Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri lo schema di regolamento governativo
in materia di accesso alle professioni, su cui si era si era pronunziato il
Consiglio di Stato,
in Adunanza Generale, lo scorso 13 marzo.
E’ utile rileggere a questo punto le motivazioni contenute nel parere dei
giudici di Palazzo Spada (sostanzialmente disatteso dal Governo), i quali hanno
ritenuto in particolare che "dallo schema trasmesso
debbono
essere espunte quelle parti (Capi X, XI e XII del Titolo II) che modificano
la disciplina
dell’esame di Stato per le professioni di agrotecnico, geometra, perito
agrario, perito industriale, consulente del lavoro e giornalista, richiedendo
in deroga alla normativa vigente, quale requisito di ammissione il possesso
del diploma di laurea e modificando conseguentemente le prove d’esame".
Il Consiglio di Stato, nella linea del parere inviato dall’Autorità garante
della concorrenza e del mercato, rileva che il tirocinio
professionale obbligatorio, "al pari
degli altri requisiti richiesti per l’ammissione all’esame di Stato,
deve essere proporzionato alle esigenze delle attività professionali
che esso abilita ad esercitare e non deve essere ingiustificatamente restrittivo.
Si esprimono pertanto perplessità sulla previsione di un tirocinio obbligatorio
per quelle professioni per le quali non è attualmente contemplato
e sulla soppressione del comma 2 dell’art. 6 del d.P.R. n. 328 del
2001 che consente di esentare dal tirocinio per l’accesso alla sezione
A degli albi coloro che lo abbiano già effettuato per l’accesso
alla sezione B; come pure, con riguardo alla professione di ingegnere, la
durata annuale del tirocinio sembra ingiustificatamente diversa dalla durata
semestrale prevista per la professione di architetto, mentre sembra superfluo
richiedere un ulteriore tirocinio di sei mesi nel caso in cui gli iscritti
alla sezione A dell’albo richiedano l’iscrizione ad altro settore
della medesima sezione".
Con riferimento alla professione di ingegnere l’Adunanza Generale
"condivide le perplessità dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato in ordine all’esclusione dell’attività di
informatico senza previsione, per giunta, di qualunque norma di carattere transitorio
dei laureati in informatica e in scienze dell’informazione fino ad oggi
abilitati allo svolgimento di tale professione (e fino al d.P.R. n. 328 del
2001 anche senza conseguimento di abilitazione professionale)".
Infine, per quanto attiene alla composizione delle commissioni
esaminatrici, si segnala "l’opportunità di limitare la presenza
di rappresentanti degli Ordini professionali, al fine di salvaguardare il
principio
di un maggior
distacco ed oggettività nelle procedure di accesso all’esercizio
dell’attività professionale".
Di seguito, si riporta il testo integrale del parere del Consiglio di
Stato.
. . . .
Consiglio di Stato
Adunanza Generale del 13 marzo 2006
N. della Sez. Normativa: 50/06
Gab. n. 3/2006
OGGETTO:
ministero dell’istruzione, dell’universita’ e della
ricerca.
Schema di regolamento governativo recante disciplina dei requisiti
per l’ammissione
all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale,
delle prove relative e del loro svolgimento.
Il Consiglio
Vista la relazione n. 5861/1.4.4/05 del 28 dicembre 2005 pervenuta il 4 gennaio
2006 con la quale il Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca (Ufficio legislativo) ha chiesto il parere sullo schema di regolamento
indicato in oggetto;
Visto il parere interlocutorio espresso dalla Sezione Consultiva per gli
Atti Normativi nell’adunanza del 23 gennaio 2006;
Vista la relazione integrativa n. 893/1.4.4/06 del 21 febbraio 2006, pervenuta
il successivo 23 febbraio, trasmessa dal Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca (Ufficio legislativo) a seguito del suindicato parere interlocutorio;
Visto il preavviso predisposto dalla Sezione nell’adunanza del 27 febbraio
2006;
Esaminati gli atti e uditi i relatori ed estensori Consiglieri Donato Marra
e Paolo De Ioanna;
PREMESSO
Riferisce l’Amministrazione che lo schema di regolamento governativo
in esame è stato predisposto ai sensi dell’articolo 1, comma 18,
della legge 14 gennaio 1999, n. 4 nel testo modificato dall’art.
