Concorso in due gradi)
L’articolo evoca, con alcune varianti formali, le previsioni racchiuse
nell’art. 59, commi 6 e 7, del d.P.R. n. 554 del 1999: risulta erroneo,
pertanto, il richiamo della rubrica all’art. 58 di quel testo normativo,
che disciplina il contenuto del bando per il concorso di idee.
Del citato comma 6 sono state soppresse le seguenti frasi: “Per i premi
e i rimborsi spese si applica quanto previsto ai commi 4 e 5. I tempi di presentazione
delle proposte non possono essere inferiori a novanta giorni per il primo grado
e a centoventi giorni per il secondo grado”. La soppressione sembra coerente
con l’ottica della semplificazione di cui alla legge delega.
Art. 111 (Garanzie che devono prestare i progettisti)
Il comma 2 (di carattere innovativo) demanda alla fonte regolamentare (nel
rispetto del comma 1 e nei limiti di compatibilità) la disciplina
delle garanzie dovute dai progettisti negli appalti di servizi e forniture,
stabilendo una soglia minima (un milione di euro) al di sotto della quale
non sono dovute garanzie.
La norma pone obblighi nuovi a carico dei professionisti
incidendo sulle modalità di esplicazione dell’attività
professionale.
Pur opportuna, la norma appare quindi di dubbia compatibilità con
i limiti della delega. In questa stessa ottica non appaiono fondate le
richieste delle Regioni che intendono estendere la garanzia assicurativa
anche ai geologi
e a tutte le figure che concorrono alla definizione della progettazione
esecutiva.
Art. 112 (Verifica della progettazione prima dell’inizio dei lavori)
In difformità rispetto all’art. 30, comma 6 (il quale prevede
la verifica dei progetti prima dell’inizio delle procedure di affidamento,
ipotesi non praticabile quando la progettazione è affidata, in parte,
all’aggiudicatario), sono previste diverse cadenze temporali della verifica
della progettazione, a seconda che la stessa sia separata dall’appalto
di lavori, o ne formi oggetto insieme all’esecuzione. Tale modificazione,
evidenziata pure dalla relazione, è chiaramente ispirata al criterio
di delega della semplificazione delle procedure attuali.
Art. 113 (Garanzie di esecuzione e coperture assicurative)
L’art. 113 (è erroneo il richiamo della relazione all’art.
100) generalizza la soluzione racchiusa nell’art. 30, commi 2, 2-bis
e 2-ter della legge n. 109 del 1994.
Nel comma 5 (e non nel comma 3, come affermato nella relazione) è previsto
che la garanzia copra gli oneri per il mancato od inesatto adempimento e cessa
di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio
o del certificato di regolare esecuzione. In tal modo si è opportunamente
sanato un difetto di coordinamento dell’art. 30 della legge n. 109 del
1994 con la reintroduzione del certificato di regolare esecuzione.
In questa fattispecie, pur a fronte di una diffusa e condivisa esigenza, rappresentata
anche nella relazione, di una disciplina più fluida ed analitica del
meccanismo di svincolo progressivo della cauzione, il testo si mostra molto
rigoroso nel non forzare i limiti della delega: si tratta infatti di materia
che rientra nell’ambito dell’ordinamento civilistico.
Diversamente da come indicato nella relazione, la norma transitoria di cui
all’art. 30, comma 2-ter, ultimo periodo, della legge n. 109 del 1994
non è riprodotta tra le norme transitorie.
Art. 115 (Adeguamento dei prezzi)
L’articolo in esame riproduce il comma 4 dell’art. 6 della legge
24 dicembre 1993, n. 537 – Interventi correttivi di finanza pubblica – il
quale recita: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa
debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione
viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili
della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6”.
Il richiamato comma 4 è stato trasfuso nell’articolo in esame
con la precisazione che si tratta di contratti ad esecuzione periodica o continuativa “relativi
a servizi o forniture”.
Il meccanismo prima disciplinato dal richiamato comma 6 è oggi disciplinato
dall’art. 7, commi 4 e 5, del Codice.
Si osserva, tuttavia, che ai sensi dell’art. 256 del Codice risulta abrogato
l’intero art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e non solo l’art.
6 in parte qua (come evidenziato nella relazione all’art. 115).
Si sottolinea, infine, la necessità di una revisione formale dell’ultimo
periodo (di cui all’art. 7, comma 4, lett. c) e di cui al medesimo art.
7, comma 5).
Art. 117 (Cessione dei crediti derivanti dal contratto)
L’articolo coordina in un unico testo, con lievi adattamenti, le soluzioni
incorporate nell’art. 26, comma 5, della legge n. 109 del 1994 e nell’art.
115 del regolamento, recato dal d.P.R. n. 554 del 1999.
In ordine alla forma della notifica delle cessioni di crediti sussistono oscillazioni
nella giurisprudenza e nella dottrina civilistica (in relazione al disposto
ex art. 1264 c.c.):
– secondo una prima tesi, per la forma della notifica non è previsto
alcun onere particolare (in giurisprudenza, per la libertà di forma,
cfr. Cass., sez. III, 10 maggio 2005, n. 9761, secondo cui la “notificazione” –
prevista dall’art. 1264 c.c. – non si identifica con gli istituti dell’ordinamento
processuale e non è, pertanto, soggetta a particolari discipline o formalità,
integrando un atto a forma libera);
– alcune pronunce di merito ammettono anche che allo scopo di rendere efficace
la cessione nei confronti del ceduto sia sufficiente la comunicazione orale
(cfr. C. App. Milano, 31 ottobre 1995);
– invece altra tesi ritiene che debbano essere sempre rispettate le forme prescritte
per la notifica degli atti giudiziari (cfr. Cass., 9 febbraio 1969, n. 341).
In considerazione della rilevanza della materia, il riordino normativo dovrebbe
quindi meglio specificare, pur nei limiti della delega, l’onere a carico
delle parti.
Art. 118 (Subappalto)
La disposizione racchiude le previsioni di molteplici disposti normativi: art.
25 della direttiva n. 2004/18/CE, art. 37 della direttiva n. 2004/17/CE,
art. 18, comma 3, n. 1) della legge 55 del 1990 (richiamato dall’art.
16 del d.lgs. 24 marzo 1992, n. 358, dall’art. 18 del d.lgs. 17 marzo
1995, n. 157 e dall’art. 21 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158).
L’art. 18 della legge n. 55 del 1990 viene trasfuso nell’art. 118
del Codice, con alcune varianti lessicali: una di queste, “affidatari” in
luogo di “aggiudicatari” estende la portata originaria della norma
a tutti i soggetti con i quali, indipendentemente da una procedura di gara,
sia stipulato un contratto per la realizzazione di lavori, per la realizzazione
di servizi o per l’effettuazione di forniture. Indipendentemente dal
lessico, in quanto sembra che si possa essere aggiudicatari di contratti o
contraenti, ma non affidatari di contratti, la disposizione estende ad ipotesi
non previste norme di prevenzione della criminalità mafiosa che sono
di stretta interpretazione. Sembrerebbe pertanto più opportuno ripristinare
il termine “aggiudicatari”.
Art. 118-bis (Attività che non costituiscono subappalto)
Si tratta di una previsione del tutto nuova che esclude la configurabilità di
subappalto (“per le loro specificità”) per due categorie
di forniture o di servizi:
a) l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi;
b) la subfornitura a catalogo di prodotti informatici.
In relazione alla lett. b), la ratio della disposizione è non facilmente
decifrabile: in ogni caso, il carattere fortemente innovativo ne rende dubbia
la compatibilità con i principi della legge delega.
Art. 122. (Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia)
Con riferimento al comma 2, solleva forti riserve la scelta di ammettere
la facoltatività dell’avviso di preinformazione, posto che lo stesso
concerne “l’importo complessivo stimato” (art. 35, par.
1, direttiva n. 18 e 41, par. 1, direttiva n. 17) di tutti i contratti che
l’amministrazione aggiudicatrice intende porre in essere in un dato
periodo.
L’avviso, così configurato, assume una valenza programmatoria,
anche per finalità di controllo sulla conformità e congruenza
delle decisioni in concreto assunte, che non può ovviamente distinguere
tra appalti sopra e sotto soglia. Proprio la caratteristica di strumento di
informazione generale e per importi complessivi impone di non considerare facoltativo
il ricorso al medesimo.
Con riferimento al comma 5 (nel fare rinvio alle osservazioni di carattere
generale sull’importo che costituisce diaframma tra diverse procedure
tra contratti di lavori pubblici sotto soglia), si osserva come siano state
introdotte metodiche di pubblicazione che, sulla falsariga di quanto si prescrive
per i contratti sopra soglia, finiscono per dare a taluni adempimenti una attitudine
preclusiva, che non risponde alla logica di semplificazione. Si allude, in
particolare, al termine di dodici giorni dalla trasmissione alla commissione,
che sicuramente integra una vicenda di mera pubblicità notizia. L’adempimento
di un onere a questi fini non può rivelarsi condizionante di adempimenti
rivolti, invece, alla piena conoscenza, tra gli operatori interessati, dell’esistenza
del bando.
L’intera struttura della disposizione risente della stretta analogia
con le prescrizioni relative ai bandi sopra soglia e va, sotto questo profilo,
opportunamente rimeditata.
Riguardo al comma 6 si rinvia, per quanto concerne i contratti che hanno ad
oggetto progettazione ed esecuzione, alle osservazioni svolte in altra parte
del presente parere.
Alla stregua di quanto considerato sub comma 2 dell’articolo vanno eliminate
le distinzioni tra contratti per i quali sia stata data preinformazione con
avviso e non.
