Già il Consiglio di Stato, nel suo Parere n. 11995/04 del 7 febbraio 2005 sul D.Lgs. 82/2005 (il c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale), sollevava qualche perplessità sulle prescrizioni di cui all’art. 54 relative all’esattezza delle informazioni presenti sui siti web pubblici, ritenendo opportuno individuare “le conseguenze giuridiche di errori nelle pubblicazioni sul sito … , chiarendosi, ad esempio, se eventuali difformità rispetto al contenuto originale del provvedimento rilevino ai fini della eventuale rimessione in termini per errore scusabile o ad altro fine.”.
Sulla scorta di tali considerazioni, il decreto correttivo recentemente approvato ha inserito un nuovo comma 4-bis, secondo cui “la pubblicazione telematica produce effetti di pubblicità legale nei casi e nei modi espressamente previsti dall’ordinamento.”.
Anche tale nuova disposizione, tuttavia, è stata messa in discussione dal Consiglio di Stato: “tale aggiunta appare pleonastica, poiché si riferisce alla pubblicità costitutiva già prevista espressamente dall’ordinamento” (Parere della Sez. consultiva atti normativi sullo schema di decreto correttivo al CAD, n. 31 del 30 gennaio 2006). Peraltro, è la stessa Relazione illustrativa al decreto correttivo – redatta dall’Ufficio Legislativo del Ministro Stanca, e cioè proprio da chi ha predisposto la novella – a ribadire che la pubblicazione telematica non produce “alcun effetto derogatorio delle norme attualmente vigenti sulla pubblicità costitutiva”.
In effetti questa nuova disposizione non opera alcun generale riconoscimento del valore giuridico delle pubblicazioni telematiche, limitandosi a fungere da incentivo, per il legislatore nazionale, i legislatori regionali e gli amministratori locali, a predisporre norme legislative o regolamentari che prevedano una qualche valenza giuridica per specifiche pubblicazioni telematiche.
Inoltre, questo nuovo comma “legittima” tutte quelle norme già vigenti del nostro Ordinamento che operano in tal senso: si pensi, a titolo di esempio, all’art. 29, comma 6 del testo della legge Merloni vigente in Sicilia dallo scorso dicembre 2005 – e cioè dopo l’entrata in vigore della Legge Reg. Sicilia n. 16/2005 – secondo cui “qualunque sia l’importo dei lavori, i bandi e gli avvisi di gara sono pubblicati sul sito informatico dell’Osservatorio regionale dei lavori pubblici”, con ciò determinando non poche rilevanti conseguenze, relative soprattutto ai termini delle procedure ad evidenza pubblica ed alle connesse vicende giurisdizionali.
Quanto detto, tuttavia, non esclude che si possa riconoscere una qualche rilevanza giuridica anche a quelle pubblicazioni telematiche non espressamente previste dall’Ordinamento. A tale conclusione si giunge tenendo a mente il comma 4 dell’art. 54 – che peraltro era già presente nel testo originario del C.A.D., e non è stato modificato dal decreto correttivo – che così recita: “le P.A. garantiscono che le informazioni contenute sui siti siano conformi e corrispondenti alle informazioni contenute nei provvedimenti amministrativi originali dei quali si fornisce comunicazione tramite il sito”. In tal modo, infatti, il Codice dell’Amministrazione Digitale, seppur implicitamente, sembra affermare in via generale la legittimità dell’affidamento sulla veridicità delle informazioni e dei documenti pubblicati sui siti web istituzionali della pubblica amministrazione.
Principio peraltro già affermato, seppur con riferimento ad una specifica fattispecie concreta, anche dalla giurisprudenza amministrativa: si veda, infatti, la sentenza del Consiglio di Stato, V, n. 700 del 20 febbraio 2006 – di conferma del Tar Sardegna 1507/2004 – secondo cui “la pubblicazione su Internet di un capitolato diverso (perchè precedente) da quello relativo alla gara di cui trattasi, è idonea ad indurre in errore i possibili concorrenti; pertanto, essendo nella specie l’errore non facilmente riconoscibile, bene ha fatto l’Amministrazione ad annullare la gara ed a riaprire i termini”.