6 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 allo scopo di disciplinare, per numerose professioni,
i requisiti per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio professionale, le prove d’esame e le relative modalità di
svolgimento.
La suddetta disposizione prevede, infatti, che con uno o più regolamenti
adottati a norma dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.
400 su proposta del Ministro dell’università e della ricerca scientifica
e tecnologica (ora dell’istruzione, dell’università e della
ricerca), di concerto con il Ministro di grazia e giustizia (ora della giustizia),
sentiti gli organi direttivi degli ordini professionali, con esclusivo riferimento
alle attività professionali per il cui esercizio la normativa vigente
già prevede l’obbligo di superamento di un esame di Stato, è modificata
e integrata la disciplina del relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini
e collegi, nonché dei requisiti per l’ammissione all’esame
di Stato e delle relative prove, in conformità ai seguenti criteri
direttivi:
a) determinazione dell’ambito consentito di attività professionale
ai titolari di diploma universitario e ai possessori dei titoli istituiti in
applicazione dell’art 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127
e successive modificazioni;
b) eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi, ordini o collegi,
in relazione agli ambiti di cui alla lettera a), indicando i necessari raccordi
con la più generale organizzazione dei predetti albi, ordini o collegi;
c) coerenza dei requisiti di ammissione e delle prove degli esami di Stato
con quanto disposto ai sensi della lettera a).
In attuazione di tale disposizione è stato emanato il d.P.R.
5 giugno 2001 n. 328, recante modifiche e integrazioni della disciplina dei requisiti
per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per
l’esercizio di alcune professioni, nonché della disciplina dei
relativi ordinamenti. Con questo provvedimento si sono istituite le sezioni
A e B degli albi professionali dei dottori agronomi e forestali, degli architetti,
pianificatori paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari,
dei biologi, dei chimici, dei geologi e degli ingegneri, prevedendo l’iscrizione
alle stesse, rispettivamente, dei laureati specialistici e triennali, che abbiano
superato l’apposito esame di abilitazione, precisando le relative competenze
professionali e stabilendo altresì i requisiti di ammissione all’esame
di Stato e le relative prove; per le professioni di agrotecnico, geometra,
perito agrario e perito industriale il decreto si limita ad introdurre anche
la possibilità di accesso con il diploma di laurea e un tirocinio di
sei mesi.
Osserva l’Amministrazione che a seguito della modifica del Titolo
V della Costituzione introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 la
materia delle professioni rientra tra quelle attribuite dal nuovo testo dell’articolo
117 alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni,
in relazione alle quali la potestà regolamentare spetta esclusivamente
a queste ultime: pertanto la potestà conferita dal citato articolo 1,
comma 18, della legge n. 4 del 1999 può ora essere esercitata solo per
la parte concernente la disciplina dell’esame di Stato (requisiti di
ammissione, prove d’esame e svolgimento delle stesse), che deve ritenersi
tuttora rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi del comma
quinto dell’articolo 33 della Costituzione, che prescrive il superamento
di un esame di Stato per l’abilitazione professionale e dell’articolo
1, comma 4, del decreto legislativo recante principi fondamentali in materia
di professioni, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 2 dicembre
2005 ed in corso di emanazione: quest’ultima disposizione, includendo
tra le materie alle quali il decreto non è applicabile, la disciplina
dell’esame di Stato previsto per l’esercizio delle professioni
intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni
richieste per l’esercizio professionale, ha riconosciuto che tali materie
rientrano nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato e non
già in quello della legislazione concorrente.
Si è perciò ritenuto di potersi avvalere dell’autorizzazione
all’esercizio della potestà regolamentare in questione per modificare
e integrare la normativa introdotta con il d.P.R. n. 328 del 2001 per la parte
concernente i requisiti di ammissione, compresi i titoli di studio, agli esami
di Stato, le relative prove e il loro svolgimento, sia per le professioni già disciplinate
da quel decreto sia per molte altre, in considerazione delle novità intervenute
a livello di ordinamenti didattici universitari e della conseguente inapplicabilità,
anche alla luce delle modifiche introdotte dallo stesso d.P.R. n. 328 del 2001,
delle normative precedenti in materia di composizione delle Commissioni esaminatrici
e delle modalità di svolgimento degli esami.
Lo schema trasmesso si compone di 77 articoli, raggruppati in 4 titoli, di
cui il II e il III a loro volta suddivisi in capi.