Al comma 7 l’articolo introduce, con intento di semplificazione, una
ulteriore ipotesi di trattativa privata, ricostruita con riguardo all’art.
24, comma 1, lett. a), della legge n. 109 del 1994.
Si rammenta che in una vicenda per certi versi analoga (relativa alla formulazione
originaria dell’art. 17, comma 12, della legge n. 109 del 1994) fu aperta
una procedura di infrazione contro l’Italia. Nella legge comunitaria
2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62, art. 24) quel precetto è stato adeguatamente
modificato.
Va comunque tenuto presente il dichiarato sfavore dell’ordinamento
comunitario per tutte le fattispecie di trattativa privata.
Con riferimento al comma 9, va rilevato che la scelta di mantenere l’esclusione
automatica in esito alle operazioni di individuazione della soglia di anomalia è stata
ritenuta non rispondente alla tendenza conformativa del diritto comunitario,
che propende nettamente per il mantenimento di un dialogo con le imprese concorrenti
così da consentire giustificazioni a corredo dell’offerta anomala.
Art. 123 (Procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori)
L’articolo (che modifica la licitazione privata semplificata in procedura
ristretta semplificata) fa registrare il raddoppio dell’importo entro
il quale è consentito il ricorso ad una licitazione privata semplificata
e la contestuale riduzione del numero dei partecipanti unitamente ad altre
modifiche non solo procedimentali.
Si tratta di modifiche che, al di fuori di quelle esclusivamente procedimentali,
non sembrano coerenti coi limiti della delega legislativa.
Non si analizzano, in questa sede, i profili generali dell’interpretazione
del combinato disposto degli articoli 1, 2 e 25 di quel testo, già trattati
in altra parte del presente parere, ma solo quelli relativi alle denunciate
modifiche.
Il problema ermeneutico concerne la conformità delle su indicate variazioni
rispetto ai vigenti testi legislativi. La relazione allo schema giustifica
le innovazioni in base al criterio della semplificazione previsto dall’art.
25 della legge n. 62 del 2005.
La modificazione legislativa non è, in linea di principio, estranea
alle metodiche di semplificazione tutte le volte che nei principi e criteri
direttivi della delega sia sufficientemente chiaro il complesso di elementi
sui quali il legislatore delegato è chiamato ad intervenire. Ben diversa è la
situazione, propria del caso di specie, nella quale i principi sono vaghi e
generici e si appuntano esclusivamente sulla fase procedurale.
La formula normativa
su riportata è di quasi totale indeterminatezza, ad eccezione del riferimento
al contenimento dei tempi. Postulare che “la massima flessibilità degli
strumenti giuridici” sia concetto di tale chiarezza da avere una valenza
legittimante in ordine a modifiche significative di norme di legge tuttora
vigenti sembra contrario all’insegnamento della Corte costituzionale
(sentenza 28 luglio 2004, n. 280), secondo il quale, quando i principi e criteri
direttivi sono sostanzialmente vaghi, deve essere data una lettura “minimale”,
tale comunque da non consentire, di per sé, l’adozione di norme delegate
sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente.
La proposta modificazione degli importi non può quindi essere condivisa.
Da
ultimo si segnala che al comma 4, per un evidente errore materiale, mancano
le parole “domanda per” da collocare dopo la parola “presentare”.
Art. 124 (Appalti di servizi e forniture sotto soglia)
Si ripetono, per questo articolo, le osservazioni svolte sull’art. 122
relativamente a: avviso di preinformazione (comma 2); mancata previsione del
bando per le procedure negoziate (comma 6 sub d); scelta di mantenere l’esclusione
automatica (comma 8).
Con riferimento al comma 7, suscita altresì qualche dubbio la scelta
di affidare al regolamento l’individuazione dei requisiti di idoneità morale,
capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria degli operatori
economici.
I requisiti in esame devono essere, per la loro incidenza sui rapporti intrattenuti
dalle pubbliche amministrazioni, previsti dalla fonte primaria in quanto individuano
la qualità di soggetto idoneo ad essere parte di un contratto (anche
in aderenza a una tradizione del tutto conforme, rispetto alla quale non possono
invocarsi esigenze di semplificazione).
Art. 125 (Lavori, servizi e forniture in economia)
Le considerazioni generali sull’aumento degli importi vanno ricondotte
principalmente, anche se non esclusivamente, all’ambito precettivo del
presente articolo che legittima procedure negoziate elementari (consultazione
di almeno cinque operatori economici) per lavori di importo pari o superiore
a quarantamila e fino a cinquecentomila euro. Si tratta di metodica che, rispetto
al valore degli importi, non ha una causa legittimante normativa e che si rivela
perfino perplessa per i risvolti di utilizzo disinvolto ipotizzabile in determinate
condizioni ambientali.
Ove si faccia riferimento ad enti di dimensioni limitate, l’importo ora
previsto sembra in sostanza consentire un ricorso generalizzato alla trattativa
privata con pochi operatori.
Più in generale, a prescindere dall’individuazione in concreto
della soglia, si dubita della legittimità di un intervento normativo
innovativo in tema di lavori in economia sulla base di una delega di coordinamento
e semplificazione.
L’individuazione degli importi al di sotto dei quali è possibile
eseguire i lavori in economia è frutto di una valutazione complessa,
nella quale converge e viene esposta una serie di giudizi e conoscenze non
riducibili a uno schema meramente modificativo se non per il tramite di soggetto
particolarmente qualificato alla relativa decisione. La relativa determinazione è,
in altre parole, frutto di una sintesi di giudizi che presuppone la volontà politica
di operare nel settore (e, in ragione di tale valenza, essa è di competenza
dell’organo parlamentare, salvo il caso dell’espressa delega).
Nella determinazione di quel valore, infatti, si tiene conto di elementi statistici,
delle contingenze di situazioni settoriali, dello stato di evoluzione dei mercati,
delle metodiche di ammodernamento che regolano certe attività tecnica,
delle esigenze degli uffici pubblici, delle responsabilità conseguenti,
delle condizioni ambientali relative anche solo a una parte del territorio.
Si tratta, pertanto, di una valutazione necessariamente complessa e rispetto
alla quale non è dato configurare una sostituzione in carenza di elementi
idonei a garantire l’equivalenza del risultato sostanziale.
I servizi in economia (che nella pratica si svolgono solo attraverso il cottimo
fiduciario, essendo l’ipotesi dell’amministrazione diretta del
tutto residuale) costituiscono infatti uno strumento del tutto alternativo
alla stipula dei contratti con terzi.
In sintesi, attraverso le procedure di economia l’amministrazione svolge
direttamente (anziché appunto ricorrere a contratti) l’attività necessaria
per procurarsi i mezzi necessari al raggiungimento dei propri fini.
Ne consegue che i lavori in economia – i quali sono espletati dal funzionario
designato mediante strumenti di diritto comune e cioè contratti di cottimo
non soggetti ad approvazione – non possono essere ricondotti all’ambito
degli affidamenti sotto soglia che la legge delega consente di semplificare.
Art. 126. (Ambito di applicazione)
Va verificata in termini sistematici la congruenza del secondo comma dell’articolo
in esame (v. art. 14 della legge n. 109 del 1994) con la previsione degli avvisi
di preinformazione. Se questi ultimi recano traccia dell’intera programmazione
per importi complessivi (comprensivi degli importi inferiori a 100.000 euro), è probabile
che sia venuta meno la necessità del precetto in esame, che andrebbe,
di conseguenza, obliterato.
Art. 127 (Consiglio superiore dei lavori pubblici)
Al comma 3, nell’ultima parte della disposizione, per errore materiale
si individua il preposto al SIIT come provveditore anzi che come “Direttore
del Settore infrastrutture e Direttore del Settore trasporti” giusta
la nuova denominazione recata nel comma 3 dell’art. 9 del d.P.R. 2 luglio
2004, n. 184.
Al riguardo è opportuno valutare se non sia opportuno integrare subito
la norma, prevedendo la partecipazione della rappresentanza regionale, come
chiesto dalla Conferenza unificata e come previsto nel regolamento di riordino
del Consiglio superiore in corso di emanazione.
Art. 128 (Programmazione dei lavori pubblici)
Il contenuto del presente articolo attiene ad una materia che, come indicato
nella prima parte del presente parere, rientra nella competenza concorrente
delle Regioni: pertanto, solo i principi fondamentali da essa desumibili
costituiscono un vincolo per il legislatore regionale.
Art. 131 (Piani di sicurezza)
In linea generale appare opportuno verificare con cura la coerenza della norma
con i profili di sicurezza e salute nei cantieri temporanei o mobili, come
definiti nel d.lgs. n. 494 del 1996, di attuazione della direttiva n. 92/57
CEE, così come modificato ed integrato dal d.lgs. n. 528 del 1999.
Con riferimento al comma 1 si suggeriscono alcune correzioni formali.
In primo luogo, dal momento che i regolamenti governativi ex art. 17, comma
1, legge n. 400 del 1988 sono “emanati” con d.P.R., appare opportuno
modificare il testo attuale nel modo seguente: “Il Consiglio dei Ministri,
su proposta … , approva …”.
Inoltre, sempre al comma 1, appare preferibile sostituire le parole “nei
cantieri edili” con le altre “nei cantieri temporanei o mobili”,
secondo la dizione utilizzata nel d.P.R. n. 222 del 2003.
Al comma 5 il riferimento ai piani di cui al comma 1 non sembra esaustivo,
in quanto non ricomprende il piano di sicurezza sostitutivo ed il piano di
sicurezza operativo, disciplinati al comma 2.
