1.- E’ imminente la pubblicazione del Dpr
recante modifiche al regolamento sull’accesso agli atti, previsto dalla recente
novella alla
legge
241 del 1990,
approvata con legge 11 febbraio 2005 n. 15 (recante “Modifiche
e integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernente norme generali sull’azione
amministrativa”), poi parzialmente modificata con il "decreto
competitività", DL n. 35 del 2005 convertito con modifiche dalla
legge 80 del 2005.
Le modifiche all’attuale regolamento sull’accesso agli atti (Dpr 27 giugno
1992 n. 352) sono previste dall’articolo
23 della legge 15 del 2005.
Il secondo comma in particolare prevede che “entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è autorizzato
ad adottare, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400, un regolamento inteso a integrare o modificare il regolamento di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, al fine
di adeguarne le disposizioni alle modifiche introdotte dalla presente legge”.
Inoltre, “Le disposizioni
di cui agli articoli 15, 16 e 17, comma 1, lettera a), della presente legge
hanno
effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2 del
presente articolo" (terzo comma).
Attendono dunque di entrare
in vigore, insieme al regolamento, le nuove previsioni normative in materia
di “Definizioni
e principi in materia di accesso”, “Esclusioni dal
diritto di accesso” e ricorso al Difensore civico e alla
Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.
E’ poi previsto che "ciascuna pubblica amministrazione,
ove necessario, nel rispetto dell’autonomia ad essa riconosciuta, adegua
i propri regolamenti alle modifiche apportate al capo V della legge 7 agosto
1990, n. 241, della presente legge nonché al regolamento di cui al comma
2 del presente articolo” (quarto comma).
Lo schema di regolamento, dopo il parere
della Conferenza Unificata, ha ricevuto adesso il parere del Consiglio
di Stato, in sede consultiva.
2.- Il Consiglio di Stato, con il parere che si riporta
in calce, osserva come l’accesso risulti
oggi ricostruibile quale situazione di diritto soggettivo.
In tal senso depongono, oltre il dato letterale:
– "la mancanza di discrezionalità per le amministrazioni, verificati
i
presupposti per l’accesso, nell’adempiere alla pretesa del soggetto
privato di prender visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi";
– la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad
uno specifico
procedimento";
– l’attribuzione delle controversie in materia alla giurisdizione
esclusiva
del giudice amministrativo e la correlata previsione della possibilità che
tale giudizio si concluda con l’ordine di un facere per l’amministrazione".
Si tratta peraltro di "un diritto di cui devono essere garantiti i livelli
essenziali su tutto il territorio nazionale risulta, altresì, per la espressa
e specifica qualificazione in tal senso di cui all’art. 22, comma 2, della
‘241’,
ricognitiva, d’altro lato, del dato sostanziale della funzione del diritto
di accesso di strumento di attuazione del principio costituzionale della imparzialità dell’azione
amministrativa; imparzialità che non sarebbe evidentemente più tale
se non assicurata in modo uguale in ogni luogo della Repubblica".
"Da ciò consegue che la disciplina legislativa dell’accesso
spetta alla competenza esclusiva allo Stato ai sensi della lettera m) del secondo
comma
dell’art. 117 della Costituzione e che allo Stato spetta anche la potestà regolamentare
in materia in forza della corrispondenza biunivoca fra le due potestà normative
stabilita nel comma 6 delle stesso articolo.; corrispondenza diretta ad assicurare,
in linea generale, che la disciplina delle materie individuate dal secondo comma
dell’art. 117, voluta dalla Costituzione come unica in tutto il territorio
nazionale e per questo attribuita alla legislazione statale esclusiva, non sia
poi attuata in modo diverso nel territorio per effetto della normazione regolamentare;
scopo questo che è necessario assicurare, in particolare, riguardo alla
garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali
che è effettivamente tale soltanto se la relativa disciplina è ovunque
uguale".
In definitiva, secondo i Giudici di Palazzo Spada:
Lo Stato disciplina i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti
civili e
sociali anzitutto con legge; può svolgere tale disciplina con proprio
regolamento e tale normazione (sia primaria che secondaria) si applica anche
agli enti territoriali, nei limiti in cui effettivamente miri a definire e regolare
i livelli essenziali medesimi.
Di seguito, il testo integrale del Parere del Consiglio di Stato.
. . . .
Consiglio di Stato,
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Parere sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante “Regolamento
recante integrazioni e modifiche del d.P.R. 27.6.1992, n. 352 (Regolamento
per la disciplina
delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di
accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art. 24, comma
2, della legge 7 agosto 1990, n. 241) ai sensi dell’articolo 23, comma
2, della legge 11 febbraio 2002, n. 15”.