Il titolo I contiene le disposizioni di carattere generale. L’articolo
1 definisce il contenuto e l’ambito di applicazione della disciplina,
aggiungendo alle professioni già disciplinate con il d.P.R. n. 328 del
2001 quelle di consulente del lavoro, farmacista, giornalista, statistico,
tecnologo alimentare, veterinario. L’articolo 2 pone le regole di carattere
generale sui requisiti di ammissione, l’articolo 3 disciplina il tirocinio,
l’articolo 4 detta regole generali in materia di prove d’esame,
gli articoli 5 e 6 disciplinano le corrispondenze tra titoli universitari.
Il titolo II (articoli 7-38) disciplina i requisiti di ammissione all’esame
di Stato e le relative prove partitamente per ciascuna professione, articolandosi
in 16 capi. Con tali disposizioni, in particolare, si richiede, in deroga alla
legislazione vigente, il requisito del possesso del diploma di laurea per l’abilitazione
all’esercizio delle professioni di giornalista, consulente del lavoro,
geometra, perito industriale, perito agrario e agrotecnico.
Il titolo III disciplina la composizione delle Commissioni esaminatrici, dettando
al capo I (articoli 39-40) disposizioni di carattere generale e al capo II
(articoli 41-62) disposizioni specifiche per ciascuna delle professioni prese
in considerazione.
Il titolo IV (articoli 63-77) disciplina le modalità di svolgimento
degli esami, disponendone l’applicabilità anche alla professione
di odontoiatra e in parte a quella di medico-chirurgo, ad evitare il vuoto
normativo conseguente alla integrale abrogazione del decreto ministeriale del
9 settembre 1957, che attualmente si applica anche a tali professioni, e contiene
altresì le disposizioni abrogative di tutte le norme del d.P.R. n. 328
del 2001 concernenti i requisiti di ammissione agli esami di Stato e le relative
prove, con la tabella A allegata al medesimo decreto, nonché le norme
finali e transitorie concernenti la data di decorrenza dell’applicabilità delle
nuove disposizioni.
CONSIDERATO
1. La principale questione posta dallo schema di regolamento in esame riguarda
il fondamento della potestà regolamentare esercitata e la sua idoneità a
disciplinare la materia che ne costituisce l’oggetto. La questione deve
essere affrontata sotto un duplice profilo: da un lato e preliminarmente alla
luce del testo vigente dell’articolo 117 della Costituzione, che ha modificato
il riparto delle competenze legislative e regolamentari tra Stato e Regioni,
collocando la materia “professioni” nell’ambito di quelle
attribuite alla legislazione concorrente, per le quali il potere regolamentare
spetta esclusivamente alle Regioni (commi terzo e sesto del nuovo testo dell’articolo
117); dall’altro lato in base al contenuto della norma primaria che autorizza
il ricorso al regolamento di delegificazione ed ai limiti di tale fonte di
normazione secondaria ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400.
Sotto il primo profilo, nel parere interlocutorio della Sezione consultiva
per gli atti normativi citato in epigrafe, si è richiamato il parere
n. 67/02 reso dall’Adunanza generale dell’11 aprile 2002 in ordine
ad un decreto ministeriale concernente l’individuazione della figura
professionale dell’odontotecnico, con il quale questo Consiglio ha avuto
modo di affermare che, a seguito della ricordata modifica del Titolo V della
Costituzione, lo Stato non può più disciplinare la materia delle
professioni nella sua intera estensione e non è più titolare
della potestà regolamentare.
Alla luce delle nuove disposizioni costituzionali, pertanto, prosegue il parere,
spetta allo Stato solo il potere di determinare con legge i tratti della disciplina
che richiedono, per gli interessi indivisibili da realizzare, un assetto unitario,
stabilendo a livello di princìpi fondamentali i contenuti essenziali
che definiscono le singole professioni (rilevanti anche per definire la fattispecie
dell’abuso della professione) ed i titoli richiesti per l’accesso
all’attività professionale (significativi anche sotto il profilo
della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni).
