Si riportano alcuni passi tratti dalla recente decisione della Corte Costituzionale,
n. 49 del 10 febbraio 2006, sul riparto di competenze Stato-Regioni
in materia di condono edilizio straordinario (in calce il testo integrale
delle motivazioni):
(…)
1.- I confini tra competenza legislativa statale
e competenza legislativa regionale secondo la giurisprudenza
della
Corte Costituzionale
precedente alla sentenza 49 del 2006.
(…)
“Nella sentenza n. 196 del 2004, la Corte ha affermato esplicitamente
che:
Nella disciplina del condono edilizio di tipo straordinario convergono
la competenza legislativa esclusiva dello Stato per quanto riguarda la esenzione
dalla sanzionabilità penale (con la correlativa disciplina strumentale
della piena collaborazione dei Comuni con gli organi giurisdizionali quindi
chiamati ad applicare la legge sul condono) e la competenza legislativa di
tipo concorrente delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo
del territorio», nonché di «valorizzazione dei beni culturali
ed ambientali», oltre a varie altre competenze innominate riconducibili
al quarto comma dell’art. 117 Cost. (ad esempio, commercio, turismo, insediamenti
produttivi).
Al tempo stesso, non si può sottovalutare la tradizionale
titolarità da parte dei Comuni dei fondamentali poteri di gestione dell’assetto
urbanistico ed edilizio del territorio, ivi compreso l’ordinario e limitato
potere di sanatoria edilizia, poteri che certamente potrebbero risultare anche
radicalmente vulnerati dall’imposizione di uniformi condoni straordinari, che
non tengano in adeguata considerazione le diverse legislazioni urbanistiche
regionali e le stesse condizioni urbanistiche ed edilizie dei diversi territori.
Da ciò la conclusione «che, in riferimento alla disciplina del
condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente
sottratti al legislatore regionale, ivi compresa – come già affermato
in precedenza – la collaborazione al procedimento delle amministrazioni
comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione
possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali,
cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio
certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui
al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle
opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili).
Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore
regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di
articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale
in tema di condono sul versante amministrativo» (paragrafo 20 del Considerato
in diritto).
D’altra parte, nella medesima sentenza sono state superate le censure fondate
sull’asserita irrimediabile violazione dei primari valori della tutela dei
beni ambientali e paesaggistici di cui all’art. 9 Cost., solo con la affermazione
che «la tutela di un fondamentale valore costituzionale sarà tanto
più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti
istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi
siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco.
E il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo –all’interno
delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema
di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica
considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e
del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti
a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi».
Né si dimentichi che, sempre nella sentenza n. 196 del 2004, questa
Corte ha potuto dichiarare infondate le censure relative all’adozione di un
nuovo condono straordinario in relazione alla presunta violazione del principio
di ragionevolezza (a causa della asserita mancanza di circostanze eccezionali
che potessero giustificare la ulteriore reiterazione di un provvedimento certamente
lesivo della certezza del diritto) solo dando al comma 2 dell’art. 32 del citato
decreto-legge n. 269 del 2003 il significato di individuare la giustificazione
del condono da esso previsto «nelle contingenze particolari della recente
entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (…),
nonché dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda parte
della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli enti
locali la politica di gestione del territorio».
Su questa base, le numerose dichiarazioni di parziale illegittimità dell’art.
32 erano esplicitamente finalizzate ad eliminare le limitazioni che «escludono
il legislatore regionale da ambiti materiali che invece ad esso spettano»,
pur nel pieno rispetto delle esclusive responsabilità della legge statale
sul versante delle sanzioni penali.
In particolare, per ciò che concerne
l’ampiezza della discrezionalità riconosciuta al legislatore regionale
in materia di condono sul versante della disciplina amministrativa, nella sentenza
n. 196 questa Corte ha «dichiarato costituzionalmente illegittimo anzitutto
il comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale
possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per
l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio
di cui all’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003». Analoga dichiarazione
di illegittimità costituzionale ha pronunziato in relazione al «comma
25 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui
al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati
nella medesima disposizione».
Del tutto uniformemente, seppur in termini sintetici, la successiva sentenza
n. 71 del 2005 ha affermato «che, a seguito della citata sentenza n.
196 del 2004, la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto-legge n. 269
del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento
alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione
alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando
la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la
portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione
sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale
massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime
sanabili» (analogamente si vedano le sentenze nn. 70 e 304 del 2005).
Al tempo stesso, la sentenza n. 70 del 2005 ha chiaramente ribadito che ciò che
esula dalla potestà delle Regioni è il «potere di rimuovere
i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale».
Su un diverso piano, la sentenza n. 196 del 2004, in considerazione della
evidente interdipendenza fra la legislazione esclusiva statale sul condono
edilizio per quanto riguarda le conseguenze penali e quella regionale sul condono
edilizio per ciò che riguarda il versante amministrativo (sia nell’interesse
delle diverse istituzioni pubbliche, che dei vari possibili interessati), ha
affermato che «l’adozione della legislazione da parte delle Regioni appare
non solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato
dal legislatore nazionale; nell’ipotesi limite che una Regione o Provincia
autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine
massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca,
nel caso concreto, un’ipotesi di grave violazione della leale cooperazione
che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che
trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge
n. 269 del 2003».
(…)
2.- Riconoscimento di un significativo potere legislativo
delle Regioni in tema di possibilità, di ampiezza e di limiti del condono
edilizio straordinario sul versante amministrativo.
(…)
La sentenza 196
del 2004 individua il titolo di competenza legislativa delle Regioni in materia
di condono straordinario sul versante amministrativo nella materia «governo
del territorio» contemplata nel terzo comma dell’art. 117 Cost., le Regioni
dovrebbero rispettare i principi fondamentali determinati dal legislatore statale.
Il punto centrale della
sentenza n. 196 del 2004 sta nel riconoscimento al legislatore regionale di
un ampio potere discrezionale nella possibilità di definire i confini
entro cui modulare gli effetti sul piano amministrativo del condono edilizio
straordinario. Ciò in ragione delle primarie responsabilità legislative
ed amministrative spettanti sulla base delle norme costituzionali alle Regioni
e agli enti locali in relazione al governo del territorio, sia pure nel rispetto
del regime penale del condono riservato al legislatore statale, e nel rispetto
dei principi fondamentali posti dalla legge dello Stato (tra i quali la sentenza
n. 196 del 2004 ha individuato «la previsione del titolo abilitativo
edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo
di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie
massime condonabili»).
La pronuncia da ultimo citata, ha
infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art.
32 proprio nella parte in cui non prevedeva «che la legge regionale di
cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi
indicati».
(…)
3.- Le Regioni non possono rimuovere i limiti massimi fissati
dal legislatore
statale.
(…)
La giurisprudenza della Corte Costituzionale sul condono edilizio straordinario
del 2003 è costante
nell’affermare che spetta al legislatore statale determinare non solo tutto
ciò che
attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potestà di
individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali nell’ambito della
materia legislativa «governo del territorio», la portata massima
del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere
abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di
realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili.
– – – –
Corte costituzionale
Sentenza 10 febbraio 2006 n. 49
(presidente Bile, estensore De Siervo)
(…)
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato numerose disposizioni di
sette leggi regionali: gli artt. 26, comma 4; 29 comma 2 (e, per quanto ivi
richiamato, l’art. 8, comma 3); 32; 33, commi da 1 a 4 (eccettuata, nel comma
3, la lettera d); 34, commi 1 e 2 (con esclusione delle lettere b, c, d ed
e del comma 2), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n.
23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed applicazione della
normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326); l’art. 2, commi
1, 2, 5 (limitatamente alla lettera c), e 6, della legge della Regione Toscana
20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria);
l’art. 3 (eccettuato il comma 4) della legge della Regione Marche 29 ottobre
2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi); gli artt. 1, comma
1 (limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»);
2, commi 1 e 2; 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre
2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi); gli artt.
3, commi 1 (eccettuata la lettera b) e 3, della legge della Regione Veneto
5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio); gli artt.
19; 20, comma 1, lettere a) e c); 21, comma 1, lettere c), d), e) ed h); 27,
comma 4 (tali ultime due disposizioni sono impugnate in virtù della
loro asserita «connessione» con le altre), della legge della Regione
Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità,
sanzioni e sanatoria in materia edilizia); gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere
b e d del comma 2); 4; 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della
Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi
edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come
modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione e successive
modifiche ed integrazioni).
I parametri costituzionali che, sotto differenziati profili, si assumono
violati sono gli artt. 3; 42; 81; 97; 117, secondo comma, lettere a), e), l),
s); 117, terzo comma; 119 Cost., nonché i principi di autonomia degli
enti locali e di leale collaborazione fra Stato e Regioni.
2. – Considerata la sostanziale identità della materia, nonché l’analogia
di gran parte delle questioni prospettate, i giudizi possono essere riuniti
per essere affrontati congiuntamente e decisi con unica sentenza.
3. – Le molteplici questioni di costituzionalità sollevate nei
ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri possono essere sintetizzate
nei termini seguenti.