La Sezione,
Vista la relazione trasmessa con nota prot. n. DICA/7094/2.4.5.2.1 del 3 agosto
2005, pervenuta a questo Consiglio il 17 agosto successivo, con
cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento
amministrativo – ha chiesto il parere sullo schema di regolamento in oggetto;
Vista la pronuncia interlocutoria resa dalla Sezione nell’adunanza del
29 agosto 2005 e gli atti quindi trasmessi dall’Amministrazione riferente
con nota prot. DICA/1173/2.4.5.2.1 del 2 febbraio 2006 pervenuta a questa Sezione
il 3 febbraio successivo;
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Maurizio Meschino;
PREMESSO:
1. L’articolo 23 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (recante “Modifiche
e integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernente norme generali sull’azione
amministrativa”) dispone, nel comma 2, che “Entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è autorizzato
ad adottare, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400, un regolamento inteso a integrare o modificare il regolamento di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, al fine
di adeguarne le disposizioni alle modifiche introdotte dalla presente legge.” E
stabilisce nei commi 3 e 4, rispettivamente, che “Le disposizioni di
cui agli articoli 15, 16 e 17, comma 1, lettera a), della presente legge hanno
effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2 del
presente articolo.” e che “Ciascuna pubblica amministrazione, ove
necessario, nel rispetto dell’autonomia ad essa riconosciuta, adegua
i propri regolamenti alle modifiche apportate al capo V della legge 7 agosto
1990, n. 241, della presente legge nonché al regolamento di cui al comma
2 del presente articolo.”. Al riguardo si precisa che gli articoli 15,
16 e 17, comma 1, lettera a), della legge n. 15 del 2005, la cui efficacia,
ai sensi del citato comma 3 dell’art. 23 della stessa legge, decorre
dalla data di entrata in vigore del regolamento in esame, riguardano le “Definizioni
e principi in materia di accesso”, le “Esclusioni dal diritto di
accesso” ed il ricorso al Difensore civico e alla Commissione per l’accesso
ai documenti amministrativi (sostituendo tali disposizioni della legge n. 15
del 2005, rispettivamente, gli articoli 22, 24 e il comma 4 dell’art.
25 della legge n. 241 del 1990).
2. L’Amministrazione riferisce che lo schema di regolamento in esame è stato
predisposto in attuazione del citato art. 23, comma 2, della legge n. 15 del
2005 e che, vista la necessità di elaborare una approfondita rielaborazione
del regolamento vigente, approvato con il d.P.R. n. 352 del 1992 (“Regolamento
per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione
del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art.
24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241), si è giudicato opportuno
riscrivere integralmente tale testo disponendo, di conseguenza, l’abrogazione
del citato d.P.R. n. 352 del 1992.
3. Lo schema in esame è composto di 17 articoli, concernenti: l’oggetto
del regolamento (art. 1); l’ambito di applicazione (art. 2); la notifica
ai controinteressati (art. 3); la richiesta di accesso di portatori di interessi
pubblici o diffusi (art. 4); l’accesso informale (art. 5); il procedimento
di accesso formale (art. 6); l’accoglimento della richiesta e le modalità dell’accesso
(art. 7); il contenuto minimo delle misure organizzative delle singole amministrazioni
(art. 8); il non accoglimento della domanda (art. 9); la disciplina dei casi
di esclusione (art. 10); la Commissione per l’accesso (art. 11); la tutela
amministrativa dinanzi la Commissione per l’accesso (art. 12); l’archivio
centralizzato delle domande di accesso (art. 13); l’aggiornamento dell’archivio
centralizzato (art. 14); l’accesso per via telematica (art. 15); la disciplina
transitoria (art. 16) e l’entrata in vigore del nuovo regolamento con
la contemporanea abrogazione del d.P.R. n. 352 del 1992.
4. La Sezione, nell’adunanza del 29 agosto 2005, rilevata la mancanza
del parere della Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28
agosto 1997, n. 281, nel frattempo richiesto dall’Amministrazione, ha
sospeso l’emissione del proprio parere nell’attesa della pronuncia
della Conferenza.
La Conferenza Unificata
ha adottato il parere di competenza nella seduta del 26 gennaio 2006 e l’Amministrazione riferente lo ha trasmesso alla Sezione
con la nota del 2 febbraio scorso citata in epigrafe.
Con la medesima nota del 2 febbraio l’Amministrazione riferente ha anche
trasmesso, oltre la propria relazione tecnica sullo schema, i seguenti atti:
a) parere reso dalla Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) in sede
di riunione tecnica tenutasi il 28 settembre 2005; b) nota recante “osservazioni
tecniche delle Regioni e delle Province autonome” in cui si dà conto
delle posizioni emerse nella citata riunione tecnica; c) nota, del 10 ottobre
2005, del Capo dei Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza
del Consiglio dei Ministri relativa alle osservazioni formulate nella detta
riunione; d) parere dell’ANCI sulle questioni di cui alla nota ora citata;
e) parere delle Regioni e delle Province autonome reso in sede di riunione
tecnica svoltasi il 14 dicembre 2005; f) verbale della Conferenza Unificata
del 15 dicembre 2005.
