La
Conferenza
Unificata Stato-Regioni ha esitato negativamente, lo scorso 9 febbraio,
lo schema di decreto legislativo recante “Codice
dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture”, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, in attuazione
della legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge comunitaria 2004).
Si tratta del recepimento in Italia, in un
unico testo, delle direttive comunitarie 17/2004, relativa agli appalti e
alle concessioni
di
lavori,
servizi e forniture
nei
settori speciali, e 18/2004, relativa all’unificazione della disciplina degli
appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari.
La Conferenza Unificata parte
dalla constatazione che il testo proposto “riscrive tutta la normativa
in materia
di appalti
attualmente
vigente nel nostro ordinamento”, lasciando in teoria impregiudicato il problema
del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
E tuttavia, il codice appare lesivo delle competenze
legislative regionali in relazione a tutti quegli aspetti degli appalti
pubblici per i quali fa rinvio al regolamento di attuazione
e che non rientrano nella potestà legislativa
esclusiva dello Stato (l’art. 117 c.6 Costituzione circoscrive la potestà regolamentare
dello Stato alle sole materie di sua competenza esclusiva).
Nel testo proposto manca inoltre l’indicazione delle norme “cedevoli”, cioè
di quelle norme che si applicano alle Regioni fino all’entrata in
vigore delle specifiche normative regionali.
Circa i poteri dell’Autorità, si osserva che risultano del tutto nuovi, e
non previsti dalla delega, il potere di annullamento e sospensione delle
attestazioni
SOA (in
aggiunta a quello
di
revoca delle
stesse già disciplinato nel D.P.R.
34/2000), di iniziativa diretto a formulare
al Governo proposte di modifica della legislazione in materia, di composizione
delle controversie insorte tra stazioni appaltanti ed operatori economici
durante le procedure
di gara, di vigilanza sui contratti
pubblici anche di interesse regionale (competenza non prevista sinora da
alcuna legge vigente).
E’ criticata l’introduzione in Italia dell’istituto comunitario dell’avvalimento,
sconosciuto alla normativa
vigente,
che “rischia
di consentire,
di fatto,
la partecipazione alle gare di soggetti
che
non hanno maturato in
proprio i requisiti per essere accreditati quali contraenti, ma lo diventano
in virtù dei requisiti di altri che non sono vincolati contrattualmente alla
committenza stessa”.
Con riferimento all’art. 66, relativo alla pubblicazione degli avvisi
e dei bandi di gara, si evidenzia il mantenimento della pubblicazione
sulla G.U. attraverso l’introduzione di una nuova “Serie Speciale”, in contrasto
con il dettato dell’art. 24 della legge n. 340/2000 di semplificazione amministrativa
che prevede, invece, l’abolizione di tale modalità a favore dell’esclusiva
pubblicazione su siti informatici individuati con apposito D.P.C.M. ed attualmente
attivati con D.M. 20/2001, gravando di nuovi e maggiori oneri le pubbliche
amministrazioni.
La norma reintroduce, con forza di legge e non di regolamento,
la pubblicazione degli avvisi e bandi sui quotidiani, aumentando i costi
della
P.A. e limitando la competenza regionale a normare detta materia.
– – – –
Conferenza Unificata Stato-Regioni
Parere del 9 febbraio 2006
Oggetto: parere negativo,
ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge 18 aprile 2005, n. 62, sullo
schema di decreto legislativo recante il Codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17 e 2004/18/CE.