In effetti, nella sistematica dell’art. 31 della legge quadro (qui riprodotto)
la clausola di nullità di riferisce alla mancanza dei piani di cui al
comma 1-bis. Nel Codice il riferimento va fatto pertanto al comma 2.
Art. 133 (Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi)
Il comma 1 estende al caso del ritardo nella emissione dei titoli di spesa
relativi al saldo la previsione degli interessi legali e moratori in favore
dell’esecutore dei lavori, non contenuta nel testo originario dell’art.
26 della legge quadro, il quale fa riferimento solo al ritardato pagamento
degli acconti.
La disposizione (oggi contenuta – forse ultra vires – nel regolamento) è del
tutto condivisibile e si inserisce nella logica di coordinare le disposizioni
vigenti nel livello normativo più adeguato che, in materia inerente
ai diritti patrimoniali delle parti contraenti, è senz’altro quello
della normazione primaria.
Art. 134 (Recesso)
Con riferimento al comma 4 appare opportuno chiarire se la “comunicazione
di scioglimento” è quella con la quale la stazione appaltante
comunica il formale recesso o (come sembra preferibile) quella con la quale
viene “preavvisato” l’esercizio del diritto in questione.
Art. 138 (Provvedimenti in seguito alla risoluzione del contratto)
Il comma 2 (erroneamente numerato) fa riferimento all’art. 116, comma
5, che non esiste.
Il riferimento sostanziale è, in realtà, alle disposizioni dell’art.
10, comma 1-ter della legge quadro che però (nonostante la diversa indicazione
contenuta nell’epigrafe dell’art. 116) sembrano riprodotte nell’art.
140, comma 1.
Art. 140 (Procedure di affidamento in caso di fallimento dell’esecutore
o risoluzione del contratto per grave inadempimento)
Al comma 4, il rinvio è al comma 3 (e non 4).
Art. 141 (Collaudo dei lavori pubblici)
Al comma 4 è utilizzato il riferimento alle “amministrazioni aggiudicatrici”,
in luogo di quello onnicomprensivo alle “ stazioni appaltanti” contenuto
nel regolamento.
Si tratta quindi di verificare se le disposizioni di rinvio contenute nell’art.
33, comma 2 superano effettivamente il problema dell’individuazione dei
casi e modalità secondo cui le stazioni che non sono amministrazioni
aggiudicatrici sono comunque tenute alla nomina dei collaudatori secondo l’art.
141.
Per quanto riguarda l’elevazione del termine finale di collaudo, concordemente
ritenuta necessaria, la soluzione più coerente col principio di semplificazione
sembra quella di mantenere l’attuale termine semestrale, consentendo
però al capitolato speciale di elevare tale limite fino ad un anno in
ragione della complessità dell’opera da collaudare.
Art. 142 (Ambito di applicazione e disciplina applicabile)
Al comma 2 si segnala che dal punto di vista meramente letterale la formula
del rinvio potrebbe essere più chiara, secondo la dizione: “Ad
esse si applica l’art. 27 del presente Codice”.
Sempre in ordine al comma 2, ed in particolare al recepimento della lett.
b) dell’art. 57 della direttiva n. 18 (che esclude dall’applicazione
delle disposizioni in materia di concessioni ed appalti di lavori pubblici
i settori “speciali”), si segnala che: a) proprio l’art.
7 della direttiva n. 17, cui fa riferimento l’art. 31 del Codice – richiamato
per quanto qui interessa dal secondo comma dell’art. 142 – riguarda
anche la “messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni
e di altri terminali di trasporti di vettori aerei, marittimi e fluviali” di
cui non sembra esserci traccia, né nell’art. 31, né nell’art.
142 del Codice; b) l’art. 57 della direttiva n. 18 prevede poi la possibilità della
sua applicazione per le concessioni di lavori pubblici rilasciate da amministrazioni
pubbliche aggiudicatrici che esercitano una o più attività di
cui all’art. 6 della direttiva n. 17 (Servizi postali) fintantoché lo
stato si avvalga della facoltà di cui all’art. 71 della stessa
direttiva n. 17 (cioè di utilizzare un termine supplementare di 35 mesi
dal 31 gennaio 2006 per l’attuazione della direttiva): sembra pertanto
che lo Stato italiano abbia inteso non utilizzare quest’ulteriore termine.
In tal caso, la circostanza andrebbe meglio chiarita dal legislatore delegato.
Art. 143 (Caratteristiche delle concessioni di lavori pubblici)
Si osserva che i primi cinque commi riproducono, secondo la relazione, il
comma 2 dell’art. 19 della legge n. 109 del 1994; tuttavia nella definizione
dell’oggetto delle concessioni dei lavori pubblici (primo comma) è scomparso
il riferimento ai “lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati,
nonché la loro gestione funzionale ed economica” (che – invero – è invece
puntualmente riportato al comma 11 dell’art. 3 del Codice). Di conseguenza
o si rinvia per quanto riguarda l’oggetto della concessione di lavori
pubblici alla predetta definizione già contenuta nel Codice o si riporta
integralmente sul punto il testo del comma 2 dell’art. 19, al fini
di non ingenerare equivoci ed incertezze.
Sul punto, però, si può ancora aggiungere che una parte della
dottrina aveva segnalato l’imprecisione terminologica della formula usata
dal legislatore, non potendo correttamente parlarsi di gestione di lavori,
bensì di gestione dell’opera realizzata (o addirittura del servizio
pubblico).
Per completezza, deve essere precisato che l’ultima parte del comma 2
dell’art. 19 della legge n. 109 del 1994 risulta essere oggetto di un
sostanziale rinvio all’art. 53 del Codice, commi 6, 7, 8, 11 e 12: anche
in questo caso la dizione utilizzata “Si applica l’articolo 53,
commi 6, 7, 8, 11, 12”, potrebbe essere riformulata per renderla armonica
con la previsione del comma in cui è inserito.
Non danno luogo a rilievi i successivi commi da 8 a 11, con l’unica osservazione
che – come ricordato nella relazione all’articolo in esame – il
comma 10, nel riprodurre l’art. 19, comma 2-quater, della legge n. 109
del 1994 non ha più previsto la partecipazione della società di
progetto alla conferenza di servizi in ragione della previsione contenuta nell’art.
14-quinquies della legge n. 241 del 1990: tuttavia, stante la sedes materiae,
si potrebbe ipotizzare quanto meno un rinvio al fine di evitare dubbi.
Art. 147 (Affidamento al concessionario dei lavori complementari)
L’articolo recepisce puntualmente l’articolo 61 della direttiva:
si potrebbe solo suggerire di aggiungere per chiarezza nel testo al comma 1 “Possono
essere affidati al concessionario in via diretta … ”.
Art. 149 (Disposizioni in materia di pubblicità applicabili agli appalti
aggiudicati dai concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatrici)
L’articolo recepisce l’art. 63 della direttiva n. 18 del 2004,
con una necessaria serie di rinvii agli articoli 66, 142, 146 e 156 del Codice
stesso (ove risultano recepiti altri articoli della direttiva richiamati nel
predetto art. 63).
Coerente con la ratio di quest’ultimo appare il settimo comma dell’articolo
in questione, così come segnalato nella relazione di accompagnamento.
Non appare invece chiaro, e comunque non sembra coerente con il testo, l’inciso
contenuto all’inizio del terzo comma “Fermo quanto disposto dall’art.
253, comma 25”: sarebbe preferibile la collocazione nell’art. 146.
Art. 153 (Promotore)
Va osservato, con riferimento al comma 3, riguardante la programmazione, che
la disposizione dovrebbe precedere, e non seguire, i commi 1 e 2, riguardanti
la presentazione di proposte.
Si tenga presente che, come avviene anche nelle legislazioni regionali, appare
preferibile disciplinare la programmazione prima dell’affidamento e del
contratto e quindi della proposta del promotore (si veda per esempio, il disegno
della legge regionale della Campania in materia, che all’art. 6 disciplina
la pubblicità della programmazione e della pianificazione, all’art.
7 prevede i requisiti del promotore e all’art. 8 disciplina le proposte).
Si rileva, ancora, che il comma 1 dell’articolo, riguardante le modalità,
i termini di presentazione della proposta e il suo contenuto, per esigenze
di chiarezza nella scrittura della legge, potrebbe essere suddiviso in più commi
(per esempio, uno riguardante le modalità formali e i termini della
proposta e l’altro riguardante il suo contenuto e i suoi effetti).
A prescindere dai limiti della delega, si osserva che la fonte delle obbligazioni
delle parti potrebbe essere individuata non solo nel rapporto concessorio ma
anche nello statuto o per esempio nei patti parasociali, eventualmente anche
di società mista.
Artt. 161-193 (Lavori relativi a infrastrutture strategiche ed insediamenti
produttivi)
L’impianto normativo del capo IV si muove sulla falsariga del decreto
legislativo 27 agosto 2002, n. 190, recante attuazione della legge 21 dicembre
2001, n. 443 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi strategici e di interesse nazionale, e delle successive modificazioni
e integrazioni, tra cui è particolarmente rilevante il d.lgs. 17 agosto
2005, n. 189, intitolato “Modifiche e integrazioni al decreto legislativo
20 agosto 2002 n. 190, in materia di redazione ed approvazione dei progetti
e delle varianti, nonché di risoluzione delle interferenze per le opere
strategiche e di preminente interesse nazionale”.
