E’ stata estesa la tutela giurisdizionale accordata ai disabili vittime di discriminazioni sul lavoro, a tutti i comportamenti posti in essere al di fuori del rapporto di lavoro.
L’articolo
13 del Trattato CE ha previsto che le istituzioni comunitarie adottino
i provvedimenti opportuni
per combattere
tutte le discriminazioni, che siano fondate sul sesso, la razza o l’origine
etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’eta`
o le tendenze sessuali.
Il Parlamento Europeo ha poi adottato la direttiva
2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, di attuazione del principio
della parita` di trattamento
fra le
persone
indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, e la direttiva 2000/78/CE
del Consiglio, del 27 novembre 2000, con cui si stabilisce un quadro generale
per la parita` di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di
lavoro.
Il recepimento in Italia della
direttiva 2000/78/CE, avvenuta con il decreto legislativo 9 luglio 2003
n. 216, aveva già accordato alla persona disabile una particolare
tutela in sede giurisdizionale con la possibilita` di avvalersi della azione
civile contro la discriminazione prevista all’articolo 44 del testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, ma ne aveva limitato l’esperibilita` solo ai comportamenti discriminatori
posti in essere nei luoghi di lavoro.
Con la legge 67 del 2006, viene meno questo limite, estendendosi la tutela
giurisdizionale a tutti i comportamenti discriminatori, ovunque posti in essere.
Viene pure una particolare legittimazione ad agire delle associazioni ed enti,
aventi finalità di tutela delle persone disabili, appositamente individuati
con decreto del Ministro per le pari opportunità,
di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
– – – –
Legge 1 marzo 2006 n. 67
“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime
di discriminazioni”
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2006)
[in allegato la relazione al disegno di legge n. 4129 presentato alla
Camera
il
2
luglio
2003] [4]
Art. 1.
(Finalità e ambito di applicazione)
1. La presente legge, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione,
promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento
e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di
cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 [1], al fine di
garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici,
economici
e sociali.
2. Restano salve, nei casi di discriminazioni in pregiudizio delle persone
con disabilità relative all’accesso al lavoro e sul lavoro, le
disposizioni del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 [2], recante attuazione
della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro.
Art. 2.
(Nozione di discriminazione)
1. Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere
praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità.
2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità,
una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata
o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga.
3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una
prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono
una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad
altre persone.
4. Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero
quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità,
che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità,
ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei
suoi confronti.
Art. 3.
(Tutela giurisdizionale)
1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all’articolo
2 della presente legge è attuata nelle forme previste dall’articolo
44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. [3]
2. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento
discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di
fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta nei limiti
di cui all’articolo 2729, primo comma, del codice civile.
3. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere,
se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la
cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio,
ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le
circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione,
entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione
delle discriminazioni accertate.
4. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui
al comma 3, a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura
nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio
interessato.
Art. 4.
(Legittimazione ad agire)
1. Sono altresì legittimati ad agire ai sensi dell’articolo
3 in forza di delega rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata
a pena di nullità, in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione,
le associazioni e gli enti individuati con decreto del Ministro per le pari
opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, sulla base della finalità statutaria e della stabilità dell’organizzazione.
2. Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 possono intervenire nei giudizi
per danno subìto dalle persone con disabilità e ricorrere in
sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti lesivi
degli interessi delle persone stesse.
3. Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 sono altresì legittimati
ad agire, in relazione ai comportamenti discriminatori di cui ai commi 2 e
3 dell’articolo 2, quando questi assumano carattere collettivo.
– – –
NOTE
[1]
Legge 5 febbraio 1992 n. 104
Articolo 3
Soggetti aventi diritto.
1. È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica,
psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di
apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare
un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore
in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva
individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.
3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale,
correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale
permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione,
la situazione assume connotazione di gravità.
Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei
programmi e negli interventi dei servizi pubblici.
4. La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti,
domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Le relative prestazioni
sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla vigente legislazione
o da accordi internazionali .