Rep. Atti n. 925/20 del 9 febbraio 2006
La
Conferenza unificata,
Viste le direttive 2004/17 e 2004/18, che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali e le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi;
Vista la legge 18 aprile 2005, n. 62 che, all’art. 25 delega il Governo a recepire le direttive 2004/17 e 2004/18 prevedendo la raccolta, in un unico testo normativo, sia della disciplina degli appalti e concessioni di rilevanza comunitaria, sia degli appalti e concessioni sotto soglia comunitaria;
Visto lo schema di decreto legislativo di attuazione della delega prevista dal citato art. 25 della legge n. 62/2005, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 13 gennaio 2006 e trasmesso con nota del 18 gennaio 2006 (prot. 261/06/3.4.5) ai fini dell’acquisizione del parere da parte della Conferenza;
Visti gli esiti della riunione tecnica del 25 gennaio 2006, nel corso della quale le Regioni hanno reso parere negativo sullo schema di decreto in esame, con le osservazioni contenute in due documenti coordinati, consegnati nel corso dell’incontro e con le proposte di emendamento elaborate dalle Province Autonome di Trento e bolzano;
Considerati gli esiti della Seduta del 26 gennaio 2006, nel corso della quale le Regioni hanno chiesto il rinvio del punto in esame;
Visti gli esiti dell’odierna Seduta,
nel corso della quale le Regioni hanno espresso parere negativo sullo schema
di decreto legislativo, con le osservazioni contenute in un documento che,
consegnato nel corso della seduta stessa, ne costituisce parte integrante;
Considerato che l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM hanno espresso parere negativo sullo schema;
Esprime parere negativo
sullo schema di decreto legislativo recante “Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17
e 2004/18/CE”.
(…)
Per le seguenti motivazioni.
In attuazione della legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge comunitaria
2004), il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, uno schema
di decreto legislativo recante “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”.
Il provvedimento recepisce
in un unico testo le direttive comunitarie 17/2004, relativa agli appalti
e alle concessioni di lavori, servizi e forniture nei settori speciali,
e 18/2004,
relativa all’unificazione della disciplina degli appalti e concessioni
di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari.
Le Regioni, tenuto conto dell’impatto che il Codice avrà sulla emanata
ed emananda normativa regionale di settore, esprimono grande preoccupazione,
nonché forte contrarietà al testo proposto riconducibili ai motivi di seguito
esposti.
Sul piano del metodo, sarebbe stato non solo opportuno ma anche doveroso,
in ossequio alle indicazioni più volte espresse dalla Corte Costituzionale ed in continuità con la prassi partecipativa più volte sperimentata in occasione dell’emanazione
di precedenti normative nazionali, avviare un percorso condiviso e concertato con le Regioni, attesa la valenza e la portata di un provvedimento di questa importanza.
L’art. 5, comma 1, dello schema di decreto legislativo demanda ad apposito
regolamento la disciplina esecutiva ed attuativa del Codice nelle materie oggetto di competenza legislativa statale esclusiva; tali materie sarebbero dunque quelle elencate al comma 4 del medesimo articolo 5 e quelle disciplinate nelle altre disposizioni del codice che rinviano al regolamento di attuazione.
Secondo questa impostazione, pertanto, tutte le materie destinate – in virtù delle
suddette disposizioni – ad essere regolate nel dettaglio dal regolamento de quibus sarebbero
perciò stesso ascrivibili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, in quanto l’art. 117, comma 6, della Costituzione, come è noto, circoscrive la potestà regolamentare
dello Stato alle sole materie di sua competenza esclusiva.
La conseguenza sarebbe di precludere alle Regioni che non hanno ancora legiferato
in “materia” di lavori pubblici la possibilità di legiferare su aspetti rientranti nella potestà legislativa
delle Regioni, quali la programmazione, il responsabile del procedimento, le
procedure relative alle fasi della progettazione, della direzione lavori, del
collaudo ecc..
Così impostata la questione, peraltro, anche per le Regioni che hanno già emanato proprie leggi in “materia” di lavori pubblici, disciplinando anche oggetti per i quali si prevede il regolamento di attuazione del codice, sorgerebbe il legittimo sospetto di aver legiferato in contrasto con il riparto delle competenze legislative di cui all’art.
117 Cost.
L’art. 5, comma 1, del codice, appare pertanto lesivo delle competenze legislative regionali in relazione a tutti quei (cospicui e numerosi) aspetti dei lavori pubblici, e non solo, per i quali si fa rinvio al regolamento di attuazione e per i quali si ritiene che non rientrino nella potestà legislativa
esclusiva dello Stato.