5. Il parere della Conferenza
Unificata è favorevole “condizionato
all’accoglimento delle osservazioni di cui all’allegato sub A),
che costituisce parte integrante del presente atto”, nel quale si afferma
come “non configurabile un potere regolamentare dello Stato in materia
di accesso, se non nei confronti delle amministrazioni statali e degli enti
pubblici nazionali.” e “Si ribadisce pertanto la richiesta di inserire
nello schema di regolamento in oggetto una norma che esplicitamente definisca
tale ambito di applicazione”. Nello stesso allegato si soggiunge poi
che “Fermo restando l’avviso espresso sullo schema di regolamento,
non ci si esime dall’osservare – nel rispetto del principio di
leale cooperazione ed al fine di addivenire ad una soluzione condivisa che
consenta la migliore tutela dei diritti individuali e risponda altresì all’esigenza
di omogeneità dell’ordinamento –che l’obiettivo di
pervenire ad una garanzia uniforme su tutto il territorio nazionale potrebbe
essere raggiunto mediante la posizione legislativa di una disposizione del
seguente tenore: “Entro un anno dalla entrata in vigore del regolamento
per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione
del diritto di accesso ai documenti amministrativi emanato ai sensi dell’articolo
23, comma 2, della legge 11 febbraio 2005, n. 15 le Regioni, nell’esercizio
dei propri poteri legislativi e regolamentari, adegueranno la propria normativa
ai principi stabiliti dagli articoli 22, 23, 24, 25 e 26 della legge 7 agosto
1990, n. 241, come modificata ed integrata, in ultimo, dalla legge 11 febbraio
2005, n. 15, e, in quanto applicabili, alle norme del richiamato regolamento”.
6. Nella motivazione del parere
della Conferenza Unificata sono richiamati
gli articoli 22, comma 2, e 29 della legge n. 241 del 1990, come da ultimo
modificata e integrata dalla legge n. 15 del 2005.
L’art. 22, comma 2, stabilisce che: “L’accesso ai documenti
amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse,
costituisce principio generale dell’attività amministrativa al
fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e
la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali,
nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori
di tutela.” L’art. 29 stabilisce che: “1. Le disposizioni
della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono
nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali
e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni
pubbliche. 2. Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto
del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione
amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente
legge.”
CONSIDERATO:
1. Deve essere anzitutto esaminata la questione preliminare dell’ambito
di applicazione del regolamento in esame posta nel parere
della Conferenza Unificata del 26 gennaio scorso, sulla scorta dei correlati documenti e pareri
sopra richiamati e acquisiti in atti, ed oggetto del documento del 10 ottobre
2005 del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza
del Consiglio.
2. Nel citato allegato A al parere della Conferenza Unificata l’applicabilità del
regolamento in esame soltanto alle amministrazioni centrali e agli enti pubblici
nazionali è così motivata:
– dalla lettura integrata dei sopra richiamati articoli 29, comma 2, e 22,
comma 2, della legge n. 241 del 1990 risulta “che esiste un ambito di
applicazione diretta esteso alle regioni e agli enti locali delle norme in
materia di accesso delineato e delimitato da quanto espressamente stabilito
a livello legislativo dalla stessa “241”;
– il riferimento della materia alla lettera m) del secondo comma dell’art.
117 della Costituzione, fatto nella “241”, deve essere interpretato
nel senso “che la regolamentazione degli enti territoriali deve, come
minimo, garantire i livelli di garanzia dell’accesso delineati nella
stessa legge potendo evidentemente elevare il livello delle garanzie, come
di fatto avvenuto nella recente legislazione regionale.”;
– come precisato dalla Corte costituzionale “la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni” non è una materia bensì una
competenza dello Stato idonea a investire tutte le materie; è dunque
evidente il rischio che la trasversalità di tale intervento porti ad
uno svuotamento della potestà normativa regionale e ad una lesione grave
all’autonomia degli enti territoriali ed è perciò necessario,
come anche specificato dalla Corte, che le scelte al riguardo siano, almeno
nelle linee generali, operate dallo Stato con legge “che dovrà inoltre
determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni
ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori” (Sentenza
n. 13 del 2003);
– la legge “241” “non ha previsto alcun meccanismo di successiva
specificazione dei livelli essenziali delle prestazioni atte a garantire il
diritto di accesso. Scelta peraltro logica dato l’estremo dettaglio della
disciplina dell’accesso contenuta nella legge 241/1990, che vi dedica
l’intero Titolo V”.
Nel documento del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza
del Consiglio del 10 ottobre 2005 si afferma anzitutto che l’assunto
della non applicabilità del regolamento agli enti territoriali “non
trova giustificazione nel sistema della legge” fungendo l’art.
22, comma 2, della “241” da norma speciale rispetto all’art.
