Il Consiglio di Stato, riunito in Adunanza Plenaria, e dunque con la presenza
di
sei
presidenti (De Roberto, Schinaia, Salvatore, Iannotta, Virgilio, Barbagallo),
ritiene l’irrilevanza, sotto il profilo economico, dello svolgimento
di mansioni superiori nel pubblico impiego, prima del 22 novembre 1998 (data
di entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998).
Il massimo consesso della Giurisdizione Amministrativa, con la sentenza numero
3, depositata il 23 marzo 2006,
ammette che in materia, v’è una posizione diversa della Corte di Cassazione.
E tuttavia, aggiungono i Giudici di Palazzo Spada, "il rapporto di pubblico
impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato", in quanto, oltre
all’art.
36 della cost. (principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori
alla qualità e
quantità del lavoro prestato), vi sono altri principi di pari rilevanza
costituzionale; quali quelli previsti dall’art. 98 della cost. (i pubblici
impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, per cui la
valutazione del rapporto di pubblico impiego non può essere ridotta alla
pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 della cost. (l’esercizio
di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, contrasta con i
principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, nonché con
la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei
funzionari).
Il diritto del dipendente
pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo
alla qualifica immediatamente superiore può dunque essere riconosciuto,
con carattere di
generalità, solo
a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 (22 novembre
1998).
Prima del 22 novembre 1998, lo svolgimento di
mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta formalmente non comporta
il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico
dipendente.
. . . .
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria
Sentenza 23 marzo 2006 numero 3
(presidente De Roberto, estensore Volpe)
[annulla Tar Catania, III, 2 aprile 2001 n. 767]
vista l’ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana 31 maggio 2005, n. 352, con cui la causa è stata rimessa all’esame
dell’adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di
Stato;
FATTO
Il signor Carmelo Cultraro, dipendente del Consorzio acquedotto etneo (C.A.E.)
di Catania, oggi Azienda consortile servizi etnei (A.CO.S.ET.), in possesso
dell’ottava
qualifica funzionale di capo settore, in seguito alla vacanza del posto di dirigente
capo servizio coordinatore-area utenze, di prima qualifica funzionale, veniva
incaricato, con ordine di servizio del presidente del Consorzio 19 marzo 1988,
n. 2006, ad assumere le dette funzioni superiori (e apicali). Il Consorzio, con
deliberazione del consiglio di amministrazione 9 febbraio 1989, n. 58, gli corrispondeva
le conseguenti differenze retributive, ma limitatamente a un anno (20 marzo 1988/19
marzo 1989); che costituiva il periodo massimo, stabilito dall’art. 72,
comma 2, del d.p.r. 13 maggio 1987, n. 268, per la durata delle funzioni vicarie.
Le anzidette maggiorazioni economiche, tuttavia, vennero di fatto erogate sino
al maggio 1991. Il signor Cultraro, a seguito di varie deliberazioni del Consorzio
(risalenti al 1991 e al 1992), veniva riconfermato nell’incarico con l’attribuzione
del relativo trattamento economico differenziale. Le deliberazioni erano però annullate
dall’organo di controllo, che riteneva non consentita la reiterazione dell’incarico
alla stessa persona oltre il periodo annuale.
Contro la mancata corresponsione, da parte del Consorzio, delle anzidette differenze
retributive e i relativi accessori, il signor Cultraro ha proposto, innanzi
al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania,
due distinti ricorsi. Il primo contro il silenzio rifiuto formatosi su istanza
in data 21 agosto 1995 e atto di diffida notificato il 14 novembre 1995, l’altro
avverso il provvedimento esplicito di diniego di cui alla nota del presidente
del C.A.E. 16 luglio 1996, n. 9600.