– – –
[2]
DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003 n. 216
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
(in Gazz. Uff., 13 agosto 2003 n. 187)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce
un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione
e di condizioni di lavoro;
Vista la legge 1° marzo 2002, n. 39, ed in particolare l’allegato B;
Vista la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante «Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale
e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento»;
Visto il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 28 marzo 2003;
Acquisiti i pareri delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione
del 3 luglio 2003;
Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie, del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità,
di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro della giustizia
e con il Ministro dell’economia e delle finanze;
Emana
il seguente decreto legislativo:
Articolo 1
Oggetto
1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all’attuazione della
parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione,
dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall’età e dall’orientamento
sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo
le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione,
in un’ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme
di discriminazione possono avere su donne e uomini.
Articolo 2
Nozione di discriminazione
1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall’articolo 3, commi
da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l’assenza
di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle
convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento
sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione
diretta o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali,
per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata
meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in
una situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi,
un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere
le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura,
le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o
di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto
ad altre persone.
2. È fatto salvo il disposto dell’articolo 43, commi 1 e 2 del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286.
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma
1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere
per uno dei motivi di cui all’articolo 1, aventi lo scopo o l’effetto di violare
la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile,
degradante, umiliante od offensivo.
4. L’ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni
personali, dell’handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale è considerata
una discriminazione ai sensi del comma 1.
Articolo 3
Ambito di applicazione
1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione,
di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale
si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile
di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico
riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi
i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;
b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera,
la retribuzione e le condizioni del licenziamento;
c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale,
perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
d) affiliazione e attività nell’ambito di organizzazioni di lavoratori,
di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate
dalle medesime organizzazioni.
2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni
vigenti in materia di:
a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso all’occupazione, all’assistenza
e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio
dello Stato;
b) sicurezza e protezione sociale;
c) sicurezza pubblica, tutela dell’ordine pubblico, prevenzione dei reati e
tutela della salute;
d) stato civile e prestazioni che ne derivano;
e) forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap.
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito
del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non
costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze
di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni
personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una
persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto
in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono
un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima.
Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche
suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell’idoneità allo svolgimento
delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di
soccorso possono essere chiamati ad esercitare.
4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di
idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad
uno specifico lavoro e le disposizioni che prevedono la possibilità di
trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori
anziani e ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura
del rapporto e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato
del lavoro e di formazione professionale.
5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze
di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate
convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre
organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni
personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti
enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano
requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle
medesime attività.
6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell’articolo
2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie,
siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso
mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di
atti diretti all’esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa
che riguardi la cura, l’assistenza, l’istruzione e l’educazione di soggetti
minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva
per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia
minorile.
Articolo 4
Tutela giurisdizionale dei diritti
1 . All’articolo 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300, dopo la
parola «sesso» sono aggiunte le seguenti: «, di handicap,
di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali».
2. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all’articolo
2 si svolge nelle forme previste dall’articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11,
del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286.
3. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di
una delle discriminazioni di cui all’articolo 2 e non ritiene di avvalersi
delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere
il tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura
civile o, nell’ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche,
ai sensi dell’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche
tramite le rappresentanze locali di cui all’articolo 5.
4. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento
discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla
base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti,
che il giudice valuta ai sensi dell’articolo 2729, primo comma, del codice
civile.
5. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere,
se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione
del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente,
nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione,
il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento,
un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma
5, che l’atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una
precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del
soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di
trattamento.
7. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui
ai commi 5 e 6, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano
di tiratura nazionale.
8. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale
di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Articolo 5
Legittimazione ad agire
1. Le rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative
a livello nazionale, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura
privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai
sensi dell’articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo
della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile
il comportamento o l’atto discriminatorio.
2. Le rappresentanze locali di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate
ad agire nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili
in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione.
Articolo 6
Relazione
1. Entro il 2 dicembre 2005 e successivamente ogni cinque anni, il Ministero
del lavoro e delle politiche sociali trasmette alla Commissione europea una
relazione contenente le informazioni relative all’applicazione del presente
decreto.
Articolo 7
Copertura finanziaria
1. Dall’attuazione del presente decreto non derivano oneri aggiuntivi per
il bilancio dello Stato.
– – –
[3]
Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (stralcio)
Articolo 44
Azione civile contro la discriminazione.
1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione
produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi,
il giudice però, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento
pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze,
a rimuovere gli effetti della discriminazione.