29, comma 2, della stessa legge, poiché esso “non solo fonda la
materia dell’accesso sull’art. 117, secondo comma, lettera m),
della Costituzione ma disciplina direttamente l’ambito di competenza
delle regioni e degli enti locali, laddove prevede che i medesimi possano garantire
solamente ulteriori livelli di tutela mediante l’emanazione di atti regolamentari
evidentemente aggiuntivi rispetto a quello di carattere generale”, non
potendosi, peraltro, “immaginare un vuoto normativo fino a quando gli
enti non provvederanno ad emanare la propria normativa che peraltro non è obbligatoria”.
Gli enti territoriali nel regolamentare le materie disciplinate dalla legge
devono inoltre, proprio ai sensi dell’art. 29, comma 2, della “241”,
rispettare le garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa
quali anche definite dai principi posti con la stessa legge, fra cui di certo
rientrano quelli disciplinanti la materia dell’accesso. Deve essere affermata
poi, si soggiunge, la potestà regolamentare dello Stato in materia di
diritto di accesso ai documenti amministrativi dal momento che tale diritto,
alla luce delle stessa disciplina posta in materia dalla recente riforma della “241”, è tra
i diritti civili e sociali di cui alla lettera m) del secondo comma dell’art.
117 della Costituzione e, perciò, oggetto della potestà regolamentare
dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma sesto, della stessa Costituzione.
Tuttavia, si conclude, in virtù del principio di leale collaborazione
fra lo Stato e gli enti territoriali, si propone l’inserimento nello
schema di regolamento di una disposizione parzialmente cedevole, così formulata: “Il
presente regolamento si applica anche alle Regioni e agli enti locali, fatta
comunque salva la possibilità di prevedere con apposito regolamento
la disciplina e la garanzia di ulteriori livelli di tutela; in tal caso si
applicheranno le singole disposizioni più favorevoli. Resta comunque
salva la possibilità per i cittadini e per tutti gli enti locali di
avvalersi della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi”.
3. La Sezione ritiene quanto segue:
– ai sensi della normativa primaria posta nel Capo V della “241” l’accesso
risulta oggi ricostruibile quale situazione di diritto soggettivo, e ciò sia
in base alla sua formale definizione come tale che per chiari profili della
sua concreta disciplina, quali, in particolare, la mancanza di discrezionalità per
le amministrazioni, verificati i presupposti per l’accesso, nell’adempiere
alla pretesa del soggetto privato di prender visione ed estrarre copia dei
documenti amministrativi, la non necessità che il documento amministrativo
sia relativo ad uno specifico procedimento, l’attribuzione delle controversie
in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la correlata
previsione della possibilità che tale giudizio si concluda con l’ordine
di un facere per l’amministrazione. Che si tratti inoltre di un diritto
di cui devono essere garantiti i livelli essenziali su tutto il territorio
nazionale risulta, altresì, per la espressa e specifica qualificazione
in tal senso di cui all’art. 22, comma 2, della “241”, ricognitiva,
d’altro lato, del dato sostanziale della funzione del diritto di accesso
di strumento di attuazione del principio costituzionale della imparzialità dell’azione
amministrativa; imparzialità che non sarebbe evidentemente più tale
se non assicurata in modo uguale in ogni luogo della Repubblica;
– da ciò consegue che la disciplina legislativa dell’accesso spetta
alla competenza esclusiva allo Stato ai sensi della lettera m) del secondo
comma dell’art. 117 della Costituzione e che allo Stato spetta anche
la potestà regolamentare in materia in forza della corrispondenza biunivoca
fra le due potestà normative stabilita nel comma 6 delle stesso articolo;
corrispondenza diretta ad assicurare, in linea generale, che la disciplina
delle materie individuate dal secondo comma dell’art. 117, voluta dalla
Costituzione come unica in tutto il territorio nazionale e per questo attribuita
alla legislazione statale esclusiva, non sia poi attuata in modo diverso nel
territorio per effetto della normazione regolamentare; scopo questo che è necessario
assicurare, in particolare, riguardo alla garanzia dei livelli essenziali delle
prestazioni dei diritti civili e sociali che è effettivamente tale soltanto
se la relativa disciplina è ovunque uguale;
– d’altro lato, come precisato dalla Corte costituzionale (sentenza n.
88 del 2003, nonché n. 282 del 2002 e n. 6 del 2004), la competenza
legislativa esclusiva dello Stato riguardo ai livelli essenziali dei diritti
civili e sociali è correlata alla idoneità degli interventi in
questione “ad investire tutte le materie” (sentenza n. 282 del
2002) con conseguente forte incidenza “sull’esercizio delle funzioni
assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni e delle
Province autonome” (sentenza n. 88 del 2003), confermando ciò la
necessità che le relative scelte “almeno nelle loro linee generali
siano operate dallo Stato con legge” (sentenza citata da ultimo);
– su questa base si fonda il corretto e opportuno richiamo fatto dagli enti
territoriali, nel caso di specie in sede di Conferenza Unificata e nei documenti
connessi, alla necessità che l’esercizio della potestà normativa
statale avvenga, quando si tratti della lettera m) del secondo comma dell’art.