Anche l’Amministrazione riferente, con la prima relazione citata in
epigrafe, si è richiamata a tale impostazione allorché ha riconosciuto
di non potersi più avvalere dell’autorizzazione contenuta nell’articolo
1, comma 18, della legge n. 4 del 1999 per definire con regolamento gli ambiti
delle attività professionali e la eventuale ripartizione in sezioni
dei rispettivi albi; ha ritenuto e ritiene per altro che la suddetta potestà regolamentare
di delegificazione possa tuttora esercitarsi ai fini della disciplina dell’esame
di Stato per l’abilitazione professionale e la conseguente iscrizione
agli albi, per le considerazioni riportate in premessa.
In proposito nel parere interlocutorio della Sezione si è innanzi tutto
osservato che anche la Corte costituzionale, in tutti i casi portati al suo
esame, da un lato ha ribadito che, nel vigore della riforma del Titolo V della
Costituzione, la materia delle professioni deve ritenersi attribuita alla legislazione
concorrente dello Stato e delle Regioni, e dall’altro ha affermato che
continua a spettare allo Stato, in sede di determinazione dei princìpi
fondamentali, la individuazione delle figure professionali, con i relativi
profili ed ordinamenti didattici e l’istituzione di nuovi albi, dovendo
invece ritenersi rientrare nella materia “ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, riservata
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo
comma lettera g), l’istituzione e l’organizzazione di appositi
enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare
la tenuta degli albi e garantire il corretto esercizio delle professioni a
tutela dell’affidamento della collettività.
Anche sulla scorta di tale autorevole orientamento giurisprudenziale si concludeva
sul punto osservando che la realizzazione dell’interesse pubblico non
frazionabile all’esercizio adeguato e corretto delle professioni più importanti,
da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, può certamente
essere perseguita, alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione,
sia attribuendo allo Stato la competenza legislativa esclusiva, con il connesso
potere regolamentare, come nel caso della istituzione ed organizzazione degli
ordini e collegi professionali e della disciplina dell’esame di Stato
per l’abilitazione professionale, sia attribuendo allo Stato il potere
di stabilire esclusivamente con legge, in modo anche ampio, i princìpi
fondamentali necessari, individuando nel caso specifico i contenuti essenziali
delle varie professioni ed i connessi profili ed ordinamenti didattici. Si
sono per altro espresse perplessità sulla possibilità di ricomprendere
nella materia della disciplina dell’esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio professionale la individuazione del livello dei titoli
di studio necessari per l’ammissione, ritenendo che il suddetto profilo
trascendesse tale materia.
Sotto il secondo profilo, relativo all’ambito della potestà regolamentare
conferita dalla norma primaria, si è osservato che la disposizione dell’art.
1, comma 18, della legge n. 4 del 1999 deve essere interpretata restrittivamente
non solo per il mutato quadro costituzionale di riferimento, ma anche perché –
autorizzando il ricorso al regolamento di delegificazione – incide sulla
ordinaria ripartizione di competenze normative tra Parlamento e Governo in
una materia dalle delicate implicazioni, che incide su diritti costituzionalmente
tutelati, anche con apposite riserve di legge.
Lo stesso tenore letterale dei criteri direttivi fissati dalle lettere a)
e b) indurrebbe del resto a ritenere che gli interventi riformatori possibili
con il regolamento di delegificazione in questione siano solo quelli conseguenziali
alla riforma del diploma di laurea e non potrebbero quindi riguardare le professioni
per le quali tale titolo di studio non è richiesto dalle norme legislative
vigenti, tanto meno richiedendo in via esclusiva il possesso di tale requisito,
come è invece previsto dallo schema di regolamento in esame per le numerose
professioni indicate in premessa (giornalista, geometra, perito industriale,
perito agrario, agrotecnico e consulente del lavoro).
La Sezione ha ritenuto pertanto opportuno chiedere al Ministero riferente
di approfondire le questioni poste, acquisendo anche il parere del Ministero
della giustizia e fornendo gli opportuni chiarimenti, riservandosi la formulazione
del parere definitivo.