L’intero capo IV costituisce, dunque, il contenitore nel quale sono state
recepite letteralmente le disposizioni dei citati decreti legislativi, con
i necessari adattamenti e collegamenti derivanti dalla immissione di questo
specifico corpo normativo nel più articolato contesto del “Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
La trasposizione delle norme nella articolazione del capo non ha richiesto
interventi esorbitanti dai limiti della legge di delega, né alterazioni
dell’impianto normativo originario. A questo riguardo, va ricordato che
lo stesso decreto legislativo n. 189 del 2005 era impostato in modo trasparente
e lineare, distinguendo accuratamente gli interventi integrativi (art. 1) da
quelli modificativi (art. 2), questi ultimi resisi necessari anche per le pronunce
della Corte costituzionale (cfr., specialmente, la sentenza 1° ottobre
2003, n. 303), che ha definitivamente risolto, almeno nei profili fondamentali,
la complessa problematica delle competenze legislative nella materia dei “lavori
pubblici”).
Una volta chiarito che non spetta alle Regioni la competenza esclusiva in questa
materia, in relazione alla mancata inclusione di essa nell’elenco delle
materie riservate allo Stato ed in quello delle materie di competenza concorrente,
la Corte ha individuato nel principio della sussidiarietà (verticale),
integrata da quelli di proporzionalità e adeguatezza, lo snodo dei rapporti
tra Stato, Regioni e gli altri enti territoriali, con implicazioni sulle attribuzioni
non solo di competenze legislative, ma anche, a quanto pare, di potestà amministrative
nella logica della gestione unitaria.
In questa prospettiva, la specifica normativa trasfusa nel capo IV del Codice
non incide sui rapporti Stato-Regioni né sembra incontrare serie obiezioni
di carattere costituzionale relativamente a rinvii a discipline regolamentari
di dettaglio (cfr. art. 180); in proposito, tuttavia, vale la pena di sottolineare,
come del resto è accennato dagli stessi compilatori del Codice, che
il d.lgs. n. 189 del 2005 ha disciplinato direttamente “molte materie
in precedenza affidate al regolamento”.
Art. 193 (Obbligo di comunicazione)
In relazione alla partizione e al raggruppamento delle norme contenute nel
capo IV, si osserva che l’ultima sezione, la quarta, intitolata “Ulteriori
disposizioni”, sembra superflua in quanto include una norma (l’art.
193) che rientra a pieno titolo nella disciplina della precedente sezione
sui contraenti generali, atteso che essa riguarda l’obbligo di comunicazione
derivante dai contratti di appalto del contraente generale o di subappalto
degli appaltatori del contraente generale.
Art. 194 (Interventi per lo sviluppo infrastrutturale)
Si tratta di una disposizione di non agevole collocazione sugli interventi
per lo sviluppo infrastrutturale, originariamente ricompresa in una legge
di conversione “omnibus” (legge 14 maggio 2005, n. 80), recante
tra l’altro disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione
per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, oltre a deleghe al Governo
per la modifica del Codice di procedura civile in materia di processo di
cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina
delle procedure concorsuali.
Salvo che non si ritenga di espungerla dal Codice, stante la peculiarità del
suo contenuto, la norma in esame potrebbe trovare una migliore collocazione
tra l’art. 179 e 180, con l’epigrafe “Disposizioni particolari
sugli interventi per lo sviluppo infrastrutturale”.
Art. 196 (Disciplina speciale per gli appalti nel settore della difesa)
Il comma 1-bis ripropone il problema della natura di fonte del diritto (quale
contratto normativo o di norma di rango regolamentare) da attribuire ai capitolati
adottati con decreto del Ministero della difesa.
Resta da verificare la sussistenza della piena potestà regolamentare
statale nella materia di cui trattasi.
Il comma 3 afferisce alla deroga all’art. 10 del Codice; si tratta della
possibilità di nominare, in luogo di un unico responsabile, un responsabile
per ogni fase singola del procedimento attuativo.
Artt. 197-205 (Contratti relativi ai beni culturali)
Gli articoli contenuti nel Capo, in sostanza, riproducono, con i dovuti adattamenti,
la disciplina speciale per gli appalti pubblici relativi ai beni culturali
(d.lgs. n. 30 del 2004), che costituiva una disciplina quasi integrativa
del Codice sui beni culturali.
Tale disciplina si pone come derogatoria, rispetto alla disciplina generale,
in una serie di punti e cioè: materia di ambito di applicazione, appalti
misti, limiti all’affidamento congiunto e unitario, qualificazione, attività di
progettazione, direzione lavori, progettazione, sistemi di scelta e criteri
di aggiudicazione, varianti.
L’art. 2 del d.lgs. n. 30 del 2004, riguardante la sponsorizzazione, è stato
estromesso, in quanto il Codice disciplina la sponsorizzazione nella parte
generale dedicata ai tipi di contratti (art. 26).
Rispetto al decreto legislativo del 2004 il Capo in esame presenta alcune disposizioni “in
meno”, poiché alcuni principi che erano stati per la prima volta
introdotti nell’ordinamento dal suddetto decreto legislativo n. 30 del
2004 (quali il criterio di prevalenza qualitativa negli appalti misti, la possibilità di
una sponsorizzazione “tecnica”, un certo ampliamento delle soglie
entro le quali ammettere la trattativa privata) trovano oggi corrispondenza
nelle norme generali del Codice degli appalti, donde l’inutilità di
una ripetizione entro il Capo speciale dedicato agli interventi sui beni culturali.
Restano, invece, le previsioni tuttora speciali (in tema di livelli di progettazione,
di qualificazione delle imprese, sia pur tramite un mero rinvio all’apposito
regolamento ivi previsto, le varianti etc.) che costituiscono deroghe rispetto
alle corrispondenti norme generali.
Con riguardo alla materia dei lavori pubblici, in disparte ogni altra considerazione
sulla discutibile e problematica individuazione dei confini tra valorizzazione
e tutela (statale) dei beni culturali, non si pone il problema della invasione
della competenza legislativa regionale, in quanto la “materia della tutela
dei beni culturali … concerne il restauro dei medesimi, ossia una delle
attività fondamentali in cui la tutela si esplica” e per questo “fa
parte di un ambito riservato alla legislazione esclusiva dello Stato” (sentenza
n. 9 del 2004 della Corte costituzionale sulla legittimità costituzionale
del d.m. n. 420 del 2001, il c.d. regolamentino di qualificazione.
La distinzione labile tra tutela e valorizzazione – già presente
nel c.d. Codice Urbani – ha costretto il legislatore ad un difficile
equilibrio e opportunamente la normativa speciale era stata adottata di concertazione
con le Regioni e approvata dopo il parere espresso in sede di Conferenza Unificata
Stato, Regioni, autonomie locali.
La disciplina riprodotta non riporta i commi 3, 4 e 5 dell’art. 1 del
d.lgs. n. 30 del 2004, in quanto i rapporti tra Stato, Regioni e enti locali
sono regolati in via generale dall’art. 5 del Codice.
Art. 206 (Norme applicabili)
La norma individua le disposizioni del Codice applicabili anche ai settori “speciali” (già settori
c.d. “esclusi”), di cui alla direttiva n. 17, attraverso un duplice
rinvio, alle disposizioni del Codice di carattere generale applicabili, nonché alle
disposizioni della Parte II, relativa ai settori ordinari, che si ritengono
applicabili anche ai settori speciali.
La tecnica redazionale in tal modo adottata appare meritevole di apprezzamento,
tuttavia essa necessita di un’accurata verifica, per evitare che previsioni
normative comuni ai due settori vengano espunte da quello in argomento.
Ad esempio, nel comma 1 si richiama, quale norma di derivazione non comunitaria,
l’art. 55 della Parte II, relativo alle tipologie, presupposti e caratteristiche
dei procedimenti di aggiudicazione (aperti o ristretti). Di tale norma l’articolo
in esame richiama solo i commi 3, 4, 5 e 6 e non anche il comma 1, il quale
impone alle amministrazioni aggiudicatrici di indicare la tipologia procedimentale
prescelta sin dalla delibera di contrattare. Tale esclusione non appare spiegabile
quanto meno sul piano sistematico, tenuto conto che il precetto di provvedere
alla predetta indicazione è già contenuto in via generale nell’art.
11, comma 2 del Codice, che impone, appunto, di individuare “i criteri
di selezione degli operatori economici” nella determinazione di contrattare.
Non appare pertanto chiaro il motivo di tale mancato richiamo al comma 1 dell’art.
55.
Per converso, appare opportuno verificare l’esattezza di un richiamo
generico alla Parte I, e quindi anche alle definizioni dell’art. 3, che
per gli appalti pubblici di servizi fa riferimento all’Allegato II del
Codice, il quale non corrisponde all’elencazione dell’allegato
XVII della direttiva n. 17.
Il secondo comma dell’articolo consente all’ente aggiudicatore
di applicare ulteriori disposizioni della Parte II, relativa ai settori ordinari,
indicandole nelle comunicazioni preliminari alla gara.
La riportata disposizione, in primo luogo, sembrerebbe contrastare con l’apparente
tassatività dell’esclusione delle disposizioni della parte II
ai settori speciali, contenuta nel comma 1 dell’art. 31 del Codice. In
secondo luogo, essa appare in contrasto con la specialità dei settori
in questione, connessa alle esigenze di semplificazione e di modernizzazione
negli stessi settori, formulate sia dagli enti aggiudicatori sia dagli operatori
economici nel contesto delle risposte al Libro verde adottato dalla Commissione
il 27 novembre 1996 ed espressamente indicate nel primo considerando della
direttiva n. 17 quale ragione della sua emanazione. Ora, affidare ai singoli
enti aggiudicatori la potestà – almeno apparentemente incondizionata
– di vanificare quelle ragioni di specialità, pone seri dubbi di conformità alla
direttiva stessa.