I) L’art. 26, comma 4, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del
2004, il quale dispone che «le opere edilizie autorizzate e realizzate
in data antecedente all’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10
(Norme sulla edificabilità dei suoli), che presentino difformità eseguite
nel corso dell’attuazione del titolo edilizio originario, si ritengono sanate,
fermo restando il rispetto dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza»,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che introdurrebbe – peraltro
in contrasto con la tendenza alla riduzione dell’ambito applicativo della sanatoria
propria di altre norme della stessa legge regionale – «una sanatoria
straordinaria gratuita ed ope legis non sorretta da alcun principio fondamentale
determinato dallo Stato, e contrastante con le esigenze della finanza pubblica»;
inoltre, la medesima norma violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe
una discriminazione tra i proprietari basata sulla diversa collocazione temporale
degli illeciti, consentendo la sanatoria ex lege solo per quelli più risalenti
nel tempo.
II e III) L’art. 29, comma 2, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n.
23 del 2004, il quale stabilisce che «qualora in sede di definizione
della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla stessa sia accertato
che la asseverazione del professionista abilitato” contenga dichiarazioni
non veritiere, rilevanti ai fini del conseguimento del titolo, «trova
applicazione quanto disposto dall’articolo 8, comma 3», nonché l’art.
8, comma 3, della medesima legge, per quanto richiamato dall’art. 29, secondo
il quale «nel caso in cui il titolo abilitativo contenga dichiarazioni
non veritiere del progettista necessarie ai fini del conseguimento del titolo
stesso, l’Amministrazione comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria
nonché al competente Ordine professionale, ai fini dell’irrogazione
delle sanzioni disciplinari», violerebbero l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in relazione alla materia dell’«ordinamento civile
e penale», nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto
contrasterebbe con la competenza statale concorrente in materia di «professioni»;
IV) L’art. 32, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004,
che disciplina in linea generale gli interventi non ammessi a sanatoria, aggiungendo
a quelli ritenuti tali dalla normativa statale di principio anche gli interventi
e le opere «per la cui realizzazione siano stati utilizzati contributi
pubblici erogati successivamente al 1995 a qualunque titolo dallo Stato, dalla
Regione e dagli enti locali», nonché gli interventi realizzati
su «unità abitative già oggetto di titolo in sanatoria,
ai sensi dei capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia
di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero
e sanatoria delle opere edilizie), o dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994,
n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), per la regolarizzazione
amministrativa di interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione nonché interventi
di ampliamento o soprelevazione che abbiano comportato nuove unità immobiliari»,
violerebbe gli artt. 3, primo comma, 42, 117 e 119 Cost., in quanto la previsione
di ulteriori (rispetto a quelle previste dalla legislazione statale) condizioni
ostative all’ammissibilità della sanatoria contrasterebbe con la normativa
statale di principio, con il principio di uguaglianza e la disciplina costituzionale
della proprietà privata, determinando una irragionevole discriminazione «tra
proprietari di edifici ed anche tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti
edilizi».
V) L’art. 33, comma 1, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del
2004, il quale dispone che «in tutto il territorio della Regione non è ammesso
il rilascio dei titoli in sanatoria per la costruzione di nuovi manufatti edilizi
fuori terra o interrati realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica
o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31
marzo 2003», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché,
escludendo dalla assoggettabilità al condono edilizio i nuovi manufatti,
contrasterebbe con la norma statale di principio di cui all’art. 32, comma
25, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire
lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo
la quale non può essere esclusa – ma, eventualmente, soltanto
delimitata – la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali
di modeste dimensioni realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici;
contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost.,
in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva
dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e
del «sistema tributario e contabile dello Stato», nonché con
l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento
della finanza pubblica; con l’art. 81 Cost., in quanto inciderebbe negativamente
sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno affidamento
sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita turbativa
dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; violerebbe altresì l’art.
3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della disciplina
statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di
uguaglianza; violerebbe, infine, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile
e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe
nella Regione, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso
trattamento giudiziario;
VI) L’art. 33, commi 2 e 3, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n.
23 del 2004, nella parte in cui limita in modo sostanziale l’ammissibilità della
sanatoria per gli ampliamenti e le sopraelevazioni, discostandosi dai limiti
previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost., perché ridurrebbe irrazionalmente e
irragionevolmente l’ambito degli interventi ammessi al condono edilizio dalla
normativa statale; l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), l’art. 117,
terzo comma, nonché l’art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito
finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo
incidendo su materie di competenza statale esclusiva («rapporti dello
Stato con l’Unione europea», «moneta») e concorrente («coordinamento
della finanza pubblica»); l’art. 81 Cost., in quanto avrebbe effetto
sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno affidamento
sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita turbativa
dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3, Cost.,
in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del
condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza;
l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla competenza
statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che
la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe, per effetto dell’applicazione
della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario; l’art. 3 Cost.,
nella parte in cui introduce, per gli edifici bifamiliari (art. 32, comma 3,
lettera b), un limite (100 metri cubi) irragionevolmente più severo
rispetto a quello (cento metri quadrati) «che segna il confine tra la
nozione di variazione essenziale e quella di parziale difformità (per
l’Emilia-Romagna, art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n. 31)».
VII) L’art. 33, comma 3 (ad eccezione della lettera d), della legge regionale
dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, concernente gli ampliamenti e sopraelevazioni
di manufatti esistenti, e l’art. 34, comma 2, concernente gli interventi di
ristrutturazione edilizia, nella parte in cui ammettono la sanatoria straordinaria
(soltanto) di interventi edilizi «che siano conformi alla legislazione
urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti alla data del 31 marzo 2003», violerebbero l’art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di principio
relativa alla individuazione degli interventi ammissibili a sanatoria, non
essendo chiara la portata del requisito della conformità alla legislazione
urbanistica e potendo esso determinare una ridottissima possibilità di
applicazione del condono, anche in relazione ad abusi minori.
VIII) L’art. 33, comma 4, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23
del 2004, il quale stabilisce che «qualora gli ampliamenti di cui al
comma 3, lettera a), punto 1), riguardino edifici con originaria funzione diversa
da quella abitativa, tali immobili sono obbligati a mantenere una destinazione
d’uso non abitativa nei venti anni successivi alla data di entrata in vigore
della presente legge», nella parte in cui vincola per venti anni la destinazione
d’uso degli immobili condonati, violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma,
lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119, 81 Cost., «l’autonomia degli
enti locali» in relazione all’esercizio della potestà urbanistica,
nonché l’art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale della proprietà.
IX e X) L’art. 34, comma 1, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n.
23 del 2004, il quale esclude dalla sanatoria gli interventi di ristrutturazione
edilizia «realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con
le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo
2003, fatto salvo quanto disposto dal comma 2», senza «distinguere
tra ristrutturazioni per le quali è necessario permesso di costruire
e ristrutturazioni a volumetria e superficie utile lorda invariate» (che
non comportano, di regola, alterazioni del carico urbanistico, e dunque non
implicano oneri per la riqualificazione urbana a carico delle comunità locali),
nonché l’art. 34, comma 2, lettere a) e d) della medesima legge, il
quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione purché ricorrano
le condizioni elencate e siano conformi alla legislazione urbanistica, ed in
particolare la lettera a), la quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione
edilizia che «non comportino aumento delle unità immobiliari,
fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti,
in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari», violerebbero l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale
di principio che non prevede tali limitazioni.
XI) L’art. 2, comma 1, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004,
nella parte in cui ammette alla sanatoria edilizia soltanto «le opere
e gli interventi (…) realizzati con variazioni essenziali dal titolo
abilitativo o, comunque, in difformità rispetto ad esso» (lettera
a), escludendo dall’ambito di applicazione del condono gli immobili realizzati
in assenza di permesso di costruire, ed inoltre, nella parte in cui subordina
la sanabilità al «rispetto dei limiti indicati dal comma 2»,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nel circoscrivere i limiti
di volumetria e nell’escludere del tutto tipologie di abusi dall’ambito degli
interventi ammessi alla sanatoria, contrasterebbe con il principio fondamentale
posto dalle norme statali concernenti il condono edilizio che consente alle
Regioni soltanto la possibilità di «specificare i limiti (quantitativi
e non) della sanabilità», nonché di «’limare’ entro
margini di ragionevole tollerabilità (…) le volumetrie massime
previste dal legislatore statale»; l’art. 117, secondo comma, lettere
a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla
competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea»,
della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello
Stato»; l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la potestà statale
di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe
il gettito derivante dal condono edilizio sul quale più leggi del Parlamento
farebbero affidamento, ledendo «le potestà statali di governo
della finanza pubblica», e potendo «essere considerato indebita
turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art.
3 Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in esso prevista
nelle materie dell’ordinamento civile e penale, in ragione della «asistematicità» delle
pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero chiamati a rendere
in applicazione della normativa impugnata.
XII) L’art. 2, comma 2, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004,
che individua gli interventi non suscettibili di sanatoria, violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto si discosterebbe «eccessivamente» e «irrazionalmente»,
dai «limiti quantitativi» alla sanabilità di ampliamenti
e ristrutturazioni, previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269
del 2003; violerebbe, altresì, gli artt. 3, 81, 117, secondo comma,
lettere a), e) ed l), 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle indicate per
le questioni sub VI e XI).