117 della Costituzione (come di altre “materie trasversali” individuate
nel medesimo comma), con particolare attenzione rispetto alla ripartizione
delle competenze fra lo Stato e le Regioni e gli enti locali stabilita dalla
stessa Costituzione, per evitare che tale ripartizione venga lesa dallo Stato
proprio per la pluralità delle materie investite dalla sua potestà normativa;
– tutto ciò considerato se ne trae la conclusione, in sintesi, che lo
Stato disciplina i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili
e sociali anzitutto con legge, che può svolgere tale disciplina con
proprio regolamento, che tale normazione (sia primaria che secondaria) si applica
anche agli enti territoriali, quale esplicazione di competenze riservate allo
Stato al fine del loro uniforme esercizio in tutto il territorio nazionale,
ma che tale esplicazione, per non eccedere la ripartizione costituzionale delle
competenze, deve restare nel limite in cui sia effettivamente e strettamente
pertinente alla sola definizione e regolazione dei detti livelli essenziali
nel citato territorio;
– alla stregua di questo parametro dovrà essere verificato, in particolare,
l’esercizio della potestà regolamentare dello Stato, oggetto della
funzione consultiva di questo Consiglio, per riscontrare se con esso ci si
limiti alla disciplina regolamentare del solo ambito di intervento normato
in sede legislativa; cioè, in concreto, se il regolamento rechi soltanto
le disposizioni necessarie per l’attuazione di quanto previsto dalla
norma primaria a garanzia dei livelli essenziali di esercizio dei diritti ovvero
rechi una disciplina ulteriore, invasiva, di conseguenza, delle competenze
degli enti territoriali e a questi perciò non applicabile.
4. Con riguardo allo schema in esame si è svolta anzitutto tale verifica,
individuando le disposizioni che non si applicano alle Regioni e agli enti
locali perché non attinenti alla garanzia dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti il diritto di accesso, che deve restare uniforme su
tutto il territorio nazionale, ma concernenti modalità attuative rientranti
nelle funzioni normative e amministrative degli enti territoriali.
Questo esame porta alle seguenti modifiche dell’art. 16:
-a) la rubrica dell’articolo deve essere sostituita con la seguente: “Disposizioni
transitorie e finali”
-b) il comma 1 deve essere sostituito con il seguente: “Salvo quanto
disposto per le Regioni e gli enti locali nel comma 2, ai soggetti indicati
nell’art. 23 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e secondo quanto ivi
previsto, si applicano tutte le disposizioni del presente regolamento. I regolamenti
adottati dai detti soggetti in materia di accesso vigenti alla data di entrata
in vigore del presente regolamento sono adeguati alle relative disposizioni
entro un anno da tale data; decorso inutilmente tale termine essi perdono efficacia.”;
-c) deve essere inserito il seguente, nuovo comma 2: “2. Alle Regioni
e agli enti locali non si applicano l’articolo 1, comma 2, l’articolo
7, commi 4, 5, 6 e 7, l’articolo 8 e gli articoli 13 e 14, del presente
regolamento, in quanto non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni
concernenti il diritto all’accesso che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione e secondo quanto previsto dall’articolo 22, comma
2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche e integrazioni,
nonché l’articolo 12, in quanto non attinente alla disciplina
dell’istanza al difensore civico di cui al quarto comma dell’articolo
24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche e integrazioni.
Le Regioni e gli enti locali adegueranno alle restanti disposizioni del presente
regolamento i rispettivi regolamenti in materia di accesso vigenti alla data
della sua entrata in vigore entro un anno da tale data, ferma restando la potestà di
adottare, nell’ambito delle rispettive competenze, tutte le specifiche
disposizioni e misure organizzative che siano giudicate necessarie per meglio
garantire nei rispettivi territori i suddetti livelli essenziali delle prestazioni
e assicurare comunque livelli ulteriori di tutela.”;
– il comma 2 del testo come proposto all’esame resta identico salva la
sua nuova numerazione quale comma “3”.
5. Sul testo la Sezione formula le seguenti osservazioni:
– art. 1, comma 1: considerata la finalità del regolamento in esame,
come definita nella norma primaria di cui all’art. 23, comma 2, della
legge n. 15 del 2005, e la scelta dell’Amministrazione di sostituire
integralmente la normativa di cui al d.P.R. n. 352 del 1992, il comma deve
essere così riscritto: “Il presente regolamento disciplina le
modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso
ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nel Capo
V della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche e integrazioni.”