Ove si ritenga, tuttavia, di mantenere la predetta deroga al principio, dichiarato
nello stesso Codice, di non applicazione generalizzata delle disposizioni della
parte II a seguito delle determinazioni discrezionali dell’amministrazione
interessata, sarebbe doveroso, quanto meno, richiamare il rispetto del contrapposto
principio di proporzionalità, in relazione alla natura, complessità e
importanza dell’appalto, con conseguente onere di congrua motivazione
della scelta compiuta nei singoli casi concreti.
Art. 207 (Enti aggiudicatori)
Le lettere a) e b) del comma 1 sembrano pleonastiche, essendo sufficiente,
per evidenti ragioni di snellimento e non duplicazione, il richiamo alle
identiche definizioni dell’art. 3, comma 29, del Codice.
Si segnala che la relazione all’articolo in esame parla, con riguardo
agli “elenchi” degli enti aggiudicatori già previsti dall’art.
10 del d.lgs. n. 158/1995, di un comma 4 che non esiste. L’art. 207,
infatti, consta di soli due commi.
Art. 210 (Servizi di trasporto)
Sempre per motivi di correttezza del linguaggio, al comma 1 appare opportuno
fare precedere l’avverbio di mezzo “mediante” dall’avverbio
disgiuntivo “ovvero”. Analoghe considerazioni possono valere
per il termine comunitario di “condizioni”, rispetto al quale
appare più corretto il termine “prescrizioni”. Infatti,
di “prescrizioni” parla, appunto, l’art. 5 del d.lgs. n.
158/1995. Sembrerebbe più corretto, pertanto, dire “se il servizio
viene fornito secondo le prescrizioni … come ad esempio quelle …”.
Il mancato richiamo alle esclusioni contenute nel par. 2 dell’art. 5
della direttiva n. 17, che la relazione giustifica con il fatto che la predetta
esclusione già è contenuta nell’art. 23 del Codice, appare
perfettibile con l’esplicitazione iniziale, al comma 1, di tale riferimento
del tipo “Ferme restando le esclusioni di cui all’art. 23 …”.
Art. 211 (Servizi postali)
In disparte il rilievo circa una scarsa coerenza interna del linguaggio
usato nel comma 1 rispetto alle forme usate negli articoli precedenti (sembra
infatti
preferibile la formula “Le norme della presente parte si applicano
alle attività …”), non appare chiaro il riferimento “esclusivo”,
per i servizi postali ed attività connesse, alla sola Parte III: riferimento
che sembra contraddire al richiamo ben più ampio contenuto nell’art.
206.
Occorre inoltre rivedere il comma 3, il quale, per come è attualmente
formulato, sembra dire esattamente il contrario del disposto dell’art.
5, lett. c), ultimo capoverso, della direttiva n. 17.
Art. 213 (Porti ed aeroporti)
Sostituire, anche a fini di coerenza terminologica interna, le parole “Parte
III” con le parole “presente Parte”. La presente osservazione
vale per tutti gli altri articoli e pertanto essa non sarà più ripetuta.
Art. 214 (Appalti che riguardano più settori)
La norma disciplina l’ipotesi di appalti ad oggetto complesso, riguardante
più settori, applicando, in analogia alla teoria civilistica dell’assorbimento,
il principio della prevalenza della fonte normativa secondo il criterio dell’attività principale,
come dispone l’art. 9 della direttiva n. 17.
Valuti, al riguardo, l’Amministrazione l’opportunità di
specificare il concetto di “attività principale”, eventualmente
ricorrendo alle indicazioni esemplificative fornite nel 29° considerando
della stessa direttiva, che fa riferimento, come indici rivelatori, agli importi
ed alle voci dei capitolati d’oneri.
Al comma 4 appare pleonastico (e perciò da cancellare) il puntuale riferimento
all’art. 206, in quanto già assorbito al richiamo alle disposizioni
dell’intera Parte III.
Art. 215 (Importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria
nei settori speciali)
Il richiamo puntuale alle singole norme relative alle esclusioni di cui alla
Parte I sembrerebbe pleonastico (e quindi da cancellare) alla luce del più generale
richiamo alla stessa Parte I contenuto nell’art. 206.
Sarebbe opportuno chiarire cosa si intenda con la formula, di integrale trascrizione
della lettera dell’art. 16 della direttiva n. 17, “concernente
l’esercizio dell’attività in questione”: formula che,
in quanto riferita alle previsioni dell’art. 219, sembrerebbe del tutto
inutile e perciò da sopprimere.
Art. 216 (Concessioni di lavori e di servizi)
Nell’attuale formulazione la norma si presta ad equivoci, sembrando
contemplare, oltre che le disposizioni della presente Parte III, anche quelle
dell’art.
30 del Codice.
Sembra quindi preferibile una riformulazione del seguente tenore: ”Ferme
restando le disposizioni dell’art. 30 in tema di concessioni di servizi,
la presente Parte non si applica alle concessioni di lavori e servizi …”.
Art. 218 (Appalti aggiudicati ad un impresa comune o ad un’impresa collegata)
La norma recepisce le disposizioni dell’art. 23 della direttiva n. 17,
la quale esclude dalla propria applicazione gli appalti di lavori servizi e
forniture aggiudicati (meglio sarebbe dire “stipulati”) all’interno
di una relazione strutturale di collegamento, instaurata ai sensi del d.lgs.
n. 127 del 1991 (attuativo delle norme comunitarie richiamate nel par. 1 dell’art.
23 citato) ovvero all’interno di una “joint-venture”, come
la qualifica espressamente la stessa direttiva.
In primo luogo, sembra opportuno limitare l’esclusione alle disposizioni
della ”presente Parte” e non a quelle dell’intero “presente
decreto” o “Codice”.
Relativamente al comma 4, innanzitutto appare opportuno inserire dopo le parole “non
si applica” la parola “inoltre”. Quanto alla dizione comunitaria
di joint-venture, si rileva che essa è stata sostituita con quella di “associazione,
consorzio o impresa comune”, riprendendosi la formula dell’art.
8, comma 3, del d.lgs. n. 158/1995. Nonostante le spiegazioni fornite dall’Amministrazione
nella sua relazione, ritiene la Sezione opportuno un più appropriato
adeguamento terminologico, tenuto conto che le formule utilizzate nell’articolo
in esame non sembrano del tutto coerenti con la nozione comunitaria.
Possono
soccorrere, al riguardo, le acquisizioni della giurisprudenza della Corte di
Cassazione, la quale ha chiarito che la figura, di origine anglosassone, delle “joint
venture” e – fra l’altro e più in particolare – quelle delle “joint
venture corporations”, serve ad individuare anche nel nostro ordinamento
(per distinguerle da altre forme di associazione, come quella in partecipazione)
forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica
in un settore di comune interesse, nelle quali le parti prevedono la costituzione
di una società di capitali, con autonoma personalità giuridica
rispetto ai “conventerers”, alla quale affidare la conduzione dell’iniziativa
congiunta (cfr. Cass., sez. III, n. 6757 del 17 maggio 2001; cfr. anche n.
6610 dell’11 giugno 1991).
In sostanza, la nozione di joint-venture sembrerebbe presupporre la costituzione
e l’esistenza di una vera e propria struttura societaria, anziché di
una mera associazione in partecipazione, o associazione temporanea o cointeressenza
di natura consortile, in quanto solo la prima postula l’assunzione istituzionale
in comune della responsabilità e dei rischi dell’impresa. In estrema
sintesi, dovrebbe essere adeguatamente valutato il rischio, attraverso una
nozione potenzialmente impropria di joint-venture, di una previsione contrastante,
per ampiezza, con le prescrizioni comunitarie.
Art. 219 (Procedura per stabilire se una determinata attività è direttamente
esposta alla concorrenza)
La norma ricorre all’uso frequente della forma impersonale che, sebbene
già usata nella norma comunitaria, pone problemi interpretativi ed applicativi.
Quando si dice, ad esempio che per determinare se un’attività è direttamente
esposta alla concorrenza, “si ricorre” a criteri conformi alle
disposizioni del trattato, ovvero che, se non è possibile presumere
il libero accesso a un mercato, “si deve dimostrare” che l’accesso
al mercato in questione è libero di fatto e di diritto, sarebbe assai
più opportuno, ai fini di una corretta ed utile tecnica redazionale,
esplicitare il soggetto dell’azione e l’eventuale complemento.
L’osservazione non appaia formalistica, poiché, proprio ai fini
della comprensione del procedimento, occorre sapere se sia l’ente aggiudicatore
a dover dimostrare all’Autorità, o al Ministero, o ad entrambi,
ovvero se sia solo il Ministero a dover dimostrare alla commissione (ma sulla
base di quali canali di informazione?) l’esistenza di una situazione
concorrenziale di fatto e di diritto.
Sarebbe altresì necessario chiarire meglio la dizione comunitaria, ripresa
nel comma 4, “ove del caso unitamente alla posizione assunta da una amministrazione
nazionale indipendente competente nella attività di cui trattasi”.
Appare preferibile dire che il Ministero comunica alla commissione tutti i
fatti …”nonché le eventuali determinazioni assunte al riguardo
dalle Autorità indipendenti”.