XIII) L’art. 2, comma 5, lettera c), della legge regionale della Toscana
n. 53 del 2004, il quale esclude del tutto dalla sanatoria «le opere
e gli interventi in contrasto con le destinazioni d’uso ammesse, nella zona
interessata, dagli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’entrata in
vigore» della medesima legge, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost,
perché introdurrebbe «un limite non sorretto da (un) principio
determinato dal legislatore statale», nonché in quanto consentirebbe, «nella
concreta applicazione» della normativa, «discrezionalità non
compatibili con la ‘meccanica’ di un condono edilizio».
XIV) L’art. 2, comma 6, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004,
ai sensi del quale, «qualora i vincoli di cui al comma 4 e al comma 5,
lettera a), siano istituiti dopo l’entrata in vigore della presente legge,
si applica quanto previsto dall’articolo 32 della l. n. 47/1985. Si applica
ugualmente l’articolo 32 della l. n. 47/1985 per la sanatoria delle opere di
cui al comma 5, lettera a), conformi agli strumenti urbanistici», laddove
sembra attribuire ai vincoli istituiti dopo l’entrata in vigore della legge
de qua «la forza di impedire la sanatoria straordinaria», violerebbe
gli artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.; l’art. 3 Cost., in quanto
il principio di eguaglianza sarebbe «irrazionalmente leso dalla facoltà (e
dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale l’affidamento
del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio»; l’art. 97 Cost. ed
i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
XV) L’art. 3, commi 1 e 3, della legge regionale della Regione Marche n.
23 del 2004, nella parte in cui introduce limiti quantitativi all’ambito degli
interventi ammessi alla sanatoria straordinaria, riducendo le volumetrie massime
assentibili ed escludendo quasi del tutto la sanatoria per le nuove costruzioni
residenziali, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi stabiliti dalla
legislazione statale, violerebbe gli artt. 81, 117, secondo comma, lettere
a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a
quelle indicate per le questioni sub VI e XI), nonché l’art. 3 Cost.,
in quanto alterna in modo «poco razionale» «misure di volumetria
a misure di superficie», senza specificare se si tratta di superficie
utile lorda o netta, ed in quanto sopprime «la essenziale distinzione
tra nuove costruzioni e ampliamenti» ed inoltre in quanto fa «ricorso
soltanto a limiti massimi espressi in cifre assolute».
XVI) L’art. 3 della legge regionale della Regione Marche n. 23 del 2004,
nella parte in cui – per effetto della soppressione del limite del 30
per cento della volumetria e del limite di 3.000 metri cubi previsti dall’art.
32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nonché a causa della mancata differenziazione
delle nuove costruzioni non residenziali – estende l’ambito della sanabilità,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché, più specificamente,
l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale attribuisce alla competenza
esclusiva dello Stato la materia dello «ordinamento civile e penale».
XVII, XVIII, XIX, XX) L’art. 2, comma 1, della legge della Regione Lombardia
n. 31 del 2004, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria le «nuove
costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo
edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data
di entrata in vigore della presente legge»; nonché nella parte
in cui appare escludere anche le opere realizzate in totale difformità dal
titolo o con variazioni essenziali; ed infine, nella parte in cui riduce – in
relazione agli ampliamenti – i limiti massimi di volumetria aggiuntiva
ammessi a sanatoria straordinaria, consentendoli solo ove contenuti entro il «20
per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa,
di 500 metri cubi»; l’art. 2, comma 2, della medesima legge, il quale,
nello stabilire che «non sono suscettibili di sanatoria i mutamenti di
destinazione d’uso, qualora superiori a 500 metri cubi per singola unità immobiliare
e non conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data di entrata
in vigore della presente legge», pone due differenti limiti, ulteriori
a quelli stabiliti dalla normativa statale, alla sanabilità dei mutamenti
di destinazione d’uso, «senza distinguere tra mutamenti implicanti opere
ed altri mutamenti e tra mutamenti incidenti sui carichi urbanistici ed altri
mutamenti», violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere
a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle indicate
per le questioni sub VI e XI).
XXI) L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004,
ove «considerato esaustivo ed a se stante» rispetto alla legislazione
statale, e dunque, «interpretabile a contrario» nel senso di consentire
un ampliamento dell’ambito della sanatoria, violerebbe l’art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto sarebbe contrastante «con il principio posto dall’art.
32, comma 27, lettera d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269;
violerebbe altresì l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in
quanto invaderebbe l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento
civile e penale».
XXII) L’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Veneto n.
21 del 2004, il quale ammette a sanatoria «le tipologie di opera di cui
all’Allegato 1 della legge sul condono» a condizione che «gli ampliamenti
di costruzioni a destinazione industriale, artigianale e agricolo-produttiva
non superino il 20 per cento della superficie coperta fino ad un massimo di
450 metri quadrati di superficie lorda di pavimento», violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost, in quanto, individuando i limiti quantitativi degli
abusi sanabili con riferimento alla superficie e non al volume, renderebbe
possibile il superamento del limite di 750 metri cubi fissato dall’art. 32,
comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, in contrasto con i principi fondamentali
della materia «governo del territorio» individuati dalla sentenza
di questa Corte n. 196 del 2004 nella disciplina statale posta dall’art. 32
del decreto-legge n. 269 del 2003, ed in particolare con il limite massimo
delle volumetrie sanabili ivi indicato, nonché l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in quanto, estendendo l’ambito della sanabilità,
determinerebbe una palese invasione della competenza statale in materia di «ordinamento
civile e penale».
XXIII) L’art. 3, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto n.
21 del 2004, il quale, nella parte in cui dispone che «le tipologie di
opera di cui all’allegato 1 della legge sul condono» sono suscettibili
di sanatoria edilizia a condizione che «le nuove costruzioni siano pertinenze
di fabbricati residenziali prive di funzionalità autonoma, fino ad un
massimo di 300 metri cubi», esclude dal condono edilizio le «nuove
costruzioni residenziali» diverse da quelle pertinenziali e aventi volumetria
non superiore a 300 metri cubi, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost.,
in quanto contrasterebbe con «un principio determinato dal legislatore
statale», nonché con la «configurabilità» – che
sarebbe stata ammessa anche da questa Corte – «di una sanatoria
straordinaria di illeciti urbanistici»; l’art. 117, terzo comma, l’art.
119 Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento della finanza
pubblica; l’art. 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), Cost., in quanto
inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in materia di «rapporti
con l’Unione europea», «moneta», «ordinamento civile
e penale»; l’art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura
finanziaria, l’art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza ivi sancito.
XXIV) L’art. 3, comma 3, della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004 – il
quale dispone che «ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 32,
commi 26 e 27, della legge sul condono, nelle aree assoggettate ai vincoli
di cui all’articolo 32» della legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni, «sono
suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l’intervento non sia precluso
dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti interventi,
ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione del relativo
vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la
nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile;
b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume»,
nella misura in cui farebbe riferimento ad interventi non incidenti sulla volumetria,
ma solo sulla «superficie utile», escludendo dalla sanatoria «ogni
altro intervento abusivo», violerebbe gli artt. 117, secondo e terzo
comma, 81, 119 e 3 Cost. (per le medesime ragioni svolte sub VI e XI), nonché l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., sia in quanto sarebbe riservata al legislatore
statale «la tutela dei valori (ad esempio ambientali) presidiati» dai
vincoli di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sia in quanto possa
in concreto consentire la sanatoria che sarebbe invece esclusa in via assoluta
dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985.
XXV) L’art. 20, comma 1, lettera a), della legge della Regione Umbria n.
21 del 2004, il quale nel disciplinare la sanabilità degli ampliamenti
di fabbricati esistenti, introduce limiti quantitativamente diversi rispetto
a quelli previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003,
discrimina tra unità immobiliari destinate ad attività produttive
o a servizi e altre unità immobiliari, determina tali limiti in «metri
quadri di superficie utile coperta», anziché in termini di volume,
in violazione degli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per
identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI, XI).
XXVI) L’art. 20, comma 1, lettera c), della legge della Regione Umbria n.
21 del 2004, il quale ammette la sanatoria delle «opere riconducibili
alle seguenti tipologie di illecito edilizio indicate con i numeri 3, 4, 5
e 6 dell’allegato 1 al decreto-legge medesimo, anche con eventuale modifica
delle destinazioni d’uso» le quali «siano esse realizzate in conformità o
in difformità dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti
urbanistici alla data del 2 ottobre 2003», violerebbe l’art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto, ove la data del 2 ottobre 2003 fosse riferita alla
realizzazione delle opere, contrasterebbe «con il fondamentale principio
posto dall’art. 32, comma 25, del citato decreto-legge 30 settembre 2003, n.
269», il quale fa riferimento alle opere realizzate entro il 31 marzo
2003; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la
competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e
penale».
XXVII) L’art. 21, comma 1, lettera c), della legge della Regione Umbria n.
21 del 2004, nella parte in cui esclude la sanabilità di opere abusive
che comportino «utilizzo di aree in zona agricola per usi del suolo diversi
da quello agricolo», potendo determinare la preclusione della sanatoria
nelle zone agricole, oltretutto in contraddizione con il precedente art. 20,
comma 1, lettera a), numero 3, ove viene espressamente menzionata la «zona
E», determinerebbe una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi
condonabili, così violando gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma,
e 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni
sub VI e XI).