– art. 2, commi 2 e 3: visto il fine della norma di cui al comma 2, consistente
nella individuazione del documento amministrativo e dell’autorità competente
per l’accesso, la citazione, nel primo periodo del comma, dell’articolo
1, comma 2 (di rinvio alle misure organizzative per l’attuazione dell’accesso)
risulta superflua e deve pertanto essere espunta; per analogo motivo possono
anche essere espunte, nel comma 3, le parole da “secondo le modalità” alla
fine del comma;
– art. 3:
– comma 1: nei documenti degli enti territoriali acquisiti in atti è stata
rilevata l’onerosità, per i presentatori della istanza di accesso,
dell’obbligo a loro carico della notifica ai controinteressati e, al
riguardo, nel documento del competente Dipartimento della Presidenza del Consiglio è stata
di conseguenza proposta la seguente disposizione sostitutiva del comma: “Salvo
quanto previsto in materia di accesso informale, la pubblica amministrazione
cui è indirizzata l’istanza di accesso, qualora riscontri l’esistenza
di soggetti controinteressati, è tenuta a darne comunicazione agli stessi,
o almeno ad alcuno tra essi, mediante invio di copia della istanza di accesso,
con raccomandata con avviso di ricevimento o a mezzo fax.” La Sezione
concorda con questa proposta affinché l’esercizio del diritto
di accesso non sia reso gravoso e venga salvaguardata, al contempo, la posizione
dei controinteressati;
-art. 5:
– comma 1: la specificazione “centrale o periferico” non risulta
necessaria essendo sufficiente la indicazione che la domanda deve essere presentata
all’ufficio competente dell’amministrazione;
– comma 4: la parola “risulti” deve essere sostituita con la parola “riscontri” in
coerenza con il nuovo testo del comma 1 dell’art. 3;
– art. 10, comma 4: il comma risulta superfluo in quanto ripetitivo delle disposizioni
di cui al comma 6 dell’art. 24 della legge “241”, con l’aggiunta
inoltre della categoria, ivi non prevista, degli “atti politici” e
della riproposizione soltanto di parte del comma 7 del medesimo articolo; esso
pertanto deve essere espunto dal testo;
– art. 11, comma 1, lettera a): nella disposizione si prevede che la Commissione
per l’accesso esprime parere “sui regolamenti che le singole amministrazioni
adottano ai sensi dell’art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n.
241 e successive modificazioni…”. Nei documenti degli enti territoriali
si chiede che questa disposizione sia riferita esclusivamente alle amministrazioni
dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Al riguardo la Sezione osserva
che la funzione consultiva della Commissione, obbligatoria ma non vincolante, è opportuna
anche con riguardo ai regolamenti dei detti enti poiché attraverso la
individuazione da parte delle singole pubbliche amministrazioni, prevista nel
citato comma 2 dell’art. 24, delle “categorie di documenti… sottratti
all’accesso ai sensi del comma 1” si può incidere sui livelli
essenziali delle prestazioni concernenti il diritto stesso;
– art. 11, comma 3: nei documenti degli enti territoriali si osserva che l’obbligo
di trasmissione alla Commissione per l’accesso anche dei regolamenti
sulla disciplina del diritto di accesso da essi adottati contrasta con quanto
previsto dalla norma primaria, prevedendo questa soltanto l’obbligo di
corrispondere a specifiche richieste della Commissione. Al riguardo la Sezione
ritiene che la finalità della costituzione, a fini conoscitivi, di un
archivio dei regolamenti vigenti in materia non leda l’autonomia degli
enti territoriali rispondendo al principio della leale collaborazione. La Sezione
giudica peraltro che la modalità di trasmissione dei testi in questione
debba essere semplificata e prevista in via telematica, come d’altro
lato prescritto in via generale per i rapporti interni tra le “diverse
amministrazioni” dall’art. 3-bis della “241” (come
modificata dalla legge n. 15 del 2005). Il secondo periodo del comma deve perciò essere
così sostituito: “A tal fine i soggetti di cui all’art.
23 della legge 7 agosto 1990, n. 241, trasmettono per via telematica alla Commissione
per l’accesso i suddetti regolamenti ed ogni loro successiva modifica
e integrazione”;
-art. 12:
– comma 1: la previsione che il ricorso alla Commissione per l’accesso
possa essere presentato anche dal “controinteressato avverso le determinazioni
ammissive dell’accesso” non risulta nell’art. 25, quarto
comma, della “241”, nel quale tale ricorso è previsto soltanto
per “il richiedente” l’accesso “avverso il diniego
dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso”.
Ad avviso della Sezione l’Amministrazione deve perciò riesaminare
la disposizione per verificarne la coerenza rispetto alla norma primaria;
– comma 5, lettera b) e comma 7, lettera c): si pone l’esigenza del coordinamento
con quanto osservato sul comma 1 dell’art. 3;
– comma 6: per maggiore chiarezza il primo periodo del comma deve essere così sostituito: “Le
sedute della Commissione sono valide quando sono presenti almeno sette componenti.
Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei presenti.”; nel terzo
periodo del comma le parole “sul ricorso si forma il silenzio rigetto” devono
essere sostituite dalle seguenti: “il ricorso si intende rigettato.”;
– comma 7, lettera b): la citazione dell’art. 22 della “241” deve
essere così sostituita: “…dall’art. 22, comma 1, lettera
b),…”;
– comma 10: si prevede che il decorso del termine per la presentazione del
ricorso al tribunale amministrativo regionale è interrotto per effetto
della proposizione del ricorso alla Commissione per l’accesso “per
impedire”, motiva l’Amministrazione riferente, “che l’esercizio
della facoltà di avvalersi della tutela amministrativa possa risolversi
per l’interessato in una illogica decadenza dalla possibilità di
adire la tutela giurisdizionale, in palese contrasto con lo spirito della riforma”.