Anche il comma 8 merita un chiarimento in ordine al fatto che il decreto ministeriale
debba rendere pubbliche nell’ordinamento interno le decisioni della commissione
elencando le relative attività escluse. In altri termini occorre sapere
se ad ogni decisone della commissione consegua, di volta in volta, l’indicazione
ministeriale. Dovrebbe essere altresì prevista la pubblicazione sulla
Gazzetta ufficiale a fini di adeguata pubblicità.
Art. 220 (Procedure aperte, ristrette e negoziate previo avviso di gara)
Dopo l’avverbio “ovvero” sostituire l’articolo “il” con “mediante”.
Art. 221 (Procedura negoziata senza indizione di gara)
La lett. a) del comma 1 non appare chiara, forse perché dopo la parola “modificate” andrebbe
un punto e virgola.
Alla lett. d), ultimo rigo, non si capisce a che sia riferito l’aggettivo “originarie”,
anche se la formula è ripresa totalmente dalla disposizione comunitaria.
Alla lett. e), in fondo, la parola “Ente” va scritta in minuscolo.
Alla lett. k) non si comprende cosa siano i “servizi in questione”.
La parola “Amministrazione” va scritta in minuscolo.
Art. 222 (Accordi quadro nei settori speciali)
La norma, relativa all’accordo quadro, meriterebbe di essere rivista
per le seguenti considerazioni.
Non è ritrascritto, seppure con gli eventuali aggiustamenti, l’art.
14 della direttiva n. 17, pure richiamato nella rubrica, ma solo l’art.
16 del decreto n. 158/1995, che, si dice nella relazione, non risulta modificato
dalla direttiva. In realtà le differenze tra i due testi, comunitario
ed interno, appaiono significative quanto a presupposti, modalità ed
effetti dell’accordo quadro e ciò impone di rivalutare la questione.
Si dà di nuovo una definizione che già è contenuta nell’art.
3 ed in parte diversa da essa.
Per le soglie si fa riferimento all’art. 28 del Codice, anziché all’art.
215, che sembra la sede più appropriata.
Art. 223 (Avvisi periodici indicativi ed avvisi sull’esistenza di un
sistema di qualificazione)
Occorre valutare se la data del 31 dicembre sia coerente con i tempi di
approvazione delle leggi e dei documenti finanziari e contabili, sulla base
dei quali possono
fondatamente farsi previsioni di spesa. Dopo “comma 35” aggiungere “i
dati seguenti”.
Alla lett. a), non si comprende perché ed in base a quali competenze
le modalità “dei riferimenti” alle voci della nomenclatura
CPV (questa espressione sembra più corretta rispetto a “di riferimento”)
debbano essere affidate al Ministero dell’economia e delle finanze e
non, ad esempio, all’Autorità o al Ministro delle politiche comunitarie.
Art. 225 (Avvisi relativi agli appalti aggiudicati)
Al comma 3 togliere le parole “al più tardi”.
Art. 226 (Inviti a presentare offerte o a negoziare)
Al comma 1, lett. a), dopo “complementari” aggiungere il punto
e virgola e togliere “oppure”, secondo i criteri redazionali dell’ordinamento
italiano già ricordati.
Al comma 2, poiché la disposizione si riferisce all’ipotesi in
cui la documentazione complementare si trovi presso altre amministrazioni o “ente
diverso”, sarebbe meglio sostituire la parola “servizio” o “servizi” (che
sembrerebbe riferirsi a strutture della stessa amministrazione aggiudicatrice)
con “ente”. Dopo le parole “pagamento della somma” aggiungere
l’avverbio “eventualmente”. Analogamente alla lett. g) del
comma 6.
Art. 227 (Termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione
delle offerte)
Al comma 2 si dispone che nelle procedure aperte il termine minimo per
la ricezione delle offerte è di 52 giorni dalla data di trasmissione “dell’avviso
di gara”. Al riguardo si osserva che l’omologa disposizione dell’art.
45 della direttiva n. 17 prevede e dispone che il termine minimo per la ricezione
delle offerte è di 52 giorni dalla data di trasmissione “del bando
di gara”. Analogamente dispone, con riferimento al “bando”,
l’art. 17 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158, relativo anch’esso
ai termini per la presentazione delle domande e delle offerte. Del bando di
gara, ai fini della determinazione dei termini dilatori per la partecipazione
alla gara, tratta anche la disciplina sui lavori pubblici (art. 79 del d.P.R.
n. 554 del 1999).
Ora, anche se l’avviso di gara soddisfa, al pari del bando, ad un’esigenza
di pubblicità della gara specificando i requisiti di idoneità delle
potenziali contraenti che sono richiesti per la partecipazione alla gara e
gli altri elementi essenziali della procedura (cfr. artt. 63-65 del regolamento
di contabilità di Stato di cui al r.d. n. 827 del 1924) sarebbe opportuno
mantenere il riferimento al “bando”.
Al comma 3, lett. a), primo rigo, togliere “a” prima di “ai”.
Sostituire “inviato alla pubblicazione” con “pubblicato”.
Alle lett. a) e c), se i termini indicati sono termini minimi, suscettibili
di innalzamento in relazione alla complessità dell’appalto, ai
sensi del comma 1, sarebbe corretto togliere “di regola” prima
dell’indicazione dei predetti termini; ciò al fine di non ingenerare
confusioni e sovrapposizioni rispetto alla previsione generale del comma 1.
Sempre con riferimento alla lett. c), valuti l’Amministrazione se aggiungere
dopo le parole “data dell’invito” l’aggettivo “ulteriore” o “successivo”,
apparendo evidente che l’amministrazione, ove ritenga di sperimentare
la strada del termine negoziato, non indichi subito nell’invito iniziale
la data di scadenza per la presentazione delle domande ai sensi dell’art.
226.
Al comma 4, sostituire “contiene” con “contenga”.
Al comma 6, sostituire “sito
Internet” con ”profilo di committente”,
per rispetto e coerenza con la definizione dell’art. 3.
Al comma 9, dopo “articoli 71 e 226” aggiungere “comma 6”.
Dopo le parole “sono prorogati” sostituire “di conseguenza” con “in
proporzione”, sottintendendosi, evidentemente “al ritardo nella
trasmissione o al tempo necessario per le visite o le consultazioni”.
Al comma 10, merita una più appropriata formulazione del tipo:”L’allegato
XIX contiene la tabella riepilogativa …”.
Art. 228 (Informazioni a coloro che hanno chiesto una qualificazione)
Al comma 1, sostituire il verbo servile “devono informare” con
l’indicativo “informano”. Il secondo periodo dello stesso
comma meriterebbe una migliore formulazione del tipo:”Se la decisione
sulla domanda di qualificazione richiede più di sei mesi dalla sua presentazione,
l’ente aggiudicatore …”.
Al comma 3, dopo le parole iniziali “Gli enti” sembra più snello
usare la formula sintetica “di cui al comma 1”. Sempre con riferimento
al comma 3, laddove si prevede il potere di esclusione dal sistema di qualificazione,
l’ultimo periodo secondo cui “L’intenzione di disporre l’esclusione è preventivamente
notificata …” si deve sostituire, in prosecuzione con il primo
periodo, con l’espressione, più sintetica ma anche più significativa
sul piano della tutela del singolo “nel rispetto dei principi e del procedimento
di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni”.
Art. 229 (Informazioni da conservare sugli appalti aggiudicati)
Sembra opportuno sostituire la formula della direttiva comunitaria con
la seguente, che appare maggiormente coerente con gli istituti giuridici del
nostro ordinamento: ”Gli
enti aggiudicatori, avvalendosi anche delle disposizioni di cui al d.lgs.
7 marzo 2005, n. 82 per le procedure espletate in tutto o in parte con strumenti
elettronici conservano le informazioni, relative ad ogni appalto, idonee
a rendere note le motivazioni delle determinazioni inerenti …” .
Il riferimento al nuovo Codice dell’amministrazione digitale, di cui al citato
decreto n. 82 del 2005 appare utile ed anzi necessario, tenuto conto, in particolare,
che ai sensi dell’art. 43 (norma che si ritiene applicabile anche agli
enti aggiudicatori ai sensi dell’art. 2 del medesimo decreto), concernente
la riproduzione e la conservazione documentali, i documenti degli archivi,
le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento di
cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove riprodotti
su supporti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge,
se la riproduzione sia effettuata in modo da garantire la conformità dei
documenti agli originali e la loro conservazione nel tempo.
Il comma 2 va, in conseguenza, soppresso.
Al comma 3 aggiungere, alla fine, “, ed a chiunque ne abbia diritto”.
Art. 230 (Disposizioni generali)
La norma (ripresa dall’art. 51 della direttiva n. 17), nel dettare disposizioni
generali per la selezione qualitativa degli offerenti, tra enti aggiudicatori
che, rispettivamente, sono o non sono amministrazioni aggiudicatrici, solo
per i secondi prevede un terzo sistema di selezione (o di determinazione dei
requisiti di partecipazione), che è quello di cui al successivo art.
233, che a sua volta ha recepito l’art. 54 della direttiva. Quest’ultima
norma, dal canto suo, non sembra escludere le “amministrazioni giudicatrici” dalla
possibilità di procedere ad un terzo sistema di selezione dei partecipanti,
limitandosi soltanto ad una disposizione speciale che è quella del secondo
comma del par. 4.
Non sembra, pertanto (anche in mancanza di indicazioni, sul punto, da parte
della relazione) che una siffatta distinzione trovi conforto nella normativa
comunitaria.