2. A seguito del parere interlocutorio della Sezione l’Amministrazione
riferente ha trasmesso gli approfondimenti richiesti con la relazione integrativa
citata in epigrafe, sulla quale ha acquisito l’intesa del Ministero della
giustizia, allegando altresì il parere del Dipartimento per gli affari
regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Con la suddetta relazione il Ministero dell’istruzione, in buona sostanza,
ribadisce innanzi tutto il proprio convincimento che anche la disciplina dei
titoli di studio richiesti per l’esercizio delle professioni rientri
a pieno titolo nell’ambito della materia dell’esame di Stato per
l’abilitazione professionale. L’articolo 117 della Costituzione
deve infatti interpretarsi sistematicamente alla luce non solo della specifica
previsione del quinto comma dell’art. 33, che prescrive il superamento
dell’ esame di Stato, ma anche del comma successivo dello stesso articolo,
che riconosce l’autonomia universitaria, nei limiti stabiliti dalle leggi
dello Stato. Entrambe le suddette disposizioni ritagliano all’interno
della materia delle professioni uno specifico ambito di competenze riconducibile
alla legislazione esclusiva dello Stato, comprensivo della definizione dei
titoli di studio necessari per l’inscindibile connessione esistente tra
la fase dell’acquisizione delle conoscenze attraverso il processo formativo
e il momento della verifica delle stesse attraverso l’esame di Stato.
In coerenza con il principio dell’autonomia universitaria l’art.
17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 ha previsto la delegificazione
degli ordinamenti degli studi universitari, demandando a decreti ministeriali
la previsione di nuove tipologie di corsi e titoli universitari (le varie classi
di laurea triennale e specialistica) ed agli atenei la definizione dei relativi
piani di studio, per assicurare la necessaria flessibilità dei percorsi
formativi. Conclude l’Amministrazione che la scelta di individuare i
titoli di studio per l’ammissione agli esami di Stato mediante lo strumento
regolamentare rientra nella stessa logica, poiché altrimenti si legificherebbe
una materia già attribuita a fonti non legislative.
Aggiunge l’Amministrazione che le considerazioni svolte trovano supporto
nel decreto legislativo n. 30 del 2006, emanato nel frattempo nell’ambito
della delega conferita dall’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131
cui la Corte costituzionale ha riconosciuto valore interpretativo della riforma
del Titolo V della Costituzione. Il combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’articolo
1, il primo dei quali dispone che la potestà legislativa regionale si
esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa (quindi anche
regolamentare) dello Stato, mentre il comma 4 esclude dall’ambito di
applicazione del decreto la disciplina dell’esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio delle professioni intellettuali, compresi i titoli necessari
ed il relativo tirocinio, ha attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato
ed alla connessa potestà regolamentare la materia dell’esame di
Stato in tutti i suoi aspetti. Quanto al comma 2 dell’art. 4, che invece
riserva alla legge statale la definizione dei titoli professionali necessari
per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una
specifica preparazione, si tratterebbe di disposizione applicabile esclusivamente
alle professioni diverse da quelle intellettuali.
Infine con riferimento all’ambito della potestà regolamentare
conferita dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999 l’Amministrazione
riferente ritiene che l’oggetto della norma che autorizza il ricorso
allo strumento del regolamento di delegificazione sia costituito da tutte le “attività professionali
per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l’obbligo
di superamento di un esame di Stato”, nessuna ulteriore limitazione potendo
trarsi dalle lettere a), b) e c) che costituiscono semplici princìpi
e criteri direttivi per l’esercizio della potestà regolamentare.
Il Ministero della giustizia, con la nota n. FB.4/1-498 del 20 febbraio 2006
si è limitato ad aderire alla relazione integrativa del Ministero dell’istruzione.
Il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, con la nota n. 208/30/1/104 del 21 febbraio 2006, condivide la conclusione
che la individuazione dei titoli di studio necessari per l’ammissione
all’esame di Stato di abilitazione professionale rientra nell’ambito
della legislazione esclusiva dello Stato; segue però un percorso interpretativo
in parte diverso, che da un lato tende ad accentuare la potenziale espansione
di tale competenza legislativa anche alla individuazione delle figure professionali
(tendenza già presente nella interpretazione che l’Amministrazione
riferente dà del comma 3 dell’articolo 1 del decreto legislativo
in questione), ma soprattutto dall’altro lato ritiene applicabile a tutte
le professioni anche il comma 2 dell’art. 4, che riserva alla legge la
individuazione dei titoli professionali necessari per il relativo esercizio,
in ciò differenziandosi significativamente dall’avviso espresso
sullo specifico punto dal Ministero dell’istruzione. Non a caso infatti
il Dipartimento della Presidenza del Consiglio non affronta il tema specifico
dell’ambito della potestà regolamentare di delegificazione attribuita
dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999.