Al riguardo la Sezione ritiene che l’Amministrazione debba riesaminare
la disposizione per verificarne la coerenza rispetto alla normativa primaria,
ai sensi della quale non sembra che possa prodursi il temuto effetto decadenziale
non risultando, dai commi 4 e 5 dell’art. 24 della “241”,
che la proposizione dell’istanza alla Commissione per l’accesso
incida sulla possibilità dell’azione in sede giurisdizionale,
essendo questa comunque successiva e sempre consentita all’esito del
ricorso alla Commissione per l’accesso (come al difensore civico competente
per gli atti degli enti territoriali) se il richiedente abbia dapprima scelto
tale strada;
– art. 13:
– commi 1 e 2: la Sezione giudica necessaria la specifica valutazione da parte
dell’Amministrazione riferente della compatibilità della costruzione
di archivi automatizzati contenenti i “dati soggettivi” (comma
2) sui richiedenti l’accesso con la tutela della loro riservatezza e
se non si debba disporre, invece, che le domande siano archiviate in forma
anonima;
– art. 15: nel primo periodo la citazione dell’art. 22 della “241” deve
essere così sostituita: “…all’art. 22, comma 1, lettera
e)”; nel secondo periodo, dopo le parole “decreto del Presidente
della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68,” devono essere aggiunte le
seguenti: “e in conformità a quanto disposto dal d.lgs. 7 marzo
2005, n. 82”.
P.Q.M.
Nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione.
Roma, 13 febbraio 2006
Per estratto dal Verbale
Il Segretario della Sezione
(Licia Grassucci)
Visto:
Il Presidente della Sezione
(Livia Barberio Corsetti)
—
Sta per essere pubblicato il Dpr recante modifiche al regolamento sull’accesso
agli atti, previsto dalla recente novella alla legge 241 del 1990, approvata
con legge 15 del 2005 (poi parzialmente modificata con il "decreto competitività",
DL n. 35 del 2005 convertito con modifiche dalla legge 80 del 2005)
Il Governo ha sostenuto, in sede di Conferenza Unificata, l’applicabilità alle
regioni ed agli enti locali del nuovo regolamento, in quanto, avendo la legge
ricondotto la materia dell’accesso nell’ambito dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117,
secondo comma, lettera m) della Costituzione, si tratterebbe di materia di
esclusiva competenza dello Stato, cui spetterebbe come conseguenza anche la
potestà regolamentare ex articolo 117, comma 6, della Costituzione.
Le Regioni hanno obiettato che la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni non è una materia, bensì una competenza che lo Stato
ha di dettare norme per la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento
di diritti civili e sociali (Corte Cost. 50 del 2005) e che la legge n. 241/90,
nel testo consolidato, non prevede alcun meccanismo di successiva specificazione "statale" dei
livelli essenziali delle prestazioni atte a garantire il diritto di accesso.
Il riferimento della materia ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, va dunque letto nel senso che sarà poi competenza regolamentare
degli enti territoriali garantire, come minimo, i livelli di garanzia dell’accesso
delineati nella stessa legge, potendo evidentemente elevare il livello delle
garanzie.
Si riporta di seguito il parere integrale della Conferenza Unificata, che
conclude ribadendo che "non è configurabile un potere regolamentare
dello Stato in materia di accesso, se non nei confronti delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici nazionali"
. . . .
Conferenza Unificata
Parere sullo schema di regolamento recante integrazioni e modifiche del DPR
27 giugno 1992, n. 352 (Regolamento per la disciplina delle modalità di
esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi),
ai sensi dell’articolo 23, comma 2, della legge 11 febbraio 2005, n.
15
A seguito della riunione tecnica tenutasi il 28 settembre 2005 presso la Segreteria
della Conferenza unificata, nel corso della quale è stato esaminato
lo schema di regolamento in oggetto, è stato redatto dalle regioni un
documento sintetico “Osservazioni tecniche delle regioni e province autonome” ,
che ad ogni buon fine si allega, e che in buona sostanza riassume le questioni
affrontate e le posizioni espresse dalle parti presenti nel corso della riunione
stessa.
Nonostante il sostanziale accordo espresso dai rappresentanti della Presidenza
del Consiglio dei Ministri presenti nella riunione, il Dipartimento per il
coordinamento amministrativo ha fatto seguito con la nota n° DICA/8639/2.4.5.2.1.
del 10 ottobre u.s., nella quale si sostiene invece la piena applicabilità alle
regioni ed agli enti locali del regolamento in oggetto, in quanto, avendo la
legge ricondotto la materia dell’accesso nell’ambito dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo
117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, si tratterebbe di materia
di esclusiva competenza dello Stato, cui spetterebbe come conseguenza anche
la potestà regolamentare ex articolo 117, comma 6, della Costituzione.