Art. 231 (Mutuo riconoscimento delle condizioni amministrative, tecniche
e finanziarie nonché dei certificati, dei collaudi e delle documentazioni)
La norma pur se ripete la stessa espressione della rubrica della norma
comunitaria (art. 52 direttiva n. 17), appare fuorviante, sembrando trattare
della materia
dell’equivalenza dei titoli, mentre essa impone e disciplina il principio
comunitario di non discriminazione e quello interno di imparzialità e
non aggravamento del procedimento selettivo. Sembrerebbe, pertanto, opportuno,
riformulare la rubrica nel modo seguente: “Principio di imparzialità e
non aggravamento nei procedimenti di selezione e qualificazione”.
Art. 232 (Sistemi di qualificazione e conseguenti procedure selettive)
In via generale va osservato che l’articolo si presenta con una inutile
e fuorviante moltiplicazione di commi che andrebbero drasticamente accorpati
e razionalizzati, evitando pleonasmi e ripetizioni.
In ogni caso, il comma 3 meriterebbe una migliore formulazione del tipo: ”Gli
enti aggiudicatori predispongono criteri e norme oggettive di qualificazione
e provvedono, ove opportuno, al loro aggiornamento”.
Al comma 9, sembra opportuno sostituire la forma impersonale “viene redatto” con
quella personale “L’ente gestore redige”.
Al comma 12, sostituire “devono essere” con “sono”.
Al comma 14, il riferimento allo stesso coma 14 è errato. Probabilmente
il riferimento esatto è quello al comma 13.
Art. 234 (Offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi)
Il comma 1, che pure riproduce il par. 1 dell’art. 58 della direttiva
n. 17, meriterebbe una migliore riformulazione del tipo: “Le offerte
contenenti prodotti originari … di tali Paesi terzi, sono disciplinate
dalle disposizioni seguenti, salvi gli obblighi …”.
Al comma 4, togliere all’inizio “Tuttavia”, apparendo non
necessario iniziare un periodo con una congiunzione avversativa. Inoltre, il
riferimento al comma 1 appare errato, trattandosi verosimilmente del comma
2.
Al comma 5, il riferimento al comma 1 è errato, poiché quel comma
non prevede né disciplina alcuna “decisione del Consiglio”.
Al comma 6, il riferimento al comma 4 è errato, trattandosi del comma
5.
Art. 236 (Norme in materia di pubblicità e di trasparenza)
Al comma 2, sostituire “organizzato” con “espletato”.
Il secondo periodo (“Tale avviso … fissati.”) va sostituito
con: ”La predetta comunicazione è trasmessa alla commissione entro
due mesi dalla conclusione del procedimento, nei modi dalla stessa fissati”.
Art. 237 (Norma di rinvio)
Al comma 1 sostituire “Nell’organizzazione …” con “Nei
concorsi di progettazione si applicano le disposizioni del Capo III della presente
parte, nonché quelle degli artt. …”.
Conseguentemente, va abolito il comma 2.
Art. 239 (Transazione)
La relazione illustrativa riferisce che, con tali disposizioni, si crea
uno strumento agile, alternativo e facoltativo rispetto all’accordo bonario,
codificando i principi di diritto vivente in tema di transazione.
Si tratta
di norma di chiusura, che consente di transigere le liti senza formalità,
salva la necessità del parere legale dell’organo competente,
per quelle di maggiore importo.
Al riguardo, se è vero che, in via generale, non è precluso alla
pubblica amministrazione stipulare contratti di transazione è anche
vero che, proprio perché tali contratti possono avere riflessi sulla
finanza pubblica, l’ordinamento pubblicistico ha tradizionalmente circondato
la relativa conclusione di particolari cautele.
Come è noto, infatti, nel caso delle transazioni poste in essere dalle
amministrazioni statali occorre il parere dell’Avvocatura dello Stato
(e, in taluni casi, occorreva anche il parere del Consiglio di Stato).
Al fine di garantire una attenzione e ponderazione adeguata su tali contratti,
appare pertanto opportuno che la relativa competenza appartenga all’organo
amministrativo di vertice della struttura – e non al semplice responsabile
del procedimento – in coerenza con le competenze proprie dei dirigenti delineate
dal d.lgs. n. 165 del 2001.
Inoltre, tale contratto dovrà assumere forma scritta a pena di nullità in
quanto, sulla regola generale di cui all’art. 1967 Cod. civ. (che richiede,
per tale tipo di contratto, la forma solo ad probationem), deve prevalere il
principio secondo il quale i contratti della Pubblica amministrazione richiedono
la forma scritta ad substantiam.
Del resto, ai sensi del comma 18 del successivo art. 240, l’accordo bonario
ha natura di transazione. E non si spiegherebbe il complesso iter procedimentale
ivi previsto, se non con l’intento di giungere ad un ponderato apprezzamento
dei rispettivi interessi in gioco.
Più in generale, va segnalato che l’istituto della transazione
nell’ampia possibilità di utilizzo prevista dalla norma in esame
(cfr. comma 1: ”… le controversie relative a diritti soggettivi
derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi,
forniture, possono sempre essere risolte mediante transazione nel rispetto
del Codice civile”) appare destinato ad erodere spazi di utilizzazione
all’istituto dell’accordo bonario che, però, è munito
di ben più ampie garanzie procedimentali.
Art. 240 (Accordo bonario)
La relazione illustrativa riferisce che, con tale articolo, vengono recepite
le norme vigenti in tema di accordo bonario, aggiungendo alcune disposizioni
razionalizzatici, necessarie in quanto la legge n. 166 del 2002 aveva novellato
l’art. 31-bis della legge n. 109 del 1994, ma il d.P.R. n. 554 del
1999 non era stato adeguato alle modifiche legislative. All’ultimo
comma la disciplina viene estesa, nei limiti della compatibilità,
ai servizi e alle forniture.
In merito, fermo restando quanto esposto sub art. 239, si osserva che la
normativa oggi vigente (art. 31-bis, comma 1, terzo periodo della legge n.
109 del 1994,
nel testo conseguente all’art. 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002,
n. 166) non prevede più che la relazione del direttore dei lavori abbia
natura riservata.
Con il testo attualmente all’esame (art. 140, commi 3 e commi 5 del Codice)
si intende pertanto tornare alla precedente formulazione – che, appunto, prevedeva
il carattere riservato della relazione – senza che la relazione espliciti le
ragioni di tale modifica.
Occorre, pertanto, un approfondimento dell’Amministrazione sul punto,
anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali in materia, al fine di
individuare quale degli interessi in gioco debba considerarsi prevalente e
offrire agli operatori elementi di certezza.
Con riferimento al medesimo articolo, si segnalano peraltro positivamente alcuni
significativi chiarimenti rispetto al testo precedente quali: il limite alla
reiterazione della riserve, che devono essere ulteriori e diverse rispetto
a quelle già esaminate (comma 2); il tipo di competenza che si richiede
per i commissari e l’eliminazione dell’accettazione congiunta da
parte dei commissari medesimi (comma 8); la maggiore chiarezza della disposizione
relativa ai compensi (comma 10); l’individuazione del dies a quo per
la pronuncia degli interessati sulla proposta (comma 12).
Art. 241 (Arbitrato)
Va richiamata l’attenzione dell’Amministrazione sulla necessità di
coordinare tali disposizioni con quelle che sono state approvate, in via definitiva,
dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre 2005 in tema di modifiche al Codice
di procedura civile in materia di processo di Cassazione, nonché di
razionalizzazione della disciplina dell’istituto dell’arbitrato.
Art. 243 (Ulteriori norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato
dalla camera arbitrale)
Valuti l’Amministrazione se riprodurre l’art. 10, comma 3, del
d.m. n. 398 del 2000, limitatamente alla sola parte in cui stabiliva che l’ordinanza
di liquidazione della camera arbitrale costituisce titolo esecutivo.
Art. 244 (Giurisdizione)
L’Amministrazione riferisce che, con tale articolo, vengono riprodotti
l’art. 6, comma 1, legge n. 205 del 2000 e l’art. 4, comma 7, della
legge n. 109 del 1994.
La Sezione è dell’avviso che, a prescindere dalla fondatezza sistemica
della tesi sostenuta dall’Amministrazione, la innovazione proposta, attiene
all’ambito degli istituti e delle procedure di natura giurisdizionale
ed è quindi fuori delega. La norma deve essere quindi eliminata.
Art. 245 (Strumenti di tutela)
L’articolo in esame – secondo la relazione – opera una ricognizione
degli strumenti di tutela messi a disposizione dell’ordinamento.
I primi due commi, di carattere meramente ricognitivo di norme generali in
materia di giurisdizione, potrebbero essere eliminati. Particolare attenzione
meritano invece i commi 3 e seguenti, che riguardano la c.d. tutela cautelare
ante causa.
La sua introduzione si rende necessaria nel processo amministrativo relativo
ai pubblici appalti a seguito di una procedura di infrazione a carico del nostro
Paese, aperta sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia
(v., da ultimo, l’ordinanza 29 aprile 2004, nella causa C-202/03, relativa
all’ordinamento italiano), con cui la Corte ha ribadito l’esigenza
di tale forma di tutela cautelare).
Secondo il condivisibile assunto dell’Amministrazione, la delega legislativa
consente di introdurre la tutela cautelare ante causam nel processo relativo
ai pubblici appalti, in quanto si tratta di recepire le direttive nn. 2004/17
e 2004/18: infatti, sia la prima direttiva che la seconda, rispettivamente
agli articoli 72 e 81, impongono agli Stati membri di assicurare l’applicazione
delle stesse con meccanismi efficaci, accessibili e trasparenti, in conformità alle
c.d. “direttive ricorsi”.