XXVIII) L’art. 21, comma 1, lettera d), della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004, il quale, escludendo dal condono edilizio straordinario i «nuovi
edifici, salvo quanto previsto dall’art. 20, comma 1, lettera b)», della
medesima legge regionale, ridurrebbe l’ambito delle fattispecie passibili di
sanatoria, in contrasto con i principi fondamentali posti dall’art. 32, comma
25, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi del quale sarebbero ammesse
a sanatoria anche le «nuove costruzioni residenziali», in violazione
degli gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per identiche
ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).
XXIX) L’ art. 21, comma 1, lettera e), della legge della Regione Umbria n.
21 del 2004, nella parte in cui esclude la sanabilità dell’ampliamento
di edifici la cui «intera» costruzione abbia già beneficiato
di «precedenti condoni edilizi», violerebbe l’art. 3 Cost., in
quanto introdurrebbe una disuguaglianza non sorretta da un principio della
legislazione statale; gli artt. 3 e 42 Cost., in quanto discriminerebbe gli
attuali proprietari degli edifici in questione che potrebbero essere soggetti
diversi dagli autori dei precedenti abusi e dai proprietari degli immobili
all’epoca in cui essi sono stati realizzati; l’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., in quanto la discriminazione tra proprietà edilizie e relativi
proprietari sarebbe invasiva della competenza esclusiva statale in materia
di «ordinamento civile e penale».
XXX) L’art. 21, comma 1, lettera h), della legge della Regione Umbria n.
21 del 2004, il quale – nell’escludere dalla sanatoria gli interventi «di
ampliamento nelle zone omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968, nonché nei
centri storici», ad eccezione «di quelli di cui all’articolo 20,
comma 2» – equipara «i centri storici ai ‘siti archeologici’
e tutti i relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico»,
determinando una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi per
i quali è ammesso il condono edilizio, violerebbe gli artt. 3, 81, 117,
secondo e terzo comma, e 119 Cost., (per identiche ragioni rispetto a quelle
indicate nelle questioni sub VI e XI).
XXXI) L’art. 19 della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale
al comma 1 afferma che «i limiti, le condizioni e le modalità per
il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (…) sono disciplinate
dal presente titolo», mentre al successivo comma 2 afferma che «per
quanto non disposto dal presente titolo si applicano» le normative statali
del 1985 e del 1994, nonché i termini temporali, le modalità e
le procedure previste dalle norme statali del 2003, «in connessione con
le doglianze in precedenza formulate», violerebbe gli artt. 3, 81, 117,
secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto conterrebbe disposizioni poco
chiare ed inoltre, in quanto la mancata menzione delle «successive modifiche
ed integrazioni» della disciplina statale del 1985 e del 1994 potrebbe «ingenerare
incertezze e controversie».
XXXII) L’art. 27, comma 4, della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004,
il quale dispone che «l’ampliamento di cui alla lettera a) del comma
1 dell’articolo 20, per gli edifici costituiti da più unità immobiliari
dello stesso avente titolo, o da unità immobiliari pertinenziali insistenti
all’interno del lotto o dell’area, sempre dello stesso avente titolo, è ammesso
per una sola volta ed è riferito alla sommatoria delle superfici di
tutte le unità immobiliari interessate, salvo che ogni unità immobiliare
si configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi»,
laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di più proprietari
di unità immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico
proprietario di più unità immobiliari autonome, violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost.
XXXIII) Gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4, 6 (soltanto
i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, in
quanto emanati quando era oramai decorso il termine di quattro mesi (scaduto
il 12 novembre 2004) stabilito dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio
2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica),
convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191, per l’emanazione
della legge di cui al comma 26 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003,
violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. e il principio di ‘leale collaborazione’,
in quanto, decorso il termine suddetto, la potestà normativa regionale
avrebbe potuto essere esercitata soltanto recependo la normativa statale già divenuta
applicabile, «senza possibilità di contraddirla».
XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII) L’art. 1, comma 1, della legge della Regione
Campania n. 10 del 2004, il quale dispone che «la presente legge disciplina
la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a
sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n.
269, articolo 32, convertito in legge dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,
articolo 1 e successive modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile
di essere interpretato nel senso di escludere «dal tessuto normativo
complessivo» le disposizioni statali in esso citate; l’art. 3, comma
1, della medesima legge, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria
tutte le «opere abusive che hanno comportato la realizzazione di nuove
costruzioni difformi dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse», in contrasto
con l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed inoltre nella parte in
cui, irrazionalmente darebbe rilevanza a norme e strumenti urbanistici non
più in vigore al momento dell’entrata in vigore della legge regionale;
l’art. 4, comma 1, lettera a), della medesima legge, il quale, disponendo che
sono sanabili le opere abusive rientranti tra le tipologie di cui all’allegato
1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le stesse «hanno comportato un
ampliamento del manufatto inferiore al quindici per cento della volumetria
della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi complessivamente
i 250 metri cubi», pone per gli ampliamenti due limiti più severi
rispetto a quelli previsti dalla norma statale ed inoltre tra loro cumulativi,
in tal modo restringendo l’ambito della sanatoria; l’art. 4, comma 1, lettera
b), della medesima legge, che disponendo che sono sanabili le opere abusive
che «hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni conformi
alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
alla data di esecuzione delle stesse e aventi una volumetria inferiore a 250
metri cubi per singola richiesta di titolo edilizio in sanatoria, sempre che
la nuova costruzione non superi complessivamente i 600 metri cubi», violerebbero
gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., (per ragioni identiche
rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).
XXXVIII) L’art. 3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4»,
e l’art. 4, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n. 10 del
2004, nella parte in cui restringono l’ambito degli interventi sanabili negando
rilevanza al parere favorevole delle autorità preposte alla tutela del
vincolo, senza distinguere se tale vincolo sia anteriore all’abuso ovvero successivo,
violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per
le medesime ragioni di cui alle questioni sub VI e XI), nonché l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.
XXXIX) L’art. 3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4»,
e l’art. 4, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n. 10 del
2004, nella parte in cui estendono l’ambito degli interventi sanabili in ragione
del riferimento alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle opere abusive, norme e strumenti
che potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla data di entrata
in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero l’art. 117, terzo
comma, Cost. ponendosi in contrasto con i principi fondamentali posti dalla
normativa statale, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
in quanto invaderebbero la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento
civile e penale».
XL) L’art. 3, comma 2, lettera c), della legge della Regione Campania n.
10 del 2004, nella parte in cui, disponendo che non possono essere sanate le
opere «realizzate su aree facenti parte o di pertinenza del demanio pubblico»,
e non distinguendo tra demanio statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe
l’ambito delle ipotesi di esclusione dalla sanabilità già prevista
dall’art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe gli artt.
42 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., in relazione al demanio statale,
per il quale la sanabilità delle opere è subordinata al previo
esplicito consenso dello Stato proprietario; l’art. 117, terzo comma, Cost.
in quanto contrasterebbe con un principio determinato dalla normativa statale
(art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003 e art. 32, comma 6, della
legge n. 47 del 1985); l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai beni
del demanio provinciale e comunale, in quanto la disposizione regionale non
sarebbe sorretta da alcun principio determinato dalla normativa statale.
XLI) L’art. 4, comma 1, lettera d), della legge della Regione Campania n.
10 del 2004, il quale ammette alla sanatoria gli interventi che «hanno
comportato un ampliamento del manufatto, già oggetto di condono ai sensi
delle disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V,
o ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al
cinque per cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che
l’ampliamento non superi complessivamente i cento metri cubi», violerebbe
gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni
di cui alle questioni questioni sub VI e XI), nonché l’art. 42 Cost.
e la garanzia costituzionale della proprietà.
4. – Le censure prospettate dall’Avvocatura dello Stato sono nella
loro grande maggioranza riconducibili a pochi macrogruppi omogenei.
Questi macrogruppi possono essere così individuati.
1) Questioni in cui si contesta la riduzione dell’ambito della sanatoria
straordinaria mediante l’esclusione dal condono sul versante amministrativo
di talune tipologie di abusi edilizi: a tale gruppo sono riconducibili le questioni
sub V, VI, IX, XI (in parte), XVII, XVIII, XXIII, XXIV (in parte), XXVIII,
XXX, XXXV;
2) questioni in cui si contesta la riduzione dell’ambito della sanatoria
straordinaria mediante la riduzione dei limiti quantitativi delle volumetrie
condonabili: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub XI (in parte),
XII, XV, XIX, XXV, XXXVI, XXXVII, XLI;
3) questioni in cui si contesta la riduzione dell’ambito della sanatoria
straordinaria mediante l’introduzione, ai fini della condonabilità di
taluni interventi, di ulteriori condizioni rispetto a quelle previste dall’art.
32 del decreto-legge n. 269 del 2003: a tale gruppo sono riconducibili le questioni
sub IV, VII, VIII, X, XIII, XIV, XX, XXVII, XXIX, XXXII, XXXVIII, XL;
4) questioni in cui si contesta l’ampliamento degli interventi ammessi alla
sanatoria amministrativa: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub
I, XVI, XXI, XXII, XXIV (in parte), XXXIX;
5) questioni in cui si contesta il mancato rispetto del termine previsto
per l’emanazione della legge regionale di cui all’art. 32, comma 26, del decreto-legge
n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, da parte dell’art.
5, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191
del 2004: questioni sub XXXIII.
Estranee a queste categorie, in quanto sostanzialmente eterogenee, risultano
le sole questioni sub II, III, XXVI, XXXI, XXXIV.
5. – In via preliminare, deve essere dichiarata la inammissibilità di
alcune delle questioni sollevate dalla Avvocatura dello Stato relativamente
a disposizioni legislative che non risultano individuate nelle corrispondenti
delibere del Governo e nei relativi allegati. Come, infatti, questa Corte ha
più volte affermato, la delibera del Consiglio dei Ministri o la relazione
ministeriale a cui questa rinvii devono necessariamente indicare le specifiche
disposizioni che si ritiene di impugnare (si vedano, ex plurimis, le sentenze
n. 300 del 2005; n. 43 e n. 134 del 2004, n. 315 del 2003, n. 533 del 2002).
La deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene
una generica determinazione di impugnare la legge della Regione Veneto 5 novembre
2004, n. 21, e la allegata relazione del Ministro per gli affari regionali
non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art. 3, comma 1, lettera
a), né dell’art. 3, comma 3. Sono pertanto inammissibili le questioni
sub XXII e XXIV.
Analogamente, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre
2004 contiene una generica determinazione di impugnare la legge della Regione
Umbria 3 novembre 2004, n. 21, e la allegata relazione del Ministro per gli
affari regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art.
19 e dell’art. 27, comma 4. L’Avvocatura, nel ricorso, motiva laconicamente
l’impugnazione di tali disposizioni sostenendo che esisterebbe una «connessione
con le doglianze fin qui formulate»; in realtà, si tratta semplicemente
di un’affermazione del tutto generica, tale da non giustificare la censura
di norme non specificamente individuate nella deliberazione dell’organo politico.
Pertanto, anche le questioni sub XXXI e XXXII sono inammissibili.
Infine, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004
contiene una generica determinazione di impugnare la legge della Regione Campania
18 novembre 2004, n. 10, e la allegata relazione del Ministro per gli affari
regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art. 1,
comma 1. Pertanto è inammissibile la questione sub XXXIV.
5.1. – Deve essere dichiarata, altresì, inammissibile l’impugnazione
dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2005, che
il ricorrente effettua limitatamente alle parole «salvo quanto disposto
dalla presente legge».
L’Avvocatura si limita infatti ad indicare, nell’epigrafe del ricorso, tale
disposizione tra quelle oggetto di impugnazione, omettendo però di svolgere
alcuna argomentazione al riguardo. La censura manca pertanto dei requisiti
minimi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, gli atti introduttivi
del giudizio in via principale devono presentare (sentenze n. 423 e n. 286
del 2004).
6. – Tutte le disposizioni regionali impugnate hanno ad oggetto la
disciplina del condono edilizio straordinario del 2003, e sono state emanate
ai sensi dell’art. 32, commi 26 e 33, del decreto-legge n. 269 del 2003, così come
modificato dalla legge di conversione n. 326 del 2003, come risultante a seguito
della pronuncia di parziale illegittimità costituzionale operata con
la sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte; sentenza cui ha dato esplicitamente
esecuzione l’art. 5 del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge
n. 191 del 2004.
Dal momento che larga parte delle questioni di costituzionalità sollevate
dal ricorrente e delle argomentazioni svolte dalle difese regionali si fondano
su differenziate, se non contrapposte, interpretazioni della giurisprudenza
di questa Corte su questa legislazione relativa al recente condono edilizio
straordinario, appare necessario richiamarne alcuni fondamentali contenuti.
Nella citata sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha affermato esplicitamente
che nella disciplina del condono edilizio di tipo straordinario convergono
la competenza legislativa esclusiva dello Stato per quanto riguarda la esenzione
dalla sanzionabilità penale (con la correlativa disciplina strumentale
della piena collaborazione dei Comuni con gli organi giurisdizionali quindi
chiamati ad applicare la legge sul condono) e la competenza legislativa di
tipo concorrente delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo
del territorio», nonché di «valorizzazione dei beni culturali
ed ambientali», oltre a varie altre competenze innominate riconducibili
al quarto comma dell’art. 117 Cost. (ad esempio, commercio, turismo, insediamenti
produttivi). Al tempo stesso, non si può sottovalutare la tradizionale
titolarità da parte dei Comuni dei fondamentali poteri di gestione dell’assetto
urbanistico ed edilizio del territorio, ivi compreso l’ordinario e limitato
potere di sanatoria edilizia, poteri che certamente potrebbero risultare anche
radicalmente vulnerati dall’imposizione di uniformi condoni straordinari, che
non tengano in adeguata considerazione le diverse legislazioni urbanistiche
regionali e le stesse condizioni urbanistiche ed edilizie dei diversi territori.
Da ciò la conclusione «che, in riferimento alla disciplina del
condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente
sottratti al legislatore regionale, ivi compresa – come già affermato
in precedenza – la collaborazione al procedimento delle amministrazioni
comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione
possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali,
cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio
certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui
al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle
opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili).
Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore
regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di
articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale
in tema di condono sul versante amministrativo» (paragrafo 20 del Considerato
in diritto).
D’altra parte, nella medesima sentenza sono state superate le censure fondate
sull’asserita irrimediabile violazione dei primari valori della tutela dei
beni ambientali e paesaggistici di cui all’art. 9 Cost., solo con la affermazione
che «la tutela di un fondamentale valore costituzionale sarà tanto
più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti
istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi
siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco.
E il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo –all’interno
delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema
di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica
considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e
del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti
a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi».
Né si dimentichi che, sempre nella sentenza n. 196 del 2004, questa
Corte ha potuto dichiarare infondate le censure relative all’adozione di un
nuovo condono straordinario in relazione alla presunta violazione del principio
di ragionevolezza (a causa della asserita mancanza di circostanze eccezionali
che potessero giustificare la ulteriore reiterazione di un provvedimento certamente
lesivo della certezza del diritto) solo dando al comma 2 dell’art. 32 del citato
decreto-legge n. 269 del 2003 il significato di individuare la giustificazione
del condono da esso previsto «nelle contingenze particolari della recente
entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (…),
nonché dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda parte
della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli enti
locali la politica di gestione del territorio».
Su questa base, le numerose dichiarazioni di parziale illegittimità dell’art.
32 erano esplicitamente finalizzate ad eliminare le limitazioni che «escludono
il legislatore regionale da ambiti materiali che invece ad esso spettano»,
pur nel pieno rispetto delle esclusive responsabilità della legge statale
sul versante delle sanzioni penali. In particolare, per ciò che concerne
l’ampiezza della discrezionalità riconosciuta al legislatore regionale
in materia di condono sul versante della disciplina amministrativa, nella sentenza
n. 196 questa Corte ha «dichiarato costituzionalmente illegittimo anzitutto
il comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale
possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per
l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio
di cui all’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003». Analoga dichiarazione
di illegittimità costituzionale ha pronunziato in relazione al «comma
25 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui
al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati
nella medesima disposizione».
Del tutto uniformemente, seppur in termini sintetici, la successiva sentenza
n. 71 del 2005 ha affermato «che, a seguito della citata sentenza n.
196 del 2004, la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto-legge n. 269
del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento
alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione
alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando
la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la
portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione
sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale
massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime
sanabili» (analogamente si vedano le sentenze nn. 70 e 304 del 2005).
Al tempo stesso, la sentenza n. 70 del 2005 ha chiaramente ribadito che ciò che
esula dalla potestà delle Regioni è il «potere di rimuovere
i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale».
Su un diverso piano, la sentenza n. 196 del 2004, in considerazione della
evidente interdipendenza fra la legislazione esclusiva statale sul condono
edilizio per quanto riguarda le conseguenze penali e quella regionale sul condono
edilizio per ciò che riguarda il versante amministrativo (sia nell’interesse
delle diverse istituzioni pubbliche, che dei vari possibili interessati), ha
affermato che «l’adozione della legislazione da parte delle Regioni appare
non solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato
dal legislatore nazionale; nell’ipotesi limite che una Regione o Provincia
autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine
massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca,
nel caso concreto, un’ipotesi di grave violazione della leale cooperazione
che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che
trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge
n. 269 del 2003».
7. – Così richiamati i confini tra competenza legislativa statale
e competenza legislativa regionale già individuati nella giurisprudenza
di questa Corte, si possono esaminare nel merito le censure prospettate nei
ricorsi.
Logicamente preliminari sono le questioni sub XXXIII, aventi ad oggetto l’art.
1, l’art. 3, eccettuate le lettere b e d del comma 2, l’art. 4, l’art. 6, commi
1, 2 e 5, e l’art. 8 della legge della Regione Campania n. 10 del 2004. Tali
disposizioni sono impugnate in quanto sarebbero state adottate oltre il termine
di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del
2004, così come convertito nella legge n. 191 del 2004, secondo quanto
prescritto dall’art. 5, comma 1, del suddetto decreto.