Al fine di ulteriormente chiarire il punto di vista delle regioni, si ricorda
che l’articolo 29 della legge n. 241/1990 come modificata dai recenti
interventi legislativi (Legge n. 15/2005 e DL n. 35/2005 convertito con modifiche
dalla Legge n. 80/2005) prevede:
“1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti
amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali
e degli enti pubblici nazionali, e, per quanto stabilito in tema di giustizia
amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche.
2. Le regioni e gli enti locali nell’ambito delle rispettive competenze,
regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione
amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente
legge.”
Tale disposizione, di per sé esplicita in quanto alla necessaria autonomia
degli enti territoriali di implementazione dei principi contenuti nella legge
241, deve essere letta in maniera integrata con quanto previsto dall’articolo
22, comma 2, della stessa legge:
“L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti
finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa
al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e
la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali,
nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori
di tutela.”
Dalla lettura integrata delle norme riportate, risulta quindi che esiste un
ambito di applicazione diretta esteso alle regioni e agli enti locali delle
norme in materia di accesso delineato e delimitato da quanto espressamente
stabilito a livello legislativo dalla stessa 241.
Il riferimento della materia ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, va letto nel senso che la regolamentazione degli enti territoriali
deve, come minimo, garantire i livelli di garanzia dell’accesso delineati
nella stessa legge, potendo evidentemente elevare il livello delle garanzie,
come di fatto è avvenuto in recente legislazione regionale. Basti qui
citare la legge regionale della Regione Friuli Venezia Giulia 20 marzo 2000,
n. 7 recante il “Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo
e di diritto di accesso” , con la quale la Regione garantisce con tutta
evidenza ulteriori livelli di tutela rispetto a quanto previsto dalla normativa
statale.
In materia si è formata ormai copiosa giurisprudenza costituzionale.
Basti ricordare la recente sentenza n. 50 del 2005, che ha affermato che la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni non è una materia,
bensì una competenza che lo Stato ha di dettare norme per la fissazione
di un livello minimo di soddisfacimento di diritti civili e sociali, ribadendo
quanto già esplicitato nella sentenza n. 19 del 2002, rispetto agli
stessi livelli essenziali: “… non si tratta di una “materia” in
senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire
tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre
le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale,
il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti,
senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”.
E’ evidente che, data la trasversalità della fissazione dei livelli
essenziali, una interpretazione estensiva del principio potrebbe portare ad
uno svuotamento della potestà legislativa regionale e ad una lesione
grave all’autonomia degli enti territoriali in generale.
Nella sentenza n. 13 del 2003, la Corte costituzionale ha affrontato proprio
il problema della compatibilità di questo strumento attribuito al legislatore
statale al fine di garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di
trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti con un sistema caratterizzato
da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto.
Si legge in proposito nella stessa sentenza: “La conseguente forte incidenza
sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative
ed amministrative delle Regione e delle Province autonome impone evidentemente
che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato
con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi
atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che
si rendano necessarie nei vari settori.”.
Orbene, la legge n. 241/90 non ha previsto alcun meccanismo di successiva
specificazione dei livelli essenziali delle prestazioni atte a garantire il
diritto di accesso. Scelta peraltro logica dato l’estremo dettaglio della
disciplina dell’accesso contenuta nella legge n. 241/1990, che vi dedica
l’intero Titolo V (Definizioni e principi in materia di accesso).
Alla luce delle considerazioni di cui sopra ed alla stregua della giurisprudenza
costituzionale, si ritiene che non sia configurabile un potere regolamentare
dello Stato in materia di accesso, se non nei confronti delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici nazionali. Si ribadisce pertanto la richiesta
di inserire nello schema di regolamento in oggetto una norma che esplicitamente
definisca tale ambito di applicazione.
******
Fermo restando l’avviso espresso sullo schema di regolamento, non ci si esime
dall’osservare – nel rispetto del principio di leale cooperazione ed al fine
di addivenire ad una soluzione condivisa che consenta la migliore tutela dei
diritti individuali e risponda altresì all’esigenza di omogeneità dell’ordinamento
– che l’obiettivo di pervenire ad una garanzia uniforme su tutto il territorio
nazionale potrebbe essere raggiunto mediante la posizione legislativa di una
disposizione del seguente tenore:
“Entro un anno dall’entrata in vigore del regolamento per la disciplina
delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di
accesso ai documenti amministrativi emanato ai sensi dell’articolo 23, comma
2, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, le Regioni, nell’esercizio dei propri
poteri legislativi e regolamentari, adegueranno la propria normativa ai principi
stabiliti dagli articoli 22, 23, 24, 25 e 26 della legge 7 agosto 1990, n.
241, come modificata ed integrata, in ultimo, dalla legge 11 febbraio 2005,
n. 15, e, in quanto applicabili, alle norme del richiamato regolamento.”
Roma, 26 gennaio 2006