3. Il Consiglio, tenuto conto di tutte le argomentazioni riportate, ritiene
di poter superare la questione della collocazione della materia oggetto dello
schema di regolamento negli ambiti di competenza legislativa delineati dal
nuovo testo dell’articolo 117 della Costituzione.
A tale scelta inducono due ordini di considerazioni. Innanzi tutto è doveroso
prendere atto della novità costituita dalla intervenuta emanazione,
nelle more dell’esame in corso, del decreto legislativo n. 30
del 2006.
Infatti, al di là delle innegabili difficoltà interpretative,
già del resto adombrate, offerte dal testo e della introduzione di una
differenziazione tra professioni intellettuali e le altre che è prevista
nella legge di riforma costituzionale tuttora in itinere – questioni
che finiscono per trascendere la portata del parere di competenza – deve
comunque convenirsi che la disciplina dei titoli di studio richiesti per l’esercizio
delle professioni intellettuali, sia pure indirettamente attraverso la esclusione
dall’ambito di applicazione del decreto legislativo, viene ricondotta
nella materia dell’esame di abilitazione e quindi attribuita alla legislazione
esclusiva dello Stato
Per altro dall’ascrivibiltà della materia in tale ambito di competenza
discende ovviamente la permanenza in capo al Governo della potestà regolamentare,
ma non anche automaticamente l’idoneità della fonte regolamentare,
e ancor più di un regolamento di delegificazione, a disciplinare integralmente
quella stessa materia.
Rimane dunque da esaminare in modo più approfondito tale ulteriore,
delicata questione alla luce dei princìpi che regolano i rapporti tra
i vari livelli di normazione, primaria e secondaria, aspetto non marginale
dei rapporti tra Parlamento e Governo, nonché della stessa portata della
norma primaria autorizzatoria della potestà regolamentare.
La necessità, nella specie, di conformarsi alle “norme generali
regolatrici della materia” poste dalla normativa primaria discende dalle
previsioni dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988.
Sembra invero da ricomprendere tra le norme generali regolatrici della materia
dell’esame di Stato per l’abilitazione professionale l’individuazione
quale requisito di ammissione di un determinato livello del titolo di studio:
si tratta infatti di un requisito strettamente connesso al principio della
più ampia libertà di accesso alle professioni, enunciato come
tale dagli articoli 2 e 4 dello stesso decreto legislativo n. 30 del 2006 ed
espressione della libertà di iniziativa economica garantita dall’art.
41 della Costituzione. Ed è appena il caso di aggiungere che per talune
professioni, come quella di giornalista, il principio della libertà di
accesso alla professione impatta anche su altri diritti costituzionalmente
garantiti, come la libertà di informazione e la libertà di manifestazione
del pensiero con ogni mezzo di diffusione.
Né sembra convincente l’obiezione che in tal modo si lederebbe
l’autonomia universitaria e la connessa autonomia regolamentare del Ministero
dell’istruzione, rilegificando una materia che è stata delegificata
dall’art.12, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Altro è infatti
istituire e regolamentare titoli di studio e i connessi percorsi formativi,
altro è stabilire quali siano le attività per l’esercizio
delle quali è richiesto un titolo di studio: infatti la richiesta del
necessario possesso di un titolo di studio, sebbene ovviamente condizionata
dal livello e dal complesso di conoscenze assicurato da un determinato percorso
formativo, è innanzi tutto connessa alla individuazione dei contenuti
essenziali delle professioni, che non rientra nei compiti dell’autonomia
universitaria, chiamata piuttosto a modellare con la necessaria flessibilità i
percorsi più idonei per corrispondere a quei contenuti.
Con tale affermazione di principio è inoltre coerente il contenuto
della norma primaria che autorizza il ricorso al regolamento di delegificazione.
L’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999 deve infatti interpretarsi
alla luce di una lettura complessiva che tenga conto anche dei criteri direttivi
fissati dalle lettere a), b) e c), che parimenti concorrono a definire l’ambito
della autorizzazione ad emanare il regolamento di delegificazione. Le lettere
a) e b) ricollegano strettamente gli interventi riformatori possibili, concernenti
la rideterminazione degli ambiti consentiti di attività professionale
e la eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi in relazione ai suddetti
ambiti, alle modifiche dei diplomi universitari introdotte in applicazione
dell’art. 17, comma 95, della legge n. 127 del 1997, limitandoli quindi
a quelle professioni per le quali le norme vigenti già prevedano il
requisito del possesso del diploma di laurea; inoltre la stessa lettera c)
ricollega la modifica dei requisiti di ammissione e delle prove degli esami
di Stato a quanto disposto ai sensi della lettera a) al limitato fine di stabilire
la necessaria coerenza con quelle modifiche.