La disciplina proposta, oltre che costituire un agile strumento a tutela dei
concorrenti pretermessi dalla gara, ha anche una funzione latamente deflattiva
del contenzioso, in quanto istituisce una sorta di primo filtro, utile a scoraggiare
appelli alla giustizia con finalità meramente dilatoria.
Sussiste peraltro il problema della possibile disparità di trattamento
che le disposizioni in esame potrebbero ingenerare.
Prevedere la tutela cautelare
ante causam solo nel settore dei pubblici appalti – pur nella peculiarità degli
interessi coinvolti – potrebbe non superare il vaglio di costituzionalità per
disparità di trattamento allorché si evidenzi che, anche in altre
materie, si è in presenza della medesima situazione giuridica soggettiva
tutelata nella materia degli appalti. Tuttavia, la portata della delega non
consente tale pur auspicabile estensione della tutela anche a settori diversi
da quelli in esame.
Valuterà pertanto l’Amministrazione se non
sia il caso di assumere una specifica ed urgente iniziativa legislativa diretta
a prevedere la tutela cautelare per la generalità dei casi di giurisdizione
amministrativa.
Sui singoli commi, si rileva che il punto centrale del nuovo istituto è contenuto
nel comma 5 che prevede che il provvedimento negativo non sia impugnabile e
quindi disciplina l’efficacia del provvedimento e la sua durata. La disposizione
va comunque meglio coordinata ed integrata con la vigente disciplina della
tutela cautelare, e in particolare con la tradizionale fase cautelare collegiale.
Si suggerisce pertanto di sopprimere il comma 5 e di sostituire il comma 6
con i seguenti due commi:
“
5. L’efficacia del provvedimento di accoglimento può essere subordinata
alla prestazione di una adeguata cauzione per i danni alle parti e ai terzi.
Esso è notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine
perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni. Il provvedimento
di accoglimento è efficace per un periodo non superiore a sessanta giorni
dall’emissione e comunque non oltre la pronuncia del collegio cui l’istanza
cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile a seguito
della proposizione del ricorso.
6. Il provvedimento presidenziale non è appellabile, ma è sempre
revocabile o modificabile dal presidente su istanza o reclamo di ogni interessato”.
Si osserva, inoltre, che il comma 3 prevede che: ”In ogni caso di eccezionale
gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica
del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all’art.
21, comma 9, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, …”.
Il comma 9 dell’art. 21 della legge n. 1034/1971, a seguito delle modifiche
della legge n. 205/2000, prevede invece che “Prima della trattazione
della domanda cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale
da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio …;
Appare evidente, al riguardo, che occorre uniformare da un punto di vista lessicale
le due previsioni, al fine di evitare difficoltà interpretative ed applicative,
e pertanto rendere identici i presupposti di fatto per l’esercizio del
potere cautelare ante causam e in corso di causa. Né la diversa sfumatura
delle due aggettivazioni – pur esistente – appare giustificata dalla
diversità della tipologia di intervento cautelare.
Il comma 4 prevede che l’istanza, previamente notificata, si proponga
al presidente del tribunale amministrativo regionale competente per il merito.
Il presidente, o il giudice da lui delegato, provvede sull’istanza, sentite,
ove possibile, le parti, e omessa ogni altra formalità.
Al riguardo, al fine di evitare possibili elusioni della normativa in materia
di competenza del tribunale – tema che, come è noto, recentemente è stato
al centro dell’attenzione della giurisprudenza, della dottrina e dello
stesso legislatore – si suggerisce di inserire, nel comma 4, alla fine, il
seguente periodo: “Le questioni di competenza di cui al presente comma
sono rilevabili d’ufficio”.
Art. 248 ((Revisione periodica delle soglie e degli elenchi degli organismi
di diritto pubblico e degli enti aggiudicatori – Modifiche degli allegati)
Al comma 1 è stato scritto “intesa” in luogo di “concerto”.
Art. 252 (Norme di coordinamento)
Al comma 1, occorre chiarire meglio il senso della disposizione, eventualmente
inserendone il contenuto nell’art. 33 ed esplicitando in termini tecnicamente
corretti le disposizioni (“in tema di CONSIP”) che si intendono
richiamare.
Al comma 1-bis, appare tecnicamente non corretto porre una norma di interpretazione
autentica nello stesso testo normativo che reca la norma interpretata. Occorre
quindi riprodurre il richiamato art. 92, comma 5, nel testo risultante dalle
due disposizioni. A tutto concedere, la riproduzione della norma di interpretazione
autentica potrebbe essere utile ad evitare incertezze circa le situazioni verificatesi
in vigenza delle norme di cui alla legge n. 109 del 1994 e prima della norma
che ne forniva l’interpretazione autentica.
Il comma 2 reca una norma di copertura finanziaria, e, in quanto tale, non
qualificabile come norma di coordinamento: andrebbe quindi collocata altrove,
eventualmente in articolo a sé stante; si potrebbe anche integrare la
rubrica: (“Norme di coordinamento e di copertura finanziaria”).
Quanto al comma 3, è dubbia la conformità alla delega, in quanto
si riferisce ad attribuzioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici; la
norma non appare inoltre utile a fronte del contenuto dell’art. 127 ivi
richiamato. Valuti l’Amministrazione l’opportunità di inserire
il contenuto del comma in esame nel regolamento di organizzazione del predetto
Consiglio superiore di prossima emanazione.
Il comma 4 contiene una disposizione che riguarda le casse edili e che riproduce
l’art. 37 della legge n. 109 del 1994, così come modificato dall’art.
9, commi 76 e 77, della legge n. 415 del 1998. Va in ogni caso espunto il riferimento
a situazioni destinate a verificarsi in epoche ormai trascorse (sette mesi
dall’entrata in vigore della predetta legge n. 415) e, come, tali, non
ripetibili con riferimento al passato. La sola disposizione che può conservare
significato attuale è quella contenuta nell’ultimo periodo, che
esclude legittimazione delle casse edili che non applichino la reciprocità a
rilasciare dichiarazioni liberatorie di regolarità contributiva.
Il contenuto del comma 6-bis va coordinato con il Codice dell’amministrazione
digitale e con le relative modifiche attualmente in corso di emanazione.
Art. 253 (Norme transitorie)
Non si ritiene giustificata la proroga di un anno del termine di scadenza
dei componenti dell’Autorità, introdotta dal comma 5, senza alcuna
spiegazione nella relazione ed in assenza di modifiche dell’ordinaria
durata della carica dei componenti, che resta fissata in cinque anni.
Il comma 9 contiene una disposizione che applica quanto stabilito in via
generale dal precedente comma 3: valuti l’Amministrazione l’opportunità di
espungerla in ragione del contenuto meramente ripetitivo. Eguale osservazione
vale anche per i successivi commi 13 e 22.
Al comma 10 vanno soppresse le parole “dei contratti pubblici”.
Al comma 13 va soppresso il riferimento al d.P.C.M. n. 116 del 1997, abrogato.
Al comma 20-bis occorre specificare, almeno per richiamo ad altre norme o per
categorie, l’ambito dei “soggetti” che possono essere scelti
nel rispetto dei principi ivi indicati.
Nel comma 26, il richiamo all’art. 80 del d.P.R. n. 554 del 1999 necessita
di specificazione in quanto la norma richiamata prevede diverse forme di pubblicità,
e non risulta chiaro quale sia quella applicabile agli interventi programmati
e realizzabili con capitali privati.
Nel comma 27, alla lett. n) si fa riferimento, in relazione al requisito dell’idoneità tecnica
ed organizzativa occorrente per la qualificazione, ai commi 3 e 4 dell’art.
18 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 che riguardano, però, la cifra
d’affari dell’impresa, rilevante invece per la capacità economica
e finanzia, laddove di capacità tecnica parla il successivo comma 5
dell’art. 18: verifichi l’Amministrazione l’esattezza del
richiamo.
Si segnala che non appare corretto – salva eventuale sopravvenienza –
fare riferimento nel comma 30 ad un regolamento del Ministero dei beni ed attività culturali
(in attuazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 30 del 2004) non ancora emanato.
Al comma 31, dopo la parola “fatti”, sembra essere stata omessa
la parola “salvi”.
Art. 256 (Disposizioni abrogate)
Al comma 1 è stato inserito l’articolo 14-vicies-ter, comma 1,
lett. c) del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito nella legge 17
agosto 2005, n. 168, limitatamente alle parole “i criteri per l’aggiudicazione
delle gare secondo l’offerta economicamente più vantaggiosa e”.
Si deve in proposito osservare che è intervenuto il d.P.C.M., che indica
i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa
per gli appalti dei buoni pasto (18 novembre 2005).
L’abrogazione disposta dal Codice ne comporterebbe la caducazione automatica:
sarebbe opportuno mantenere in vigore la norma che il Codice abroga, e conseguentemente
il d.P.C.M. applicativo, o, terza alternativa, mantenere in vigore tale decreto
in via transitoria, fino all’emanazione del nuovo regolamento generale.
Al comma 4 va soppresso il riferimento al d.P.C.M. n. 116 del 1997, abrogato.
Art. 257 (Entrata in vigore)
La pur comprensibile esigenza di un congruo differimento nell’entrata
in vigore del Codice non può essere accolta in quanto si tratta di direttive
obbligatorie il cui termine per il recepimento è già scaduto
il 31 gennaio 2006; dunque può applicarsi solo l’ordinaria vacatio
legis .
P.Q.M.
Esprime parere favorevole, con le osservazioni di cui in motivazione.
Visto
Il Presidente della Sezione
(Giancarlo Coraggio)