Le questioni, pur relative solo ad alcune disposizioni della legge regionale
n. 10 del 2004, sono senz’altro ammissibili, malgrado l’eccezione prospettata
dalla difesa regionale secondo la quale, lamentandosi la sussistenza di un
vizio formale, le censure avrebbero dovuto semmai riguardare l’intera legge;
al contrario, va osservato che il limite temporale all’esercizio del potere
legislativo da parte delle Regioni in questa particolare materia concerne esclusivamente
le disposizioni che, specificando l’ambito degli interventi condonabili sul
versante amministrativo, si discostano dalle previsioni dell’art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, così come modificato dalla legge di conversione n.
326 del 2003, e come risultante a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale
ad opera della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte. Non incontra, invece,
limiti temporali del genere il potere legislativo regionale che si svolga in
conformità dell’art. 32 o nell’ambito di una qualsiasi ordinaria materia
legislativa di competenza della Regione.
Nel merito le questioni sono fondate.
La prescrizione del termine di quattro mesi da parte dell’art. 5, comma 1,
del decreto legge n. 168 del 2004 dà attuazione a quanto espressamente
statuito al punto 7 del dispositivo della sentenza n. 196 del 2004, il quale
ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 32, decreto-legge n. 269
del 2003 «nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui
al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla
legge statale». Peraltro, nella motivazione di tale pronuncia, questa
Corte ha configurato tale termine come perentorio, tanto da prevedere addirittura
che, ove le Regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto «non
potrà che trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato
1 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come convertito in legge».
Privo di pregio è il tentativo della difesa regionale di sostenere
che il termine di quattro mesi decorrerebbe non già dalla data di entrata
in vigore del decreto legge n. 168, bensì dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione n. 191, sulla base dell’argomentazione che appunto
la legge di conversione ha integrato il testo del comma 1 dell’art. 5, aggiungendo
ad esso il secondo periodo: a prescindere dal fatto che quest’ultimo periodo
non fa che parafrasare il contenuto della sentenza n. 196 del 2004 (prima citato)
a proposito della applicabilità della normativa statale in caso di mancato
esercizio nel termine del potere legislativo regionale, il riferimento al termine
di quattro mesi è contenuto nel primo periodo del comma 1 dell’art.
5 e individua in modo espresso, come dies a quo, la «data di entrata
in vigore del presente decreto».
Quanto alla richiesta, formulata in via subordinata dalla difesa regionale,
che questa Corte sollevi avanti a sé la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, «nella parte
in cui limita a soli quattro mesi il termine per l’esercizio della potestà legislativa
regionale», trattandosi di termine incongruo rispetto alla pluralità di
contenuti e alla complessità delle scelte che il legislatore regionale
doveva operare, sembra sufficiente, ai fini della dichiarazione di manifesta
infondatezza di questa richiesta, rilevare che numerose Regioni hanno adottato
questa legislazione entro il termine prescritto, senza che emergessero problemi
particolari.
Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.
1, dell’art. 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), dell’art. 4, dell’art.
6, commi 1, 2 e 5, e dell’art. 8, della legge della Regione Campania n. 10
del 2004. Restano conseguentemente assorbite le ulteriori questioni concernenti
le disposizioni della legge della Regione Campania individuate sub XXXV, XXXVI,
XXXVII, XXXVIII, XXXIX, XL e XLI.
8. – Possono essere trattate unitariamente le numerose questioni – di
cui ai macrogruppi nn. 1, 2, 3 elencati al precedente par. 4 – in cui
si contesta la riduzione, da parte delle disposizioni legislative impugnate,
dell’ambito della sanatoria straordinaria sia mediante l’esclusione dal condono
sul versante amministrativo di talune tipologie di abusi edilizi, sia mediante
la riduzione dei limiti quantitativi delle volumetrie condonabili, sia infine
mediante l’introduzione, ai fini della sanabilità di taluni interventi,
di ulteriori condizioni rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003.
Queste censure sono basate, in sostanza, sulla asserita violazione delle
medesime norme costituzionali, spesso considerate nelle loro reciproche relazioni
o anche nel loro complesso, ed in particolare:
a) dell’art. 117 Cost, secondo comma, lettera a) (per ciò che riguarda
i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario), lettera e) (per ciò che
riguarda l’esclusiva competenza legislativa statale in tema di «moneta» e
di «sistema tributario e contabile dello Stato»), lettera s) (in
relazione alla competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente»);
dell’art. 81 Cost.; dell’art. 119 Cost. (per ciò che riguarda l’autonomia
finanziaria statale sul lato delle entrate); dell’art. 117, terzo comma (per
ciò che riguarda la competenza legislativa statale in tema di determinazione
dei principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza
pubblica»);
b) dell’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, e dell’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. (per ciò che riguarda l’esclusiva
competenza legislativa statale in tema di «ordinamento civile e penale»);
c) dell’art. 117, terzo comma, Cost., per ciò che riguarda la competenza
statale in tema di determinazione dei principi fondamentali nello specifico
settore della disciplina del condono edilizio straordinario di cui all’art.
32 del decreto-legge n. 269 del 2003;
d) di alcune disposizioni costituzionali che comunque costituiscono limite
anche all’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni: art. 3 Cost.
(sotto vari profili), art. 42 Cost., art. 97 Cost., principio di autonomia
degli enti locali.
8.1. – Rispetto ai parametri costituzionali di cui al punto a) che si
asseriscono violati, alcune Regioni resistenti hanno eccepito la inammissibilità di
queste censure, data la loro sommaria e generica prospettazione; peraltro,
malgrado la indubbia sommarietà delle motivazioni svolte nei ricorsi
(tanto più discutibile, dal momento che si tratta in sostanza di riproposizione
di argomentazioni già avanzate nella vicenda processuale conclusasi
con la sentenza n. 196 del 2004), esse, nel loro complesso, esprimono comunque
la tesi, più volta ribadita nelle memorie dell’Avvocatura, che una legislazione
regionale che disciplini i profili amministrativi del condono edilizio non
potrebbe comunque produrre indirettamente una riduzione significativa delle
entrate erariali ed un conseguente squilibrio della complessiva finanza pubblica,
la cui disciplina sarebbe di esclusiva competenza statale, ponendo quindi anche
a rischio il rispetto, da parte delle istituzioni nazionali, dei vincoli europei
sulla spesa pubblica.
Le censure non sono fondate.
A prescindere dalla irrilevanza, nel caso di specie, delle competenze statali
esclusive in tema di «moneta» e di «sistema tributario e
contabile dello Stato», e dalla improprietà del richiamo ai poteri
statali in tema di principi sul «coordinamento della finanza pubblica»,
le censure in esame prescindono da una adeguata ricostruzione sistematica del
Titolo V della seconda parte della Costituzione ed in particolare dal livello
di tutela costituzionale dell’autonomia legislativa regionale che ivi è previsto.
I limiti a tale autonomia non possono che essere espressi, e ciò tanto
più ove ci si riferisca ad effetti indiretti derivanti dall’uso che
una Regione faccia della propria discrezionalità legislativa (magari,
come nel caso di specie, addirittura con la finalità di contenere un’eccezionale
forma di compressione della discrezionalità propria e degli enti locali
nel settore del governo del territorio). In altri termini, è del tutto
evidente che, allorché il legislatore regionale eserciti le proprie
competenze legislative costituzionalmente riconosciute, non possa attribuirsi
rilievo, ai fini dell’eventuale illegittimità costituzionale di tale
intervento, agli effetti che solo in via indiretta ed accidentale dovessero
derivare al gettito di entrate di spettanza dello Stato.
8.2. – Del pari infondate sono le censure secondo le quali sarebbe
grave «la lesione del principio di eguaglianza (…) delle persone
rispetto alla legge e della competenza esclusiva ex art. 117 comma secondo,
lettera l), Cost.», poiché i giudici comuni, dinanzi alla «eccessiva
restrizione» da parte del legislatore regionale dell’ambito della legislazione
statale in tema di condono edilizio sarebbero obbligati «a rendere, a
carico dei proprietari ed autori di illeciti (e di eventuali di controinteressati
e parti offese), pronunce quanto meno asistematiche». Questa Corte, con
la sentenza n. 196 del 2004, ha considerato compatibile con la Costituzione
la legge statale sul condono straordinario esclusivamente per quanto riguarda
i profili penalistici, mentre per i profili relativi alla disciplina del condono
straordinario sul piano amministrativo ha affermato che essi operano nell’ambito
della materia del governo del territorio e cioè di una materia che per
le Regioni ad autonomia ordinaria è di competenza legislativa concorrente
ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.; ma ciò evidentemente significa
che la legislazione delle singole Regioni può disporre diversamente
da quanto previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito
dalla legge n. 326 del 2003, e che quindi – da questo punto di vista – è del
tutto probabile e non certo incoerente rispetto al disegno costituzionale che
siano adottate legislazioni diversificate da Regione a Regione (come, d’altra
parte, avviene normalmente negli ambiti affidati al potere legislativo regionale),
con tutto ciò che ne consegue per gli interessati e per le pronunce
giurisdizionali che facciano applicazione di tale disciplina.