Lo stesso parere n. 448/2001 espresso dalla Sezione Seconda nell’adunanza
del 13 marzo 2002, che l’Amministrazione riferente riporta in allegato
alla relazione integrativa a conforto della propria tesi, non costituisce un
elemento di discontinuità rispetto a questa linea argomentativa.
E’ bensì vero che in quel parere si afferma che non sussistono
motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti
prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, ma esclusivamente
sul presupposto che non appariva contestabile che la attività giornalistica
costituisse “esercizio professionale” e rientrasse nel novero delle
professioni per le quali è richiesto il superamento di una selezione “equipollente” ad
un esame di Stato, circostanze entrambe revocate in dubbio e sulle quali innanzitutto
verteva il quesito allora proposto dall’Amministrazione. Quanto infine
all’ulteriore quesito relativo al possibile contenuto del regolamento,
il parere aveva cura di precisare che non si poteva dare una risposta puntuale,
attesa la discrezionalità che l’Amministrazione ha nel predisporre
il testo normativo e la competenza ad esprimere il parere in proposito attribuita
alla Sezione consultiva per gli atti normativi dall’art. 17, comma 28,
della legge n. 127 del 1997; si sottolineava inoltre la necessità di
tener conto del nuovo contesto recato dalla riforma del Titolo V della Costituzione
e delle ampie e complesse problematiche che la legge costituzionale n. 3 del
2001 ha aperto nell’ambito del sistema delle fonti normative, anticipando
il dubbio che su tale materia potesse ritenersi consentito un intervento regolamentare
da parte dello Stato.
Infine neppure può sostenersi che i princìpi relativi al livello
dei titoli di studio richiesti possano trarsi dalle direttive comunitarie.
In proposito si ricorda innanzi tutto che, ai sensi dell’art. 4 della
legge 9 marzo 1988, n. 86 recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia
al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari, le direttive possono essere attuate mediante regolamento solo se
così dispone la legge comunitaria e nelle materie non riservate alla
legge. Si deve inoltre osservare che le direttive comunitarie in materia di
professioni, a contenuto generale, allo stato mirano a stabilire le condizioni
necessarie per assicurare la libera circolazione all’interno dell’Unione
Europea degli esercenti le professioni “regolamentate” attraverso
il reciproco riconoscimento dei titoli eventualmente richiesti, non già ad
imporre il possesso di determinati titoli per l’esercizio della generalità delle
professioni nell’ambito dei singoli Stati che la compongono; in particolare
non si impone il possesso del diploma di laurea per l’esercizio delle
professioni per le quali tale requisito è invece introdotto dallo schema
di regolamento in esame.
In questa stessa logica si colloca pienamente anche il parere n.118/2001 espresso
da questa Sezione nell’adunanza del 21 maggio 2001 con riferimento allo
schema di regolamento poi emanato con il d.P.R. n. 328 del 2001, nell’esercizio
della medesima “delega” e prima ancora dell’entrata in vigore
della riforma del Titolo V della Costituzione. Anche in quel parere, infatti,
si afferma che lo schema di regolamento è stato predisposto in conseguenza
della riforma del diploma di laurea, per adeguare le regole di accesso a quelle
professioni per il cui esercizio l’ordinamento richiedeva il possesso
di un titolo di studio che non trovava corrispondenza nei nuovi corsi di laurea
e nei nuovi titoli introdotti (laurea triennale e laurea specialistica, articolate
in diverse classi).
Sul presupposto di tale interpretazione della norma primaria autorizzatoria
del potere regolamentare di delegificazione si era del resto mossa la stessa
Amministrazione proponente; tanto è vero che il citato d.P.R. n. 328
del 2001 ha regolamentato in modo compiuto solo quelle professioni per il cui
esercizio era richiesto dalla normativa vigente il requisito del possesso del
diploma di laurea, mentre per alcune professioni (geometra, perito industriale,
perito agrario e agrotecnico) per le quali la legislazione vigente non richiedeva
il diploma di laurea, ha bensì previsto di aggiungere “in parallelo
e in alternativa” anche tale requisito, ma al solo fine di consentire
la libera circolazione in Europa dei professionisti laureati, senza richiedere
il suddetto requisito come condizione necessaria e senza diversificare i contenuti
della professione in relazione al possesso o meno del diploma di laurea: soluzione
che può ritenersi rientrare nell’ambito della “delega” perché ha
mantenuto per quelle professioni i canali vigenti di accesso e non ha comportato
neppure modifiche delle prove d’esame.