La legge delega impone il recepimento delle direttive comunitarie senza apportare innovazioni, ad eccezione di quelle scaturenti da esigenze di coordinamento con la disciplina vigente e di semplificazione delle procedure di affidamento.
Al contrario, il Codice prevede innovazioni come, ad esempio, l’estensione agli appalti di forniture e servizi sotto soglia l’ambito di vigilanza dell’Autorità per
la Vigilanza sui lavori pubblici, mentre la direttiva n. 18/2004 si applica
solo agli appalti sopra soglia.
Per i profili che attengono alla tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori, si configurano ampie violazioni in ordine ai profili costituzionali
e di ripartizione ordinamentale tra Stato-Regioni, con il mancato rispetto
delle competenze legislative di cui all’art. 117 della Costituzione, in particolare
in materia di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Nel testo proposto manca l’indicazione delle norme “cedevoli”, vale a dire di quelle norme che si applicano alle Regioni fino all’entrata
in vigore delle specifiche normative regionali; tale espressa previsione
della legge delega (art. 1, comma 6) presuppone l’esistenza di ambiti di disciplina oggetto di potestà concorrente, sui quali non potrebbe intervenire il regolamento di attuazione, in quanto, come già detto, l’art. 117, sesto comma, Cost., circoscrive la potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di sua competenza esclusiva e, pertanto, non potrebbe legittimamente disciplinare con regolamento anche materie di competenza concorrente, come quelle regolate da disposizioni da qualificare “cedevoli” nel codice dei contratti; sotto questo profilo, l’ampiezza del rinvio al regolamento appare censurabile per contrasto con la legge delega, determinandone un probabile vizio di incostituzionalità.
Infine, questo provvedimento, insieme a quelli recentemente emanati (legge
finanziaria 2006) o in procinto di essere emanati (schema di decreto legislativo
di ricognizione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio)
contribuisce a determinare tra Stato e Regioni un assetto delle competenze
legislative e dei rispettivi ruoli ispirato al riconoscimento dello Stato quale
unico soggetto titolato a normare il settore dei lavori, dei servizi e delle
forniture pubblici, in aperta contraddizione con una ormai consolidata interpretazione
dell’art. 117 che riconosce anche alle Regioni potestà legislativa nei settori
in parola.
OSSERVAZIONI
di carattere generale, si rileva la sostanziale neutralità dell’art. 4, relativo al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, che, pur precisando l’ambito della competenza esclusiva dello Stato con il richiamo all’art. 117, comma 2, let. e), non ne chiarisce compiutamente l’ambito di applicazione, né definisce i limiti già indicati
dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 272/2004.
Anzi, l’ampia dizione utilizzata nel testo sembra ricondurre alla competenza esclusiva dello Stato ambiti della materia ascrivibili, invece, alla competenza delle Regioni, quali, ad esempio, le modalità di svolgimento delle procedure di gara, che attengono più a
profili organizzativi che di tutela della concorrenza.
Sarebbe auspicabile far emergere con nettezza gli ambiti che rientrano nella
potestà legislativa delle Regioni.
In merito all’art. 5, mentre il comma 1 riserva allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di competenza esclusiva, il comma 6 estende l’applicazione del regolamento alle Regioni in materia di capitolati, limitandone, di fatto, la potestà legislativa.
Circa i poteri dell’Autorità di cui all’art. 6, si riscontrano
una serie di innovazioni come, ad esempio, l’estensione agli appalti di forniture e servizi sotto soglia del suo ambito di vigilanza, laddove la direttiva comunitaria n. 18/2004 si applica solo agli appalti sopra soglia; norma che presenta dubbi di legittimità costituzionale
per eccesso di delega.
Inoltre, è del tutto nuovo il potere di annullamento e sospensione delle attestazioni SOA, in aggiunta a quello di revoca delle stesse già disciplinato
nel D.P.R. 34/2000.
Allo stesso modo, appare nuovo il potere di iniziativa diretto a formulare al Governo proposte di modifica della legislazione in materia di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi.
Ulteriore novità è l’attribuzione di attività di composizione delle controversie
insorte tra stazioni appaltanti ed operatori economici durante le procedure
di gara.