2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla
parte, nella cancelleria del tribunale in composizione monocratica del luogo
di domicilio dell’istante.
3. Il tribunale in composizione monocratica, sentite le parti, omessa ogni
formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene
più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai
presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
4. Il tribunale in composizione monocratica provvede con ordinanza all’accoglimento
o al rigetto della domanda. Se accoglie la domanda emette i provvedimenti richiesti
che sono immediatamente esecutivi.
5. Nei casi di urgenza il tribunale in composizione monocratica provvede con
decreto motivato, assunte, ove occorre, sommarie informazioni. In tal caso
fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti
a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all’istante
un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del
decreto. A tale udienza, il tribunale in composizione monocratica, con ordinanza,
conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto.
6. Contro i provvedimenti del tribunale in composizione monocratica è ammesso
reclamo al tribunale nei termini di cui all’articolo 739, secondo comma, del
codice di procedura civile. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli
737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
(…)
8. Chiunque elude l’esecuzione di provvedimenti del tribunale in composizione
monocratica di cui ai commi 4 e 5 e dei provvedimenti del tribunale di cui
al comma 6 è punito ai sensi dell’articolo 388, primo comma, del codice
penale.
– – –
[4]
La Relazione al Disegno di legge n. 4129 presentato alla Camera il 2 luglio
2003:
“ONOREVOLI DEPUTATI ! — Sebbene si possa affermare che la tutela
delle persone disabili sia nel nostro Paese estremamente
avanzata, anche a seguito dell’entrata in vigore della legge 5 febbraio
1992, n. 104, i dati statistici ancora oggi dimostrano come questa componente
particolarmente svantaggiata della popolazione rimanga troppo spesso fuori
dal circuito della vita pubblica, sia sociale che politica ed economica, a
causa della persistenza di barriere sia materiali che immateriali.
Cio` ancora si verifica nonostante la rimozione degli ostacoli che impediscono
ai disabili una piena partecipazione alla vita politica, economica e sociale
del Paese costituisca uno degli obiettivi fondamentali dell’ordinamento
e un preciso dovere della Repubblica alla luce dell’articolo 3 della
Costituzione.
Inoltre, l’articolo 13 del Trattato CE prevede che le istituzioni comunitarie
adottino i provvedimenti opportuni per combattere tutte le discriminazioni, che siano fondate sul sesso, la razza
o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap,
l’eta` o le tendenze sessuali.
In attuazione di questo precetto, che costituisce ormai una pietra angolare
del diritto comunitario, l’Unione europea si e` fatta promotrice di una serie di interventi, sia a carattere normativo, quali
le direttive comunitarie, sia a carattere amministrativo quali le azioni comuni
ed i programmi di azione comunitari, con cui sono stati compiuti dei significativi
passi in avanti.
E` noto, infatti, come siano state di recente emanate alcune importanti direttive,
che sanciscono l’uguaglianza di trattamento fra tutti i cittadini indipendentemente
dagli elementi di diversita` indicati dal succitato articolo 13 del Trattato
CE.
Si ricordano, in proposito, la direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29
giugno 2000, che attua il principio della parita` di trattamento fra le persone
indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, e la direttiva 2000/78/CE
del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per
la parita` di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro,
entrambe in avanzata fase di recepimento da parte del nostro Paese.
Tuttavia, l’intervento del legislatore e` talvolta parcellizzato e frammentato
nell’ambito dei diversi settori dell’ordinamento, il che pone l’esigenza
di una disciplina che, facendo salve le varie normative settoriali di garanzia,
affronti il problema della tutela delle persone disabili in una prospettiva
generale.
E` necessario, quindi, introdurre strumenti giuridici idonei a garantire l’effettivita`
della parita` di trattamento e a promuovere pari opportunita` per le persone
disabili, qualora si trovino a subire a causa della loro disabilita` discriminazioni
anche in ambiti di vita diversi da quella lavorativa.
Cio` anche in considerazione del fatto che l’imminente recepimento della
direttiva 2000/78/CE, pur accordando alla persona disabile una particolare tutela in sede giurisdizionale con la possibilita`
di avvalersi della azione civile contro la discriminazione prevista all’articolo
44 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286, ne limita l’esperibilita` solo ai comportamenti
discriminatori posti in essere nei luoghi di lavoro.