Si richiama infine l’attenzione sulle conseguenze alle quali finirebbe
per condurre la ritenuta inapplicabilità alle professioni intellettuali
del comma 2 dell’art 4 del decreto legislativo n. 30 del 2006, che riserva
alla legge statale la definizione dei titoli professionali necessari per l’esercizio
delle attività che richiedono una specifica preparazione a garanzia
di interessi pubblici generali: i titoli di studio necessari per l’accesso
alle professioni potrebbero essere stabiliti con regolamento per le professioni
intellettuali, mentre sarebbero riservati alla legge per le altre professioni.
Una posizione soggettiva potrebbe così risultare – proprio nelle
materie a più alta esigenza di tutela sotto il profilo dei diritti di
libertà economica e civile – meno tutelata allorché rimessa
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato qualora si ammetta che per
ciò solo possa essere disciplinata integralmente in via regolamentare
o con provvedimenti amministrativi generali.
4. In conclusione si ritiene che dallo schema trasmesso debbono essere
espunte quelle parti (Capi X, XI e XII del Titolo II) che modificano la
disciplina dell’esame di Stato per le professioni di agrotecnico, geometra, perito
agrario, perito industriale, consulente del lavoro e giornalista,
richiedendo in deroga alla normativa vigente, quale requisito di ammissione
il possesso
del diploma di laurea e modificando conseguentemente le prove d’esame,
con le modifiche contenute nei Titoli I, III e IV che siano conseguenziali
o strettamente collegate con le modifiche suddette o comunque innovative di
eventuali disposizioni legislative.
Nel merito delle disposizioni il Consiglio ritiene di formulare alcune osservazioni,
che si muovono nella linea del parere inviato dall’Autorità garante
della concorrenza e del mercato in coerenza con l’esigenza, senz’altro
condivisibile, di contribuire al processo di liberalizzazione delle professioni.
Con particolare riguardo al requisito del tirocinio professionale
obbligatorio,
si rileva che anch’esso, al pari degli altri requisiti richiesti per
l’ammissione all’esame di Stato, deve essere proporzionato alle
esigenze delle attività professionali che esso abilita ad esercitare
e non deve essere ingiustificatamente restrittivo. Si esprimono pertanto
perplessità sulla
previsione di un tirocinio obbligatorio per quelle professioni per le quali
non è attualmente contemplato e sulla soppressione del comma 2 dell’art.
6 del d.P.R. n. 328 del 2001 che consente di esentare dal tirocinio per l’accesso
alla sezione A degli albi coloro che lo abbiano già effettuato per l’accesso
alla sezione B; come pure, con riguardo alla professione di ingegnere, la durata
annuale del tirocinio sembra ingiustificatamente diversa dalla durata semestrale
prevista per la professione di architetto, mentre sembra superfluo richiedere
un ulteriore tirocinio di sei mesi nel caso in cui gli iscritti alla sezione
A dell’albo richiedano l’iscrizione ad altro settore della medesima
sezione.
Sempre con riferimento alla professione di ingegnere l’Adunanza Generale
condivide le perplessità dell’Autorità garante della concorrenza
e del mercato in ordine all’esclusione dell’attività di
informatico senza previsione, per giunta, di qualunque norma di carattere transitorio
dei laureati in informatica e in scienze dell’informazione fino ad oggi
abilitati allo svolgimento di tale professione (e fino al d.P.R. n. 328 del
2001 anche senza conseguimento di abilitazione professionale).
Si segnala, infine, per quanto attiene alla composizione delle commissioni
esaminatrici la opportunità di limitare la presenza di rappresentanti
degli Ordini professionali, al fine di salvaguardare il principio di un maggior
distacco ed oggettività nelle procedure di accesso all’esercizio
dell’attività professionale.
P.Q.M.
Nelle suesposte considerazioni è il parere del Consiglio di Stato.
Il Presidente
(Alberto de Roberto)