La sezione terza del detto Tribunale, riuniti i ricorsi, ha dichiarato improcedibile
il primo, per sopravvenuta carenza di interesse avendo l’amministrazione
successivamente provveduto sull’istanza dell’interessato, e ha accolto
il secondo. Ha, quindi, condannato l’amministrazione a corrispondere
al ricorrente le somme dovute per differenze retributive, relativamente ai
periodi
di effettivo svolgimento delle mansioni superiori, e per accessori.
Il primo giudice, a sostegno della pronuncia, ha addotto i seguenti argomenti:
a) è pacifico tra le parti l’espletamento di mansioni superiori;
b) la prestazione è esecutiva di disposizioni emanate dall’amministrazione
e, comunque, è stata riconosciuta utile dalla stessa;
c) nell’art. 56 del regolamento organico del personale dipendente è rinvenibile
la norma che consente l’attribuzione di mansioni superiori, in presenza
di situazioni di necessità;
d) sussiste il requisito della vacanza e della disponibilità del posto
in organico.
L’A.CO.S.ET. ha appellato la sentenza, innanzi al Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana, per i seguenti motivi:
1) irrilevanza ai fini giuridici ed economici delle mansioni superiori espletate
dai pubblici dipendenti, poiché:
a) il principio della retribuibilità delle mansioni superiori non troverebbe
applicazione nel pubblico impiego (Cons. Stato, ad. plen., 18 novembre 1999,
n. 22);
b) ai sensi di Cons. Stato, ad. plen., 28 gennaio 2000, n. 10, per il periodo
antecedente l’entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 (che,
all’art. 15, ha sancito l’operatività della disciplina di
cui all’art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29), lo svolgimento di compiti
eccedenti la qualifica formalmente ricoperta non dà diritto alle differenze
retributive;
2) violazione dell’art. 72 del d.p.r. n. 268/1987, dato che le funzioni
superiori non potrebbero essere affidate per un periodo superiore a un anno e
in quanto sarebbe mancato il presupposto formale dell’esistenza di un
provvedimento di assegnazione di mansioni superiori.
L’appellante ha chiesto anche la restituzione, da parte dell’appellato,
delle differenze retributive corrispostegli dal 20 marzo 1989 al maggio 1991.
Il signor Cultraro si è costituito
in giudizio, resistendo al ricorso
in appello.
L’appellante ha prodotto memoria con la quale ha ulteriormente illustrato
le proprie difese.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con l’ordinanza
indicata in epigrafe, ha rimesso la causa all’esame dell’adunanza
plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana dubita, innanzitutto,
della fondatezza del secondo motivo di ricorso, inerente la violazione dell’art.
72 del d.p.r. n. 268/1987.
Ciò in quanto il superamento del limite temporale
della durata delle funzioni vicarie non può incidere sfavorevolmente nella
sfera giuridica dell’impiegato, ma se mai su quella di chi ha violato
il divieto. Poi, con riguardo al primo motivo di ricorso, premesso che l’affermazione
principale dell’appellante – secondo cui nel pubblico impiego l’espletamento
delle mansioni superiori sarebbe irrilevante – pecca quanto meno di eccesso,
nutre dubbi sull’efficacia non retroattiva dell’art. 15 del d.lgs.
n. 387/1998, affermata dalla giurisprudenza amministrativa, siccome in contrasto
a recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Rimette così la questione
all’adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato,
ritenendo, comunque, che, <<una volta parificato (sia pure con qualche
deroga e con non poche forzature alla “natura delle cose”), il lavoro
pubblico a quello privato, sembra difficile spiegare le ragioni di un diverso
trattamento – basato unicamente sul fattore “tempo” – da applicare
ad una medesima categoria di impiegati pubblici>>.
L’appellante ha depositato ulteriore memoria.