8.3. – Quanto al terzo gruppo di norme costituzionali che sarebbero
violate dalle disposizioni regionali censurate, l’Avvocatura generale dello
Stato afferma più volte che, proprio considerando che la sentenza 196
del 2004 individua il titolo di competenza legislativa delle Regioni in materia
di condono straordinario sul versante amministrativo nella materia «governo
del territorio» contemplata nel terzo comma dell’art. 117 Cost., le Regioni
dovrebbero rispettare i principi fondamentali determinati dal legislatore statale,
principi che sarebbero deducibili dai contenuti dello stesso art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, quale convertito dalla legge n. 326 del 2003; su questa linea,
in particolare, l’Avvocatura afferma che «la sanabilità delle
nuove costruzioni residenziali di relativamente modeste dimensioni realizzate
in contrasto con gli strumenti urbanistici (…) è principio cui
ogni Regione deve attenersi»; sostiene inoltre che i limiti ulteriori
rispetto a quelli del legislatore statale non possono essere previsti perché non
sorretti da un «principio determinato dal legislatore statale».
Secondo lo Stato ricorrente, la Regione potrebbe «specificare i limiti
(quantitativi e non) della sanabilità, e perfino “limare” entro
margini di ragionevole tollerabilità (come qualche altra Regione ha
fatto) le volumetrie massime previste del legislatore statale»; non potrebbe,
invece, «negare in toto o in misura prevalente (rispetto al quantum di
volumetria ammesso dalla legge statale) la sanabilità delle nuove costruzioni
o degli ampliamenti».
Anche volendosi prescindere dalla stessa possibilità di configurare
come principi fondamentali disposizioni estremamente puntuali e dettagliate,
che permetterebbero solo «specificazioni» e «limature» «entro
margini di ragionevole tollerabilità», il punto centrale della
sentenza n. 196 del 2004 sta nel riconoscimento al legislatore regionale di
un ampio potere discrezionale nella possibilità di definire i confini
entro cui modulare gli effetti sul piano amministrativo del condono edilizio
straordinario. Ciò in ragione delle primarie responsabilità legislative
ed amministrative spettanti sulla base delle norme costituzionali alle Regioni
e agli enti locali in relazione al governo del territorio, sia pure nel rispetto
del regime penale del condono riservato al legislatore statale, e nel rispetto
dei principi fondamentali posti dalla legge dello Stato (tra i quali la sentenza
n. 196 del 2004 ha individuato «la previsione del titolo abilitativo
edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo
di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie
massime condonabili»).
Ma soprattutto occorre considerare che la pronuncia da ultimo citata, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 32
proprio nella parte in cui non prevedeva «che la legge regionale di cui
al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati»;
ha inoltre dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 26 dell’art.
32, nella parte in cui non prevedeva «che la legge regionale possa determinare
la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a
sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1».
Pertanto, sulla base delle addizioni operate dalla sentenza n. 196 del 2004
al citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, integralmente recepite
dal legislatore nazionale con la conversione in legge dell’art. 5 del decreto-legge
n. 168 del 2004 ad opera della legge n. 191 del 2004 (articolo intitolato: «Esecuzione
di sentenza della Corte costituzionale in materia di definizione di illeciti
edilizi»), deve riconoscersi che non esistono nella legislazione statale
vigente principi fondamentali quali quelli prospettati nei ricorsi.
8.4. – Questo riconoscimento di un significativo potere legislativo
delle Regioni in tema di possibilità, di ampiezza e di limiti del condono
edilizio straordinario sul versante amministrativo rende infondate anche le
questioni di costituzionalità sollevate in riferimento ai parametri
costituzionali di cui al precedente gruppo d).
In particolare, risultano infondate le censure, sollevate in relazione agli
artt. 3 e 42 Cost., a proposito dell’art. 32 della legge della Regione Emilia-Romagna
n. 23 del 2004 (questioni sub IV). Non costituisce, infatti, irragionevole
scelta legislativa la subordinazione da parte della Regione della condonabilità delle
opere abusive alla ulteriore condizione che le medesime non siano state realizzate
con contributi pubblici erogati successivamente all’ultimo condono, ovvero
che non abbiano già beneficiato di precedenti condoni, volendosi evidentemente
in tal modo penalizzare la reiterazione di comportamenti illeciti, nonché l’utilizzo
di denaro pubblico per la realizzazione di opere abusive. Analogamente, per
l’art. 21, comma 1, lettera e), della legge della Regione Umbria n. 21 del
2004 (questioni sub XXIX), non risulta irragionevole che la Regione subordini
la condonabilità delle opere alla ulteriore condizione che le stesse
non abbiano già beneficiato di precedenti condoni.
Lo stesso è da dirsi per l’art. 33, comma 4, della legge della Regione
Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub VIII), che impone che edifici
con destinazione d’uso non abitativa possano essere condonati solo se mantengono
per venti anni questo tipo di destinazione; in questa ipotesi le censure dell’Avvocatura
dello Stato muovono dalla presunta lesione, oltre che dell’art. 42 Cost., anche
del principio di autonomia degli enti locali; in realtà, si tratta di
una disposizione che non vieta l’esercizio da parte degli enti locali del potere
di ridefinire le destinazioni d’uso, ma incide soltanto sulla possibilità che
coloro che abbiano beneficiato del condono in relazione ad immobili destinati
ad usi non abitativi possano successivamente mutarne la destinazione d’uso,
aggirando la relativa disciplina.
L’art. 2, comma 6, della legge della Regione Toscana è a sua volta
censurato (questioni sub XIV) anche perché contrasterebbe «con
il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) irrazionalmente leso
dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed
in modo discrezionale l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso
edilizio, e con le regole costituzionali della imparzialità e del buon
andamento (art. 97, primo comma, Cost.)». Va osservato, al contrario,
che la norma regionale disciplina semplicemente la sanatoria delle opere realizzate
su aree sulle quali siano stati apposti, dopo l’entrata in vigore della legge
regionale, i vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’art. 33,
della legge n. 47 del 1985 ovvero i vincoli idrogeologici, ambientali e paesistici,
relativi a parchi e aree protette di cui all’art. 32 della medesima legge,
subordinandola al parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo,
in tal modo dando rilevanza anche ai vincoli imposti successivamente alla realizzazione
dell’intervento abusivo secondo l’oramai consolidato orientamento della giurisprudenza
amministrativa.
8.5. – La constatata insussistenza della lesione dei parametri costituzionali
indicati comporta l’infondatezza delle numerose censure che si basavano su
di esse; vanno pertanto respinte le questioni sub IV, V, VI, VII, VIII, IX,
X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVII, XVIII, XIX, XX, XXIII, XXV, XXVII, XXVIII,
XXIX, XXX.
9. – Con le residue censure individuate nel macrogruppo 4 di cui al
precedente par. 4, l’Avvocatura contesta sostanzialmente l’effetto di ampliamento
degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa che verrebbe a determinarsi
sulla base di alcune disposizioni delle leggi regionali impugnate.
Come si è già ribadito al par. 6, la giurisprudenza di questa
Corte sul condono edilizio straordinario del 2003 è costante nell’affermare
che spetta al legislatore statale determinare non solo tutto ciò che
attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potestà di
individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali nell’ambito della
materia legislativa «governo del territorio», la portata massima
del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere
abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di
realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili.
L’art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004
(questioni sub I) individua un’ipotesi di condono avente ad oggetto opere edilizie
autorizzate e realizzate anteriormente alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme
per la edificabilità dei suoli) che presentino difformità esecutive.
Tale disposizione ha contenuto più ampio rispetto alla normativa statale,
prevedendo anche che in quest’ambito la sanatoria intervenga ope legis, dunque
a prescindere dalla specifica richiesta e dalla concessione del titolo abilitativo
in sanatoria. La difesa regionale giustifica la disposizione, sostenendo che
essa avrebbe ad oggetto solo difformità esecutive lievi e risalenti
nel tempo e mirerebbe ad assicurare la certezza del diritto e la facilità degli
scambi privati.
La questione prospettata dal ricorrente in relazione alla violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost. è fondata.
Nell’ambito della speciale normazione relativa al condono edilizio straordinario
questa Corte – come si è detto più sopra – ha precisato
che le Regioni non possono rimuovere i limiti massimi fissati dal legislatore
statale, e che, tra i principi fondamentali cui esse devono attenersi, vi è quello
proprio a fini di certezza delle situazioni giuridiche, della previsione del
titolo abilitativo in sanatoria al termine dello speciale procedimento disciplinato
dalla normativa statale.
Poiché, dunque, l’art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna
n. 23 del 2004 si risolve nella estensione della sanatoria straordinaria ad
ipotesi ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, deve esserne dichiarata la illegittimità costituzionale.
L’art. 3 della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, secondo lo Stato
ricorrente, determinando i limiti per il conseguimento del condono amministrativo
con disposizioni che in genere riducono le volumetrie massime, non ripete però tutti
i limiti massimi determinati dal comma 25 dell’art. 32 del decreto-legge n.
269 del 2003 (30% della volumetria originaria della costruzione ampliata, 3.000
metri cubi complessivi per le nuove costruzioni residenziali) e, quindi, per
questa parte estenderebbe l’area delle opere abusive ammesse alla sanatoria
amministrativa (questioni sub XVI).