Il presente disegno di legge si propone, quindi, di estendere la particolare
tutela giurisdizionale, gia` accordata ai disabili vittime di discriminazioni
nel contesto lavorativo, a tutte quelle situazioni in cui il disabile risulti
destinatario di trattamenti discriminatori al di fuori del rapporto di lavoro.
Il che consente, da un lato, di fornire un’efficace risposta alla forte
aspettativa rappresentata da numerose categorie di disabili e, d’altro
lato, di soddisfare
un’esigenza di completezza del sistema, al fine di garantire alle persone
disabili una piena parita` di trattamento in ogni settore della vita.
In questa prospettiva, l’articolo 1 enuncia espressamente l’impegno
cui le istituzioni devono assolvere per garantire, anche
nei confronti dei disabili, il rispetto effettivo del principio di parita`
di trattamento e la promozione delle pari opportunita`, ponendo, cosi`, in
ossequio alla Costituzione, un ulteriore tassello nel percorso di civilta`
giuridica che puo` condurre il nostro ordinamento verso uno stadio di democrazia
molto avanzato.
L’articolo 2 descrive la condotta discriminatoria, fissando la nozione
di discriminazione sia diretta che indiretta, facendo a tal fine tesoro della
piu` recente esperienza normativa comunitaria, con riferimento alla direttiva
2000/43/CE, relativa alla parita` di trattamento fra le persone indipendentemente
dalla razza e dall’origine etnica ed alla direttiva 2000/78/ CE, relativa alla parita` di trattamento in materia di occupazione e di condizioni
di lavoro.
In relazione alla discriminazione indiretta, e` da sottolineare che l’obiettivo
del legislatore e` soprattutto quello di combattere anche quei comportamenti
che, pur se si presentano in apparenza neutri, si traducono in una discriminazione
dei disabili nei confronti di altre categorie di soggetti, a causa della loro
particolare condizione fisica.
In conformita` alla citata normativa europea, rientrano nel concetto di discriminazione
anche quei comportamenti indesiderati che violano la dignita` e la liberta`
di un disabile, ovvero creano nei confronti dello stesso un clima di intimidazione ostile
e degradante.
Gli articoli 3 e 4, infine, delineano il quadro della tutela giurisdizionale
con la relativa legittimazione ad agire.
Accanto agli strumenti ordinari processuali, viene prevista la possibilita`
di attivare la procedura giurisdizionale di cui all’articolo 44 del
predetto testo unico n. 286 del 1998 ai casi di discriminazioni connessi alla
disabilita` , al fine di garantire al disabile una tutela celere
e spedita.
In proposito, si puo` sottolineare che la tutela del disabile che intenda
contrastare il comportamento discriminatorio appare ulteriormente rafforzata
dalla disposizione secondo la quale il provvedimento del giudice, in caso di
accoglimento del ricorso, oltre a disporre in ordine al risarcimento del danno
anche non patrimoniale, puo` ordinare ogni provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti del comportamento discriminatorio.
A cio` si puo` aggiungere che l’articolo 3, comma 2, accorda, ad ulteriore
garanzia dell’effettivita` dell’azione e coerentemente con quanto
gia` previsto nei settori di attuazione delle direttive comunitarie, il beneficio
della cosiddetta « prova presuntiva ».
Infine, appare di particolare rilievo la previsione contenuta nell’articolo
4, che estende la legittimazione ad agire in giudizio, nei casi di discriminazione,
ad associazioni ed enti costituiti a tutela dei disabili.
Una tale estensione della legittimazione ad agire e` prevista sia su delega
del disabile, sia nell’ipotesi in cui i suddetti organismi abbiano interesse ad intervenire nei giudizi per danni subiti dal
disabile, o ritengano di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa
per l’annullamento di atti illegittimi.
E` necessario, inoltre, sottolineare che le menzionate associazioni sono individuate
con decreto del Ministro per le pari opportunita`, di concerto con il Ministro
del lavoro e delle politiche sociali in base alla finalita` statutaria – la
quale deve presentare, percio`, coerenza con l’attivita` volta alla tutela
dei disabili – e alla stabilita` dell’organizzazione.
Cio` al fine di creare un filtro ed evitare eventuali rischi di abuso, selezionando
gli enti che sono effettivamente portatori degli interessi dei disabili”.