Si rileva, inoltre, a mero titolo esemplificativo della portata delle novità introdotte, che l’art. 4, comma 3, della legge n. 109/94 limita l’ammontare complessivo del compenso spettante al Consiglio dell’Autorità (1.250.000.000 lire), mentre l’art. 6, comma 3, del Codice non pone più alcun
limite, in contraddizione con la politica di rigore adottata dal Governo nazionale.
Altra novità riguarda, eccedendo la delega ricevuta, la vigilanza sui contratti
pubblici anche di interesse regionale, competenza non prevista da alcuna legge
vigente.
La formulazione del comma 8, assolutamente innovativo, prevede un inasprimento
della misura delle sanzioni pecuniarie, prevedendone le modalità di riscossione.
In sostanza, l’immagine dell’Autorità ne esce stravolta. Si prefigura un eccesso di competenze esercitate al di fuori della delega, stravolgendone, anche attraverso il sistema di autofinanziamento previsto dalla finanziaria 2006, quel ruolo di terzietà propria della sua alta funzione di vigilanza, così concepita dal legislatore nazionale per corrispondere ad obiettivi di trasparenza e legalità nel
delicato settore degli appalti pubblici.
Anche l’art. 7, relativo alle funzioni dell’Osservatorio, suscita
forti perplessità con particolare riferimento all’accentramento della raccolta dei dati relativi ai servizi e alle forniture di interesse regionale, provinciale e comunale soltanto in capo all’Osservatorio centrale, escludendo, in tal modo, le sezioni regionali, già competenti
per i lavori.
In ordine all’art. 9, relativo allo sportello dei contratti pubblici,
non si ravvisa l’opportunità di istituirlo, atteso che le sue funzioni sono già svolte
dagli Osservatori regionali.
Per ciò che concerne l’art. 10, relativo al responsabile delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici,
non si condivide il rinvio fatto dai commi 4 e 6 al regolamento per l’individuazione degli ulteriori compiti del responsabile del procedimento e dei requisiti di professionalità,
in quanto tale rinvio ascrive questi aspetti alla competenza esclusiva dello
Stato, con la conseguente preclusione alle Regioni di disciplinarli autonomamente.
Riguardo all’art. 33, relativo agli appalti e accordi quadro stipulati da centrali di committenza,
si osserva la genericità della norma, in quanto non individua compiutamente la natura giuridica del soggetto, né la
sua composizione.
Le disposizione vigenti della legge n. 109/94 non consentono la delega di stazione appaltante.
Si ritiene che il conferimento delle attività di committenza, stante la natura pubblica dell’acquisizione della fornitura di beni e servizi, possa essere effettuato esclusivamente a organismo di diritto pubblico e/o società con capitale interamente pubblico. Ne consegue che la centrale di committenza, operando in nome e per conto dell’amministrazione
pubblica, sia obbligata al rispetto integrale della normativa sugli appalti.
L’art. 49, relativo all’avvalimento, recepisce pedissequamente la direttiva comunitaria per quanto riguarda questo nuovo istituto, sconosciuto alla normativa vigente.
La modalità di introduzione di questo nuovo istituto è preoccupante tenuto conto del quadro complessivo delle varie realtà presenti sul territorio nazionale. La norma così introdotta non pondera sufficientemente quanto ammesso dalla U.E. in ordine all’adattamento
della norma al contesto ambientale dei singoli Stati membri.
Per quanto riguarda la situazione nazionale, con riferimento a realtà territoriali particolarmente critiche, in ordine alla lotta alla criminalità organizzata, al lavoro nero, al caporalato, all’evasione contributiva e al riciclaggio di danaro di provenienza illecita, l’applicazione dell’istituto pare inopportuna in quanto potrebbe vanificare tutti gli sforzi fin qui compiuti per contrastare i sopraccitati fenomeni, consentendo, di fatto, a tutti i settori dei lavori, forniture e servizi la partecipazione di soggetti che non hanno maturato in proprio i requisiti per essere accreditati quali contraenti, ma lo diventano in virtù dei
requisiti di altri che non sono vincolati contrattualmente alla committenza
stessa, distorcendo il mercato regolare.