DIRITTO
1. La pretesa dell’appellato, ritenuta fondata dal primo giudice che ha
pronunciato su due ricorsi dallo stesso proposti nel 1996, attiene al pagamento
delle differenze retributive e degli accessori, per il periodo di espletamento
di mansioni superiori, a decorrere dal 20 marzo 1989. L’appellato, in possesso
dell’ottava qualifica funzionale, ha svolto le funzioni, su di un posto
vacante, inerenti la prima qualifica dirigenziale. Le funzioni erano state riconosciute
e attribuite dall’ente appellante, che comunque risulta avere corrisposto
le maggiorazioni economiche sino al maggio 1991; quindi, oltre il periodo annuale
di svolgimento delle stesse (20 marzo 1988/19 marzo 1989).
L’appellante sostiene che, anche a volere riconoscere in linea di principio
la rilevanza agli effetti retributivi delle mansioni superiori, nella fattispecie
per cui è causa esse non potrebbero essere egualmente riconosciute, poiché l’art.
15 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 non esplicherebbe effetti per il passato,
ma solo per il futuro.
2. Il legislatore, dopo avere introdotto all’art. 57 del d.lgs. 3 febbraio
1993, n. 29 una disciplina generale del conferimento di mansioni superiori, valida
per tutte le pubbliche amministrazioni – quale fenomeno eccezionale e temporaneo
(limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale periodo, ma con riferimento ad
altro dipendente) – ne ha subito rinviato l’applicazione, subordinandola
all’emanazione, in ogni amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione
delle strutture organizzative. E ha poi rinnovato più volte la proroga
sino all’abrogazione della norma (il citato art. 57 è stato abrogato
dall’art. 43 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 senza avere avuto mai applicazione).
La disciplina delle mansioni superiori di cui al citato art. 57 non è stata
ritenuta espressione di un principio generale di più ampia portata e tanto
meno applicabile – in aperto conflitto con la contraria volontà espressa
dal legislatore con i ripetuti rinvii – a decorrere dalla sua emanazione o,
perfino, da data anteriore (Cons. Stato, ad. plen., 28 gennaio 2000, n. 10).
La materia è stata poi disciplinata dall’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993
(nel testo sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998) che ha regolamentato,
in maniera innovativa, l’istituto dell’attribuzione temporanea di
funzioni superiori nell’ambito del pubblico impiego. E’ così stata
affermata – per la prima volta in un testo normativo di portata generale per
il pubblico impiego – che al lavoratore spetta la differenza di trattamento
economico con la qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per
violazione
delle condizioni ivi previste (comma 5).
Pure questa volta l’operatività della norma veniva rinviata. In
particolare, l’art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29/1993 stabiliva che:
a) “le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione
della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti
collettivi e con la decorrenza da questi stabilita”;
b) “i medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti
di cui ai commi 2, 3 e 4”;
c) “fino a tale data, in nessuno caso lo svolgimento di mansioni superiori
rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze
retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale
del lavoratore”.
In seguito, l’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 ha soppresso le parole “a
differenze retributive o”. In tal modo il legislatore ha manifestato la
volontà di rendere anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art.
56 del d.lgs. n. 29/1993, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico,
che ne abbia svolto le funzioni, a conseguire il trattamento economico relativo
alla qualifica immediatamente superiore.
Attualmente la disciplina è contenuta nell’art. 52 del d.lgs. 30
marzo 2001, n. 165 (“norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), a seguito dell’abrogazione
del d.lgs. n. 29/1993 (disposta dall’art. 72 del d.lgs. n. 165/2001).
3. La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che, per
effetto della modifica apportata dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, il diritto del dipendente
pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo
alla qualifica immediatamente superiore vada riconosciuto con carattere di generalità solo
a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 (22 novembre
1998). Il riconoscimento legislativo di siffatto diritto possiede, infatti,
evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia
su situazioni
pregresse.