La questione prospettata dal ricorrente in relazione alla violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost. è fondata.
La difesa della Regione, anzitutto, sostiene che questi limiti potrebbero
ritenersi implicitamente richiamati, dal momento che l’art. 1 della legge regionale
in questione parla di legge che attua i «principi di cui all’art. 32
del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269». Tale argomento risulta
privo di pregio, dal momento che la specificità della disciplina dettata
dall’art. 3 della legge regionale, a fronte del generico richiamo all’art.
32 del decreto-legge n. 269 del 2003 contenuto nell’art. 1 della stessa legge,
osta ad una interpretazione adeguatrice del genere.
La difesa regionale sostiene, altresì, che «l’abolizione asseritamene
operata dall’art. 3 del limite del 30% della volumetria sarebbe in ogni caso
pienamente legittima», poiché «il limite del 30% (costituirebbe)
parametro alternativo a quello dell’ampliamento superiore a 750 metri cubi
per l’ammissibilità alla sanatoria secondo espressa previsione del comma
25 dell’art. 32».
In realtà, con riguardo all’ampliamento degli immobili non residenziali,
l’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2004 determina il limite in relazione
(non già al volume, ma) al diverso criterio della superficie realizzabile.
Pertanto, non ponendo alcun limite volumetrico, né richiamando le limitazioni
del 30% e dei 750 metri cubi previsti – sia pure in via alternativa – dall’art.
32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, la disposizione impugnata
rende possibile, per gli immobili non residenziali, la realizzazione di ampliamenti
superiori a quelli massimi previsti dalla normativa statale.
Con riguardo alla realizzazione di nuove costruzioni residenziali, l’art.
3 della legge regionale n. 23 del 2004, pur individuando limiti più rigorosi
in relazione alla singola unità immobiliare ammessa a sanatoria (la
quale non può essere superiore a 200 metri cubi, comprese le pertinenze),
non pone alcuna limitazione alla volumetria complessiva della nuova costruzione.
In tal modo, la disposizione censurata rende possibile che la nuova costruzione
residenziale superi il limite complessivo di 3.000 metri cubi stabilito dall’art.
32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003 per tale tipologia di interventi.
Pertanto deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art.
3, comma 1, della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in
cui non prevede, quali ulteriori condizioni per la conseguibilità della
sanatoria, che le opere abusive non residenziali non abbiano comportato un
ampliamento del manufatto superiore al trenta per cento della volumetria della
costruzione originaria, e che le nuove costruzioni residenziali non superino
complessivamente i 3.000 metri cubi.
9.1. – L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 3
del 2005 è stato impugnato poiché la norma potrebbe essere interpretata
nel senso di escludere la sanabilità delle opere realizzate in aree
vincolate solo se si tratti di vincolo di inedificabilità, e non anche
se si tratti di vincolo diverso. Ciò sarebbe in contrasto con l’art.
32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 260 del 2003, il quale non consente
la sanatoria delle opere realizzate su aree comunque vincolate, e pertanto
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché la competenza legislativa
esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale» (questioni
sub XXI).
La difesa della Regione Lombardia ha peraltro obiettato che il legislatore
regionale ha invece semplicemente voluto «ribadire e consacrare, anche
in un testo legislativo regionale, quanto già previsto dalla legislazione
statale, all’art. 32, comma 27, lettera d)». L’Avvocatura dello Stato,
in una successiva memoria, ha ritenuto tale interpretazione della norma «coerente
con la normativa statale».
Le questioni non sono fondate, dal momento che l’art. 3, comma 1, della legge
della Regione Lombardia n. 3 del 2005 si limita, effettivamente, a recepire
la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle
aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a
quelle previste dal decreto-legge n. 269 del 2003.
10. – Fra le censure estranee ai cinque macrogruppi di cui al par.
4, residuano le sole questioni sub II, III e XXVI.
Le questioni sub II e III riguardano la legge della Regione Emilia-Romagna
n. 23 del 2004 che all’art. 29, comma 2, prevede che ove «in sede di
definizione della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla stessa
sia accertato che la asseverazione del professionista abilitato (…) contenga
dichiarazioni non veritiere, rilevanti ai fini del conseguimento del titolo»,
si applica il terzo comma dell’art. 8 della stessa legge, il quale dispone
che «l’Amministrazione comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria
nonché al competente Ordine professionale, ai fini dell’irrogazione
delle sanzioni disciplinari».
A questo proposito, l’Avvocatura dello Stato asserisce che tali disposizioni
prevedono «sanzioni disciplinari ed eventualmente penali a carico del
professionista», così ledendo la competenza esclusiva dello Stato
in materia di «ordinamento civile e penale» e della competenza
concorrente in materia di «professioni».
Le questioni non sono fondate.
Le due norme, infatti, si limitano a prevedere un generico obbligo dell’amministrazione
pubblica di comunicazione della notizia di dichiarazioni non veritiere all’autorità giudiziaria
e all’ordine professionale, evidentemente perché questi verifichino,
rispettivamente, la eventuale sussistenza di reati o di illeciti disciplinari,
senza peraltro incidere in alcun modo sulla disciplina penale, ovvero sulla
disciplina delle professioni. D’altra parte, previsione del tutto analoga è contenuta
nell’art. 29, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale prevede
che, qualora la relazione del professionista di accompagnamento della denunzia
di inizio attività contenga dichiarazioni non veritiere, «l’amministrazione
ne dà notizia al competente ordine professionale per l’irrogazione delle
sanzioni disciplinari».
Il gruppo di questioni sub XXVI ha ad oggetto l’art. 20, comma 1, lettera
c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004; dal momento che in una
disposizione che individua le opere condonabili è contenuto un riferimento
alla data del 2 ottobre 2003, l’Avvocatura generale, pur riconoscendo che non
vi sarebbero problemi se la data fosse riferita agli strumenti urbanistici,
nel dubbio che invece possa essere riferita alla data di ultimazione delle
opere condonabili, fissata al 31 marzo 2003 dall’art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, l’ha impugnata «per grave contrasto con il fondamentale
principio posto dall’art. 32, comma 25, del citato decreto-legge», nonché per
violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento
civile e penale». La difesa regionale sostiene che la data del 2 ottobre
si riferisce esclusivamente «agli strumenti urbanistici, visto che la
previsione di tale termine temporale è collocata immediatamente dopo
il richiamo di detti strumenti». Il ricorrente, in una successiva memoria,
ha ritenuto «superata» la questione di legittimità costituzionale,
pur non formalizzando la rinuncia alla questione stessa.
Le questioni non sono fondate.
Dal tenore letterale della disposizione impugnata emerge chiaramente che
la data del 2 ottobre 2003 in essa contenuta è riferita alla vigenza
delle norme urbanistiche e degli strumenti urbanistici rispetto ai quali devono
essere valutati gli interventi, e non già all’epoca di realizzazione
degli stessi. Quest’ultima è, infatti, fissata dallo stesso art. 20,
comma 1, primo periodo, al 31 marzo 2003, in conformità con quanto disposto
dall’art. 32, del decreto-legge n. 269 del 2003.
P.Q.M.
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, dell’art. 3 (eccettuate
le lettere b e d del comma 2), dell’art. 4, dell’art. 6, commi 1, 2 e 5, e
dell’art. 8, della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme
sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della
legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo
dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui
all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della
legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli
abusi edilizi), nella parte in cui non prevede, quali ulteriori condizioni
per la conseguibilità della sanatoria, che le opere abusive non residenziali
non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al trenta per
cento della volumetria della costruzione originaria, e che le nuove costruzioni
residenziali non superino complessivamente i 3.000 metri cubi;
dichiara inammissibile l’impugnazione proposta, con il ricorso n. 3 del 2005,
avverso l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004,
n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi);
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
proposte, con il ricorso n. 7 del 2005, avverso l’art. 3 comma 1, lettera a)
e comma 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni
in materia di condono edilizio);
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
proposte, con il ricorso n. 8 del 2005, avverso l’art. 19 e l’art. 27, comma
4, della legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza,
responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
proposta, con il ricorso n. 9 del 2005, avverso l’art. 1, comma 1, della legge
della Regione Campania n. 10 del 2004,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
8, comma 3, dell’art. 29, comma 2, dell’art. 32, dell’art. 33, commi 1, 2,
3 e 4, dell’art. 34, commi 1 e 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna
n. 23 del 2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione
degli artt. 3, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo
comma, e 119 Cost., nonché del «principio di autonomia degli enti
locali», con il ricorso n. 114 del 2004;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 1, e dell’art. 2, commi 2, 5, lettera c), e 6, della legge della Regione
Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria),
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt.
3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119
Cost., con il ricorso n. 115 del 2004;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
3, commi 1 e 3, della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, sollevate
dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81,
97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost.,
con il ricorso n. 2 del 2005;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
2, commi 1 e 2, e dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia
3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi),
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt.
3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119
Cost., con il ricorso n. 3 del 2005;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
3, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, sollevate
dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81,
97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost.,
con il ricorso n. 7 del 2005;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
20, comma 1, lettere a) e c), , nonché dell’art. 21, comma 1, lettere
c), d), e), h), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, sollevate
dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81,
97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost.,
con il ricorso n. 8 del 2005.
(Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2006)