Con riferimento all’art. 66, relativo alla pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara,
si evidenzia il mantenimento della pubblicazione sulla G.U. attraverso l’introduzione di una nuova “Serie Speciale”, in contrasto con il dettato dell’art. 24 della legge n. 340/2000 di semplificazione amministrativa che prevede, invece, l’abolizione di tale modalità a favore dell’esclusiva
pubblicazione su siti informatici individuati con apposito D.P.C.M. ed attualmente
attivati con D.M. 20/2001, gravando di nuovi e maggiori oneri le pubbliche
amministrazioni.
La norma, inoltre, reintroduce, con forza di legge e non di regolamento, la pubblicazione degli avvisi e bandi sui quotidiani, aumentando i costi della P.A. e limitando la competenza regionale a normare detta materia.
In ultimo, si ritiene un inutile appesantimento burocratico per le stazioni
appaltanti la contestuale pubblicazione sul sito informatico dell’Osservatorio presso l’Autorità e su quello previsto dal D.M. 20/2001 a cui le Regioni contribuiscono in modo federato e senza costi per gli utenti da oltre cinque anni. Tale novità produrrebbe un ulteriore costo a carico dell’Autorità per un servizio già garantito
dal Ministero delle Infrastrutture e dalle Regioni.
In ordine all’art. 84, relativo alla Commissione giudicatrice nel
caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si ritiene che la norma così riproposta con l’estendimento alle forniture e ai servizi, sia gravemente lesiva della potestà legislativa
e regolamentare delle Regioni, trattandosi di norma organizzativa.
Inoltre, l’applicazione della norma a tutti gli appalti appesantisce l’iter procedurale di aggiudicazione, anche in considerazione del fatto che per le forniture e servizi la regola applicata, di norma, è quella dell’offerta economicamente più vantaggiosa e gli importi sono di entità limitata.
La norma dell’art. 87, relativo ai criteri di verifica dell’offerta
anormalmente bassa, non appare chiara per quanto attiene, in particolare, i costi della sicurezza e i minimi salariali.
Riguardo all’art. 92, relativo ai corrispettivi e incentivi per la progettazione,
si evidenzia l’assenza del richiamo all’ultimo decreto ministeriale circa i
minimi tariffari tenuto in vita dal testo vigente della legge n. 109/94.
L’art. 98, comma 2, relativo all’approvazione dei progetti ai fini
urbanistici ed espropriativi, lede le prerogative regionali in materia di legislazione urbanistica.
Circa l’art. 111, relativo alle garanzie che devono prestare i progettisti, sarebbe opportuno estendere la garanzia assicurativa anche ai geologi e a tutte le figure che concorrono alla definizione della progettazione esecutiva.
L’art. 113, relativo alle garanzie di esecuzione e coperture assicurative, estende la normativa dei lavori pubblici alle forniture e ai servizi.
Anche per questa fattispecie, trattandosi di materia organizzativa, la competenza
a normarla è delle Regioni. La citata estensione risulta superficiale e inopportuna in quanto non tiene conto delle peculiarità dei
singoli settori, aggravando procedure e oneri, che graverebbero, in ultimo,
sulla spesa pubblica.
Con riferimento all’art. 127, relativo al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, manca la previsione della rappresentanza regionale.
Il testo proposto all’art. 131, relativo ai Piani di sicurezza,
presenta palesi contraddizioni in merito agli aspetti di sicurezza e salute
da attuarsi nei cantieri temporanei o mobili, definiti dal D.Lgs 494/96, di
attuazione della Direttiva 92/57/CEE, così come modificato ed integrato dal
D.Lgs.528/99.
In ultimo, ma non ultima come importanza, l’entrata in vigore delle
disposizioni del Codice, fissata in soli 15 giorni dalla data di pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale, appare del tutto insufficiente ed inadeguata, atteso
l’impatto che avrà sulle stazioni appaltanti un testo di 257 articoli e relativi allegati che disciplina l’intero
settore degli appalti pubblici.
Roma, 9 febbraio 2006