In tal senso questa adunanza plenaria (23 febbraio 2000, nn. 12 e 11; n. 10/2000;
18 novembre 1999, n. 22) e la giurisprudenza successiva. Si vedano, tra le
tante:
a) sez. IV: nn. 5799, 5798, 5797 e 5796 del 2005; 14 settembre 2005, nn. 4768,
4767 e 4755; 22 giugno 2004, n. 4433; 7 giugno 2004, n. 3606; 30 giugno 2003,
n. 3920;
b) sez. V: 5 ottobre 2005, n. 5323; 29 agosto 2005, n. 4398; n. 3699/2005;
8 febbraio 2005, n. 333; 3 febbraio 2005, n. 264; 19 febbraio 2004, n. 665;
9 giugno
2003, n. 3235; 22 novembre 2001, n. 5924;
c) sez. VI: n. 5632/2005; n. 3365/2005; 16 giugno 2005, n. 3189; 7 giugno 2005,
n. 2915; 26 aprile 2005, nn. 1888 e 1887.
L’adunanza plenaria ritiene che non vi siano motivi per discostarsi da
siffatto orientamento malgrado un diverso recente indirizzo della Corte di
Cassazione (sez. lav.: 4 agosto 2004, n. 14944; 8 gennaio 2004, n. 91; 25 ottobre
2003,
n. 16078).
Secondo la Corte di Cassazione la novella di cui all’art. 15 del d.lgs.
n. 387/1998 ha effettuato una sorta di intervento correttivo per adeguare il
sistema ai principi costituzionali e attenuare le più stridenti differenze
con il regime del lavoro privato.
Con la conseguenza che la ratio adeguatrice
ai principi costituzionali del predetto art. 15 giustificherebbe il carattere
retroattivo del medesimo.
La Corte di Cassazione ha precisato che l’assoluta esclusione, a opera del
nuovo art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29/1993, del diritto a differenze di
retribuzione
nel caso di svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, è giustificatamente
apparsa al legislatore delegato, a un più meditato esame, come una norma
in contrasto con i principi costituzionali, da espungere quindi in occasione
del primo intervento correttivo.
Tale essendo la ratio della disposizione correttiva, è giustificata
l’interpretazione che attribuisce alla medesima la sua massima potenzialità rispetto
alla sua ragione e alla sua funzione, e cioè un’efficacia retroattiva.
In sostanza, l’attribuzione dell’efficacia retroattiva alla disposizione
correttiva di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 assicura – diversamente
dell’opposta interpretazione – la conformità ai principi costituzionali
della normativa vigente precedentemente, e quindi è rispettosa del criterio
interpretativo secondo cui deve preferirsi l’interpretazione che comporta un
quadro normativo compatibile con le prescrizioni costituzionali.
L’adunanza plenaria ribadisce che la norma di cui all’art. 15 del
d.lgs. n. 387/1998, non avendo carattere interpretativo, non può che
disporre per il futuro.
Il carattere di norma di interpretazione autentica va riconosciuto
soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero
a escludere o a enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili
alle norme interpretate; mentre, nel caso della disposizione di cui trattasi,
la scelta assunta dalla norma, che si assume interpretativa, non rientra in
nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale del combinato
disposto
dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993.
Così interpretato, l’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, nel testo modificato
dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, con riguardo al periodo precedente
l’entrata in vigore di quest’ultimo, non consente che lo svolgimento
di mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta formalmente comporti
il
pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente.
La norma non appare incostituzionale, non essendo, sotto l’aspetto dello
svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico
impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito
del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l’art. 36 della cost.
(il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori
alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principi di
pari rilevanza costituzionale; quali quelli previsti dall’art. 98 della cost.
(il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta
alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 della cost., contrastando
l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi
di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, nonché con
la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei
funzionari.
In ogni caso, il generale riconoscimento del diritto dei pubblici dipendenti
alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori svolte
solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 trova la sua
ratio con l’organica disciplina delle mansioni introdotta dall’art.
25 del d.lgs. n. 80/1998, che ha sostituito e abrogato le disposizioni apportate
in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993.
L’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, una volta delineata la completa disciplina
della materia in parola in un quadro di armonico rispetto dei principi costituzionali
ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 della cost., ha consentito di recepire nell’ordinamento
del pubblico impiego il pur primario valore di cui all’art. 36 della cost.;
disponendo che, per il periodo di effettiva prestazione delle mansioni superiori,
il lavoratore ha diritto al trattamento economico previsto per la corrispondente
qualifica. Il che non fa dubitare della costituzionalità della pregressa
disciplina, dato che essa tende – in maniera razionale, in assenza di un compiuto
quadro di regolamentazione dell’istituto e in vista dell’equo contemperamento
dei principi costituzionali sopra enunciati – soltanto a evitare che le attribuzioni
delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero, nel pubblico
impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari (Cons.
Stato:
sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 17, 19 settembre 2000, n. 4871 e 11 luglio 2000,
n. 3882; ad. plen., n. 11/2000).
4. Ciò premesso, il ricorso in appello è fondato.
Il riconoscimento, per effetto della modifica apportata dall’art. 15 del
d.lgs. n. 387/1998, del diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto
le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente
superiore non può trovare applicazione nei confronti dell’appellato,
in quanto è posteriore all’ambito temporale oggetto della presente
vertenza (i due ricorsi di primo grado sono stati proposti nel 1996).
Va, quindi, ribadito che prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998,
nel settore del pubblico impiego, salva diversa disposizione di legge, le mansioni
svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti.
Nella specie trova applicazione l’art. 72 del d.p.r. 13 maggio 1987, n.
268 (inserito dall’art. 39 del d.p.r. 17 settembre 1987, n. 494), che era
stato recepito dall’ente. La norma, dopo avere previsto, al comma 1, che, “in
caso di vacanza del posto di responsabile delle massime strutture organizzative
dell’ente, qualora non sia possibile attribuire le funzioni ad altro dipendente
di pari qualifica funzionale, le funzioni stesse possono essere transitoriamente
assegnate con provvedimento ufficiale a dipendente di qualifica immediatamente
inferiore che deve essere prescelto, di norma, nell’ambito del personale appartenente
alla stessa struttura organizzativa”, ha prescritto, al comma 2, che, “in
caso di vacanza del posto di cui al comma 1, le funzioni possono essere affidate
a condizione che siano avviate le procedure per la relativa copertura del posto
e fino all’espletamento della stessa e comunque per un periodo non inferiore
a tre mesi e non superiore ad un anno”.
Inoltre, ai sensi del comma 4 del citato art. 72, “qualora l’incarico,
formalmente conferito, abbia durata superiore ai trenta giorni, va attribuito
al dipendente incaricato solamente un compenso computato sulla differenza tra
i trattamenti economici iniziali delle due qualifiche”. Il che spetta sempre
entro il limite massimo dell’anno previsto dal precedente comma 2.
La normativa speciale di riferimento non consentiva, quindi, l’attribuzione
di funzioni superiori per un periodo superiore a un anno. Nel caso dell’appellato,
inoltre, lo svolgimento di funzioni superiori nel periodo oltre l’anno
non ha trovato nemmeno la copertura di provvedimenti di incarico da parte dell’amministrazione,
in quanto gli stessi, pur emanati, sono stati annullati dall’organo di
controllo. Così che non hanno mai prodotto effetti.
Va ritenuta, infine, l’inammissibilità della domanda dell’appellante
di restituzione, da parte dell’appellato, delle differenze retributive
allo stesso corrisposte dal 20 marzo 1989 al maggio 1991. Si tratta, infatti,
di domanda che si sarebbe dovuta azionare in primo grado con un atto notificato
all’attuale appellato.
5. Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto e,
in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto.
Le spese del doppio grado di
giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (adunanza plenaria) accoglie
il ricorso in appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso
di primo grado. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 14 novembre 2005 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale (adunanza plenaria), in camera di consiglio. Depositata
il 23 marzo 2006.